Ilaria Bertocchini – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Ilaria Bertocchini – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Five MInutes Bag: quando moda è sinonimo di praticità http://www.360giornaleluiss.it/five-minutes-bag-moda-sinonimo-praticita/ Wed, 19 Jul 2017 10:54:15 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8719 Estate romana significa anche stand al Riverside Market. Ed è proprio tra questi che, una sera passeggiando con amici, ho trovato quello di Daniela D. Chi mi conosce sa che non sono un’ amante della moda, ma la vitalità e l’entusiasmo di Daniela mi hanno convinta a fermarmi davanti alle sue creazioni, per rimanerne poi del

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Estate romana significa anche stand al Riverside Market. Ed è proprio tra questi che, una sera passeggiando con amici, ho trovato quello di Daniela D. Chi mi conosce sa che non sono un’ amante della moda, ma la vitalità e l’entusiasmo di Daniela mi hanno convinta a fermarmi davanti alle sue creazioni, per rimanerne poi del tutto affascinata. Infatti, le sue Five Minutes Bags, borse che si bloccano sul braccio, coniugando moda e praticità, mi hanno conquistata ed una volta tornata a casa ho iniziato a guardare il suo sito e le sue pagine FB e Instagram, decidendo poi di farle qualche domanda per capire meglio il messaggio che vuole trasmettere con il suo prodotto.

Daniela D. insieme ad una delle sue Five Minutes Bag

Five Minutes Bag: esigenza trasformata in originalità

L’idea Five Minutes Bag nasce circa 2 anni fa, quando, dopo essere diventata mamma, le borse sono diventate un problema, perché tutte, o quasi tutte, erano per me scomode, nonostante io sia da sempre stata una fashion victim, con un debole particolare per questo accessorio. Così ho pensato che avrei desiderato una borsa di tendenza, capiente e comoda allo stesso tempo, capace di contenere l’essenziale ma anche di rimanere ferma, lasciandomi così libera nei movimenti, dal momento che le mie priorità stavano cambiando. Una notte, mi ricordo perfettamente, alle tre mi sono svegliata e ho pensato “devo mettere un elastico sotto il manico”. Così, il giorno dopo, mi metto all’opera, taglio, cucio e do vita alla prima Five Minutes Bag, con ancoraggio comodo. Ne parlo con il mio compagno di vita, che sposa sin da subito il mio progetto… E brevettiamo l’idea!

Un brand tutto italiano

In questa fase le Five Minutes Bags possono essere considerate prodotti sartoriali. Infatti sono interamente fatte a mano, da sarti specializzati, in Italia. Considerando il successo che sta avendo, abbiamo già pianificato diversi incontri con produttori italiani che potranno industrializzare il processo produttivo per soddisfare il numero crescente di richieste.

Nerea, Adelaide, Kendra e le altre

E’ difficile scegliere la mia Five Minutes Bag preferita. Ogni volta che le guardo per decidere quale indossare, le ammiro e le tratto con cura perché per me sono le prime compagne di viaggio. Un viaggio che, nonostante sia iniziato solamente quasi due mesi fa, porta con sé delle neonate di appena un mese pronte per essere vendute al pubblico. Infatti, la vera data di inizio coincide con il debutto dell’attività della mia azienda, il 1 Giugno 2017. Sarà un viaggio lungo e misterioso e non so ancora cosa questo percorso mi riserverà. Sono certa, però, che Aurora, Miranda, Electra, Zoe, Nerea, Adelaide, Kendra e Bianca rimarranno per sempre nel mio cuore. Il primo amore, si sa, non si scorda mai!

Condivisione, ingrediente essenziale per un ottimo traguardo

Nella vita i traguardi più belli sono quelli che si raggiungono quando c’è condivisione. Per la realizzazione di qualsiasi progetto vi è la necessità di essere affiancati da persone che credano in quello che stai facendo quasi quanto te. Per questo mi ritengo molto fortunata, perché tutti i ragazzi che hanno scelto di sposare la filosofia Five Minutes Bags si sono dimostrati straordinari e professionali. Senza di loro non sarei mai potuta arrivare alla realizzazione di quello che oggi potete vedere. Antonio, Andrea, Viviana e Nidi siete unici!

Amore e qualità assicurata

Riflettendo sul concetto di qualità, penso a molteplici caratteristiche. La qualità non è soltanto un buon tessuto, una buona façon o una buona commercializzazione del prodotto. Infatti, oltre a queste caratteristiche imprescindibili per un brand Made in Italy come il nostro, ve ne sono altre essenziali. E’ importante innamorarsi delle proprie creazioni, dando loro calore ed energia positiva: la qualità risiede anche nell’offrire ai nostri clienti un pizzico del nostro “Think Positive!”. Qualità vuol dire anche serenità delle persone che lavorano con me, dal momento che ritengo che la nostra energia arrivi direttamente fino al consumatore finale. Un prodotto nato e cresciuto in armonia ed amore non può che essere il nostro specchio!
Tornando alle caratteristiche più “tradizionali”, sicuramente un’ottima façon, ottimi tessuti, packaging curato e assistenza post vendita con una comunicazione che faccia sentire i nostri clienti parte di noi, indispensabili per completare una macchina vincente!

