Concerto – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Concerto – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 La musica che non ha paura: One Love Manchester http://www.360giornaleluiss.it/la-musica-non-paura-one-love-manchester/ Thu, 08 Jun 2017 15:30:03 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8674 Numerosi gli artisti di fama internazionale che si sono alternati sul palco del blindatissimo stadio del cricket di Old Trafford e che con parole e canzoni hanno lanciato un messaggio globale: no alla paura e no al terrorismo. Questo è One Love Manchester, il concerto di beneficenza voluto dalla  giovane pop star ventitreenne, Ariana Grande, a favore delle

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Numerosi gli artisti di fama internazionale che si sono alternati sul palco del blindatissimo stadio del cricket di Old Trafford e che con parole e canzoni hanno lanciato un messaggio globale: no alla paura e no al terrorismo. Questo è One Love Manchester, il concerto di beneficenza voluto dalla  giovane pop star ventitreenne, Ariana Grande, a favore delle famiglie colpite dall’attentato del 22 maggio proprio alla fine di un suo concerto.

Musica, abbracci, lacrime e una pioggia di coriandoli. Verrà ricordato come uno degli eventi più belli e significativi di questi anni, una dimostrazione di civiltà  e come un successo anche dal punto di vista della raccolta fondi per la croce rossa britannica: circa 10,5 milioni di sterline a fronte dei 2 che erano previsti.

“Let’s not be afraid”, non dobbiamo avere paura: è Marcus Mumford,  frontman della band dei Mumford & Sons, ad aprire il concerto con questo messaggio, intonando, dopo un minuto di silenzio, il singolo “Timshel”, dedicato alla scelta di un uomo tra bene e male.

 

“And death is at your doorstep

And it will steal your innocence

But it will not steal your substance

But you are not alone in this

And you are not alone in this

As brothers we will stand and we’ll hold your hand

Hold your hand”

Seguono i Take That. E la folla, composta da oltre 50mila persone  può finalmente sciogliersi e scatenarsi mentre la gloriosa “ex” boyband  canta: “We are Giants!”.

“Our thoughts are with everyone that has been affected by this, but right now we want to stand strong, look at the sky, and sing loud and proud.”

“I nostri pensieri si rivolgono a tutti quelli che sono stati coinvolti in questo (attacco) , ma ora  vogliamo restare forti , guardate verso il cielo e cantate forte”

— Gary Barlow, Take That.

E così  il coro oceanico intona Stars Are Coming Out Tonight. Poi nello stadio è subito festa e tripudio  per l’entrata in scena, presentato dai suoi ex compagni dei Take That, di Robbie Williams che canta “Strong” e “Angels”.

“Manchester, we’re strong, we’re strong, we’re strong. We’re still singing our song.”

— Robbie Williams, modificando il testo di “Strong”

 

Pharrell Williams, grande produttore e musicista americano,  riprende Get Lucky, grandissimo successo “disco” condiviso con i Daft Punk: “I’m bowing because despite all of the things that have been going on in this place, I don’t feel or smell or hear or see any fear in this building. All we feel tonight is love, resilience, and positivity.” Non vedo nessuna paura in questo luogo, solo amore dice al microfono Pharrell, chiamando in scena Miley Cyrus per un duetto sulla celeberrima “Happy”. Ballano tutti. Non c’è più paura. La  scelta della canzone, fortemente criticata, rispecchia il tema dell’evento: l’amore per la vita .

Dopo la festa, Miley Cyrus invita tutti ad assumere un contegno: “Dobbiamo essere ogni giorno ciò che diciamo di essere”. La canzone che segue, acustica, è una ballata, “Inspired”.

How can we escape, all the fear, all the hate?

Is anyone watching us down here?

Death is life, it’s not curse

Reminds us of time, and what it’s worth

To make the most out of our [?] here

Come possiamo sfuggire a tutta la paura, tutto l’odio?

Qualcuno ci sta guardando quaggiù?

La morte è vita, non è maledizione

Ci ricorda il tempo e quello che ne vale la pena

Per ottenere il massimo da noi, qui


Dopo l’esibizione di Niall Horan, la musica per qualche minuto tace. Scooter Braun, il manager di Ariana Grande, entra in scena e ringrazia tutti, soprattutto i giovanissimi che sono ancora qui: “Avete fatto qualcosa di grande. Avete sfidato la paura. L’avete guardata in faccia per dirle: Noi siamo Manchester! E il mondo vi sta guardando”. Il manager legge lettere di ragazzine che hanno perso i loro amici. Ma le lacrime lasciano il posto all’ovazione quando, concludendo, il maestro di cerimonie chiama a gran voce lei, Ariana Grande. Ritorna per un duetto con Victoria Monet dal titolo speranzoso: “Better Days”.  E non solo: l’artista  a sorpresa  si schiera con i Black Eyed Peas per sostituire la voce della storica componente Fergie, la cui assenza sembra confermarne l’uscita dalla band. Gossip a parte, non può che essere “Where Is The Love” la canzone, una domanda che torna a risuonare, più attuale che mai. La  canzone  che risale al 2003 era nata  proprio  “(..)Per alzare l’attenzione dopo le tragedie del terrorismo sia in Europa che negli Stati Uniti”.

Katy Perry, capelli platinati e piume candide: “L’amore batte l’odio e batte la paura. Toccate la persona che è accanto a voi, entrate in contatto l’uno con l’altro. E ditevi: ti voglio bene”. Ultimamente contraddistintasi per comportamenti piuttosto eccentrici, ha scelto di onorare le vittime di Manchester non soltanto cantando ma anche attraverso il proprio outfit. L’artista di 32 anni è salita sul palco del One Love Manchester indossando un tubino bianco  dove erano stampate le foto delle 22 vittime dell’attentato.


“It’s not easy to always choose love, is it? Especially in moments like these. It can be the most difficult thing to do. But love conquers fear and love conquers hate. And that love that you choose will give you strength. I encourage you to choose love, even when it’s difficult. Let no one take that away from you.”

“Non è facile scegliere l’amore in momenti come questo, può essere una scelta difficile, ma l’amore sconfigge la paura e l’odio, è la nostra forza più grande. Tutti voi che siete qui o a casa, accanto ad un parente, un amico o un estraneo: toccatevi e guardatevi facciamo questo esperimento, creiamo contatto umano”


Da brivido il suo discorso e ragionata la scelta dei pezzi portati sul palco. La versione acustica di “Part Of Me”  fa piangere  e rinforza i giovani presenti allo stadio o davanti allo schermo:

This is the part of me

That you’re never gonna take  away form me, no

Throw  your sticks and your stones

Throw  your bombs  and your  blows

But you’re not gonna break my soul

This is a part of me

Questa è la parte di me

Che non porterai mai e poi mai via da me, no

Lancia i tuoi bastoni e le tue pietre, lancia le tue bombe e i tuoi esplosivi

Ma non distruggerai la mia anima

Questa è la parte di me

Finalmente poi Katy ruggisce: “Roar”, il pubblico è un unico, ritmico battito di mani.

Subito dopo è l’intero Old Trafford a ruggire, letteralmente, quando in scena compare Justin Bieber che con la chitarra acustica si accompagna in perfetta solitudine in “Love Yourself” e “Cold Water”. Ma Justin non si limita a cantare, lanciando uno dei messaggi più belli della serata: “You guys are so brave. … Would you agree that love always wins?”

“Love! Love! Love! Love!” urla l’idolo, la folla risponde come la curva di uno stadio. Contemporaneamente  Una telecamera inquadra un bobby che danza in girotondo mano a mano con quattro ragazzine. Ed è tutto ciò che serve per avere speranza.

Anche Chris Martin dei Coldplay accolto da un’ovazione,  ringrazia Ariana Grande e assieme al chitarrista Jonny Buckland regala una cover di “Don’Look Back in Anger”, tributo a Manchester. Canta tutto l’Old Trafford Cricket Ground. E arriva anche il momento degli accendini, così, in questa atmosfera incredibilmente intima, i Coldplay al gran completo intonano per Manchester anche il loro canto d’amore: “Fix You”, e di vita:”Viva la Vida”. Luci, coriandoli e magie che come sempre accompagnano il gruppo.

