Italia – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Italia – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Liberi ed eguali, senza distinzioni (o quasi) http://www.360giornaleluiss.it/liberi-ed-eguali-senza-distinzioni/ Thu, 15 Feb 2018 11:32:48 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9189 La nostra carta costituzionale, all’art.3, sancisce uno dei principi cardine non solo di ogni testo normativo del nostro paese, ma anche della Costituzione stessa: il principio dell’eguaglianza. Per questo ideale – sembra banale dirlo – la gente ha combattuto ed è morta. Per appiattire tutte le classi sociali, per uniformare tutti i cittadini davanti alla

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La nostra carta costituzionale, all’art.3, sancisce uno dei principi cardine non solo di ogni testo normativo del nostro paese, ma anche della Costituzione stessa: il principio dell’eguaglianza. Per questo ideale – sembra banale dirlo – la gente ha combattuto ed è morta. Per appiattire tutte le classi sociali, per uniformare tutti i cittadini davanti alla legge e nei rapporti far di loro, fu necessario un cambiamento epocale, quello della Rivoluzione francese. Dopo questa tappa fondamentale per la storia dell’uomo, del cittadino e della persona umana, per la prima volta vennero eliminate quelle barriere che dividevano una classe dall’altra. Il termine egualitè veniva pronunciato non più per rivendicazione, ma quasi sbandierato come la più straordinaria e impensabile delle vittorie.

 

Nel 1946-47, la nostra assemblea costituente, composta da uomini di cultura prima piuttosto che da politici, nello stilare una lista di dodici principi fondamentali, non poteva non fare i conti con questo. Infatti, così recita l’art.3.1: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizioni personali e sociali”.

E’ più di un semplice articolo. E’ più di una semplice accozzaglia di parole separate da una virgola. E’ un imperativo: questo non vuol dire che vieti qualcosa o proibisca qualcos’altro. Questo garantisce e promette che situazioni diverse siano regolate in modo diverso e che situazioni uguali, debbano essere trattate in modo uguale. Non bisogna discriminare o fare distinzioni per quanto riguarda alcune caratteristiche: l’esperienza fascista ha insegnato – in modo tutt’altro che semplice – che chi la pensava diversamente dal partito unico, doveva essere mandato al confino. La nostra costituzione non è altro che una negazione di tutto ciò che è stato, il divieto di tornare indietro non solo nei fatti, nelle azioni, nelle parole, ma anche nei pensieri. Che quell’ideologia possa sparire dalla mente del cittadino italiano.

 

Ha scosso la mia coscienza, l’essere venuto a conoscenza, pochi giorni fa, che lo stesso Gabriele D’Annunzio, uno dei precursori dell’ideologia fascista ( nonché idolo del “duce” ) nella sua breve  – e a mio avviso irrazionale – “reggenza del Carnaro”, abbia inserito nella carta costituzionale, redatta da Cesare De Ambris nel 1920, un articolo che non esiterei a definire “precursore” del nostro art.3. In particolare, al comma 2, recita: “Essa conferma, perciò, la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, razza, lingua, classe e religione”. Fa molto riflettere che un uomo di destra come lui, fosse tutto meno che razzista.

 

L’episodio di Macerata di qualche giorno fa, si ricollega facilmente a questo. Luca Traini ha sparato – ferendoli – su sei africani nel centro storico di Macerata. Il motivo che lo ha spinto a fare ciò, è di matrice razzista e discriminatoria, in particolare dopo l’omicidio della 18enne Pamela Mastropietro (probabilmente per mano di due nigeriani). In casa dell’attentatore, sono stati ritrovati cimeli fascisti, manifesti, bandiere e il “Mein kampf”, il che ci porta a pensare che si tratti di un militante neofascista, oltre che apertamente leghista. La città di Macerata ha risposto negli ultimi giorni con numerosi cortei contro il gesto, anche se fa molto riflettere specialmente sotto elezioni. Quel principio sopra enunciato, è ancora valido oggi? Siamo davvero tutti eguali, senza distinzioni, pregiudizi e discriminazioni di alcun tipo? George Orwell avrebbe risposto “Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni sono più eguali di altri” (La Fattoria Degli Animali, 1945).

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Il Ponte del diavolo http://www.360giornaleluiss.it/ponte-del-diavolo/ Fri, 26 Jan 2018 17:41:00 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9152 Per prima cosa vorrei ringraziare la mia amica e compagna di collegio Sofia, per aver condiviso con me questa curiosa leggenda tipica della sua regione, la Toscana. Grazie non-coinquilina! La leggenda toscana che tratteremo, tuttavia, non riguarda nessuna Sofia, ma è la storia del “Ponte del diavolo”. Molti anni orsono, i cittadini di Borgo a

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Per prima cosa vorrei ringraziare la mia amica e compagna di collegio Sofia, per aver condiviso con me questa curiosa leggenda tipica della sua regione, la Toscana.

Grazie non-coinquilina!

La leggenda toscana che tratteremo, tuttavia, non riguarda nessuna Sofia, ma è la storia del “Ponte del diavolo”.

Molti anni orsono, i cittadini di Borgo a Mozzano, in provincia di Lucca, affidarono ad uno dei migliori capomastri la costruzione di un ponte che permettesse loro di attraversare il fiume Serchio.

Stabilita la data di consegna, il capomastro si mise subito all’opera, nella speranza di finire il prima possibile. Passarono numerosi giorni, eppure i lavori non procedevano. L’uomo lavorava ininterrottamente, giorno e notte, senza mai riposarsi, senza perdere mai le speranze, mentre il giorno della consegna si faceva sempre più vicino.

Alla vigilia della consegna, quando ormai mancavano poche ore, egli si vide davanti un distinto uomo d’affari. Quest’uomo gli propose un patto che il capomastro non poté rifiutare: egli avrebbe terminato il ponte in tempo per il mattino seguente in cambio dell’anima di colui che lo avesse attraversato per primo.

Il mattino seguente tutto il popolo si recò presso il Serchio ed ammirò il ponte ormai ultimato. Il capomastro, che aveva ben compreso la natura soprannaturale dell’uomo d’affari, avvertì tutti di non attraversare il ponte fino al giorno successivo e si recò dal Vescovo in cerca di consiglio.

Quando al tramonto egli fu di ritorno, il diavolo si mise in attesa e, non appena udì dei passi sul ponte, rubò l’anima di colui che lo stava attraversando. L’essere però si rese subito conto di essere stato ingannato, perché l’anima non era del capomastro, ma di un maiale e, pieno di rabbia, si lanciò nel fiume e scomparve.

