La Costituzione spagnola del 1978, al titolo VIII, prevede un ordinamento di tipo regionale formato da 17 Comunità autonome. Ognuna di esse ha un proprio organo esecutivo ed un parlamento che legifera sulle materie di competenza regionale. Tra queste troviamo la Catalogna.

Nel giugno scorso, il parlamento catalano ha deciso di tenere un referendum vincolante sull’indipendenza della regione dal governo centrale ed è stato indetto per il 1 ottobre.

Il 20 settembre però, la Guardia Civil, un corpo della gendarmeria spagnola, ha compiuto varie operazioni di polizia per impedire il referendum. Infatti, è entrata in alcuni edifici del governo catalano per sequestrare il materiale collegato al referendum ma, mentre perquisiva la sede del Ministero dell’Economia, è stata assediata dai Mossos d’Esquadra, polizia catalana guidata da Josep Lluis Trapero. Quest’ultimo, definito un “purosangue catalano”, è dunque stato accusato dalla Procura generale di avere ordinato agli agenti di rallentare le operazioni di polizia, non avendo bloccato la folla di manifestanti che nel frattempo si era radunata intorno agli edifici. Per la Procura si è trattato di sedizione. L’articolo 544 del codice penale spagnolo dispone infatti che: “Son reos de sedición los que, sin estar comprendidos en el delito de rebelión, se alcen pública y tumultuariamente para impedir, por la fuerza o fuera de las vías legales, la aplicación de las Leyes o a cualquier autoridad, corporación oficial o funcionario público, el legítimo ejercicio de sus funciones o el cumplimiento de sus acuerdos, o de las resoluciones administrativas o judiciales.”

Possiamo quindi definire la sedizione come una ribellione violenta volta a rovesciare il potere costituito punibile, ai sensi della legislazione spagnola, con una condanna dai 4 a 8 anni di carcere, 15 anni se a commetterla è un pubblico ufficiale. La Procura generale aveva chiesto la custodia cautelare in carcere per il capo dei Mossos ma il tribunale costituzionale ha disposto invece la libertà vigilata con l’obbligo di non uscire dal territorio spagnolo.

I Mossos d’Esquadra sono stati creati nel XVIII secolo e hanno da sempre rappresentato uno dei simboli dell’indipendentismo catalano. Dopo gli eventi del 20 settembre, molti si sono interrogati sul comportamento che la polizia catalana avrebbe tenuto nei confronti dei votanti. Il referendum del 1 ottobre, ritenuto illegale dal governo spagnolo e dal Tribunale costituzionale, è stato vinto dal SI (90% dei voti) e, mentre i poliziotti catalani non hanno ostacolato lo svolgimento del referendum, la Guardia Civil è entrata in vari seggi per sequestrare il materiale elettorale e ciò ha causato scontri e decine di feriti.

Il presidente della regione, Carles Puigdemont, dopo l’esito positivo del referendum ha dichiarato l’indipendenza della Catalogna ma subito dopo l’ha sospesa per cercare una soluzione con il governo centrale, guidato da Mariano Rajoy. Questo ha causato una gran confusione.

Il quesito referendario recitava come segue: “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”. Aveva dunque come oggetto il diritto all’autodeterminazione il cui esercizio comporta la proclamazione dell’indipendenza. A questo punto sorge un problema dal punto di vista del diritto internazionale. Infatti, il diritto all’autodeterminazione è invocabile in 3 casi: colonizzazione, occupazione militare straniera e apartheid. Poiché la Catalogna non rientra in nessuno di questi tre casi, la dichiarazione di indipendenza della regione spagnola è considerabile come un semplice fenomeno secessionista, che non è proibito dal diritto internazionale, come ha stabilito la Corte Internazionale di Giustizia nel parere sull’indipendenza del Kosovo. Molti Stati, però, hanno affermato che non verrà mai riconosciuto lo Stato della Catalogna e, benché il riconoscimento internazionale non sia tra gli elementi costitutivi di uno Stato, il non riconoscimento comporterebbe l’isolamento dello Stato nella comunità internazionale.

Dopo quasi un mese dal referendum, il Parlamento catalano ha approvato la dichiarazione di indipendenza e, in conseguenza di ciò, il governo spagnolo ha applicato l’articolo 155 della Costituzione spagnola, che permette allo Stato di obbligare una Comunità autonoma a rispettare la legge. L’articolo 155 recita come segue: “Qualora una Comunità Autonoma non dovesse ottemperare agli obblighi importi dalla Costituzione o dalle altre leggi, oppure si comporti in modo tale da attentare agli interessi generali della Spagna, il Governo, previa richiesta al Presidenza della Comunità Autonoma o con l’approvazione della maggioranza assoluta del Senato, potrà prendere le misure necessarie per obbligarla all’adempimento forzato dei suddetti obblighi o per la protezione dei suddetti interessi.

Il Governo potrà dare istruzioni a tutte le Autorità delle Comunità Autonome per l’esecuzione delle misure previste nel comma precedente.”

La situazione è senza precedenti: infatti, l’articolo 155 non era mai stato applicato prima d’ora. Solo nel 1989 ne fu minacciata l’applicazione nei confronti della Comunità autonoma delle Canarie che non voleva adeguarsi agli obblighi fiscali derivanti dall’adesione della Spagna alla Comunità Economica Europea. Ora, invece, il premier Mariano Rajoy ha annunciato lo scioglimento del Parlamento catalano, ha indetto le elezioni anticipate e ha rimosso dall’incarico tutti i membri dell’esecutivo, tra cui Puigdemont. Quest’ultimo, accusato anche lui di sedizione insieme ad altri esponenti del governo catalano, si è rifugiato a Bruxelles e non è rientrato in Spagna per presentarsi davanti al giudice e, per questo motivo, è stato emesso un mandato di arresto europeo nei suoi confronti.

Quello che accadrà nelle prossime ore, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi non è possibile stabilirlo. L’unica cosa da fare è aspettare le elezioni indette da Rajoy per il 21 dicembre.