Fellini e la sua fabbrica dei sogni – “Cinecittà si mostra”

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“Quando mi domandano: quale è la città in cui preferirebbe abitare? Londra, Parigi, Roma … io rispondo Cinecittà. Il Teatro 5 di Cinecittà è il posto ideale. L’emozione assoluta, da brivido, da estasi, e’ quella che provo di fronte al teatro vuoto: uno spazio da riempire, un mondo da creare”

Federico Fellini
Qualche settimana fa, in una bella domenica di sole, ho approfittato della compagnia di mia sorella per andare a visitare “Cinecittà si mostra” a Roma. Neanche a dirlo prendiamo la metro A, fermata Cinecittà, usciamo in superficie e ci troviamo davanti quegli studi, con la scritta a caratteri cubitali che sembra la porta del Paradiso o di un mondo incantato.

Perché credetemi, lo è. Basta entrare, seguire il percorso che si snoda tra uno e l’altro dei suoi 22 Teatri, per venire catapultati in un’atmosfera di sogno.
Fellini si era addirittura fatto allestire una stanza a mo’ di camera da letto accanto al suo amatissimo Teatro 5, intitolatogli nel 2013, quello che al suo interno ha visto la riproduzione di Viale Vittorio Veneto e l’interno della cupola di S. Pietro per “La dolce vita” o la ricostruzione della sua amata città d’origine, Rimini, con tanto di spiaggia e del suo Grand Hotel in “Amarcord”.

Per Federico era un bisogno vivere lì: racconta nelle sue interviste che il mettersi al lavoro per un film era qualcosa di terapeutico, capace di fargli passare febbre e stress. Avrebbe passato la vita intera in quel Teatro numero 5 a ricreare in mille modi possibili tutte le forme, le situazioni e i personaggi che la sua creatività costantemente gli proponeva. E davvero non poteva fare altro che lasciarli nascere, farli muovere nello spazio del set per poi riprenderli con la macchina da presa e restituirceli dentro a film che ancora oggi, dopo tutti gli anni trascorsi, mantengono il loro fascino e potere ipnotico. Guardare un film di Fellini è come guardare un proprio sogno dall’esterno: ci sono gli stessi dialoghi e situazioni, che sembrano fondamentali e rivelatori nel momento in cui li fai ma che non hanno alcun senso la mattina dopo quando ti svegli, e ci sono le stesse atmosfere translucide ed ovattate, che ti preparano all’idea che tutto possa succedere o che qualsiasi personaggio possa apparire da un momento all’altro. E tutto questo il regista riminese lo creava in quell’edificio quadrato, di architettura fascista come il resto di Cinecittà, trasformando il soffitto in cielo stellato e le pareti in palazzi o orizzonti marini, a suo piacimento.

In quello stesso stabile sono ora in corso le riprese per il remake di “Ben Hur”, in uscita nel 2016. Perché Cinecittà è più attiva che mai, confermata come scelta da registi di tutto il mondo grazie alla sua storia, alla sua fama, alla bravura degli operai che ci lavorano e allo splendido sole di Roma che la rende un set perfetto anche a cielo aperto in qualsiasi stagione.
Tra i più recenti non dimentichiamo Martin Scorsese con “Gangs of New York” del 2002 o Wes Anderson con il cortometraggio “Castello Cavalcanti”, fashion-film per Prada, e l’estesissima e costosissima ricostruzione dell’antica Roma allestita per la serie “Rome” prodotta da HBO, BBC e Rai Fiction che permette ai visitatori di ammirare la città con i colori e i monumenti (più o meno) fedeli a quelli che dovevano esserci nell’antichità.

Per concludere la visita non si può non fare un giro nei musei allestiti negli edifici esterni dedicati alla storia e alla struttura di Cinecittà, a Fellini e alla storia del cinema italiano: dalla propaganda fascista al Neorealismo di De Sica e Visconti, fino ad arrivare ai Western di Sergio Leone e ad una sezione dedicata ai grandi registi di oggi e alla spiegazione dei procedimenti nella creazione di un film.
Ma fidatevi se vi dico che alla fine di questo tour intensivo di storia e tecniche del cinema, ci saranno delle cose in particolare che vi rimarranno impresse senza particolari sforzi di concentrazione. Per esempio il modo di Fellini di rispondere alle domande degli intervistatori: parlava con velocità e spontaneità ma allo stesso tempo pesava le parole con accuratezza, usando almeno 3 aggettivi per descrivere ogni concetto, così da riuscire ad esprimere un’esatta sfumatura di significato. È la cura per i dettagli che distingue i bravi dai grandi e non c’è dubbio sul fatto che il regista appartenga alla seconda categoria. Oppure vi ricorderete della fierezza nel vedere quanto gli americani cedessero al fascino della nostra città eterna nei kolossal o ancora di più all’orgoglio di avere un italiano alla regia dei migliori film Western di tutti i tempi (che è un po’ come la storia che il miglior chef è tedesco). E ancora sarete stupiti nel vedere il magnifico vestito che Liz Taylor indossò per girare “Cleopatra” nel 1963 e ancora nell’apprendere trucchi e retroscena nel backstage dei film. Ad esempio, sapevate che Mastroianni nella celebre scena girata nella Fontana di Trevi ne “La dolce vita” indossava una muta sotto l’abito e si era bevuto una bottiglia di vodka per aiutarsi a sopportare il freddo mentre la bellissima, nonché svedese, Anita Ekberg non ne ebbe minimamente bisogno?

Potrete trovare questo e molto altro ancora ma la cosa più bella di tutte, secondo me, resta il fascino di quel Teatro 5, delle miriadi di disegni colorati e a tratti deliranti conservati ancora tra quelle mura, usciti dalle mani e dalla mente del nostro miglior regista e la voglia che lasciano di vedere tutti i suoi film e riuscire a capire ogni frammento, ogni riferimento, tutto.
Perché io ne sono sicura, artisti come lui avevano pieno accesso, seppur inconsapevolmente, al segreto della vita e chissà che guardando i suoi capolavori una piccola parte di tutto ciò non possa arrivare fino a noi.
Un’altra cosa di cui sono certa è che dobbiamo esserne fieri.
Siamo italiani. Abbiamo la pizza, il mare, il sole, Leonardo da Vinci, il Vesuvio, i canali di Venezia, le spiagge della Puglia, Renzo Piano, i teatri greci in Sicilia, Buffon, la granità al caffè con la brioche, le Dolomiti, il prosecco e il limoncello, i tramonti di Salina, il fascino da latin lover, il Colosseo…
E grazie al cielo, abbiamo Fellini.