Una filosofia di vita

La Five Minutes Bag vuole essere proprio questo. Siamo in un periodo storico in cui la donna si sente appesantita, carica di tanti, troppi pensieri: la donna è adesso una mamma in carriera e ha infinite cose da fare. E’ a lei che ci rivolgiamo per donare spensieratezza e per permetterle di percorrere la sua esistenza con più leggerezza. Partendo da questo concetto attuale e reale, penso che si potrà lavorare poi su vari settori. Sicuramente continueremo a produrre borse dell’essenziale con l’ancoraggio rivoluzionario, poi creeremo una linea di abbigliamento e di make up. Tutto incentrato sulla comodità, leggerezza, spensieratezza. La donna Five Minutes è una donna che ama sentirsi alla moda senza rinunciare alla comodità. Il tempo è relativo, qualcuno diceva. Quindi in 5 minuti si può fare di tutto se lo si vuole veramente, soprattutto donarsi del tempo, che credo sia il regalo più prezioso che al giorno d’oggi possiamo farci!

Molto più di una borsa, un concentrato di moda, energia e praticità che faranno sentire le donne perfette in ogni occasione, ma soprattutto in pace con se stesse! Grazie a Daniela D. per averci parlato delle sue creazioni (che potrete ammirare di nuovo dal 24 Luglio al Riverside Market) e in bocca al lupo per il futuro!

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I desaparecidos siriani http://www.360giornaleluiss.it/i-desaparecidos-siriani/ Wed, 10 May 2017 07:39:32 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8624 Sei anni. Sei lunghi anni dall’inizio della guerra civile siriana, quando, il 15 marzo 2011, molte persone scesero in piazza a Dar’a, città a sud di questo Paese, per chiedere al loro governo maggiore libertà. La primavera araba travolse così anche la Siria, governata da una dittatura da più di 45 anni. E’ l’inizio dell’inferno

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Sei anni. Sei lunghi anni dall’inizio della guerra civile siriana, quando, il 15 marzo 2011, molte persone scesero in piazza a Dar’a, città a sud di questo Paese, per chiedere al loro governo maggiore libertà. La primavera araba travolse così anche la Siria, governata da una dittatura da più di 45 anni. E’ l’inizio dell’inferno che avrebbe portato a migliaia di morti, a quasi 5 milioni di profughi fuori dalla Siria, a più di 6 milioni di sfollati interni. A questi vanno aggiunti però i desaparecidos siriani: persone, troppo spesso dimenticate nell’elenco delle vittime, che, secondo la definizione di Amnesty International, sono state arrestate e imprigionate dallo Stato, o da persone che hanno agito in nome di quest’ultimo, ma la cui detenzione viene costantemente negata dalle fonti ufficiali, privandoli così della protezione della legge. In poche parole, sono le cosiddette sparizioni forzate di presunti oppositori del regime. È una macchina segreta attuata da sempre dallo Stato, ma che adesso sta vedendo il numero di vittime crescere giorno dopo giorno. Tra di loro, ci sono anche ragazzi tra i 12 e i 14 anni, come Ahmad al-Musalmani, arrestato e torturato sino alla morte perché aveva nel telefono una canzone contro il governo di Assad. La sua famiglia dovrà aspettare tre anni prima di sapere che fine abbia fatto il bambino. Poi, manifestanti contro il governo, costretti a salire sui camion per chissà dove, ma anche persone selezionate in modo del tutto arbitrario e ingiustificato. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani dal 2011 più di 65mila persone sono scomparse.

La vicenda di queste scomparse è riuscita ad ottenere visibilità solo da qualche anno, grazie alla denuncia fatta da Caesar, pseudonimo di un ex ufficiale della polizia militare siriana. Incaricato di documentare la morte e le torture inflitte ai detenuti nei carceri siriani tra il 2011 e il 2013, grazie all’aiuto di un amico, ha iniziato a copiare di nascosto molte foto e a conservarle al sicuro fino a quando, temendo per la sua incolumità, ha lasciato il Paese per cercare asilo in Europa. Il numero delle immagini è di circa 55mila, con quattro foto per corpo. Sono più di 6700 i siriani immortalati, morti durante la detenzione e trasferiti poi in un ospedale militare. Ogni foto, usata dal governo siriano come un documento non ufficiale che attesta il decesso delle vittime, ritrae i cadaveri con addosso tre etichette. La prima che indica il numero di detenzione, la seconda il numero del ramo di sicurezza che li ha arrestati e la terza il numero dell’ospedale, nel quale saranno trasportati i corpi morti. Secondo la testimonianza di Caesar, le vittime vengono inizialmente lasciate nei centri di detenzione dove è avvenuta la morte, ammucchiate nelle celle, in preda a topi ed insetti.