Negli ultimi anni il ponte è stato protagonista di diversi dibattiti sulla possibilità di un eventuale restauro. Numerosi sono i pareri contrastanti, anche se gli abitanti del luogo preferirebbero mantenere le caratteristiche gobbe di diversa grandezza del ponte, sotto il quale scorre il fiume.

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La Sirena di Napoli http://www.360giornaleluiss.it/la-sirena-napoli/ Sat, 23 Dec 2017 09:15:02 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9115 “In fondo al mar, in fondo al mar…” Tutti gli appassionati Disney e non, ricordano questa canzone del famosissimo classico “La Sirenetta”, ovvero Ariel, la fantastica sirena che fece un patto con la strega del mare per poter raggiungere l’amato principe Eric. Le sirene sono figure mitologiche molto antiche, di origine greca, il cui nome

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“In fondo al mar, in fondo al mar…”

Tutti gli appassionati Disney e non, ricordano questa canzone del famosissimo classico “La Sirenetta”, ovvero Ariel, la fantastica sirena che fece un patto con la strega del mare per poter raggiungere l’amato principe Eric.

Le sirene sono figure mitologiche molto antiche, di origine greca, il cui nome significa “coloro che intrappolano con il canto”. E su questo il vecchio caro Walt ci aveva azzeccato, donando ad Ariel una voce stupenda.

Eppure la mitologia e i numerosi scritti che riguardano queste, riportano differenti versioni di questa figura: dalla più classica metà donna metà pesce a uomini barbuti con mammelle o metà donne e metà uccelli, con artigli lunghi come Arpie. Le sirene però non utilizzavano la loro voce per incantare qualche principe, bensì i marinai che, stregati, si gettavano in mare o dirottavano la nave verso gli scogli.

L'origine della città partenopea

Una delle prime comparse della sirena, la abbiamo nel capolavoro omerico dell’Odissea come abitanti delle acque fra Scilla e Cariddi, che avevano provocato la morte di milioni di marinai. Il loro potere malefico sarebbe però svanito costringendole al suicidio solo se un uomo fosse stato in grado di respingerle.

Il giovane Ulisse era stato avvertito dalla maga Circe della loro presenza, ma non volle rinunciare ad udire il fantastico canto di queste creature. Avvisò i suoi compagni di usare dei tappi di cera per evitare di essere stregati dal loro canto e, lui escluso, si fece legare all’albero maestro della nave, riuscendo quindi a proseguire il suo viaggio.

Respinte con tanto ingegno, le sirene si lasciarono morire trasportate dalle correnti. Partenope, figlia del dio-fiume Acheloo e della musa Melpomene e particolarmente nota per la sua voce, arrivò fino agli scogli di Megaride, dove alcuni pescatori ne trovarono il corpo.

Le vennero assegnate numerose onorificenze, infatti il piccolo villaggio prese il suo nome divenendo poi la splendida città di Napoli, nota anche come la “città partenopea”.

Oltre al nome, Napoli le rende onore grazie alla bellissima “statua della sirena” situata in zona di Mergellina.

L'origine della città partenopea

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Bentornata Serie A! http://www.360giornaleluiss.it/bentornata-serie-a/ Fri, 29 Sep 2017 09:53:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8889 Finalmente possiamo dirlo: bentornata Serie A! D’altronde, per tutti gli appassionati il calcio non finisce mai: dalla fine dei campionati nasce l’attesa per le preparazioni atletiche, le amichevoli estive, il “calcio d’agosto” che non esprime mai il reale valore delle squadre, per poi arrivare alla prima giornata di campionato ed iniziare di nuovo a pregustare

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Finalmente possiamo dirlo: bentornata Serie A! D’altronde, per tutti gli appassionati il calcio non finisce mai: dalla fine dei campionati nasce l’attesa per le preparazioni atletiche, le amichevoli estive, il “calcio d’agosto” che non esprime mai il reale valore delle squadre, per poi arrivare alla prima giornata di campionato ed iniziare di nuovo a pregustare quell’aria particolare. Particolare perché una domenica senza calcio “è come un cielo senza stelle”, si vive il prepartita sin dal mattino per poi urlare a squarciagola durante i novanta minuti affinché la squadra del cuore possa vincere.

Ebbene, arrivati alla 6a giornata di campionato della Serie A, è già possibile analizzare la piega che il torneo sta prendendo in queste primissime partite. Partiamo dalle cosiddette “big”: con ormai la certezza di una Juventus sempre più forte e padrona (forse) del campionato, le altre squadre non sono mancate all’appello; la Roma, dopo una vittoria tutt’altro che convincente a Bergamo contro l’Atalanta e la sconfitta immeritata all’Olimpico contro l’Inter alla seconda giornata, si è ripresa, specialmente nelle ultime due partite, mostrando buon gioco e unità d’intenti nel perseguire il risultato, ma l’allenatore Di Francesco sa che la sua squadra ha ancora ampi margini di miglioramento.

La squadra che quest’anno, seguendo uno scenario prefiguratosi già verso la fine della scorsa stagione, sembra dover interpretare il ruolo da vera “antagonista” nella corsa allo “Scudetto” con la Juve è il Napoli: con 22 gol fatti e 5 gol subiti, la squadra di Maurizio Sarri è indubbiamente la più in forma del campionato. Da sottolineare in particolar modo la vittoria alla Quinta giornata all’Olimpico per 4-1 contro la Lazio, seppure abbia corso qualche brivido nell’ultimo turno a Ferrara contro la SPAL, vincendo la partita al minuto 83 grazie al gol di Faouzi Ghoulam.

Merita una menzione particolare anche la squadra di Simone Inzaghi: dopo un campionato sorprendente come quello dell’anno scorso, molti hanno espresso degli scetticismi riguardo alla continuità delle prestazioni dei biancocelesti; con la SPAL alla prima giornata (una partita a reti inviolate) e nella debacle col Napoli in casa, i cosiddetti “acquilotti” sono riusciti a mostrare un buon gioco, e in particolar modo a Milano contro il Milan, portando Ciro Immobile a due gol di distanza dal Capocannoniere del campionato, Paulo Dybala (a quota 10 gol).

