Indie’s Post #5: Thegiornalisti

Quando si parla dei Thegiornalisti non ci sono risposte, solo domande. Quinta puntata della rubrica dedicata alla musica indipendente italiana.

thegiornalisti

Quando si parla dei Thegiornalisti non ci sono risposte, solo domande.

Sono fermamente convinto che ci siano artisti indie che meritano davvero di essere conosciuti, dal momento che presentano contenuti originali, sonorità interessanti, e hanno belle storie da raccontare. Motta è uno di loro, giusto per fare un esempio, ma come lui molti altri, i Uochi Toki, PoP_X, L’orso, Dellera… Insomma, l’indie è pieno di artisti che meritano di emergere perché valgono tanto, in quanto non convenzionali a livello di espressione e scelta dei suoni.

E poi ci sono i Thegiornalisti. Li ascoltai la prima volta in pullman, vicino a me era seduto un ragazzo con le cuffie, che ascoltava Il tuo maglione mio a un volume così alto da permettermi di capire anche il testo. Le ultime parole del ritornello, “fino alle ginocchia”, si impressero a fuoco nella mia mente, e  informandomi scoprii questo gruppo ed iniziai ad ascoltarlo.

Non mi piacque, e come spesso mi succede di fare quando un artista non mi piace, lanciai a me stesso una sfida: avrei trovato almeno un motivo per cui apprezzare i Thegiornalisti. La sfida va avanti da un paio di settimane, e credo che continuerà ancora per molto. Ma mi sembra opportuno argomentare, onde essere accusato di superficialità.

Partiamo dalla caratteristica che solitamente analizzo per ultima: i testi. Le canzoni dei Thegiornalisti mi hanno fin da subito spiazzato per la banalità delle parole e dei contenuti.  Pochissime azzardate e mal riuscite costruzioni di immagini; frasi piene di pronomi personali, usati di solito per bilanciare la metrica dei versi; ripetizioni di concetti già espressi a inizio canzone, utili solo ad estendere la durata dei brani fino a una media di quattro minuti l’una; rime, o più frequentemente assonanze, di livello pressappoco simile a “cuore-amore”.

Per quanto riguarda il suono, il discorso è leggermente diverso: le sonorità sono impeccabili. Dietro a ogni loro pezzo c’è un lavoro di effetti ed equalizzazione di livello incredibilmente alto, nel quale viene raggiunta l’armonia perfetta di tutti gli strumenti, ed ogni suono diventa mattone di una costruzione armoniosa. Che sia bella o brutta, non è compito mio dirlo. Tuttavia, anche la sonorità è terribilmente banale: la voce impostata come quella di Grignani segue la metrica di Max Pezzali con il respiro dei Tiromancino; la tastiera suona un giro maggiore con un suono sospeso tra i primi lavori dei Cani e il novanta percento del pop italiano di inizio duemila; la chitarra fa il suo dovere senza nulla aggiungere e senza nulla togliere al pezzo, e lo stesso si può dire del basso; la presenza ritmica non è forte né debole, dal momento che le linee di batteria sono moderate e ben bilanciate.

I Thegiornalisti non incontrano affatto i miei gusti personali, ma è innegabile che la musica che fanno, la fanno bene. Tuttavia, posso affermare con sicurezza che, anche ammesso che abbiano creato qualcosa di bello, non hanno assolutamente creato nulla di nuovo.

Mi pongo dunque una domanda: hanno reso l’estrema banalità il loro genere, o sono caduti nell’estrema banalità cercando di essere originali?

La mia valutazione definitiva sui Thegiornalisti dipende principalmente dalla risposta a questo quesito, perché nel primo caso questo “ritorno alla convenzionalità” diventerebbe il loro tratto caratteristico, la loro originalità. Nel secondo caso, significa che non hanno nulla da dire.

In conclusione, li definirei nel seguente modo: un gruppo ben costruito, ma con acqua e sabbia.