I Coldplay evocano gli Oasis e Liam Gallagher, si materializza per davvero. Nessuno potrà dimenticare l’immagine di Chris Martin che imbraccia la chitarra e si mette al servizio di Liam in “Live Forever”:

“You and I, we’re gonna live forever You and I are gonna live forever

We’re gonna live forever

Gonna live forever

Live forever

Forever.”

Durante il concerto-evento non sono mancati i messaggi di solidarietà, tramite filmati, tra cui quelli di U2, Paul McCartney, David Beckham e tanti altri.

Manchester ha dunque risposto all’invito di Ariana Grande, sfidando la paura, pur sapendo che a Londra quella stessa paura era  tornata a colpire meno di 24 ore prima, sconvolgendo il sabato sera della Capitale del Regno Unito, spargendo dolore in altre famiglie. Ma non esserci quella sera sarebbe stato come darla vinta alla paura che è morte. Al concerto-evento  per dire no al terrorismo e alla paura sono accorsi  decine di migliaia di  giovani e adulti perché non hanno voluto rinunciare al diritto di sorridere, di ballare, di unirsi in coro ai loro idoli. Un evento che ha unito più generazioni, più generi musicali, più stili di intendere la musica, uniti in nome della libertà, di una città, di un unico amore.

“La risposta alla violenza sarà quella di stringerci insieme e di cantare più forte […] Non ci faremo dividere, non resteremo in silenzio. Non lasceremo che l’odio vinca”. Ariana Grande

Nonostante tutto la vita non si è fermata, ancora una volta; quindi: “Fuck you, I’m Millway”

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David Gilmour torna a Pompei http://www.360giornaleluiss.it/david-gilmour-torna-a-pompei/ Thu, 30 Jun 2016 15:27:36 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6805 Tutto iniziò da una malattia mentale, dovuta probabilmente all’eccessivo uso di sostanze stupefacenti, che portò Syd Barrett all’abbandono dei Pink Floyd e poco tempo dopo alla sua morte, a causa di un cancro al pancreas. Dopo un breve periodo in cui i membri del gruppo furono cinque, il giovane David Gilmour prese definitivamente il posto

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Tutto iniziò da una malattia mentale, dovuta probabilmente all’eccessivo uso di sostanze stupefacenti, che portò Syd Barrett all’abbandono dei Pink Floyd e poco tempo dopo alla sua morte, a causa di un cancro al pancreas. Dopo un breve periodo in cui i membri del gruppo furono cinque, il giovane David Gilmour prese definitivamente il posto di Barrett, cambiando e innovando la musica del gruppo. Con l’ingresso di Gilmour, i Pink Floyd abbandonano progressivamente la psichedelia per abbracciare uno stile rock progressive, consacrato nel 1970 dalla pubblicazione di Atom Heart Mother. Fu solo l’inizio di una serie di concept album. Gilmour, Waters, Wright e Mason fondono le loro capacità al meglio, scambiandosi persino le parti della voce e divenendo un tutt’uno, proprio come i loro successivi album.

Il successo aumenta nel 1973 con The Dark Side of the Moon: una musica concettuale cui si affiancano testi di contenuto filosofico e di riflessione sulla condizione umana, aspetto che caratterizzerà la restante carriera del gruppo. Gli argomenti trattati riguardano vari aspetti della natura umana: Speak to Me e Breathe parlano della nascita e dell’infanzia; Time affronta il tema dell’invecchiamento e del rapido approssimarsi della morte; The Great Gig in the Sky espone pensieri religiosi e di morte; Money mette a nudo il sentimento di avidità che prende l’uomo e il suo istinto al consumismo; Us and Them si riferisce al conflitto, e al fatto che ciascuno ritenga se stesso sempre dalla parte della ragione; Brain Damage guarda alle malattie mentali, mostra come la follia sia solo relativa e quanto la vecchiaia porti lontano da ciò che si era un tempo; infine, Eclipse afferma il libero arbitrio e la casualità degli eventi. Anche le copertine degli album sono significative. Sono simboli rappresentanti l’insieme dei concetti espressi nel concept album. Ad esempio, in The Dark Side of the Moon è disegnato un prisma triangolare rifrangente un raggio di luce. Il fascio di luce rappresenta una serie di eventi belli e brutti che rischiano di minare la salute mentale dell’individuo medio, portandolo sull’orlo tra il lato della luna quotidiano e illuminato dal sole della serenità e quello oscuro, cioè sconosciuto anche a lui stesso e spaventoso. Il raggio di luce è la vita, che inonda il prisma, che è l’uomo, restituendo come conclusioni le sue idee e azioni, che sono tutte proiezioni dello stesso individuo nello stesso mondo sublunare.

Ma come le più grandi band, anche i Pink Floyd ebbero un periodo di crisi che portò all’uscita dal gruppo di Roger Waters e alla cosiddetta “era di Gilmour”. Oramai era abbastanza famoso e amato da tutti i giovani che desideravano un futuro migliore e abbandonavano i loro problemi immergendosi completamente in quella musica. Siamo nel 2014, quando finalmente tornano per un’ultima volta i “nuovi” Pink Floyd, con The Endless River, anch’esso carico di simbologia. Il tempo li ha cambiati ma hanno ancora la stessa forza che li aveva spinti quando erano giovani e pronti per “cambiare il mondo”, in un’epoca tutta da rivoluzionare: l’uomo che naviga verso l’orizzonte, raffigurato sulla copertina, non ha una meta precisa ma è pronto a percorrere il “fiume infinito” della sua musica.

Oggi, nel 2016, da rivoluzionare non c’è più nulla. E se anche ci fosse qualcosa, la musica dei Pink Floyd non basterebbe. Ma David Gilmour sale ancora sul palco, per ricordare quei tempi e spronare ancora noi giovani ad avere quella forza necessaria per “cambiare il mondo”. Quest’estate arriverà anche in Italia. Una delle mete è Pompei, l’antica città romana distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Nel 1971 quelle rovine romane ebbero l’onore di lasciarsi inebriare dall’incantevole melodia di brani come Echoes, One Of These Days, A Saucerful Of Secrets, Careful With That Axe, Eugene e Set The Controls For The Heart Of The Sun, riprese di notte con pochissima illuminazione così da creare suspense. Le altre canzoni furono riprese di giorno, e i video si alternano a scene che ritraggono l’atmosfera storica degli scavi, con mosaici, dipinti e templi. Noi abbiamo potuto soltanto immedesimarci in quell’atmosfera paradisiaca, tra le riprese dei brani musicali e i momenti di vita quotidiana, grazie al film Pink Floyd: Live at Pompeii. Difficilmente potrà ripetersi qualcosa di simile, ma sono sicura che il 7 e l’8 luglio Gilmour saprà colmare i suoi fan di emozioni e celebrare degnamente il suo passato.

Articolo apparso su “360° – Il giornale con l’Università intorno”, n.04, giugno 2016, anno XIV.

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Muse @ Postepay Rock In Roma – 18 Luglio 2015 http://www.360giornaleluiss.it/muse-postepay-rock-in-roma-18-luglio-2015/ Thu, 23 Jul 2015 15:43:13 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=4066 Sabato 18 Luglio. Per tutti uno dei pomeriggi più torridi di questa estate 2015, per molti il giorno della fatidica ed unica data italiana dei Muse al Postepay Rock in Roma. Avevamo già parlato qui del nuovo album Drones (da poco diventato disco d’oro anche in Italia), di cui il power trio ha presentato live

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Sabato 18 Luglio. Per tutti uno dei pomeriggi più torridi di questa estate 2015, per molti il giorno della fatidica ed unica data italiana dei Muse al Postepay Rock in Roma. Avevamo già parlato qui del nuovo album Drones (da poco diventato disco d’oro anche in Italia), di cui il power trio ha presentato live i primi cinque singoli durante il corso del loro tour nei più importanti festival europei.