Dopo aver menzionato il bomber della Serie A, non può mancare una breve analisi sulla Juve: breve, poiché i bianconeri hanno ripreso da dove avevano lasciato, macinando punti e mettendo in risalto soprattutto un Dybala in grandissima forma che, con la nuova numero 10 sulle spalle, piuttosto che soffrire della pressione sta sfornando prestazioni eclatanti tra cui due triplette messe a segno in appena 6 giornate di campionato.

Un’analisi particolare è da fare su due squadre che stanno cercando di riottenere quello “status quo” di grandi e temibili squadre della massima serie e che sono finite in un limbo dal quale sembra difficile uscire: Inter e Milan. Partendo dai Rossoneri, dopo un precampionato vissuto con un mercato scoppiettante, con acquisti messi a segno come Hakan Çalhanoglu, André Silva, Federico Musacchio, Ricardo Rodrìguez e su tutti Leonardo Bonucci dalla Juventus (il più clamoroso), la compagine di Vincenzo Montella non ha tuttavia dimostrato di essere ancora squadra; dopo la vittoria di Crotone, qualcosa sembra non aver funzionato tra i suoi giocatori: grave è stata la sconfitta contro la Lazio in casa ed ancor più grave, seppur con una vittoria nel mezzo, è stata la sconfitta contro una Sampdoria che sta sorprendendo sotto la guida di Giampaolo (già l’anno scorso aveva mostrato ottimi segnali) e che ha ridimensionato sia il gruppo tecnico del Milan sia il gruppo manageriale, con una forte presa di posizione da parte del nuovo AD Marco Fassone. Molte incertezze ruotano attorno ad una delle squadre più gloriose d’Italia, soprattutto per quanto riguarda il mercato fatto, poiché molti ritengono sia stata una campagna mirata a prendere tanti nomi, senza avere la consapevolezza di dover poi costruire un gruppo che si conosca e che sappia giocare: unica nota positiva il giovane Patrick Cutrone che sta sorprendendo gli addetti ai lavori e gli appassionati (decisivo giovedì per agguantare la vittoria al ’94 contro un modestissimo Rijeka).

Per quanto riguarda l’Inter, la situazione è completamente diversa: dopo l’ennesimo cambio alla guida tecnica, con l’arrivo di Luciano Spalletti dalla Roma, dopo le promesse di un mercato altisonante ma che in realtà è stato improntato nuovamente su delle spese controllate, i Nerazzurri sembrano essere partiti piuttosto bene rispetto ai cugini; le prime due vittorie, rispettivamente contro Fiorentina e Roma, sono state una ventata di aria fresca, soprattutto per i tifosi, depressi dopo anni di sofferenze e rinvigoriti con l’arrivo di uno dei migliori tecnici sul palcoscenico italiano; unica pecca di queste prime 6 giornate è il pareggio a Bologna. Nonostante la squadra di Spalletti sia la miglior difesa del campionato (e non è poco visti gli scarsi risultati degli ultimi anni), vige ancora un problema di non poco conto: i Nerazzurri hanno acciuffato i 3 punti con prestazioni appena sufficienti, senza esprimere buone trame di gioco e segnando negli ultimi 30-20 minuti delle partite.

Tuttavia, vi è un problema ricorrente che è visibile già in questo inizio di campionato: le cosiddette “neopromosse”. Guardando la classifica di Serie A, si può evincere come il Benevento e l’Hellas Verona stiano faticando e non poco ad entrare nel ritmo del massimo campionato, a differenza della SPAL, la quale sta mostrando grandi capacità e voglia di lottare per guadagnarsi la salvezza.

Soprattutto “le Streghe” mostrano evidenti lacune in fase difensiva, subendo imbarcate clamorose come quella a Napoli, e i dati parlano di solo un gol segnato (da Amato Ciciretti, trequartista scuola Roma) e ben sedici subiti.

Ovviamente, bisogna analizzare i dati e domandarsi come sia possibile che, in Serie A, il massimo campionato italiano, ci siano squadre che, in un qualche modo, abbassano sensibilmente il livello della competizione: sia chiaro, non è un’accusa né al Benevento né all’Hellas, ma una riflessione sulle capacità economiche esigue delle squadre di Serie B e di alcune compagini della stessa Serie A, che non permettono loro di poter fare acquisti di livello. Sarebbe ottimo se venissero concesse maggiori possibilità ai giocatori provenienti dalle giovanili, anche dei grandi club, di modo che possano guadagnare esperienza e garantire quell’adeguato ricambio generazionale che, purtroppo, la Nazionale di calcio non sta avendo dai tempi del Mondiale vinto in Germania nel 2006.

Discorsi, analisi, sogni di gloria, capocannonieri e sorprese; in ogni caso, possiamo finalmente dire: bentornata, Serie A!

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La “Signura Leta” http://www.360giornaleluiss.it/la-signura-leta/ Fri, 15 Sep 2017 07:06:14 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8800 Salve a tutti! Io sono Silvia e vi guiderò in questo viaggio. Ogni mese ci avventureremo fra le diverse regioni d’Italia per scoprire le storie popolari che ognuna di queste cela fra le proprie vie e borghi. I luoghi o monumenti che verranno trattati potrebbero essere sconosciuti a molti o, viceversa, mete famose che presentano diversi

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Salve a tutti! Io sono Silvia e vi guiderò in questo viaggio.

Ogni mese ci avventureremo fra le diverse regioni d’Italia per scoprire le storie popolari che ognuna di queste cela fra le proprie vie e borghi. I luoghi o monumenti che verranno trattati potrebbero essere sconosciuti a molti o, viceversa, mete famose che presentano diversi lati accattivanti che potrebbero incuriosire il lettore spingendolo a visitare di persona i posti descritti.

La prima leggenda che vi voglio raccontare è ambientata nella città da cui provengo, Mesagne, e incornicia le numerose tradizioni e la storia antica che caratterizza questo luogo e la regione Puglia: la “Signura Leta”.
Città antichissima, Mesagne prende il nome sia da uno dei popoli che vi si insediò nel XII secolo a.C., i Messapi, che dalla posizione geografica, in quanto terra di mezzo tra Brindisi e Oria.
Inizialmente la città era composta esclusivamente dall’attuale centro storico, particolare per la forma a cuore, che era protetto da due grandi porte. Con i secoli le porte divennero un simbolo dell’antica popolazione che si estese sempre più, fino a creare la città che è adesso.
Mesagne è ricca di chiese maestose in stile barocco e romanico, con un imponente castello e un museo che mostra i reperti archeologici trovati negli scavi a cielo aperto del centro storico.

