Non chiamatela fortuna

Come fare del poker una professione

Viviamo di poker, siamo pro poker players.

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Claude M. e Thomas G. mi guardano con un sorriso divertito, quando provano per la quinta volta a spiegarmi, in un inglese smorzato da un’ immancabile cadenza francese, come la loro passione più grande sia diventata la loro professione. Non sarei così curiosa, d’altronde, se la passione in questione non fosse un gioco d’azzardo: ”Viviamo di poker, siamo pro poker players”. Un all in di troppo e delle carte poco fortunate possono far fuori il vostro intero patrimonio, penso. Sembra il delirio di due giovani venticinquenni che vogliono sfidare la dea bendata.

Ogni volta che dico gambling, i due parigini seduti di fronte a me, però, scuotono la testa e mi correggono: “Il poker è molto più uno skill game di quel che si possa pensare. La matematica e le proprie capacità sono la vera chiave per la vittoria”. Provo a non stupirmi, quindi, quando mi dicono che sono laureati in ingegneria e in economia, con il massimo dei voti.
“Puoi vincere una partita una tantum perché la fortuna ti ha regalato delle buone carte – continua Claude – ma non se ne possono vincere un centinaio a settimana, se non sei un buon giocatore”. Nel lungo termine, gli esiti del gioco (cioè, parte delle entrate periodiche di Claude e Thomas, come di qualunque altro professionista del settore) sono determinati nel 60% dalle skills, le abilità del giocatore; nel restante 40% dalla ben nota, ma di gran lunga sopravvalutata, fortuna. Vuol dire che i giocatori professionisti vincono sempre? No, vuol dire che “ciò che si perde è sempre di valore inferiore a ciò che si vince”. A quanto pare, l’asso nella manica dei professional players sono dei software che permettono di sapere con esattezza “quante ore di gioco sono necessarie per ammortizzare la perdita, azzerarla e avere nuove entrate”. Questi sistemi operativi, inoltre, elaborano una sorta di prospetto inerente i comportamenti dei vari avversari, cioè definiscono se si tratta di giocatori aggressivi o passivi, dissoluti o tirchi (se giocano solo poche mani). La conversazione si riempie di termini statistici: preflop raise percentage, call percentage, expected value, fold percentage e così via. Mi mostrano qualche grafico e alcuni algoritmi. E’ tutto studiato, non sembra esserci spazio sufficiente per far sedere la signora bendata e un pro player allo stesso tavolo da poker.
Claude e Thomas giocano, in media, otto ore al giorno su una decina di tavoli in contemporanea, sei giorni su sette. Si dedicano all’online poker cash game: entrano nelle poker rooms, si siedono (virtualmente) ai vari tavoli, puntano un tot di soldi (200 sterline su ogni tavolo per Thomas e 500 per Claude) e aspettano, per ore e ore, la mano giusta. “La gente gioca per giocare, noi giochiamo per vincere e sappiamo bene che per ottenere il proprio premio è necessario avere pazienza”, spiegano. A quanto pare, niente adrenalina e azione alla Casinò Royale: “Giochiamo, in media, solo il 20% delle mani e, dunque, l’80% del tempo siamo semplici spettatori”.

Le migliori vincite totali giornaliere ammontano a 2000 sterline per Thomas e 9000 per Claude (che gioca ai tavoli alti); le perdite più grandi che hanno subìto si aggirano rispettivamente intorno ai 1400 e ai 6000, sempre su base giornaliera. Ovviamente, rimane garantito che nessuna perdita, per quanto grande spossa essere, possa intaccare il sistema del gioco e non consentire una ripresa; questo anche grazie ad una parte delle entrate indipendenti dalle vincite, cioè il rakeback. Le poker rooms trattengono a titolo di guadagno il 5% di ogni premio e, di questa tassa, i siti restituiscono una percentuale ai giocatori ordinari, al fine di fidelizzarli. Vige la regola: più ore giochi, più ti pago. Nel caso di Thomas e Claude, il rakeback è pari al 30%, cioè ben 30 mila sterline l’anno: quanto basta per pagare l’affitto in una delle zone più chic di Londra e vivere più che dignitosamente in una delle nazioni con il caro vita più alto d’Europa. L’Inghilterra, ovviamente, non è stata una scelta casuale: “Vi è un bassissimo tasso delle imposte nel settore dell’online gaming”. 

La loro unica fortuna consiste in tutte quelle persone che confidano fin troppo nella fortuna e che la cercano in una doppia coppia.

Le poker rooms non dichiarano mai di aver assunto dei proposition players (cioè, giocatori che ricevono un rakeback): se la gente sapesse di giocare contro un giocatore pagato dallo stesso sito (per vincere), chiaramente, non giocherebbe. Per questo gli accordi inerenti il rakeback sono, seppur legali, estremamente segreti e, per lo stesso motivo, Claude e Thomas sono due nomi di fantasia.
“Solo il 5% di coloro che giocano a poker, in tutto il mondo, sono professionisti”, sorridono. A loro piace farsi chiamare sharks. Hanno la matematica dalla loro parte e quando hanno fame sanno come e dove trovare i pesciolini, “i giocatori totalmente incompetenti”. La loro unica fortuna consiste in tutte quelle persone che confidano fin troppo nella fortuna e che la cercano in una doppia coppia.
Forse la fortuna non è davvero cieca come si pensa. O almeno, sicuramente non lo è quando un pro player si siede al tuo stesso tavolo da poker.

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