Lo scopo è quello di ricordare ai detenuti ancora in vita cosa li aspetta, per spaventarli ancora di più, oltre ad aumentare la possibilità di malattie. Poi, nei tre o quattro giorni che susseguono, arriva un medico legale per i cadaveri. Quando il numero supera i 200 o i 300, vengono portati via e seppelliti nelle fosse comuni. Tuttavia, vi sono alcuni che sostengono che molti corpi siano bruciati con degli appositi forni. La morte invece, quella è avvenuta a causa di maltrattamenti fisici e psicologici.  Munir-al-Hariri, ex capo della sicurezza politica, un ramo del servizio di intelligence nazionale, che ha disertato nel 2012, ha parlato apertamente all’emittente araba Al Jazeera per la prima volta. “Essere detenuti in Siria è la cosa peggiore che ti possa accadere” spiega “un detenuto non muore una volta sola, ma almeno cento volte al giorno per via delle torture fisiche e psicologiche che gli vengono inflitte”. Infatti, lo scopo della detenzione non è quello di uccidere, ma quello di aumentare la tirannia dello Stato. Uno Stato che ha a sua disposizione un corpo di polizia addestrato ad usare qualsiasi forma di tortura, dai bastoni alle fruste fino all’uso di sedie progettate appositamente per spaccarti la schiena.

Mappa che mostra i maggior centri di detenzione a Damasco dove sono state scattate le foto pubblicate da Caesar. Fonte: © 2015 Human Rights Watch

 

Le foto di Caesar hanno raggiunto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha mosso al governo siriano le accuse di omicidio, stupro, tortura e sterminio dei detenuti. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza che avrebbe portato la Siria davanti al Tribunale Internazionale ha invece incontrato il veto della Russia e della Cina.

Successivamente Caesar è stato chiamato davanti al Congresso Americano, dove ha mostrato le immagini alla Commissione Affari Esteri. Nello stesso tempo, è stato istituito un team investigativo internazionale per far luce sui presunti crimini di guerra commessi in Siria e per verificare la credibilità delle foto. Nel Novembre 2016, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato, con la stragrande maggioranza di voti, due progetti di legge: il primo prevede provvedimenti severi per il governo siriano e i suoi sostenitori, tra i quali Russia e Iran, per crimini di guerra e contro l’umanità. Il secondo, invece, vede il rinnovo del Codice Penale imposto all’Iran a partire dal 1996 e che sarebbe dovuto scadere nel 2016. I due progetti, passati alla Camera, non hanno al momento avuto seguito al Senato.

Foto di presunte vittime nei centri di detenzione di Assad, mostrate in presenza di Caesar, chiamato a testimoniare alla Commissione Affari Esteri, a Washington, Luglio 2014. Fonte: CNN

Per quanto riguarda la veridicità delle fonti, se ne è occupato anche l’Osservatorio dei Diritti Umani che, oltre a darne conferma, sottolinea come queste testimonino segni di tortura, pestaggi, malnutrizione e malattie sui corpi delle vittime. Con questi documenti varie vittime sono state identificate, anche grazie alla mobilitazione di diverse associazioni internazionali, che, per evitare che i corpi rimangano solo dei numeri, hanno pubblicato online le foto delle teste dei detenuti.

Numerose famiglie cercano così negli scatti di Caesar i volti dei loro cari. Tuttavia non sempre il riconoscimento è facile, poiché le facce sono mutilate o plasmate dalla perdita di peso: i familiari guardano e riguardano quei volti ceninaia di volte per porre fine alla loro agonia e dare inizio ad un altro inferno, quello dove non vi è più speranza ma solo la certezza della scomparsa. Centinaia di corpi hanno ottenuto così un nome, come quello di Ayham, riconosciuto dalla madre Mariam Hallak. Era il suo figlio più giovane, di 25 anni, che stava svolgendo un master in odontoiatria. Riconoscimento tuttavia non significa sapere dove il corpo si trovi: Mariam, così come altri migliaia di familiari, si vede negata la possibilità di dare una tomba a suo figlio.

Alcune foto scattate da Caesar. Fonte: © 2015 Human Rights Watch

Anche i nomi dei responsabili sono spesso noti, ma nonostante le evidenze, il regime di Bashar al-Assad continua a negare. Il potere continua ad essere nelle sue mani, la tragedia continua nei modi più terribili e gli innocenti continuano a pagare per finire poi dimenticati. Gettati in una fossa comune, senza il loro nome, senza il ricordo della loro lotta per quell’irrefrenabile desiderio di libertà.

 

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Moda islamica all’italiana http://www.360giornaleluiss.it/moda-islamica-allitaliana/ Wed, 03 May 2017 07:23:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8611 Rispettare le proprie esigenze senza bisogno di rinunciare al piacere della moda. È questa la ricetta del successo di Hind Lafrem. Marocchina, di 23 anni, ha iniziato a creare abiti per donne di fede musulmana che si rispecchiano nei canoni di moda occidentale, ma non vogliono, allo stesso tempo, tradire i precetti dell’Islam. L’idea della

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Rispettare le proprie esigenze senza bisogno di rinunciare al piacere della moda. È questa la ricetta del successo di Hind Lafrem. Marocchina, di 23 anni, ha iniziato a creare abiti per donne di fede musulmana che si rispecchiano nei canoni di moda occidentale, ma non vogliono, allo stesso tempo, tradire i precetti dell’Islam. L’idea della giovane stilista, come ha spiegato in numerose interviste, nasce da un’esigenza personale, essendo lei stessa musulmana, ma cresciuta in Italia, e dal confronto con altre amiche come lei. Il bisogno di indossare l’hijab o abiti poco aderenti non deve portare alla mortificazione. E per questo la giovane marocchina decide di fare della propria necessità una virtù e inizia a cucire e a mettere in pratica ciò che ha imparato all’istituto di moda di Torino, che inizia a frequentare dopo due anni di ragioneria, e dal quale si diploma.