Tra le numerose leggende tramandateci dai nostri nonni, quella della “Signura Leta” è sempre stata quella più gettonata e diffusa tra grandi e piccini, tanto che è stata il punto di partenza del film “Bianco Scarlatto” del 2004.

La leggenda narra di una giovane donna proveniente da una famiglia benestante che a breve avrebbe preso marito. La giovane si era follemente innamorata di un ragazzo di paese, dalle umili origini, che intendeva proseguire la professione del padre come ciabattino. A causa di questa differenza di ceto, però, il padre e i fratelli della ragazza decisero di ostacolare il matrimonio.
Alla vigilia delle nozze, i fratelli della sposa uccisero il ragazzo e si presentarono dalla sorella per fare lo stesso, sicuri che questo gesto avrebbe riportato l’onore che la loro famiglia aveva perso a causa di lei. La ragazza capì subito le loro intenzioni e cercò di scappare ma, nella fretta, perse una scarpa davanti alla casa in cui si nascose. Una volta entrata, si guardò intorno e alla vista del camino spento, andò subito a nascondersi dentro, coprendosi con la legna.
A raccogliere la scarpetta però non ci fu nessun principe. Furono i fratelli a trovarla, e subito dopo trovarono la ragazza, appiccando il fuoco nel camino che le aveva fatto prima da nascondiglio, poi da tomba.

La leggenda narra che lo spirito della ragazza, come un fantasma vestito da sposa, si aggiri per le campagne circostanti la sua casa, Villa Leta.
Questo luogo è stato testimone di numerose apparizioni del fantasma che, invece di impaurire gli abitanti del posto, li ha affascinati portandolo così a divenire la sede di un ristorante che prende il nome dalla leggenda.

Silvia Vinci

Si invitano i gentili lettori a condividere con me qualsiasi tipo di leggenda o racconto che portate nel cuore e vorreste far conoscere. Sarò più che felice di collaborare con voi.

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Globalismo e sovranità: quali sono le opzioni politiche per l’Italia del futuro? http://www.360giornaleluiss.it/globalismo-sovranita-quali-le-opzioni-politiche-litalia-del-futuro/ Wed, 10 May 2017 11:27:18 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8633 Globalità, globalizzazione, liquidità. Sono queste le categorie che tratteggiano le moderne collettività e che rappresentano ciascuno di noi, se vogliamo, anche da vicinissimo, nelle singole società cui siamo chiamati a partecipare. C’è stato perfino chi, come il giornalista Marcello Veneziani, ha definito il sistema globalitario una ‘fusione tra liberismo economico e visione del mondo politicamente

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Globalità, globalizzazione, liquidità. Sono queste le categorie che tratteggiano le moderne collettività e che rappresentano ciascuno di noi, se vogliamo, anche da vicinissimo, nelle singole società cui siamo chiamati a partecipare. C’è stato perfino chi, come il giornalista Marcello Veneziani, ha definito il sistema globalitario una ‘fusione tra liberismo economico e visione del mondo politicamente corretta’. E forse forse, non ha tutti i torti. 

La sua diagnosi politica si incentra sulla considerazione che l’unico elemento di novità negli ultimi vent’anni è l’apparizione del tanto noto, e ormai anche un bel po’ mainstream, ‘populismo’. Con questo termine, con cui si sottende il richiamo quasi emotivo ad una sovranità identitaria, economica, in un certo senso anche culturale, si indicano movimenti anche diversi in tutto l’Occidente, che però hanno in comune il fatto di essere una risposta, seppur con alcuni risvolti dalle sfumature negative, al fenomeno della globalizzazione. Quest’ultima è stata, da una parte, la conseguenza della crescita del capitalismo e della teconologia, e dall’altra si configura soprattutto come una cultura che costituisce il supporto di tale fenomeno tecnico – economico. Una cultura che potremmo definire, con un neologismo, ‘globalitaria’.

Veneziani però parla di ‘globalitarismo’ per l’assonanza che tale termine ha con ‘totalitarismo’. Si tratta di una cultura di derivazione radical – progressista e che si esprime oggi nel canone del politicamente corretto. Il liberismo economico attuale ha sposato infatti una cultura di provenienza progressista che si applica alla famiglia, alla società, una ‘cultura – se vogliamo azzardare un’espressione tutto sommato calzante – dello sconfinamento’: non esistono più confini fra popoli, territori, sessi. Tutto è oggetto, in questa visione, di un mutamento perenne. E proprio questo sistema globalitario ha prodotto una reazione da parte dei popoli; molto velocemente si è perso il senso del limite, della natura, così come la necessità di fare riferimento a un contesto comunitario (la città, la patria, la civiltà europea). Tutto ciò è stato negli ultimi anni completamente destrutturato da una visione globalitaria ed allo stesso tempo individualista. Ogni individuo, sentendosi libero di riconoscersi nella categoria che più gli aggrada, perde il senso di appartenenza a quella originaria.

Il populismo non può dunque essere ridotto ad una sempliciotta rivolta del popolo contro le élites, e rappresenta, in senso più pertinente, una messa in discussione di questo modello culturale dominante.

La sovranità d’altro canto, e in tale contesto, è divenuta un elemento di battaglia politica: tutto ciò che si considerava quasi come un elemento residuale del passato, è divenuto al contrario il motore trainante di questa reazione. L’establishment vede questo fenomeno soltanto attraverso la chiave dell’allarmismo, della paura o dell’imbarbarimento: anche a livello informativo, si sostiene che il populismo è alimentato dalle cosiddette ‘post – verità’, o fake news, che dir si voglia, ossia dalle dicerie elevate a notizia attraverso l’uso della rete. Se tuttavia è fuor di dubbio che Internet si caratterizza spesso per volgarità e pressapochismo, secondo Veneziani è importante evidenziare un fatto fondamentale: queste ‘post – verità’ nascono come reazione a precise ‘pre – falsità’, e cioè alle falsità pregiudiziali e quasi programmatiche costruite dalla grande fucina del consenso mediatico che, attraverso il codice ideologico del politicamente corretto, impone un canone su ciò che si può e che non si può dire.

