Foto di Marc Nozell

#obamastai (poco) sereno

I Repubblicani hanno dimostrato martedì che l’establishment si ricorda ancora come si fa a vincere.

Siamo a Novembre, finalmente. Pioggia, foglie e disagi nella metro sono soltanto alcuni dei tanti aspetti che caratterizzano questo mese che ci separa dagli esami del primo semestre.

Ma fino a ieri cosa è successo di interessante?

Tanto, tantissimo, ma credo valga la pena fare una riflessione su quelle che sono state le elezioni di mid-terms per il Senato degli Stati Uniti d’America.

C’è infatti chi dice che questo evento sia stato più un referendum sulla amministrazione Obama, che un semplice voto per il Senato: ma è proprio così?

Jon Sopel, della BBC World News, parla in una sua analisi di un nuovo risultato che creerà più di un problema per Obama, data la relazione non poco complicata con il partito Repubblicano (ricordate lo “shutdown”?). In un’altra analisi, Perry Bacon Jr., per la NBC, evidenzia invece quelli che saranno gli effetti di queste elezioni: ad esempio, Hilary Clinton diventerà mai presidentessa?

Procediamo con calma.

Cosa sono le “mid-terms elections”

Le basi: cosa si intende con “mid-terms elections”? Prima di tutto, “medio termine” perché queste elezioni si svolgono esattamente a metà del mandato presidenziale: su un totale di quattro anni quindi, dopo due.

Adesso viene il bello. Perché si vota il 4 novembre? Perché negli Stati Uniti le elezioni per il Congresso e per la Presidenza si tengono sempre il giorno dopo il primo lunedì di novembre. Si rinnovano tutti i 435 seggi della Camera e soli 33 seggi al Senato, dove i senatori restano in carica sei anni e ogni due anni se ne rinnova un terzo. Inoltre, si vota pure per scegliere i governatori di soli 36 dei 50 stati americani.

Non si è quindi votato in tutti gli stati dell’Unione: dato importante, considerando che la campagna dei Repubblicani si è basata essenzialmente sull’enfatizzare la bassa popolarità del presidente (data al 46%) e sul identificare il voto come un referendum su Obama. Se non votano tutti, come possiamo legittimare con certezza i Repubblicani basandoci sul voto?

Rimane, quindi, un piccolo margine di elettorato che potrebbe fare la differenza, forse, ed Obama lo sa bene.

È finita la presidenza Obama?

Difficile dirlo. In realtà, un Congresso con entrambe le camere controllate dal Grand Old Party (GOP, il partito Repubblicano negli States: quello con l’elefantino, per intenderci) non potrà che limitare ulteriormente il Presidente nel corso dei suoi ultimi due anni di mandato. Il fatto però che il Senato Democratico abbia cambiato i regolamenti della Camera nel 2013 facendo in modo che la maggior parte delle nomine nelle branche esecutive e giudiziarie necessitino di un voto di sola maggioranza, avrebbe permesso ad Obama di riempire il suo gabinetto e le corti federali della Nazione di persone che condividono il suo punto di vista.

Se ora i Repubblicani controllano il Senato, è molto probabile che saranno in grado di bloccare eventuali future nomine del presidente.

Al Presidente però rimane il potere di veto ed un’ampia sfera di poteri esecutivi che spaziano dalla politica estera fino all’immigrazione: argomento abbastanza spinoso per i Repubblicani, che mai vorrebbero vedere milioni di clandestini ottenere d’ufficio lo status di legalità.

Sarà Obama in grado di giocarsi la partita? Può darsi. A Dicembre è già però in programma un incontro fra i partiti e le parti sociali per discutere una prossima riforma dell’educazione primaria: un tema che, come sempre, creerà non pochi problemi di compromesso.

Hillary diventerà mai presidentessa?

“I’m back.” Così la Clinton ha cominciato il suo discorso in Iowa in uno dei suoi 25 eventi a cui ha partecipato per sostenere i candidati in questi ultimi giorni, cercando di riavvicinarsi al popolo americano che mal aveva digerito la sua decisione di abbandonare il Dipartimento di Stato. Non ha avuto successo? Forse, ma come riporta la CNN in un suo articolo del 1° novembre, è ormai consuetudine sostenere i candidati del proprio partito durante le mid-terms per poi candidarsi alle presidenziali due anni dopo. Ma la vera domanda è la seguente: perché potrebbe farcela? Semplice, perché ancora nessuno si è dimostrato alla sua altezza. Ci hanno provato, i Repubblicani, a presentare un candidato che potesse anche lontanamente avvicinarsi alla Clinton, fallendo. Forse il nuovo Bush potrebbe farcela, forse. Un nuovo nome però emerge fra le file degli stessi democratici: quello della Senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, che più volte però ha annunciato di non voler lanciarsi nella competizione.

Dato di fatto è quindi che Hillary è l’unica candidata donna alle presidenziali contro soli candidati uomini, bianchi. “Ci sto pensando seriamente” è stata la frase con cui ha risposto agli elettori in Iowa. La aspettiamo.

Chissà però che un giorno di questi non salti fuori un nuovo Obama.

L’Italia ed il voto

Quali sono le conseguenze però di questo voto sull’Italia? Sono tante, a dire la verità, a cominciare dal fatto che questo tipo di risultato potrebbe favorire la chiusura della trattativa con l’Unione Europea sul Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ti-Tip) che, dopo un leggero ritardo nella trattativa causa l’approvazione di una legge che rende più difficili gli accordi internazionali da parte dei Democratici, potrebbe sbloccarsi. Secondo la stampa nazionale ed internazionale infatti, il partito dei Repubblicani sarebbe ben disposto alla firma. Obama, in questo modo, raggiungerebbe due obbiettivi favorevoli per la sua agenda: non solo riuscirebbe a far entrare in vigore un trattato che rinforzerebbe i rapporti con i partner economici europei, ma favorirebbe pure un ridimensionamento dell’opposizione interna.

Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’UE, ha ammesso comunque di «sperare che (la trattativa) si chiuda nel mandato di Obama».

Insomma, come al solito, sono gli USA a fare la differenza.

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