Io non ho paura #prayforParis

Dare un senso alla morte è difficile. Quando è improvvisa, violenta, indegna rispetto alla vita vissuta, il compito può essere ancora più arduo. Per me, tra i kamikaze dell’Isis e le decine e decine di vittime di Parigi, i veri martiri, quelli sacrificatisi in difesa di un ideale, non sono i primi. Ciascuno di quei morti ci ricorda quanto orrore ci fa il pensiero di perdere la nostra libertà.Ecco perché non ho paura. Ecco perché non posso permettermi di averne.

Lo Stato Islamico recluta sicari amatoriali, facendo leva sul senso di alienazione ed emarginazione, tanto quanto sulla voglia di riscatto, che pervade tanti giovani musulmani e non (i c.d. foreign fighter), così da assicurarsi un esercito sparso, imprevedibile, difficile da combattere ed estirpare, il cui unico obiettivo concreto è diffondere la paura della vita, della libertà, delle passeggiate all’aria aperta, della birretta serale al tavolino del bar.

Cose che io ho fatto la sera del 14 Novembre, e come me chissà quanti altri. Cose che voglio continuare fare.

La Tour Eiffel – monumento simbolo della Ville Lumière – che si spegne è il simbolo di un’ombra che lentamente sta calando sull’Occidente e sull’Europa. Ombra che non è l’Islam in sé per sè, così come – per zittire da subito chi è sempre pronto a citarle – ai tempi delle Crociate, non fu il Cristianesimo. Un nuovo gruppo di sciacalli del potere ha deciso di scendere in campo. Dice ai suoi seguaci di vestirsi di nero, li arma, li indottrina all’odio irrazionale e promette la gloria eterna. Garantisce un dio da qualche parte nel mondo, o chi per lui.

La religione c’entra ben poco, ma è un ottimo strumento per contrapporsi ad una cultura occidentale che in nome della tolleranza estrema ha rinunciato ad avere dei valori sacri. Niente è più ‘’intoccabile’’: la stessa tragedia di Parigi è stata strumentalizzata da molti per fare politica, per criticare le ideologie altrui, per fare satira, per raccontare al social una versione di sé ipertollerante, senza alcun rispetto per la vita, la morte, e soprattutto per il dolore.

In condizioni simili, non ci si può stupire quando un terrorista decide di bombardare uno stadio o di crivellare di colpi il primo gruppo di persone che gli capita a tiro. In fondo quella libertà gliel’abbiamo data noi. E’ sua, certo, ma appartiene anche ad ognuno di noi. E abbiamo il diritto di tenercela stretta e difenderla. Pregando per Parigi e per le sue ferite a testa alta, camminando per la strada, senza timore di chi ci passa accanto o dell’auto che si ferma. Perché per ogni azione che il terrore ci preclude, una persona è morta inutilmente. E questo sì che fa paura.