Su quali fronti può crescere l’idea di sovranità? Sostanzialmente se ne ravvisano quattro. Innanzitutto quello strettamente politico: tra l’assetto contabile degli Stati e la vita reale dei popoli, il populismo propende per la seconda e individua nella sovranità nazionale la cifra da cui ripartire. Il secondo elemento è il senso del confine, visto non soltanto come ‘muro’ (come vorrebbe il politicamente corretto) bensì come linea di frontiera dove è perfino possibile l’incontro con l’altro. Il confine, in questo senso, è la garanzia dell’identità dei popoli ed il necessario accompagnamento della sovranità politica. Il terzo elemento è la protezione degli interessi economici locali e nazionali, che non vuol dire protezionismo in quel suo senso ormai desueto, quanto più fisiologica necessità di difendere un sistema produttivo attraverso il rimpatrio di capitali e risorse umane e, quando occorre, attraverso una limitazione di un atteggiamento invasivo di altri soggetti. Il quarto elemento insito nella domanda politica del populismo è la ripresa del tema della famiglia, che accomuna quasi tutti i movimenti. Si tratta, anche qui, di un ritorno alla realtà: la convenzione non è una convenzione cristiano – borghese, bensì, solidamente e schiettamente, l’architrave naturale su cui si è fondata nella storia ogni società ed ogni civiltà.

Andando oltre però quella che può sembrare una fredda elencazione di punti, o un vademecum, quasi, da seguire per vivere bene in società, occorrerebbe davvero formare una nuova classe dirigente improntata allo spirito di servizio, soprattutto come banco di prova dei movimenti populisti che al momento rimangono troppo ancorati ad una dimensione di critica e di raccolta delle istanze sociali.

Ieri si festeggiava l’Europa Day, una giornata che avrebbe dovuto rappresentare l’Unione dei popoli liberi e finalmente eguali e di cui la dichiarazione Schumann, pronunciata all’indomani della seconda guerra mondiale e di cui ieri celebravamo l’anniversario, ben rappresenterebbe la missione dell’Unione Europea: ‘Una testimonianza di grande coraggio politico e una lezione che a distanza di 67 anni, mantiene intatta la sua forza visionaria’, così nelle parole di Aldo Patriciello, europarlamentare molisano e membro del Gruppo Ppe al Parlamento Europeo.
Ed intanto il misterioso artista di strada Bansky dipinge un operaio che rimuove una stella dalla bandiera Ue: la Brexit pochi mesi or sono dalle elezioni presidenziali francesi, dove la vittoria è stata segnata dalla svolta europeista di Emmanuel Macron.

Qual è, allora, il vero simbolo del nostro tempo?


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MORS TUA VITA MEA http://www.360giornaleluiss.it/mors-tua-vita-mea/ Tue, 14 Mar 2017 07:51:47 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8279 Erano circa le tre e trenta quando il gruppo di rapinatori ha fatto irruzione nell’osteria-tabaccheria del sig. Mario Cattaneo. L’imprenditore non ci ha pensato due volte; ha immediatamente preso il fucile da caccia, legalmente custodito, e ha sparato. Uno dei ladri viene colpito alla schiena e muore dissanguato a pochi metri dal locale durante la fuga.

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Erano circa le tre e trenta quando il gruppo di rapinatori ha fatto irruzione nell’osteria-tabaccheria del sig. Mario Cattaneo. L’imprenditore non ci ha pensato due volte; ha immediatamente preso il fucile da caccia, legalmente custodito, e ha sparato. Uno dei ladri viene colpito alla schiena e muore dissanguato a pochi metri dal locale durante la fuga. Ascoltato dai carabinieri, il proprietario ha subito affermato che non voleva uccidere e che il colpo fatale è stato sparato per errore. Infatti, secondo la ricostruzione di quest’ultimo, ci sarebbe stata una colluttazione con i ladri e in particolare con uno di questi che, tentando di strappare l’arma all’uomo, avrebbe impugnato e strattonato la canna del fucile, facendo scattare così il grilletto.

Tuttavia sono emerse da subito delle incongruenze tra il racconto del titolare e quello di un testimone, un vicino di 76 anni, che quella notte ha visto e sentito tutto. Si ricorda infatti nettamente del forte rumore della saracinesca e, soprattutto,  della moglie e del figlio di Cattaneo che urlavano disperatamente “Perché hai caricato il fucile?!!“. Dopo queste dichiarazioni l’imprenditore di Casaletto Lodigiano è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio volontario.

Subito sono scoppiate le polemiche ed esponenti politici di destra hanno chiesto un’immediata revisione della legge sulla legittima difesa. Ma come funzione in Italia? Quando e come possiamo realmente difenderci? A spiegarlo è stata l’avvocato Giulia Bongiorno che, ospite della trasmissione Bianco e nero di Luca Telese, ha illustrato brevemente i casi in cui è lecito uccidere. Se, ad esempio, un malintenzionato entra armato di notte, lo posso sparare solo se prima ho tentato di neutralizzarlo in un modo meno offensivo. Ma, se un malintenzionato entra di notte ed è disarmato, allora io non posso in alcun modo sparare in quanto verrei accusato di leziosi gravi o, nel peggiore dei casi, di omicidio colposo. L’ultima situazione illustrata dalla penalista è quella che attualmente riguarda il sig. Cattaneo. Infatti se un malintenzionato, disarmato, entra in casa mia e gli sparo, anche accidentalmente, alla schiena uccidendolo, allora divento colpevole di omicidio volontario ( pena minima: 21 anni).

L’amministrazione comunale di Casaletto Lodigiano si è stretta alla famiglia Cattaneo e ha subito sostenuto l’innocenza e la buona volontà del suo concittadino, festeggiando la riapertura del locale in allegria. Ma, in ogni caso, nel torto o nella ragione, un giovane è morto per un paio di stecche di sigarette.

Mors mea vita tua mors tua vita mea?

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L’ITALIA CHE VIOLA I DIRITTI UMANI, NUOVA CONDANNA DA STRASBURGO http://www.360giornaleluiss.it/litalia-viola-diritti-umani-nuova-condanna-strasburgo/ Fri, 03 Mar 2017 07:54:02 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8220 Per i giudici di Strasburgo della Corte Europea dei diritti umani, il nostro Paese ha violato più di una norma della Convenzione Europea CEDU, nella gestione dei tempi di intervento e sostegno ad una vittima di reiterati maltrattamenti, tutti subiti in ambito familiare. La concreta gestione della vicenda da parte delle autorità di polizia avrebbe

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Per i giudici di Strasburgo della Corte Europea dei diritti umani, il nostro Paese ha violato più di una norma della Convenzione Europea CEDU, nella gestione dei tempi di intervento e sostegno ad una vittima di reiterati maltrattamenti, tutti subiti in ambito familiare.