Nel 2014 apre una pagina FB, Lafram, attualmente in corso di aggiornamento, dove inizia a pubblicare foto delle sue creazioni, grazie anche all’aiuto della sorella di due anni più piccola, che le fa da modella. Iniziano così i primi commenti, i primi feedback delle donne alle quali si rivolge, che adesso le commissionano abiti da realizzare.  Crea così hijab colorati, vestiti da sposa, burkini su misura, dando sfogo alla sua creatività. Per quanto riguarda quest’ultimo capo, il cui termine particolare si deve ad Aheda Zanetti, che nel 2004 lo usò per descrivere quello che può essere visto come un costume “islamicamente corretto”, Hind lo definisce non come una mortificazione della donna ma come uno strumento sportivo che combatte la discriminazione. Infatti, grazie al burkini, realizzato con tessuto di tute da sub, le donne musulmane possono andare al mare e mostrarsi in presenza di uomini, senza la necessità di andare nelle apposite “piscine per signore”. Hind inizia così a cucirli, riducendo quindi la necessità per le musulmane in Italia di importarlo, e perché no, aggiungendoci anche qualche accessorio che lo renda più personale.

Piano piano la giovane stilista ha ricevuto inviti per partecipare a sfilate locali, mostre ed eventi di bellezza, sino ad arrivare al Salone Internazionale del Libro a Torino. Lo scorso aprile è stata invitata come ospite al Festival del Giornalismo di Perugia, come speaker alla conferenza “Media e Islam: tra disinformazione e nuovi orientalismi”. Attualmente lavora presso un ufficio stile di Milano e sta creando ad una propria collezione con un marchio registrato. L’inizio di un made in Italy simbolo di apertura e sensibilità in un settore che rende il Bel paese conosciuto in tutto il mondo.

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Sex and The City a Tel Aviv http://www.360giornaleluiss.it/sex-and-the-city-tel-aviv/ Wed, 29 Mar 2017 17:01:41 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8399   “Tra terra e mare”, in italiano tradotto con il titolo “Libere, disobbedienti, innamorate”, è un film girato dalla regista palestinese Maysaloun Hamoud che uscirà nelle sale italiane il 6 aprile.  Racconta la storia di Nour, giovane donna palestinese che, contro la volontà del futuro marito, che la vorrebbe a casa totalmente dedita a fare

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“Tra terra e mare”, in italiano tradotto con il titoloLibere, disobbedienti, innamorate”, è un film girato dalla regista palestinese Maysaloun Hamoud che uscirà nelle sale italiane il 6 aprile.  Racconta la storia di Nour, giovane donna palestinese che, contro la volontà del futuro marito, che la vorrebbe a casa totalmente dedita a fare la brava moglie, decide di lasciare la città di Umm al-Fahm, governata dal Movimento Islamico, per trasferirsi e studiare a Tel Aviv. Arrivata nella metropoli, si trova a condividere un appartamento con altre due ragazze, apparentemente del tutto diverse da lei. Infatti, se Nour è la classica studentessa modello, timida, fragile e facilmente sopraffabile dall’uomo tradizionalista, Leila è invece un avvocato penalista, emancipata, sempre con una canna accesa e alla ricerca del vero amore, mentre Salma è una DJ omosessuale, ripudiata per questo dalla famiglia cristiana. Dalle vite apparentemente così diverse, le tre ragazze si troveranno ad avere in comune non solo le origini palestinesi in un territorio israeliano, ma anche a cercare un atteggiamento libero, appassionato, in una città dove regna la trasgressione, in constante lotta con la tradizione.

Scena tratta dal film.

Definito dalla critica come il Sex and the City arabo perché ritrae una Tel Aviv dove si balla, si fuma e si parla liberamente di sesso, è un manifesto della lotta per l’emancipazione femminile. Per questo motivo è stato attaccato dagli integralisti e la città di Umm al-Fahm, luogo dove Nour vive inizialmente, ha condannato il lavoro di Hamoud e ne ha proibito la proiezione. Inoltre, la regista ha persino ricevuto una minaccia di morte: “C’è una fatwa contro di me. Non la emettevano dal 1948”, ha dichiarato all’agenzia Agi.

Pur sapendo i rischi che avrebbe corso, Hamoud ha voluto parlare del costo che molte donne devono affrontare per la libertà. “Ho cercato di raccontare il prezzo che queste ragazze devono pagare per una condizione che normalmente può apparire scontata: la libertà di lavorare, fare festa, fare l’amore, scegliere. Laila, Salma e Nour scelgono, appunto, di non voltarsi a guardare indietro anche se il loro viaggio verso il futuro è lontano da qualunque certezza”. Queste le parole della regista che spiegano lo scopo della sua pellicola, già premiata al festival di Toronto, al festival di San Sebastian e a quello di Haifa.