19511_10207124108923878_4204610955408771868_nPer me la giornata inizia con una tragica sveglia alle cinque del mattino ed un paio di treni da prendere. Arrivata alla stazione Termini già si inizia a respirare una certa aria tesa fra le decine di fan che incrocio, complice forse la cassiera della Conad che ci chiede “Ma questi Muse sono famosi? Sono quelli usciti da Amici?”. Sicuro, signora.
Nel frattempo, conoscenti e venti miliardi di post su Facebook mi dicono che la fila davanti ai cancelli dell’Ippodromo delle Capannelle ha avuto inizio già dal pomeriggio del giorno prima: quei pazzi sono i fortunelli che, all’apertura, si sono meritatamente aggiudicati i braccialetti per il pit e, di conseguenza, la transenna. Io e le mie amiche decidiamo di evitare almeno per un po’ lo stress della combo mortale sole cocente-corpi sudati appiccicati ai nostri ed arriviamo sul posto alle 16.30.
La security ci snobba completamente ombrellini, creme solari e bottiglie con tappi annessi (e grazie al cielo, perché chiedere 2 euro per una Ferrarelle calda è da ricovero) ma una volta dentro la situazione sembra tranquilla ed inizia l’inesorabile ed ansiogena attesa. La semi-pavimentazione ed i nebulizzatori ai lati della location sono la nostra salvezza, al contrario della pubblicità in loop del tour di Caparezza sui maxischermi, che porta tutti quanti all’isteria e a cori di dubbio gusto. Per non parlare di quei supermassive ass-holes che alle 18.20 decidono che è il momento di alzarsi: ed è subito infamate&respiri affannati.

Alle 20.45 in punto, visibilmente emozionati, salgono sul palco i Nothing But Thieves, la supporter band della serata.  I cinque ragazzi londinesi ci intrattengono per 45 minuti buoni e già dopo i primi pezzi spazzano via i pregiudizi ed i dubbi della maggior parte dei presenti che si aspettava il solito gruppo spalla scarso. Ho Trip Switch ancora in testa, con una cover di Immigrant Song ci conquistano definitivamente e con If I Get High ci fanno commuovere, trasformando l’ippodromo al tramonto in un mare di luci. Coinvolgimento ai massimi livelli, una bella scoperta. Il loro debutto in Italia, con un pubblico così grande, è stato magico per noi tanto quanto per loro.

I Nothing But Thieves ed il pubblico durante l'esibizione di If I Get High

I Nothing But Thieves ed il pubblico durante l’esibizione di If I Get High

I momenti più belli però devono ancora arrivare. Il tempo di cambiare strumentazione sul palco e l’adrenalina già inizia a salire. In ritardo, poco dopo le 22, sugli schermi compare il Drill Sergeant che da marzo abbiamo imparato a conoscere bene e Matt, Chris e Dom fanno il loro ingresso per poi subito attaccare con Psycho, dopo un breve saluto a Woma ed ai womani. Il pubblico italiano si fa subito riconoscere come quello che canta pure le parti strumentali (ed è tutto un popopo che manco i Mondiali 2006). Ci si fomenta, si salta e si canta. I preservativi regalati all’ingresso diventano inesorabilmente palloncini con su scritto sopra “Your ass belongs to me now”. Profetico.
Personalmente, avevo già perso la voce ai primi “Aye Sir!”, ma ci pensa la successiva quanto immancabile Supermassive Black Hole a farmi capire che arriverò a fine serata coi polmoni ridotti a brandelli. The Handler si dimostra la chicca che mi aveva colpito fin dal primo ascolto di Drones, peccato che qui arrivi la prima delusione: causa volumi sistemati davvero alla cazzo, la voce di Bellamy viene sovrastata dai cori e dagli strumenti. E adesso chi me lo rende quel falsetto orgasmico della seconda strofa che tanto aspettavo?
Mi consolo con una Plug in Baby lanciata con un botta&risposta esilarante fra fans e chitarra distorta, ed è qui che l’emozione inizia per me a farsi bella pesante. Realizzo che, dopo ben 7 anni di logorante attesa, sono davanti a quella che forse è la band della mia vita e la mia reazione ha dell’assurdo: mentre il nostro frontman preferito si destreggia in un riff suonato con la sei corde dietro la schiena, io mi appoggio alla spalla della mia migliore amica, ridendo a più non posso, per poi scattare a singhiozzare in maniera quasi convulsa, con le lacrime che scorrono a fiumi. La situazione è così stramba che la coppia davanti a me si sconvolge ed il tizio dietro mi sa tanto che mi sta riprendendo col cellulare. Li mortacci sua, mezz’ora dopo quasi glielo scaravento a terra mentre salto. Grazie karma. Ecco cosa succede quando passi tutto il concerto a fare video piuttosto che a godertelo. In ogni caso, forse quella era felicità pura e non me ne sono resa conto.

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Cerco di darmi nuovamente un contegno -aka urlo e salto come un’assatanata- mentre la scaletta (qui quella completa) scorre perfettamente, intensa e senza sbavature, forse fin troppo “meccanica”, fino ad arrivare a Munich Jam, una drum and bass in cui Chris e Dom danno il meglio. Quello che accade dopo è storia e si può sintetizzare in due semplici parole: Citizen Erased. Erano 9 anni che non la eseguivano live in Italia, la gente non ci sperava più ormai. Urlo imprecazioni e canto, ma attorno a me solo gelo e disorientamento. Soltanto un trentenne poco più in là mi sorride come a dire “Almeno tu te la ricordi”. Dove diavolo sono finiti tutti quei lamentoni che fino al giorno prima acclamavano ai vecchi Muse e speravano in una serata ricca di vecchie glorie, e poi manco ti canticchiano Apocalypse Please, eseguita al piano subito dopo?! Misteri della fede.

Ci pensano i brani successivi a riaccendere gli animi e va a finire che su uno dei pezzi più pop e commerciali di sempre (Starlight) torno a piangere come una ragazzina di fronte agli One Direction, per poi smettere non appena vengono lanciati gli Hollaballoons sulle note finali, quanto isteriche e movimentate, di Reapers. Matt decide di fare il grosso scaraventando la sua Manson sbrilluccicante su un amplificatore. Wow, proprio un cattivone.
Attimi di buio, cori dalla folla e dopo pochi minuti il trio rientra trionfante. Una deludente Madness che non c’entra proprio niente riapre l’encore e mi spompa anima e corpo, l’eccitazione avuta fin ora va a farsi benedire, dopo una setlist che in linea di massima è stata bella movimentata. Ancor più tremendo è sentirsi partire Mercy, che però guadagna punti con il lancio di coriandoli e stelle filanti, facendomi portare a casa qualche manciata di emozioni in più. Ma quello è anche il segno che lo show sta giungendo a termine, infatti poco dopo il bassista limona ben bene un’armonica in un omaggio a Morricone, annunciando Knigts of Cydonia, la canzone che più di ogni altra mi provoca brividi e tachicardia ad ogni ascolto, figuriamoci live.