La concreta gestione della vicenda da parte delle autorità di polizia avrebbe permesso l’aggravarsi dello stato di abuso in cui già versava la vittima-denunciante.

La vicenda, sfociata nell’omicidio di un minore e nelle lesioni gravissime alla madre di questi, ha visto in particolare l’Italia violare contemporaneamente gli artt. 2, sul diritto alla vita, 3 sul divieto di trattamenti inumani e degradanti e 14, sul divieto di discriminazione, della Convezione Europea.

La sentenza diverrà definitiva tra 3 mesi se non impugnata dalle parti, mentre si dovrà ancora attendere per il deposito delle motivazioni.

Il dictum di Strasburgo condanna l’Italia ad un doppio risarcimento danni nei confronti della vittima, costituitasi parte civile, oltre al pagamento delle spese processuali.

La Corte Europea dei Diritti Umani è un tribunale internazionale che ha sede a Strasburgo ed è stata istituita nel 1959, in attuazione della stessa Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, sulla cui applicazione è chiamata a vigilare.  Alla Convenzione aderiscono tutti e 47 i membri del Consiglio d’Europa ed anche l’Italia è quindi sottoposta alla giurisdizione della Corte di Strasburgo.

Il caso

Tutto inizia qualche anno fa, precisamente nel 2012.

Siamo nella provincia Udinese del Friulano centro-orientale.

Appena una manciata di chilometri separano il ridente comune di Remanzacco, poco più di seimila anime, dalla vicina Slovenia. Il piccolo centro, di recente urbanizzazione, si articola in antichi borghi rurali ed è, come altri della stessa zona, luogo di incontro di etnie slavo-latine, preziosa ed isolata perla del nord-est italiano.

È anche per questo che il protagonista di questa storia si chiama Andrei Talpis.

Andrei, beve. Molto.

Ma partire dal giugno del 2012, l’alcolismo cronico non è più un problema soltanto suo.

Iniziano, infatti, in quel periodo le prime timide avvisaglie della moglie alle autorità di polizia locali sui maltrattamenti e le violenze del marito, che riguardano sia lei che il loro bambino.

La donna non manca di specificare le debolezze alcoliche del marito e, tuttavia, non sporge ancora formale denuncia: in sede di primo approccio, i carabinieri verbalizzeranno sia lo stato di ubriachezza avanzato in cui troveranno Andrei, sia le ferite riportate dalla moglie, niente di più.

Il dramma di Elisaveta

Se questa storia ha una vittima reale, una valvola di scarico più utilizzata delle altre, questa è sicuramente Elisaveta. Più di una volta minacciata, costretta ad abusi sessuali di gruppo, prova una seconda volta per strada a chiedere aiuto ad una pattuglia di polizia, stavolta con lei c’è anche Andrei che le sta puntando una lama addosso.

L’uomo viene multato per detenzione illegale di coltello, mentre Elisaveta viene semplicemente invitata a tornarsene a casa. Una coppia di slavi, lui beve e ogni tanto alza le mani.

Tutti si comportano come se all’inizio si trattasse soltanto di questo.

Ma Elisaveta è vittima due volte dello stesso carnefice.

La doppia lama della violenza di Andrei si riversa infatti su una donna, e su una moglie contemporaneamente. E se è difficile denunciare, farlo diventa impossibile quando anche le autorità ti invitano soltanto a tornare a casa.

Come spesso accade in questi casi, sarà un’associazione a prendersi carico del dramma di Elisaveta, che viene assistita ed ospitata per il limitato tempo di tre mesi.

 C’è chi dice che Elisaveta avrebbe poi volontariamente abbandonato il centro anti-violenza: è questa la tesi della Procura di Udine. Ma l’avvocato di Elisaveta, Titti Carrano, parla invece del caldo invito alla vittima, da parte degli stessi sevizi sociali che gestiscono il rifugio, a “tornare a casa”.

Il suo caso non è abbastanza grave.

Ma Elisaveta stavolta a casa non ci torna. Ha paura, più di prima. Vive per strada ed è ospitata saltuariamente da amici che abitano in zone limitrofe, trova lavoro come badante, a malapena riesce ad affittare un appartamento con quel poco che guadagna.

Ma la minacce del marito incombono sulla sua vita come un’ombra devastante: Andrei continua a cercarla, in ogni dove, col telefono, a piedi.

Finalmente, sul finire dell’estate, Elisaveta decide di denunciare e chiede alla polizia protezione per sé e per suo figlio. È il settembre del 2012.

Il tempo in questa storia scorre molto lentamente. Troppo lentamente.

Elisaveta viene interrogata per la prima volta solo nel marzo 2013, sette mesi dopo.

Il caso viene archiviato nell’agosto dello stesso anno.

Dopo sette mesi, in sede di interrogatorio, Elisaveta aveva infatti rivisto qualcosa della sua originaria dichiarazione.

Sette mesi sono tanti, magari Andrei in questo periodo in effetti ha bevuto di meno, non sa, forse era solo molto spaventata all’epoca, e in generale non ricorda bene.

Sette mesi sono tanti.

Il caso viene archiviato nell’agosto 2013.

Pochi mesi dopo, quel fascicolo torna a scaldarsi.

Elisaveta chiama la polizia, Andrei l’ha picchiata ancora.

L’uomo viene portato in ospedale, ha bevuto moltissimo.

Poco dopo essere stato dimesso, viene rinvenuto per le strade a vagare ubriaco.

Al solito, le autorità lo multano sul posto e lo invitano a tornarsene a casa.

“Tornate a casa”, sempre il solito monito.

Perché anche per Andrei tornare a casa non è mai la soluzione, ma semmai l’inizio, dei problemi.

La chiamano violenza familiare, perché viene perpetrata e cresce, si sviluppa come un cancro, tra le mura della propria abitazione.

“Tornate a casa”.

Quella sera, rientrato a casa, Andrei ucciderà suo figlio sferrandogli più coltellate e, dopo aver ferito gravemente anche Elisaveta, ha probabilmente bevuto ancora.

Solamente nel gennaio 2015, Andrei Talpis viene condannato alla pena dell’ergastolo dal Gup del tribunale di Udine, Emanuele Lazzaro, per omicidio e tentato omicidio, porto illegale di armi e maltrattamenti gravi nei confronti della moglie e della figlia.