Un film dunque da non perdere, che racconta non solo una storia di amicizia tra persone apparentemente diverse, ma offre anche uno spunto di riflessione sulla emancipazione della donna, ancora lontana, nel mondo arabo. Di segiuto il link del trailer, pubblicato in anteprima su La Repubblica.

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Malala Yousafzai: la speranza tinta di rosa http://www.360giornaleluiss.it/malala-yousafzai-la-speranza-tinta-rosa/ Wed, 01 Mar 2017 09:49:48 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8202 Affranta dalle decisioni del Presidente Trump in termini di politica estera, Malala Yousafzai torna ancora a far parlare di sé. Con un tweet dall’account della sua associazione, Malala Found, che si occupa di assicurare alle bambine il conseguimento della scuola secondaria, chiede al Presidente Trump “di non girare le spalle ai bambini e alle famiglie

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Affranta dalle decisioni del Presidente Trump in termini di politica estera, Malala Yousafzai torna ancora a far parlare di sé. Con un tweet dall’account della sua associazione, Malala Found, che si occupa di assicurare alle bambine il conseguimento della scuola secondaria, chiede al Presidente Trump “di non girare le spalle ai bambini e alle famiglie più indifese del mondo”.
Malala Yousafzai, classe 1997, è stata definita dal Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon un simbolo di speranza. La sua storia è la storia di oltre 60 milioni di ragazze nel mondo, alle quali viene negato il diritto all’istruzione per povertà, violenza o consuetudini locali basate su discriminazioni di genere. La speranza di vedere il suo Paese, il Pakistan, riconoscere eguali diritti alle donne l’ha portata a rischiare la vita.

Figlia di un insegnante, ad undici anni iniziò a scrivere, in modo anonimo, un blog “Diary of a Pakistani school girl”, per la BBC, dove descriveva scorci della vita quotidiana di una ragazza sotto il regime dei Talebani nella sua città. Quest’ultimi avevano proibito alle donne di guardare la tv, di fare shopping o ascoltare la musica, sino ad arrivare a chiudere le scuole per ragazze.
Malala, sostenuta in primis da suo padre, non si arrese mai a tale decisione e, una volta terminato il progetto del blog, fu anche protagonista di un documentario girato dal New York Times: il suo unico scopo era denunciare ed ottenere il diritto all’educazione per le donne.
Le sue iniziative la esposero a numerose minacce, fino a quando, il 9 Ottobre del 2012, fu vittima di un attentato: fu colpita alla testa da un colpo di pistola sparato da un talebano, mentre stava tornando a casa da scuola a Mingora, nella valle di Swat. Questa vicenda mobilitò oltre due milioni di persone per la campagna sui diritti dell’educazione, che portò alla stipulazione della prima carta sull’educazione in Pakistan.

Divenuta tra le attiviste più conosciute al mondo, Malala, per motivi di sicurezza, adesso vive a Birmingham con la sua famiglia, dove continua ancora oggi la sua battaglia per l’eguaglianza. Una battaglia coraggiosa, soprattutto per la sua giovane età, che nel 2014 le ha fatto ottenere il Premio Nobel per la pace, divenendo la persona più giovane, all’età di soli diciassette anni, a ricevere tale riconoscimento.
Questa sua determinazione ha incontrato il supporto di molte persone e ha portato alla nascita del sopracitato Mala Fund, diretto dalla giovane ragazza, volto ad aiutare tutte le donne ad andare a scuola e, soprattutto, ad alzare la voce affinché i loro diritti siano rispettati.
Anche se la strada è ancora in salita, Malala è divenuta un modello per tutto il mondo, facendo rinascere la speranza che, come lei stessa ha detto in un discorso tenuto alle Nazioni Unite nel 2013, “un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”.

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RAI: 40 anni di televisione a colori http://www.360giornaleluiss.it/rai-40-anni-di-televisione-a-colori/ Fri, 03 Feb 2017 19:44:01 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8042 Martedì 1 Febbraio 1977 il presentatore Corrado Mantoni ufficilizzò l’inizio delle trasmissioni a colori, durante la sigla di apertura di Domenica In (ebbene sì, Domenica In esisteva già quartant’anni fa, più precisamente dal 3 ottobre 1976). Fu il debutto uffuciale in Italia della televisione a colori, sviluppata grazie all’idea di un inventore americano di origine ungherese,

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Martedì 1 Febbraio 1977 il presentatore Corrado Mantoni ufficilizzò l’inizio delle trasmissioni a colori, durante la sigla di apertura di Domenica In (ebbene sì, Domenica In esisteva già quartant’anni fa, più precisamente dal 3 ottobre 1976). Fu il debutto uffuciale in Italia della televisione a colori, sviluppata grazie all’idea di un inventore americano di origine ungherese, Peter Carl Goldmark, e sperimentata negli studi Cbs di New York già nel lontano 1944.