Lì per lì manco mi rendo conto che ormai è tutto finito, con un “cheers” del batterista al microfono prima di defilarsi. Sono così felice che potrei anche finire sotto un tir e morire, non me ne pentirei.
Peccato che debba svegliarmi presto dal mio idillio, tipo quando sei tremendamente innamorata di uno stronzo e non te ne rendi conto, poi però un giorno apri gli occhi e finalmente capisci che è tutto uno schifo.
Gente, l’organizzazione del Rock in Roma lascia a desiderare: prezzi assurdi -sia del biglietto che di cibo/bevande-, security ed addetti che per certi versi sembrano i primi raccattati sulla Via Appia, criteri di entrata nel pit (so di gente arrivata alle 21 e che ha ottenuto i braccialetti) e molto altro.
11755848_10207124115084032_243198641828366223_nLa questione dei volumi è una cosa a sé. Location ed acustica fanno a cazzotti, alla fine non è che un prato dove piazzano un palco per due mesi l’anno, però zio che stai al mixer, non puoi prima farmi sentire forte la voce, poi altissimi i bassi, poi la fidanzata di Dom che dalle quinte gli urla che è un gran figo. Qualcuno trovi un nuovo fonico!
Senza contare i 35mila spettatori lasciati a loro stessi. Ho visto gente scavalcare la recinzione della stazione pur di prendere un treno in direzione Termini ed altrettante cercare di chiamare un taxi, ovviamente senza successo. Io per fortuna me la sono cavata con una walk of shame fino a Cinecittà e mezz’ora di autobus, ma si narra che molti siano rimasti imbottigliati nel traffico per ore o a bighellonare a piedi fino a notte fonda. Quello della viabilità però è un problema non solo della capitale, basti pensare a cosa è successo subito dopo gli Ac/Dc ad Imola.

A chi invece si lamenta del concerto in generale: si sapeva da mesi che sarebbe durato poco (17 pezzi + vari intro/outro per un totale di un’ora e 40), con scenografia scarna e gesti che ormai sembrano ripetuti pure a me che mi sono sempre limitata a vedere i live da YouTube. Purtroppo il format da festival non è concepito in Italia (al contrario di altri paesi, ai quali eventi hanno aderito i Muse per questo tour), sono consapevole anche io del fatto che, se avessi avuto un paio di gruppi in più a suonare già dalle sei di pomeriggio, forse tutto sarebbe stato migliore. O magari no, dato che ormai siamo abituati a lamentarci sempre e comunque. Non ci va mai bene niente, e allora forse ci meritiamo di spendere 70 e passa euro per poi stare tutto il tempo fermi immobili attaccati al cellulare. Roba fantascientifica per me: io ero così fomentata che avrei avuto il coraggio di pogare pure su Guiding Light…e a me quella canzone fa abbastanza schifo. Per fortuna c’è ancora gente che, nonostante tutto , riesce a godersi una serata del genere.

In ogni caso, attendo con ansia il tour indoor 2016. Passato il trauma del mio primo loro live, forse riuscirò ad essere un po’ più lucida ed oggettiva nel giudicare, anche se dubito l’entusiasmo esagerato mi abbandonerà. Effetti collaterali di ogni data: disidratazione, lividi, tracheite, dolori muscolari, torcicollo per il troppo headbanging. La depressione post-concerto manco la dico, ché tanto per un pezzo non mi passerà.
Dopotutto, i Muse rimangono pur sempre il mio primo amore musicale, e sappiamo benissimo che cose del genere “fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Grazie Woma! 

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Mercy e stelle filanti sulla folla

foto per gentile concessione di Daniele L. Bianchi e Nothing But Thieves 

 

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Una serata con i The Bastard Sons of Dioniso @ Eutropia Festival http://www.360giornaleluiss.it/una-serata-con-i-the-bastard-sons-of-dioniso-eutropia-festival/ Thu, 16 Jul 2015 16:49:51 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3992 La prima ed ultima volta che ho seguito un talent show correva l’anno 2009, non avevo ancora la licenza media e Michael Jackson era vivo e vegeto. Mai mi sarei immaginata che, sei anni dopo, mi sarei ritrovata faccia a faccia con tre di tutti quei ragazzi che vedevo il lunedì sera in tv. A

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La prima ed ultima volta che ho seguito un talent show correva l’anno 2009, non avevo ancora la licenza media e Michael Jackson era vivo e vegeto. Mai mi sarei immaginata che, sei anni dopo, mi sarei ritrovata faccia a faccia con tre di tutti quei ragazzi che vedevo il lunedì sera in tv.

19689255062_1bfa7b9bb3_mA Roma il caldo regna ormai sovrano da giorni ed io boccheggio nella mia t-shirt dei Ramones mentre, percorrendo il lungotevere, tento di raggiungere l’Eutropia Festival. Là mi accoglie Jacopo Broseghini, bassista, che subito mi presenta a Michele Vicentini e Federico Sassudelli, rispettivamente chitarrista e batterista. “Loro non sanno che sei qui, è una sorpresa” aggiunge poco prima di farmi entrare nel backstage.

Loro sono i The Bastard Sons of Dioniso, gruppo trentino formatosi nel 2003 e classificatosi secondo nella seconda edizione di XFactor. Soltanto adesso che li ho davanti mi rendo conto di quanto siano cresciuti da allora, non solo musicalmente: ben sei album in studio, centinaia e centinaia di concerti ed altrettanti chilometri percorsi in su e in giù per l’Italia, meno capelli davanti agli occhi e…fermi tutti, quella barba da dove è saltata fuori?!

I ragazzi si dimostrano fin da subito alla mano e disponibili, rompiamo il ghiaccio chiacchierando del più e del meno. Con noi c’è anche Ale, il loro fonico di fiducia, che li accompagna sempre in tour.
L’atmosfera è rilassata e la musica, quasi arabeggiante, che risuona nel cortiletto dove ci troviamo si sposa perfettamente con l’afa infernale che perdura pure alle 9 di sera. Per un attimo ci sentiamo come nel bel mezzo di Marrakech…poi niente, ci ricordiamo di essere solo a Testaccio e torniamo a parlare, fra una sigaretta ed un sorso di birra.

Come avete passato quest’ultimo anno, dall’uscita dell’album (2014) fino ad oggi?19700867861_040131be2a_m

Di anno in anno, andando in giro a suonare e vedendo come reagivano le persone ai pezzi di album precedenti, abbiamo cercato di arrivare a un punto in cui l’espressione del live fosse come quella che sentivamo in studio, quindi mano a mano è cambiato un po’ lo stile e l’approccio nei confronti della registrazione, per renderlo anche più vicino possibile a quello che possiamo portare nel live. Nell’ultimo anno tutto questo si è visto ai concerti ed è andato bene perché ci siamo resi conto che i pezzi nuovi ce li chiedono, la gente sa i testi, se li sono ascoltati. La nostra musica ha preso la sua strada ed ha raggiunto delle persone che neanche ci immaginavamo.

Perché la scelta di intitolare il sesto album proprio col vostro nome? Mi spiegate la storia del rebus che c’è dentro?

Si tratta semplicemente di una questione tecnica, se ne ha bisogno per affrontare tutte le cose burocratiche e le carte. Il titolo vero è un rebus ma non puoi provare a risolverlo se non hai il disco, lo trovi solo all’interno, fra le pagine del libretto. Sarebbe stato troppo sminuente dargli un nome così al volo, perché le persone dovevano metterci almeno un po’ di impegno, non solo nell’ascolto, mettendo semplicemente play, ma metabolizzando il tutto. Pensa che solo una persona ce l’ha fatta a risolvere il gioco, ci ha messo qualcosa come 4 mesi. 

Provo a dare un’occhiata al rebus. Sembra una frase lunghissima e l’unica cosa che riesco a capire è che “opporsi” è la prima parola. Non mi sforzo nemmeno a spingermi oltre, ché tanto in queste cose sono stata sempre negata: chiedetelo a mia nonna e alle tremila pagina de La settimana enigmistica lasciate bianche sotto l’ombrellone di Viareggio.

Ci sono dei brani a cui siete più legati? Quanto avete lavorato per questa vostra ultima “fatica”?

Tutte le canzoni hanno una storia diversa e siamo legati ad ognuna di loro, in un modo o nell’altro. La maggior parte dei pezzi che sono qua sono idee di Michele, poi per esempio c’è anche un pezzo mio (è Jacopo a parlare, ndr) e ci ho messo ben 3 anni per svilupparlo, fino a metterlo su disco completo . Gli abbiamo dedicato parecchio tempo insomma, ma nel frattempo abbiamo fatto tante altre cose.

Tornando invece al passato, in pratica la vostra band è nata che eravate ragazzini.

