La felicità: uno standard per rovesciare le prospettive egemoniche

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Cosa vedi? Quando osservi una cosa, un luogo o una persona, una tempesta di idee invade la tua mente, e per questo motivo ora ti chiedo: cosa vedi?

Cosa, come, perché sono i must che ci accompagnano. Se ripetessi la stessa domanda ad un altro e poi un altro ancora la risposta potrebbe, e dico potrebbe, cambiare. Ça depend.

Tutto sta nella polifonia sgangherata delle nostre idee, nel modo in cui attraversano i nostri occhi e concepiscono il mondo.

La vita di ognuno di noi si attiene ad una certa politica, per così dire, a dei parametri e criteri con cui creiamo giudizi, con cui leggiamo la realtà. Ebbene per la maggior parte dei casi, le persone mantengono questa “lettura” lenta e inesorabile nel proseguo dei giorni, senza mai aprire le finestre di casa a un possibile “secondo me invece”. I contrasti e le differenze esistono, ignorati e spesso discriminati.

La cocciutaggine in ognuno di noi, a seconda delle dosi, ci porta ad avere un’attitudine che riteniamo giusta proprio perché è nostra.

Attualmente esistono anche diplomatici ipocriti che esordiscono con un semplice “non accetto la tua opinione, ma la rispetto” per poi praticare in modo ben diverso.

Verba volant miei cari, non dimentichiamocelo.

Il punto della discussione è: perché comprendere, o addirittura assimilare, una prospettiva differente? Parlando di fini, l’apertura mentale non è in grado di risolvere nell’immediato ogni tipo di problematica. D’altro canto non sarebbe strategicamente utile e funzionale perseguire un’idea che sia chiusa, sigillata, nonché statica. La bellezza sta nella prospettiva, o meglio, nelle prospettive. Molteplici, diverse anche se solo nel dettaglio.

Eppure, spostando anche un solo pezzo del puzzle niente è come prima. Le cose si presentano per come le vuoi vedere tu.

Sei tu il filtro.

Portiamo un esempio pratico: l’immaginario collettivo è solito adottare come “filtro” di benestare nazionale qualcosa che sia misurabile in modo concreto.  GDP, GNI GNP sono alcuni dei tanti acronimi che gli economisti usano in preda al loro delirio di conoscenza assoluta, in base al quale traducono il mondo in termini di status di sviluppo o sotto-sviluppo. Secondo tali standard, tra i paesi più sviluppati troviamo in pole position USA, China e Giappone. Agli antipodi, il database della World Bank classifica Burundi, Bhutan e la (per lo più) deserta Greenland negli ultimi 30 posti per GDP registrato nell’anno 2016.  A questo punto è chiaro pensare che, se ci fosse dato scegliere un altro posto in cui vivere tra i sopra citati, una netta maggioranza si sposterebbe verso la prosperità degli USA, scialacquando blandamente una cosiddetta “vita di stenti” altrove. Eppure il rosso acceso della bandiera americana impallidisce se si introducono variabili del tutto differenti come il GNH. L’acronimo sta per Gross National Happiness, ovvero un corrispettivo del nostro GDP, ma in termini di felicità. Questo strumento è stato ideato nel 1971 dallo stato bhutanese ormai stanco di essere etichettato dal Prodotto Interno Lordo come unico mezzo per la misura del progresso nazionale. Lo stato sostenne che il benessere nel suo significato più vero consiste nella felicità e nella salute sociale, fisica, spirituale e ambientale dei propri cittadini. Così facendo il Bhutan ha rimescolato le carte, mostrando al mondo che c’è di più, basta solo vederlo. Cambiando quell’unico filtro con un altro, la classifica della World Bank sembra essersi rivoluzionata, scoprendo che la corruzione, l’isolamento e la diffidenza della crisi sociale statunitense stanno facendo affondare il colosso dell’economia in un baratro d’infelicità. Ce lo conferma Richard Easterlin, professore di economia presso la University of Southern California. Convenendo con l’indice di GNH bhutanese, Easterlin identifica un paradosso nell’economia moderna americana, sottolineando che il reddito pro capite è aumentato di circa tre volte dal 1960, ma la felicità, al contrario, si mostra pigramente.

In soldoni, la crisi sembra essere arrivata anche qui, di natura sociale s’intende, ma non per questo meno rilevante.

Nel 2011 il nuovo approccio circa la misura del benessere nazionale è stato adottato dall’ONU su richiesta dello stato del Bhutan ed è stato subito condiviso da ben 68 paesi. Attualmente il nuovo standard è oggetto di ricerca al fine di esportare il GNH in tutto il mondo in modo funzionale.

Ciò non significa installare una nuova versione 2.0 del mondo gettando la corrente nel dimenticatoio. Significa imparare a vedere. Cogliere, selezionare e captare il meglio da ogni prospettiva per crescere, trarne vantaggio e non smettere mai di conoscere.

Non siate presuntuosi, piuttosto aprite le finestre e fate entrare un po’ di luce.