L’equilibrio necessario fra il “noi” e il “me”

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L’efficienza richiede collaborazione e totale trasparenza è la parola d’ordine. E’ sulla base di queste due generali regole strategiche che, nonostante sia molto criticato, l’open space è oggi l’ambiente di lavoro dominante. Ma è davvero così? Per ottenere l’efficienza massima è davvero necessario che i dipendenti lavorino continuamente a contatto gli uni con gli altri in grandi spazi comuni? L’assoluta trasparenza aumenta davvero la creatività e la produttività dei dipendenti? La risposta è . La collaborazione e la trasparenza sono fondamentali per il buon funzionamento di un ufficio. L’incontro è importantissimo per la nascita di idee fresche. Sono, infatti, spesso gli incontri casuali che danno le svolte più importanti nelle situazioni di stallo, nella vita, come nella realizzazione di un progetto sul lavoro. Lo sanno bene i progettisti del nuovo campus della Google  che è stato progettato proprio con lo scopo ultimo di massimizzare gli incontri casuali tra le persone.

Allora perché secondo un ‘inchiesta fatta su campione americano  al 74% dei dipendenti la formula open space, non piace? E’ perché sentono la loro privacy sotto minacciata. In un periodo storico in cui  l’avvento della rete, di nuove tecnologie e mezzi di comunicazione sono in grado di curiosare nella tua vita privata senza difficoltà; tutti sono diventati un po’ più gelosi della propria privacy. Architetti e ricercatori percepiscono la privacy sul lavoro in termini fisici: acustici, visuali e territoriali. Tutta questa accessibilità porta con se un rischio enorme: quello di sovraesporre chi lavora. La privacy va vista sotto un’altra prospettiva: la privacy non è la iper-reperibilità dell’individuo ma la sua capacità di controllare le informazioni, personali e professionali, e gli stimoli, intesi come qualunque forma di distrazione. Controllare le informazioni vuol dire avere la possibilità di proteggersi e di sentirsi meno vulnerabili. Controllare gli stimoli significa avere la capacità di gestire tutti gli agenti esterni.

E’ evidente, in quest’ottica, che la privacy non compromette la collaborazione, anzi sfumare un po’ i vetri di questa moda della trasparenza può favorire l’efficienza di uno staff. Migliorando la privacy, mettendo a disposizione  degli spazi in cui i dipendenti possono stare da soli e lasciar fuori le distrazioni, probabilmente arricchirebbe e rafforzerebbe le attività collaborative ancora di più.

Il problema non è dunque, l’open space, ma la progettazione dell’open space, che dovrebbe prevedere qualche closed space in più, qua e là, che porti a un equilibrio tra il collettivo e l’individuale, tra il “noi” e il “me”, per evitare che tutta questa trasparenza non si riveli essere altro che una trappola.

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