19689001392_dc4618cfec_mSì, ci siamo conosciuti alle superiori. Abitavamo tutti in paesini diversi, anche piuttosto distanti, quindi non ci saremmo mai conosciuti se non avessimo avuto la fortuna di condividere l’esperienza scolastica. E’ pazzesco perché avremmo potuto tutti fare qualcos’altro, non solo a livello scolastico, invece quella è stata la strada che ci ha unito e ci ha aperto tante altre vie.

 

E passare dal suonare dai locali di provincia al catapultarvi su XFactor è stata dura? Avete sentito il cambiamento?

Noi suonavamo già tanto anche prima ed ai concerti abbiamo sempre dato il massimo. Cerchiamo di divertirci, far le cose per bene dal punto di vista musicale ed essere persone alla mano, ci piace conoscere la gente ed i posti. Alla fine ci è venuto quasi naturale continuare a comportarci così, sia su palchi enormi o in un minuscolo spazio in un pub, non cambia molto. Naturalmente hai un altro tipo di responsabilità e ti senti in dovere di non essere una merda, cerchi di fare più attenzione ai dettagli, ma sono tutte cose che col tempo si imparano.

So che avete aperto alcuni concerti dei Green Day e Robert Plant, come è stato?

La prima volta eravamo all’Heineken Jammin Festival, ci siamo esibiti prima dei Thirty Seconds to Mars ma dopo ha cominciato a piovere e i Green Day non hanno potuto suonare, però nel 2012 abbiamo aperto un altro loro concerto a Rho. La data di Robert Plant è stata una figata, anche se il nostro unico approccio con lui è stato quando ci siamo scontrati sul palco mentre stavamo uscendo. L’abbiamo semplicemente salutato con un cenno della testa, come faresti con un tuo compaesano che incontri in macchina…e lui ha risposto! Una serata particolare, dopo avrebbe suonato anche Ben Harper ed è stata la prima volta in cui eravamo noi la band d’apertura. Eravamo a Roma e prima di salire sul palco pensavamo “chissà che ne sarà di noi”. Alla prima canzone, appena ci siamo presentati, qualcuno ci ha un po’ fischiato, ma dalla seconda in poi è andato tutto liscio. Invece a Milano siamo partiti meglio perché l’agitazione si era fatta sentir meno.

Inizio a scherzare un po’ con Federico ed il suo folle amore per il calcio, tanto da passare da ipotetici modi rivoluzionari su come insegnare a suonare la batteria utilizzando come tempi i nomi dei calciatori, fino a racconti di mille aneddoti sull’accoppiata bastard-calcio:

19507704790_6879dced32_mNel 2012, durante la semifinale con la Germania, stavamo suonando, avevo Sky Go nascosto sotto la batteria. La cosa che odio più al mondo sono i concerti organizzati durante le partite dell’Italia, non solo perché non posso seguirle, ma soprattutto perché  poi la gente non viene a sentirci. Anche durante i mondiali 2006 ci successe la stessa cosa: avevamo due date la stessa sera dei quarti di finale, è andata a finire che eravamo noi tre, il fonico e l’organizzatore, in più ho sofferto perché allora mica avevo Sky Go, ho seguito tutto con la radiolina e le cuffie. Nel 2002 addirittura ci siamo impegnati tantissimo a marinare le prime ore di lezione a scuola per seguire i campionati di calcio in corea perché alle 8 di mattina c’erano i secondi tempi.

Insomma, recidivi questi ragazzi. La conclusione è che Federico probabilmente perderebbe il senso del tempo, se mai un giorno decidessero di annullare i mondiali o qualsivoglia evento calcistico.

Tornando seri, da quant’è che avete uno studio di registrazione vostro?

Dal 2010/2011, ma già prima avevamo una scheda audio, un iMac -che ci ha salvato il culo durante XFactor- e altre attrezzature. Ci siamo costruiti su tutto piano piano, i soldi che tiravamo su dai concerti non ce li siamo mai divisi tra di noi, li abbiamo sempre messi da parte per poi investirli in queste cose.

E l’idea di XFactor è venuta in mente a voi o vi ci ha spinto qualcuno?

Ci hanno chiesto se volevamo fare i provini. Nessuno di noi aveva visto la prima edizione ed all’inizio eravamo un 19668286376_923a24fe25_mpo’ titubanti sul da farsi. Alla fine ci siamo confrontati con chi conoscevamo e anche parlando coi nostri genitori abbiamo deciso di cogliere l’occasione, giusto per vedere come poteva andare: sapevamo che comunque avremmo imparato qualcosa. E infatti è stata una bella esperienza, probabilmente se non l’avessimo fatta ce ne saremmo pentiti. Il cambio esagerato è stato che prima suonavamo tantissimo, ma solo nella nostra provincia, e non avevamo mai dato praticamente il disco a qualcuno per farci conoscere o sponsorizzare: ci limitavamo a stampare mille copie e a venderle facendo 80 date all’anno, ma a noi andava bene così, eravamo felici. Non c’era un vero e proprio giro di gente che ci seguiva perché spesso in Trentino alcune località sono difficili da raggiungere in breve tempo, però avevamo lo stesso un buon seguito e la gente tornava volentieri a sentirci.

E con i fan come è cresciuta poi la cosa?

Alla grande, c’è sempre qualcuno che vuole venire a salutarci e a stringerci la mano, ma c’è anche chi resta nell’ombra e poi se ne va, ma comunque è venuto ad ascoltarti, anche se magari non lo saprai mai . Alla fine è bello vedere che la tua  musica viaggia: tu l’hai fatta, l’hai registrata ma non sai mai a chi potrà arrivare. Noi ci poniamo gentilmente con tutte le persone che incontriamo, se poi a loro piace quello che facciamo, beh, siamo ancora più gentili!

Cosa mi dite del disco a cui state lavorando adesso?

Si tratta di un disco in acustico, è nato come idea di transizione per riprendere un po’ fiato da quello che è stato il nostro ultimo album. Volevamo registrare una versione acustica di alcuni nostri vecchi pezzi, quindi un qualcosa che in realtà avevamo già fatto ma che mai avevamo inciso, dopo però abbiamo deciso di approcciarci in una maniera completamente diversa a quello che è il nostro modo di fare rock’n’roll. Siamo partiti da un nuovo concetto di melodia, quasi scarnificata, per poi ricostruirci sopra la musica vera e propria. Volevamo uscire ad ottobre dell’anno scorso ma siamo ancora in fase di definizione, abbiamo quasi finito di registrare gli ultimi arrangiamenti, però tutto questo tempo che è passato non è andato perso: è stato come imparare un nuovo modo di fare musica e quindi fare un altro disco elettrico, dopo questo, sarà ancora più divertente perché lo vedremo come una riconversione.

Si avvicina il momento di salire sul palco ed i ragazzi si affrettano a scrivere la scaletta, chi su normalissimi fogli A4, chi sui piatti di carta, e a me viene spontaneo chiedere

19508250569_6f732fb69f_mDi solito come scegliete i brani da suonare?

C’è tutta una preparazione dietro alla questione del live, l’esperienza di tanti concerti ti insegna come organizzarti, capisci che dopo un tot di canzoni l’attenzione cala un po’, e allora provi continuamente a spostare i pezzi fino a quando sei quasi convinto che quello sia il modo migliore per intrattenere le persone per un’ora senza che si stufino o si stanchino.

Faccio loro qualche foto sul suggestivo murales di Sabrina H. Dan che decora tutto il cortiletto e prima di lasciarmi andare nel pit, per continuare a scattare pure durante il live, mi avvertono

Noi non apriamo gli occhi mentre suoniamo, siamo come in un trance estatico…e niente, magari stiamo sognando di essere davanti ad un miliardo di persone, che ne sai?