Infatti, la tv, inventata dal 1926, negli Stati Uniti iniziò a trasmettere a colori dal 1955 come in quasi tutti gli altri Paesi europei dalla fine degli anni ’60. Nel nostro Paese invece, sebbene il piccolo schermo fosse entrato nelle case degli italiani già dal 3 gennaio del 1954, l’intrododuzione delle trasmissioni a colori fu a lungo ostacolata. Quest’ultime iniziarono in via sperimentale fin dai primi anni Settanta, attraverso diversi sistemi a giorni alterni. Alla Rai, per esempio, Rosanna Vausetti condusse la prova tecnica delle Olimpiadi di Monaco del 1972, diventando il primo volto “colorato” trasmesso in Italia.

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Tuttavia, i ritardi furono dovuti soprattutto al dibattito in Parlamento su quale sistema di trasmissione adottare. C’erano i sostenitori del sistema francese Secam e quelli in favore del tedesco Pal. Inoltre, alcuni politii erano preoccupati che la tv a colori potesse minare l’allora precaria situazione economica italiana, mettendo sul lastrico le famiglie: infatti, la tv a colori, all’epoca, era molto costosa, fino a 10 volte più care rispetto ai modelli odierni.

Dopo l’annuncio di Corrado Mantoni la trasmissione a colori da quel momento non fu totale: ci sarebbero voluti altri due anni di trasmissioni tv miste prima che il colore diventasse una caratteristica scontata del nostro immancabile compagno di casa.

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Yoga: elisir di giovinezza e benessere, anche a 98 anni. http://www.360giornaleluiss.it/yoga-elisir-di-giovinezza-e-benessere-anche-a-98-anni/ Sat, 07 Jan 2017 09:48:11 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7920 “Tutto è possibile, niente è impossibile, e se ti svegli ogni mattina pensando che questo sarà il giorno più bello della tua vita, allora lo sarà”.  Queste sono le parole pronunciate da Tao Porchon-Lynch in un video realizzato da Athleta, brand di abbigliamento sportivo, pubblicato martedì 3 gennaio. La pubblicità fa parte del progetto Power

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“Tutto è possibile, niente è impossibile, e se ti svegli ogni mattina pensando che questo sarà il giorno più bello della tua vita, allora lo sarà”.  Queste sono le parole pronunciate da Tao Porchon-Lynch in un video realizzato da Athleta, brand di abbigliamento sportivo, pubblicato martedì 3 gennaio. La pubblicità fa parte del progetto Power for she, lanciato ad aprile, che si colloca tra i femvertising- come la Dove Campaign for Real Beauty– che hanno lo scopo di promuovere storie al femminile per abbattere gli stereotipi di genere e diffondere una maggiore consapevolezza delle proprie capacità nelle donne.

Infatti, la master yogi Tao, classe 1918, è stata scelta proprio per diffondere un nuovo concetto di giovinezza e benessere, dato non tanto dall’età anagrafica e dall’assenza di rughe, ma dalla cura del proprio corpo e della propria anima. Nata in India, Tao iniziò a praticare yoga per caso, nel 1926, senza farsi fermare da chi le diceva che era una disciplina prettamente maschile. Nonostante nel corso della sua vita abbia avuto una carriera disparata, tra attrice, ballerina e autrice di documentari, è diventata oggi l’insegnante di yoga più anziana del mondo. Nel 1982 ha fondato il Westchester Institute of Yoga ed ha formato e certificato centinaia di istruttori.

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Adesso, gira il mondo insieme a Terri Kennedy, insegnante di Yoga e meditazione, presente anche lei nel video: si sono conosciute durante una lezione di Yoga ed hanno capito di essere anime gemelle spirituali. Il loro scopo è quello di diffondere questa disciplina in tutto il mondo, ispirando soprattutto le donne a vivere la loro vita con positività e ottimismo. Quando viene chiesto loro come le donne potrebbero aiutarsi a vicenda a migliorare la propria vita, loro suggeriscono il potere delle affermazioni positive: infatti, troppo spesso si tende a sottovalutare le proprie capacità e a rendere evidenti le cose di cui non siamo capaci. Invece, fare complimenti genuini aumenta l’autostima, e incoraggia ad avere una maggiore consapevolezza delle cose che ci circondano, in particolare delle proprie doti e decisioni. L’energia positiva che si diffonde finisce per attirare cose belle. Come dice Tao, non importa quale sia la tua fede, di’ sempre qualcosa di bello a te stessa.

 

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Donne bianche e capelli neri http://www.360giornaleluiss.it/donne-bianche-e-capelli-neri/ Wed, 16 Nov 2016 09:38:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7568 Tutte le donne, più di una volta nella loro vita, si sono ritrovate davanti allo specchio nel tentativo di sembrare professionali, prima di presentarsi ad un colloquio o ad un incontro di lavoro. La sensazione di voler essere diverse, di voler cambiare il proprio corpo per rientrare nei canoni della bellezza sociale è una problematica

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Tutte le donne, più di una volta nella loro vita, si sono ritrovate davanti allo specchio nel tentativo di sembrare professionali, prima di presentarsi ad un colloquio o ad un incontro di lavoro. La sensazione di voler essere diverse, di voler cambiare il proprio corpo per rientrare nei canoni della bellezza sociale è una problematica molto comune al sesso femminile. Il desiderio di cambiamento diventa poi ancora più impellente se si è una donna di colore, o comunque non bianca, che vive in una società dove il modello di riferimento è quello dell’“uomo bianco”.

