Francesco Giorgino a “Culturama” su giornalismo e società

Il professore e giornalista ha parlato di newsmaking

Il professor Francesco Giorgino è stato il primo ospite di “Culturama”, il festival di giornalismo realizzato dagli studenti di “360° – Il giornale con l’Università intorno”. Lo scorso 23 marzo ho intervistato il professore di “Luiss” e “Sapienza”, nonché noto giornalista del Tg1, nel corso di una conferenza sul tema del newsmaking.

Buongiorno professor Giorgino. Vorrei rivolgerle alcune domande per “360° – Il giornale con l’Università intorno”.

  1. Innanzitutto, come distinguere una notizia da una non-notizia e cosa differenzia le notizie interessanti e quelle importanti?

Una notizia si differenzia da una non-notizia anzitutto se la prima è collocata o meno nei processi di produzione della “notiziabilità”, e cioè quei processi che sostanzialmente replicano al loro interno le dinamiche della selezione, della gerarchizzazione, del trattamento e della tematizzazione della notizia. Quindi il primo discrimine sta nel fatto che, nel caso in cui la notizia venga selezionata, gerarchizzata, trattata e tematizzata da un’organizzazione professionale e da un giornalista professionista, c’è automaticamente un conferimento di valore professionale alla scelta fatta dallo stesso professionista. Nel caso della non-notizia, si tratta di un prodotto che può anche assurgere al valore di informazione, ma non necessariamente questo si consegue attraverso l’assolvimento di una serie di procedure di tipo professionale. Quindi, nel caso della notizia, si tratta di un prodotto riconosciuto come tale sia dall’emittente che dal ricevente, un genere dal punto di vista della sociologia della comunicazione. Nel secondo caso (la non-notizia) si tratta di un’informazione che può essere anche utile per l’opinione pubblica, ma che non è prodotta da un’organizzazione professionale.

  1. Quanto è importante che un buon telegiornale abbia un bilanciamento tematico delle notizie?

Assolutamente importante, perché si tratta di un prodotto che deve interloquire con la totalità del pubblico. Quindi, tra i valori della notizia che contano di più vi è proprio quello del bilanciamento tematico che serve anche a riequilibrare il valore dell’interesse col valore dell’importanza, cioè si tratta sostanzialmente di mettere insieme ciò che registra un feedback chiaro da parte del pubblico in termini di interesse con ciò che, pur non interessando in modo diffuso il pubblico, merita di essere portato a conoscenza del pubblico stesso, perché oggettivamente importante. Il bilanciamento tematico risolve sostanzialmente anche questo tipo di problema.

  1. Quali sono le caratteristiche dell’informazione politica?

L’informazione politica ha come obiettivo principale quello di mettere in evidenza le dinamiche di esercizio del potere politico, dunque si muove in un’interlocuzione assolutamente chiara – per seguire la separazione dei poteri di Montesquieu – sia nei confronti del potere esecutivo che del potere legislativo. Quindi ha questa doppia funzione di vigilanza dell’esercizio dell’azione esecutiva, dell’amministrazione dello Stato e, al tempo stesso, non di condizionamento, ma di verifica delle modalità con le quali il processo di regolamentazione giuridica e il processo di normazione avvengono nel nostro Paese. Nel mio libro (“Giornalismi e società. Informazione politica, economia e cultura”, edito da Mondadori Università, ndr) ho più volte fatto riferimento, soprattutto in relazione a quest’aspetto, alla “teoria dell’agenda-setting”, che è una teoria che ci consente di spiegare il modo in cui le priorità dei media coincidono con le priorità della politica e quindi dell’opinione pubblica o, viceversa, che le priorità della politica vengano poi fatte proprie dai mezzi di comunicazione. L’informazione politica si muove lungo questo percorso di evidenziazione e di controllo di quelle che sono le dinamiche del potere, pur nella consapevolezza che il concetto stesso di potere è cambiato.

  1. Cosa ci può dire riguardo all’interazione media-economia?

Lì il tema è ancora più delicato, perché non c’è soltanto un’interazione tra newsmedia, quindi informazione, ed economia, ma c’è anche l’interazione tra informazione e finanza. Anzi, l’informazione può svolgere anche un ruolo di arbitro tra l’economia e la finanza, atteso che la finanza è sempre più aggressiva nei confronti dell’economia. Però, perché questo accada, c’è bisogno di rivedere quelli che sono i paradigmi con la quale la narrazione dei temi economici e finanziari avviene da parte dell’informazione mainstream perché, sostanzialmente, se noi reiteriamo l’idea che l’unico parametro di narrazione è quello del Prodotto Interno Lordo, quindi un parametro quantitativo, difficilmente riusciremo a mettere in linea le esigenze della rappresentazione della realtà con la complessità della realtà stessa. Complessità che è tanta, visto che si tratta di due settori che non sempre agiscono nella stessa direzione (economia e finanza). Quindi va risolto anche questo tema.

  1. Può parlarci della triangolazione “soggettività-oggettività-obiettività” del giornalismo?

Facciamo riferimento a Max Weber e alla distinzione tra obiettività orientata al valore e obiettività orientata allo scopo. L’obiettività orientata al valore significa assumere un principio che ha una sua spendibilità indipendentemente dalla possibilità che poi si traduca sotto il profilo operazionale. Invece, se consideriamo l’obiettività orientata allo scopo, consideriamo una serie di regole che sono finalizzate a diminuire l’assedio della soggettività che è presente in tutte le fasi della mediazione. È questa l’obiettività orientata allo scopo o quella che Gaye Tuchman chiama “obiettività come rituale strategico”, quindi separazione dei fatti dalle opinioni da un lato, indicazione delle prove a sostegno delle proprie tesi dall’altro, tracciabilità delle informazioni e quindi rapporto trasparente con le fonti dall’altro ancora. Basterebbe questo per rendere l’obiettività funzionale e quindi strategica. Altra cosa è l’oggettività, (che oggi appare impossibile) perché non c’è una conformità piena nella rappresentazione, tra la rappresentazione e l’oggetto rappresentato. Per cui si può ragionare in termini di obiettività orientata allo scopo e non in termini di oggettività.

Grazie professore.