Le persone non mancano, ma la zona del festival è enorme e dispersiva, inoltre i tavoli proprio davanti al palco invitano i più pigri a starsene seduti; nonostante questo un buon numero di gente è alle transenne pronta a cantare.
La band attacca con Ti sei fatto un’idea di me, canzone fatta in collaborazione con Bugo, e fin da subito l’atmosfera si elettrizza. Occhi chiusi a parte, il concerto scorre tranquillo ed anche Michele, che fino ad allora se ne era stato bello tranquillo, imbraccia la chitarra e sfodera la grinta che caratterizza tutto il trio.
19507014170_028802d2d1_mJacopo parla con il pubblico, Federico perde due o tre volte una bacchetta ma non si scompone per un minuto. Si destreggiano alla grande fra un pezzo e l’altro, mi sorprendono con una cover di Stuck in the middle with you, per un attimo mi fanno tornare tredicenne con L’amor carnale, il singolo uscito nel 2009, e ad ogni brano la gente alle mie spalle canta fino a Ease my pain e Io non compro più speranza, ultime in scaletta. Ma non finisce qui, perché ci tengono a salutare tutti con un grandioso tributo agli Ac/Dc con Thunderstruck, che vede Michele e Federico scambiarsi di strumentazione.

Subito dopo, gli spazi dell’Eutropia Festival iniziano a svuotarsi e così il palco. Io rimango a bazzicare lì intorno finché il furgone non è nuovamente pieno di tutte le loro cose, ci scattiamo una foto insieme dove le nostre facce sembrano urlare all’unisono “siamo stanchi, fa un caldo della Madonna, ma chi se ne frega” e ci salutiamo.
Che poi la loro serata si sia conclusa riprendendo subito la via di casa, dal kebabbaro vicino Piazza Orazio Giustiniani o nella loro birreria preferita di Trastevere non ci è dato saperlo; io faccio il mio solito viaggio della speranza coi meravigliosi notturni targati Atac. Sono le due di notte, le cicale ancora cantano e Roma mi ha regalato l’ennesima meravigliosa esperienza.

photo credits: Beatrice Mannelli  (per vedere l’intera gallery della serata, cliccare qui)

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Il concerto d’Aranjuez – Sei corde al centro della scena http://www.360giornaleluiss.it/il-concerto-daranjuez-sei-corde-al-centro-della-scena/ Sun, 14 Jun 2015 21:34:55 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3892 La stagione Sinfonica volge al termine, e il programma dei concerti di Santa Cecilia sfuma verso il Novecento. Con una protagonista d’eccezione: la chitarra. Non capita tutti i giorni di poter assistere ad un concerto in cui sia lo strumento a sei corde ad avere il centro della scena. Proprio per questo merita un po’

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La stagione Sinfonica volge al termine, e il programma dei concerti di Santa Cecilia sfuma verso il Novecento. Con una protagonista d’eccezione: la chitarra.

Non capita tutti i giorni di poter assistere ad un concerto in cui sia lo strumento a sei corde ad avere il centro della scena. Proprio per questo merita un po’ di attenzione.

Vuoi per problemi di acustica, vuoi per una scarsa diffusione dello strumento nella mitteleuropa del diciannovesimo secolo, fatto sta che in pochi si sono cimentati nella scrittura di un concerto veramente sinfonico per chitarra e orchestra. Dopo i tentativi di virtuosi come Paganini e Giuliani, la ricerca avveniristica di Castelnuovo-Tedesco, finalmente Joaquin Rodrigo, neppure chitarrista di formazione, trovò nel 1939 la quadratura del cerchio. A lui dobbiamo quella perla che è il Concerto D’Aranjuez.

Il Concerto ha una genesi particolare: Rodrigo era a pranzo con l’amico chitarrista Regino Sainz de La Maza. Questi, parlando del più e del meno, si soffermò sull’idea di un grandioso concerto per chitarra e orchestra, fino a implorare il compositore con una voce “pathetic” , quasi irreale, di scriverlo per lui. Rodrigo si convinse di essere il prescelto per quella missione, quasi segnato da quell’evento, e forse aiutato, per sua stessa ammissione, dalle generose dosi di Rioja, uno dei migliori vini Iberici, presenti in tavola. Tuttavia, nonostante questa chiamata quasi mistica, le idee tardavano ad arrivare. Fin quando, passeggiando una mattinata di alcuni mesi dopo a Parigi, udì di nuovo una voce che gli cantava quello che sarebbe stato il celebre tema dell’Adagio. Tutto ad un tratto il concerto prese forma nella sua mente. Che sia stata la stessa voce del famoso pranzo? Non ci è dato di sapere…

Il brano si sviluppa nella tipica forma concerto in tre movimenti: due dal carattere brillante incastonano il prezioso adagio centrale. Il primo movimento, Allegro con Spirito, è gioioso e vitale, introdotto dagli accordi della chitarra, al posto della consuetudine di iniziare con tutti gli strumenti che introducono il tema principale, proprio a marcare da subito la centralità della chitarra. Il brano prosegue in una danza poderosa e veleggiante, che mano a mano si assopisce, fino a morire nel sussurrato incipit del secondo movimento.

In questo secondo movimento il dialogo si sviluppa pienamente. L’Adagio, uno dei brani più conosciuti del secolo scorso, ripreso e riarrangiato in una infinità di forme, da Fabrizio de Andrè a Miles Davis passando per Chick Corea, si apre di nuovo con una serie di accordi sgranati dalla chitarra, ad introdurre la serie di duelli/duetti che dovrà sostenere con i fiati. Il duetto iniziale della chitarra con il Corno Inglese si sviluppa lentamente in una sorta di gioco contrappuntistico per tutta la prima metà del movimento, fino a sfociare poi in una sorta di cadenza in cui il solista rimane solo con tutta la scena per se. In un crescendo dolcemente forsennato, Rodrigo esplora tutte le tecniche più recondite della chitarra, che culminano in un Rasgueado quasi dal sapore di Flamenco che è insieme esaltazione del virtuosismo chitarristico e tributo alla profonda essenza Iberica dello strumento a sei corde.

Il terzo movimento non può che essere una conclusione sfarzosa e brillante. L’idea è infatti quella di mischiare danze tipiche delle corti spagnole unendo insieme strutture con ritmi differenti che si alternano dando vita ad una composizione vitalissima e fresca, che mantiene inalterato il carattere comunque popolare senza rinunciare allo slancio virtuoso. L’ Allegro Gentile è la celebrazione definitiva della chitarra e la sua elevazione a rango di strumento da orchestra.

L’eredità che quest’opera ha lasciato nel repertorio chitarristico è enorme. Ma limitare il suo impatto solo allo strumento sarebbe riduttivo. In un secolo in cui le regole secolari della tonalità erano state decretate morte e finite, Rodrigo decide incurante di proseguire lungo la strada della tradizione. L’influenza che ha lasciato questa composizione, uno spirito comunque nuovo e vivo, il suo successo e gli omaggi che gli artisti più disparati hanno dato decisamente ragione al compositore di Sagunto.

 

 

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CONCERTONE DEL PRIMO MAGGIO: LA DERIVA DELLA SINISTRA ITALIANA http://www.360giornaleluiss.it/concertone-del-primo-maggio-la-deriva-della-sinistra-italiana/ Sat, 02 May 2015 12:59:47 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3543 Come ogni anno piazza di San Giovanni in Laterano era gremita, dal sotto palco ai piedi della Basilica. Quest’anno ne hanno contati circa settemila in tutto, anche se, girano voci, ci fossero meno persone. Ma non importa, perché come ogni anno le stesse facce di liceali e universitari, disoccupati e venditori ambulanti, famiglie, pensionati e