L'artista afroamericana Endia Beal

L’artista afroamericana Endia Beal

Le battaglie per l’inserimento dell’uguaglianza di gender e di “razza” possono essere combattute in tanti modi, dalle manifestazioni alla scrittura, dalla televisione alla fotografia. Ed è infatti proprio quest’ultimo strumento che ha permesso a Endia Beal, artista afroamaricana, di immortalare la frustrazione che il corpo di una donna di colore può provare quando ha la sensazione di essere fuori luogo nel proprio ambiente lavorativo. Questa battaglia è iniziata già tre anni fa, quando Beal ha iniziato a raccogliere gli scatti per quella che sarebbe divenuta poi una mostra fotografica dal titolo “Can I touch it?”, in riferimento alla domanda che gli uomini bianchi del suo ufficio si facevano circa i suoi capelli, con il desiderio inespresso di sapere come sarebbe stato toccarli. La sensazione di essere una creatura esotica, dunque, non l’ha portata ad isolarsi, bensì a vincere l’imbarazzo e a cercare di condividere la propria diversità come parte della normalità. Il primo passo in questa direzione è stato quello di chiedere agli uomini del suo ufficio di toccare i suoi capelli: per molti di loro era la prima volta e la sensazione più comune, confessata dopo averlo fatto, era quella di stranezza.

Tuttavia, la paura del diverso ha riguardato anche le sue colleghe bianche: cosa avrebbero provato immedesimandosi il più possibile in una donna di colore? Per questo, Beal ha chiesto ad una quarantina di donne, alcune colleghe, altre sconosciute, di essere fotografate, dopo aver fatto loro un’acconciatura che le facesse assomigliare a delle donne nere. L’obiettivo era quello di dare uno spazio corporale a queste sensazioni: esplorare il corpo femminile per capire e far capire come una donna possa sentirsi al suo interno. L’immagine che ne è venuta fuori è una sovrapposizione di lineamenti diversi, un incontro di culture. Inoltre, l’aspetto più importante non è necessariamente la discrepanza fisica che si nota nel volto tra la donna bianca fotografata e i suoi capelli, ma il richiamo a tutte le storie complicate, le assunzioni, i silenzi, le lotte, presenti su quel volto. Questa idea ha incluso i confini razziali, di gender e generazionali: infatti, le persone spesso cercano di cambiare se stesse per calzare alla perfezione in certi ambienti.

Un progetto lungimirante, che ha reso ancora oggi questa donna un simbolo nella società statunitense per una lotta contro i pregiudizi. Pregiudizi per il colore della pelle o per il sesso, che devono essere abbattuti affinché nessuna donna si senta più chiedere di cambiare nome perché inappropriato o acconciatura perché poco conforme agli standard della società in cui vive. Le donne non sono oggetti, ma coscienze con la propria storia, al di là del sessismo e della discriminazione razziale.

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Sammezzano: tra fascino e leggenda http://www.360giornaleluiss.it/sammezzano-tra-fascino-leggenda/ Mon, 24 Oct 2016 12:26:50 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7311 Il castello di Sammezzano non è solo un gioiello dell’architettura avvolto da un fascino tutto orientale, ma ha, come ogni castello che si rispetti, delle leggende che rendono la sua storia ancora più affascinante. In ogni luogo magico non può, ovviamente, mancare un tesoro nascosto. Infatti, si narra che all’interno dell’edificio vi sia un arcano

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Il castello di Sammezzano non è solo un gioiello dell’architettura avvolto da un fascino tutto orientale, ma ha, come ogni castello che si rispetti, delle leggende che rendono la sua storia ancora più affascinante.

In ogni luogo magico non può, ovviamente, mancare un tesoro nascosto. Infatti, si narra che all’interno dell’edificio vi sia un arcano tesoro che aspetta ancora di essere trovato. Le scritte sopra le due entrate opposte del corridoio bianco, un tempo chiamato Galleria dei Vasi, sembrano essere state fatte per confermare questa teoria: da una parte la parola nodum, dall’altra l’imperativo solve, che invitano quindi il visitatore a scogliere il nodo, ovvero il segreto, l’enigma nascosto tra le mura dell’edificio.

 

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C’è chi dice, poi, che il fantasma del Marchese si aggiri per il castello durante la notte, provocando strani rumori e sbattimenti di porte, senza essere però mai ostile verso i presenti, tanto da essere stato ribattezzato dall’allora portiere con il nomignolo di Fantasma Tiberio.