Dalla prima denuncia di Elisaveta sono passati circa due anni, dai primi maltrattamenti avvenuti in strada, sotto gli occhi di molti, ancora di più.

Anni lunghissimi in cui Elisaveta è stata semplicemente invitata a tornare a casa e, sostanzialmente, lasciata sola.

Andrei Talpis, muratore 50enne di origini moldave, viene arrestato in stato di ubriachezza dalle forze di polizia di Udine a Ramanzacco. Attualmente sta scontando la pena dell’ergastolo per aver commesso una serie di gravi reati tra il 2013 e il 2015 a danno dei suoi familiari.

La violenza familiare in Italia

Nel nostro Paese, le denunce per maltrattamenti e violenze perpetrate in ambito familiare, e quindi all’interno delle mura abitative, soffrono statisticamente del subdolo operare di cariche emotive e sentimenti contrastanti: vergogna e senso di colpa spesso dilaniano la mente della vittima, disincentivandola a denunciare.

Ma l’oggetto della condanna della Corte di Strasburgo si riferisce, in effetti, ad un momento successivo del procedimento, endogeno e patologico allo stesso tempo, e cioè a quel range temporale che normalmente intercorre tra l’atto formale della denuncia e il provvedimento d’autorità giurisdizionale: in questo lasso temporale, spesso lunghissimo, fatto di tempi processuali e raccolta di prove o di archiviazioni, nulla allo stato attuale garantisce nel nostro Paese, alla vittima-denunciante, automatica sicurezza e protezione effettiva dalle condotte di abuso denunciate.

E se denunciare non è facile, denunciare obbligati ad urlare più volte il proprio dolore in faccia alle autorità, lo è forse ancor meno.

“Tornate a casa”.

In questi casi, non è mai la soluzione.

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Italia vs All Blacks: ennesima disfatta azzurra http://www.360giornaleluiss.it/italia-vs-all-blacks-ennesima-disfatta-azzurra/ Mon, 14 Nov 2016 13:02:31 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7554 ROMA. Sabato 12 novembre è andata in scena allo Stadio Olimpico una di quelle partite che non dimentichi, e che probabilmente racconterai ai tuoi nipoti. Italia vs All Blacks è infatti una di quelle sfide che un appassionato di rugby made in Italy aspetta tutta la vita, e quando arriva bisogna assolutamente esserci, in un

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ROMA. Sabato 12 novembre è andata in scena allo Stadio Olimpico una di quelle partite che non dimentichi, e che probabilmente racconterai ai tuoi nipoti. Italia vs All Blacks è infatti una di quelle sfide che un appassionato di rugby made in Italy aspetta tutta la vita, e quando arriva bisogna assolutamente esserci, in un modo o nell’altro. Ed ecco che lo stadio era un tripudio di persone, ognuna con il proprio accento e con la propria storia, venuta da ogni parte d’Italia a Roma per guardare e ammirare –pare brutto, sì, ma è così- la nazionale di rugby più forte del mondo, quelli della Haka, quelli di Jonah Lomu: i leggendari All Blacks.

Le aspettative erano quelle che erano, è vero, ma non tanto basse da aspettarsi uno stacco di quasi 60 punti. Conor O’Shea, il nuovo allenatore venuto dalla guerriera Irlanda –gli unici che dopo 17 vittorie sono riusciti a infrangere la supremazia All Blacks, poco più di una settimana fa-, il completamente rinnovato staff, le parole di Capitan Parisse –“Sarà un’Italia mai vista” aveva rilasciato ai microfoni di Repubblica- promettevano una difesa di ferro e placcaggi infrangibili. Insomma, che gli All Blacks avrebbero vinto ce lo aspettavamo, inutile negare -loro sono loro, negli asili neozelandesi si gioca a touch rugby- ma non ci aspettavamo certo che sul rettangolo romano ci avrebbero dato una lezione di palla ovale da rimanerci secchi.

I neozelandesi sono arrivati a Roma diversamente da come ci arrivano le nazionali del Sei Nazioni, scozzesi, irlandesi, inglesi, gallesi, fino agli odiati francesi, con il quale ogni anno abbiamo da giocarci il combattuto “Trofeo Garibaldi”. Gli All Blacks sono arrivati a Roma accolti come dei in terra, da adorare e ai quali immolare vittime sacrificali: in questo caso i vitelli da sgozzare sull’altare erano Parisse e co., però.

Haka a parte, litri di birra a parte, e uno Stadio Olimpico tutto esaurito (un traguardo che ormai solo il rugby riesce a centrare, a differenza di Roma e Lazio), resta un po’ di amarezza. I neozelandesi hanno vinto senza scomporsi più di tanto, dando l’impressione anche ai meno esperti sugli spalti e davanti alla TV –i testmatch vengono trasmessi in diretta dall’emittente televisiva DMAX- di star giocando senza fare troppo sul serio, quasi come se fossero in allenamento. Tolta l’euforia, è arrivata un po’ di desolazione, alla quale Sergio Parisse ha risposto con uno stizzito “E’ scontento solo chi non capisce niente di rugby”, aggiungendo poi che non è come le altre volte, che l’Italia sta lavorando molto bene e che stiamo assistendo all’inizio di una nuova era per il movimento rugbistico italiano.

C’è da notare, a scanso di equivoci, che qualche piccola nota positiva c’è stata: la squadra, sebbene formata da numerose nuove leve provenienti dall’Eccellenza italiana, che in confronto ai massimi campionati europei è un torneuccio di dilettanti allo sbaraglio, non ha mai perso la concentrazione durante gli ottanta minuti del match. Nel passato, ci si perdeva d’animo alla prima difficoltà. Nonostante la presenza di un gran numero di giovani rugbisti alle prime armi, in campo si è vista una maggiore disciplina, che è servita a evitare i falli stupidi e inutili che nel passato sono costati cari alla nostra Nazionale.

Il patrimonio tecnico del nostro quindici resta comunque limitato rispetto agli avversari, che siano i tutti neri o quelli provenienti da oltre Manica, e Italia All Blacks è finita per essere l’ennesima sconfitta, che a chi odia tutto ciò che non è calcio ha fatto nuovamente sussurrare, sarcasticamente “Ma perché hanno mai vinto?”.

Il problema però non è solo perdere, ma anche come si perde. Negli ultimi anni Italia-Nuova Zelanda era già andata in scena, ma il 14 novembre 2009, a San Siro. Le mete concesse ai tutti neri furono solo due. E poi di nuovo, sempre all’Olimpico, il 17 novembre 2012. Quella volta perdemmo con un più dignitoso 10 a 42. Questa volta, appena due giorni fa, le mete subite sono state addirittura dieci, contro l’unica meta azzurra.