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Come ogni anno piazza di San Giovanni in Laterano era gremita, dal sotto palco ai piedi della Basilica. Quest’anno ne hanno contati circa settemila in tutto, anche se, girano voci, ci fossero meno persone. Ma non importa, perché come ogni anno le stesse facce di liceali e universitari, disoccupati e venditori ambulanti, famiglie, pensionati e sindacalisti, coppie innamorate o per il libero amore, zingari e immigrati, turisti o passanti occasionali, erano tutti lí a festeggiare.
Si ma a festeggiare cosa esattamente?
Nell’Italia di oggi, isola bella di disoccupazione, per la sera del concerto del primo maggio almeno una decina di chioschetti abusivi vendevano all’ingresso della piazza e a prezzi decisamente poco proletari alcolici di ogni tipo, completamente sprezzanti dell’ordinanza anti alcool e di quella anti vetro emanate giorni fa dalla Prefettura di Roma.
Ordinanze emanate col sano realismo di non vederle rispettate ed il sano cinismo di guadagnarci sopra, é chiaro.
Perché si sa, e lo sa anche la Prefettura di Roma, il concertone del primo Maggio é, in fondo, un’ottima occasione per fare soldi facili dando da bere agli assetati; e cosi, l’italiano medio si organizza: anche all’interno della folla, stazionano qua e la vasche di venditori ambulanti piene di birre.
Come se non bastasse chiunque, pochi esclusi, può indisturbato vendere da fumare, e se va di farsi un giro e multare qualche abusivo, le “guardie” come le chiamano qui, non hanno che l’imbarazzo della scelta.
Entro nella calca tenendomi abbastanza vicina alla strada. La prima cosa che vedo é un indiano che, mentre dal palco proviene il pop leggero di Gianna Nannini, si muove a scatti come un epilettico a suon di techno. Mi spingo a fatica nella folla, come lui ce ne sono a decine. Poca sicurezza, e se c’è non si vede. Poi capisco. É solo un concerto. Il lavoro con questa gente e con questa musica, non c’entra nulla. Le lotte sindacali anni 70, rievocate nostalgicamente nelle canzoni dei Modena City Ramblers, il salario e lo Statuto, con questa piazza non c’entrano proprio nulla. Anzi. A pensarci bene, questo vuoto cosmico che festeggia così, fa anche ricordare quanto di quelle lotte in questo Paese si conserva gelosamente e anacronisticamente, quanto di quello Statuto sia reale o realmente distrutto, stravolto, ribaltato, ma infondo sempre uguale, dogmaticamente immobile, deleterio.
Quello di ieri sera invece era solo un concerto. Solo un concerto, uno come tanti ma gratuito e di musica italiana, offerto dal Comune di Roma che, in ogni caso, dovessero anche fare a pezzi l’intera piazza, ci rientrerebbe con le licenze, gli alloggi, le multe, le concessioni agli stand e i gadget. Solo un concerto dove, noti cantanti del panorama italiano, si sentono un po più legittimati a manifestare il loro pensiero su temi sociali, sul lavoro, sì insomma mettere bocca nella politica. Purché dicano cose di sinistra.
Come la profonda e per niente banale riflessione di J-Ax, il cantante di quelli che negli anni 90′ erano gli articolo 31: “Spiegatemi anche questo, perché un italiano che va all’estero è un cervello in fuga, mentre uno che viene qui da noi è un negro che ruba il lavoro, e questo anche se l’italiano va Londra a sparecchiare, e il ragazzo arrivato stremato da un barcone ha due lauree” e prosegue: “La destra dice che questi sono discorsi politicamente corretti, volete qualcosa di scorretto? Sono i nostri cervelli i rom da cacciare a calci da Londra, forse dovremmo capire che sul barcone che sta affondando ci siamo tutti, anche noi”.
In questo preciso momento, senza indugiare un minuto di più, decido di abbandonare la piazza.
La festa del lavoro, fatta così, conviene un po’ a tutti.
Mi basta guardare le bottiglie vuote abbandonate a terra sulla via del ritorno, le buste, i bicchieri, le cartacce, i mozziconi, gli zaini e tutta quella roba, per rendermi conto che l’unico sentimento a legare davvero quest’implacabile orda di festaioli al lavoro, é la rabbia.
Parliamoci chiaro. Il primo maggio é diventato quasi subito nell’immaginario collettivo nostrano, proprietà della sinistra laburista, quella delle lotte sindacali anni 70, dello Statuto dei Lavoratori, dello sciopero e degli spinelli, ma é proprio nella pratica del famoso “concertone” di San Giovanni, che la storica data ha finito per trasformarsi prepotentemente nella deriva sociale di una sinistra dimenticata un po’ da tutti, in primis dalla sinistra stessa. Quei circa settemila che oggi incoronano le cronache locali e che ieri sera gremivano la piazza di San Giovanni, raccontavano in realtà semplicemente con la loro presenza, la fine di una sinistra modernamente brutalizzata, stanca, stereotipata, cronicamente depressa e passivamente rivoluzionaria, disorientata e strafatta.
Una sinistra italiana, appunto.
Una sinistra che fa tutto, governo e opposizione, ma che in realtà non ha proprio nulla da festeggiare.
Forse il crollo strutturale che da due giorni sta inarrestabilmente riguardando la riforma Fornero, tremante sotto i colpi di scure della Consulta, potrebbe essere motivo di festa: la notizia, accolta comprensibilmente con gioia dai sindacati, colora di una nota sarcastica le famose lacrime che Elsa, allora Ministro per il governo Monti, versò annunciando alla stampa i punti salienti di quel decreto. Ma non basta se si pensa al danno erariale che nel frattempo la stessa riforma ha provocato, alla tempestività con la quale l’esecutivo dovrà procedere a colmare il vuoto normativo venuto a crearsi, al difficile ponte ormai attraversato da esodati, pensionati e precari.

Di questa fiera dell’ipocrisia, il sindacalismo degli ultimi dieci anni é stato a ben guardare, rappresentazione emblematica e forse senza esagerare, primo promotore. Dall’articolo 18, alle riforme su pensioni e trattamenti di fine rapporto, dalle concertazioni più o meno ufficiali agli scioperi in piazza, ogni sigla si é infatti strenuamente battuta, per la difesa dei diritti di categoria, finendo per dimenticare persino chi di quella categoria faceva parte, ancorando il lavoro a vecchie conquiste, troppo vecchie per l’Italia di oggi, chiamata a rendersi competitiva su scala europea se non mondiale. Ecco perché forse il grande difetto del lavoratore di ieri e del disoccupato di oggi é capire che la fatica di cambiare, di porsi nuove frontiere, come la mobilità sul lavoro o il ricambio generazionale, in Italia sono tristemente targate Cgil, Cisl e Uil.
Ma non importa perché, come direbbero i Modena City Ramblers: “del resto mia cara, di che si stupisce, anche l’operaio vuole il figlio dottore…” e con una Peroni da 4 euro in mano, immagino che per quell’orda di rivoluzionari della nuova sinistra per il lavoro, persino Morgan possa diventare orecchiabile.

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Intervista a responsabilità limitata – Quattro chiacchiere con Brunori Sas http://www.360giornaleluiss.it/intervista-a-responsabilita-limitata-quattro-chiacchiere-con-brunori-sas/ Wed, 15 Apr 2015 12:52:54 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3159 Backstage, ore 00:40. Lei, lui, Auditorium Parco della Musica, e altro che Firenze. Accento del sud, vocali rigorosamente aperte, consonanti decisamente pesanti, tono straordinariamente leggero. Sento risate provenire dal suo camerino. Barba lunga, occhi accesi, timbro caldo. Lui è Dario Brunori, classe 1977, per tutti cantautore, per i più intimi imprenditore e fiero massimizzatore di un unico

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Backstage, ore 00:40. Lei, lui, Auditorium Parco della Musica, e altro che Firenze. Accento del sud, vocali rigorosamente aperte, consonanti decisamente pesanti, tono straordinariamente leggero. Sento risate provenire dal suo camerino. Barba lunga, occhi accesi, timbro caldo. Lui è Dario Brunori, classe 1977, per tutti cantautore, per i più intimi imprenditore e fiero massimizzatore di un unico profitto: il suo.

Dopo essermi intrufolata, a seguito di svariati tentativi, mi concede l’intervista. Non mi chiede come ho fatto, non importa. Ce l’ho fatta, lì davanti a lui e alla sua folta barba, che si tocca mentre ridacchia. Anzi, prima viene quella, che ricopre il 70% della sua superficie facciale e poi lui. L’idea di un’intervista improvvisata in cinque minuti nasce dalla follia delle forti emozioni o, come in questo caso, dall’energia di un mambo reazionario.