Infine, vi è quella che gli abitanti locali hanno chiamato la “maledizione dei Leoni Piangenti”. Il marchese venne colpito da una misteriosa malattia, una specie di paralisi progressiva. Nonostante i numerosi tentativi per salvargli la vita, che richiesero anche l’aiuto di maghi e stregoni, Ferdinando Panciatichi Ximenes morì e le sue spoglie furono poste in una cripta sotto al castello. A guardia del suo corpo furono posti due leoni in pietra che, invece dell’espressione seria e maestosa tipica dei ritratti felini, avevano un’aria triste e malinconica. Per di più, una strega fece una maledizione sui leoni: chiunque avesse profanato le statue, disturbando il riposo eterno del marchese, sarebbe morto a causa della stessa malattia di Ferdinando. E sembra proprio che, nel 2005, questo anatema sia accaduto ai due ladri che hanno rubato uno di questi leoni, nonché ad un mercante d’arte in Umbria e ad una ricca signora lombarda che sono stati proprietari, seppur per breve tempo, del “Leone Triste”.

Leggende e mistero, dunque, che aumentano il fascino di questo castello situato a meno di cento chilometri da Firenze, ancora troppo poco conosciuto ma che necessita sempre più di essere restaurato. Tra le varie iniziative portate avanti per la tutela di questo luogo, c’è anche la partecipazione al concorso “FAI – I Luoghi del Cuore”, con lo scopo di ricevere fondi che potrebbero, in parte, salvare l’opera dallo stato di degrado in cui versa.

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Quanto corrono le lancette dell’orologio biologico? http://www.360giornaleluiss.it/quanto-corrono-lancette-dellorologio-biologico/ Wed, 12 Oct 2016 08:03:16 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7199 Le recenti polemiche sulla campagna del Fertility Day hanno riportato alla luce il problema della fertilità femminile, come se il corpo di una donna fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro, e come se ogni rapporto che non funziona dovesse farci sentire in colpa per non aver trovato ancora il

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Le recenti polemiche sulla campagna del Fertility Day hanno riportato alla luce il problema della fertilità femminile, come se il corpo di una donna fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro, e come se ogni rapporto che non funziona dovesse farci sentire in colpa per non aver trovato ancora il partner ideale, pronto ad aiutarci a mettere su famiglia, perché la nostra data di scadenza è sempre più vicina.

Ma l’orologio biologico esiste davvero? Questo termine è stato introdotto dagli scienziati a metà del ‘900 per indicare i ritmi circadiani, ovvero i processi che dicono al nostro corpo quando dovrebbe dormire, svegliarsi e mangiare. Tuttavia, è entrato ben presto a far parte di una storia di scienza, ma anche di sessismo: infatti, è il classico esempio di come una metafora generica per il corpo umano sia stata trasformata in una verità assoluta, esclusivamente però per il corpo femminile. In un periodo di grandi cambiamenti sociali, dove le donne si apprestavano ad entrare nel mondo del lavoro e a vedere i loro diritti riconosciuti, gli stereotipi sulle differenze di genere venivano rafforzati. “Per la donna in carriera le lancette dell’orologio corrono” scriveva Roger Cohen sul Washington Post del 16 marzo del 1976. In men che non si dica, questa espressione sarebbe stata usata per indicare una “naturale” debolezza del corpo femminile, che avrebbe costretto ogni donna in carriera a dover pianificare meticolosamente la sua vita amorosa, se spinta dal desiderio di avere prima o poi una famiglia, mentre l’uomo, libero dall’ossessione dello scorrere del tempo, sarebbe potuto rimanere uno scapolo senza età. Il tutto accompagnato dalla rassegnazione, per chi scegliesse di diventare madre, di rimanere inevitabilmente indietro nella carriera lavorativa, qualora vi fosse stato un uomo con cui competere a livello professionale.

Non sono mancate, poi, statistiche fuorvianti: i dati usati per indicare la diminuzione della fertilità femminile spesso si sono basati solo su studi condotti su pazienti che si sono rivolte ad un medico perché non in grado di avere figli. Altri farebbero affidamento a dati vecchi centinaia di anni: si dice quindi alle donne quando avere figli su studi effettuati quando non c’erano gli antibiotici, la luce e la procreazione assistita rimaneva un lontano miraggio.

Ovviamente, non si può negare che la fertilità diminuisca con l’età, ma non vuol dire che si diventi sterili, e soprattutto che il problema riguardi solo ed esclusivamente le donne. In un mondo dove vi sono Paesi, come gli U.S.A e il Regno Unito, con più della metà della forza lavoro composta da donne, non sarebbe forse più utile abbandonare l’idea di dover fermare il tempo e iniziare a favorire politiche di sostegno alla maternità per aiutare i problemi che ogni famiglia è costretta ad affrontare quando entrambi i genitori sono inseriti nel mondo del lavoro?

L’idea dell’orologio biologico è servita da sempre per far sembrare naturale che il peso della riproduzione ricada inevitabilmente sulle donne. Il messaggio che passa è: se una donna non programma bene la sua vita, rischia (e merita) di rimanere sola e disperata. Questo influisce negativamente sul rapporto uomini-donne, carica di eccessiva responsabilità il sesso femminile e soprattutto distoglie dal riconoscere semplicemente che sì, il corpo delle donne invecchia, ma anche quello degli uomini, e sì, ogni Paese civile dovrebbe garantire delle politiche sociali che possano permettere ad ogni essere umano di avere, se lo desidera, la propria intimità e la propria famiglia con il dovuto rispetto.

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