Il rugby italiano va indietro, non avanti, ma lo Stadio Olimpico continua a bere birra e a fare la ola.

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Sei cose da sapere su Halloween http://www.360giornaleluiss.it/sei-cose-sapere-su-halloween/ Mon, 31 Oct 2016 12:45:16 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7373 Don Ruggero è il parroco di La Loggia, un comune italiano di circa 8.880 anime in provincia di Torino. Don Paolo, invece, sta a Grugliasco, sempre in Piemonte, sempre in provincia di Torino, ma lì di abitanti ce ne sono 38.000 circa. Parrocchie vicine, idee lontane. Il primo, infatti, ha affisso fuori dalla sua chiesa manifesti

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Don Ruggero è il parroco di La Loggia, un comune italiano di circa 8.880 anime in provincia di Torino. Don Paolo, invece, sta a Grugliasco, sempre in Piemonte, sempre in provincia di Torino, ma lì di abitanti ce ne sono 38.000 circa. Parrocchie vicine, idee lontane. Il primo, infatti, ha affisso fuori dalla sua chiesa manifesti contro le “zucche vuote” e l’”Halloween Party” che sta per essere organizzato nella piazza principale del paese. Il secondo, al contrario, nella parrocchia di San Giacomo ha organizzato due grandi feste per ragazzi e bambini, scatenando le ire di alcuni fedeli indignati.

Pietra dello scandalo, ovviamente, Halloween, la festa pagana che divide gli italiani tra credenti bacchettoni e chi, senza nemmeno sapere bene cosa si festeggi, si sta attrezzando con trucchi e abiti demoniaci per andare “a ballare” in discoteca.

In realtà, quasi tutto quello che sappiamo sulla festività celebrata durante il 31 di ottobre, noi italiani più che dal catechismo l’abbiamo appreso dagli Stati Uniti e, in particolare, da Hollywood. Serie TV, film, cartoni animati, hanno portato nello Stivale streghe, vampiri, fantasmi, mostri di ogni genere. Non che in Italia non esistano festività legate ai santi o ai defunti, ma quelle si celebrano nei giorni successivi, e sono legate strettamente alla Chiesa.

L’halloween come lo conosciamo oggi, quello“alla americana maniera”, ha tuttavia radici ben più lontane, e spirituali. Sei punti per capirne il significato e non cadere nel baratro dell'”italiano medio”.

IL NOME La parola “halloween” proviene dalla locuzione inglese “all hallow eve”, ossia “vigilia di tutti i santi”. La parola che conosciamo oggi era inizialmente una variante scozzese, che con gli anni è entrata nel vocabolario comune. Dunque, niente di così differente dal nostro cattolico “ognissanti”, che viene celebrato il primo di novembre, il giorno successivo.

LE ORIGINI Nacque tra i Celti, popolazione dell’Europa precristiana. Per queste genti provenienti dalle isole britanniche, il 31 ottobre si celebrava Samhain, festa pagana anche conosciuta come “capodanno celtico”. Il nome viene dal gaelico Samain, che significando “fine dell’estate” o “novembre”, indicherebbe la conclusione della stagione del raccolto e l’inizio dell’inverno, della stagione più difficile. Durante questa notte, considerata magica, le anime dei morti tornavano sulla terra per frequentare i luoghi che erano stati loro abituali da vivi, e venivano quindi celebrati con feste e cerimonie gioiose.

GLI ANTICHI ROMANI Può sembrare assurdo, ma anche gli Antichi Romani celebravano il proprio, personalissimo “Halloween”. “Deorum Manium Iura Sancta Sunt” era una delle leggi delle XII Tavole, in cui si sanciva la sacralità dei Mani, gli dei della Morte. Il mese dedicato ai defunti, nel culto Romano, però, era febbraio. L’otto di novembre, tuttavia, venivano aperte le porte del Santuario di Cerere, divinità materna della terra e della fertilità, a Roma. Il santuario era caratterizzato da una profonda fossa circolare, il “mundus”, che costituiva un passaggio fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Da lì, in quel giorno, i defunti potevano tornare tra i viventi e aggirarsi indisturbati nella città.

TRICK OR TREAT Durante il Medioevo, una pratica popolare per la giornata di Ognissanti era la preparazione della “soul cake”, un dolce semplice, fatto di pane con decorazioni di ribes e uva sultanina. Nella tradizione chiamata “souling”, i bambini andavano di porta in porta chiedendo una fetta di torta. Per ogni fetta ottenuta, ciascuno doveva recitare una preghiera per un parente o un amico defunto, o per ringraziare coloro che avevano donato il dolce. Le preghiere avevano lo scopo di facilitare l’uscita degli spiriti dal purgatorio e arrivare così più facilmente in paradiso.

JACK O’ LANTERN La tradizione dell’intaglio della zucca –che inizialmente era una rapa-, alimento di stagione, risale alla storia di questo personaggio ormai mitologico. Jack, infatti, era un fabbro irlandese furbo e ubriacone. Una sera, egli incontrò il diavolo al pub. Il diavolo voleva la sua anima, ma Jack lo convinse a trasformarsi in una moneta in cambio di un’ultima bevuta. Passati dieci anni il diavolo tornò, e i due fecero un nuovo patto: libertà per il diavolo e niente dannazione eterna per Jack. Alla sua morte, però, l’uomo non fu accolto né in paradiso né all’inferno, dal quale il diavolo stesso lo scacciò lanciandogli un tizzone ardente che finì in una rapa, da utilizzare come lanterna. Da allora il fabbro gira senza pace alla ricerca di un rifugio.

CONTEA DI MEATH Scherzi a parte, si trova a nord di Dublino, nella provincia di Leinster, conta 134.000 abitanti circa, ed è il luogo dove per la prima volta venne celebrato il Capodanno Celtico. Il Meath viene informalmente chiamata the Royal county, perché al suo interno è situata l’antica Collina Reale di Tara, sede dell’High King of Ireland, e rappresenta forse la contea più impregnata di connotati storici e tradizionali della sua nazione, per la presenza di siti archeologici straordinari come Newgrange e Tara. Ogni 31 ottobre vi si celebra il “vero e proprio” halloween, com’era festeggiato dai celti, con una grande fiaccolata e riti tradizionali!

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