Mi chiede come mi chiamo, me lo richiede un’altra volta, e lo scandisco bene perché quando si ha un nome che termina con la “i” piuttosto che con la “y” i fraintendimenti rischiano di essere molteplici. Ridacchia di nuovo e si tocca ancora la barba. I suoi gesti, ripetuti ma mai ripetitivi, hanno lo stesso sapore dei suoi ritornelli.

L’intervista non è a Brunori. Questa è l’intervista di Brunori, e c’è una grossa differenza perché il foglio con la scaletta lo ha scritto lui di suo pugno e lo custodisco gelosamente.

Pochi punti quelli che mi interessano, semplici e diretti.

3 desideri:

Evoluzione e sobrietà.
Il terzo non è riuscito a trovarlo, promette di pensarci.

3 paure:

Perdermi, risponde secco e scrive.
Come non capirti, viene da pensare a me. Chi non ha paura di perdersi forse non si è mai messo in gioco davvero, dicono.

Dormire troppo.

Non ricevere bonifici.
E qui, secondo voi, un’altra risata non se l’è fatta?

3 città:

Cosenza, e ribadisce provincia.
Adoro le persone che amano sottolineare con fierezza il fatto che sono cresciuti in provincia, aggiungo io.

Bologna.
Come darti torto?

Siena.
Beh, la Toscana è pur sempre la Toscana.

La prossima volta vedi di aggiungere la Sicilia o Roma, altrimenti mi arrabbio. E ride di nuovo e pensa ai cannoli.

3 cose che hai amato e che continui ad amare. La continuità, se esiste, dove l’hai trovata.

Ridere

Cibo

Iban

Ok, personalmente sono d’accordo su tutte e tre e ho un debole con la seconda. Non c’è altro da aggiungere.

3 cose che hai odiato e che continui ad odiare. Vale lo stesso discorso di prima sulla continuità.

Me stesso quando sono ossessionato dal controllo

I permalosi

Le vesciche sui polpastrelli

3 persone che hai amato:

Simona Marrazzo.
Non ci ha pensato neanche un secondo. Dritta lì, in cima alla classifica del suo amore, la ragazza bionda e sorridente che avevo intravisto poco prima di entrare.

Mammarella Sas

Almeno quattro amici che conosco da più di vent’anni.
Sentimentalista, dietro quella barba.

3 persone che hai odiato:

Non odio. Odio è un sentimento che non sono riuscito a provare mai.

3 cose che non hai il coraggio di dire e che canterai:

Tutto ciò che mi tocca e che mi commuove e che mi vergognerei di confessare fuori dalle canzoni.

E’ sveglio mentre scrive, nonostante l’orario non sia proprio comodo. E’ sveglio e fa svegliare.
Sulle note di “Mambo Reazionario” il pubblico si alza e balla, balla anche col vicino di posto che probabilmente non conosce. Brunori oltre a riportare la gente nei teatri li fa anche rinascere, che è un verbo ricorrente tra i suoi testi. E li fa splendere non solo grazie ai riflettori, ma anche grazie alle note d’emozioni che riesce a sfiorare con la normalità del suo vissuto.

La straordinaria bellezza delle persone normali.

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Manine Bianche e un Senato in silenzio: benvenuti al concerto di Natale http://www.360giornaleluiss.it/un-senato-silenzio-benvenuti-al-concerto-di-natale/ Tue, 09 Dec 2014 08:46:04 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=1052 Ovazione profonda, due arti, due mani rugose. Avanti e indietro. Sfocati movimenti ondulatori di braccia rivestite di velluto blu cobalto, fede nuziale, gemelli sul polso, bottoni dorati. Avanti e indietro. Oscilla un’ovazione di silenzio. Avanti e indietro. La platea si agita, platea di donne con chignon tirati, mezze code laccate, tailleur scollati, calze sottili, decoltè

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Ovazione profonda, due arti, due mani rugose. Avanti e indietro. Sfocati movimenti ondulatori di braccia rivestite di velluto blu cobalto, fede nuziale, gemelli sul polso, bottoni dorati. Avanti e indietro. Oscilla un’ovazione di silenzio. Avanti e indietro. La platea si agita, platea di donne con chignon tirati, mezze code laccate, tailleur scollati, calze sottili, decoltè con punta nera. Platea di uomini, di mezz’età la maggior parte, uomini fieri, capello grigio, chi brizzolato, chi impiantato, chi senza capello o con un’insoddisfacente riporto. Stemmi, spille di onoreficenza e discorsi ampollosi. Cravatta Armani, scarpa Prada, foulard Gucci e borsa Chanel.

Eccola la platea della nostra Italia, tirata a lucido per le feste di Natale, per l’occhio attento del politico della poltrona rossa accanto, per la moglie del collega, sempre impeccabile ed elegante. L’Italia di senatori e deputati, presidenti e vice presidenti, segretari, sottosegretari, consiglieri e tesorieri. L’Italia dei “potenti”, con mogli, figli, mariti. Sono tutti davanti a me, mi guardano, sorrisi stampati, sguardi indisceti e fazzoletti di seta.

Ci sono anch’io nella foto, sorrido, e porto al cielo in segno di saluto le mani rivestite dai guanti bianchi. Porto la divisa del coro delle mani bianche. Me ne sto li intontito, stupito, i miei occhi ridono, e la finestrella tra i denti dell’incisivo mancante appare chiara anche dalla foto. Il maestro Piovani è teso, distinto ed elegante ,si appresta a dirigere l’orchestra, e con noi anche il coro delle voci bianche. Eravamo tutti felici quel giorno al Senato, la nonna mi aveva detto che mi avrebbe visto da casa, siamo usciti su Rai 1, e la mamma era fiera di me. È bastato un movimento deciso, uno scatto della bacchetta del maestro e via, anche noi incominciammo a cantare in silenzio.

Eppure sapevo bene che quasi nessuno mi avrebbe capito. La mia lingua è difficile, bisogna prestare attenzione, e alla gente non piace l’attenzione. Io invece amo l’attenzione, amo i dettagli, le piccolezze,le descrizioni. Al telegiornale nei giorni seguenti dissero che “le discussioni, e i dibattiti lasciarono spazio a musica sublime, e applausi incessanti”, ma io di quella musica ascoltai solo il silenzio. E per quanto possa sembrare assurdo io amo il silenzio. Il silenzio stimola l’attenzione, e il Natale è costituito da tante piccole attenzioni.

Ebbene io mi chiamo Andrea, ho 10 anni, soffro di sordità congenita delle orecchie, ma non del cuore, amo l’attenzione, il silenzio, e il Natale. Non c’è attenzione senza silenzio, e non c’è Natale senza attenzione. Miles Davis ha detto che “la vera musica è il silenzio, tutte le note non fanno che incominciare dal silenzio”. Allora mi chiedo: come fanno questi ricchi compratori di rumore, ad ascoltare la musica, se non sanno ascoltare il silenzio? Forse quel giorno, al concerto di Natale, il nostro silenzio ha stimolato le loro attenzioni, forse le loro attenzioni hanno regalato a qualcuno un Natale migliore. Forse quel Natale, in quell’aula austera e democratica, noi manine bianche abbiamo cantato il dono del silenzio e la pace dei cuori.

Questo è il Natale!

 

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Gusev in Luiss, viaggio in musica e non solo http://www.360giornaleluiss.it/gusev-in-luiss-viaggio-in-musica-e-non-solo/ Wed, 03 Dec 2014 06:14:44 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=1170 Il concerto di Natale della Luiss, da qualche anno a questa parte riserva sempre piacevoli sorprese. Quest’anno è stata la volta dell’esibizione per violoncello solo del Maestro Georgy Gusev , con uno spettacolo senza dubbio avveniristico. Gusev, diplomato al Conservatorio Tchaikovskij di Mosca nonché allievo del leggendario Mtislav Rostropovich, spinge ben oltre i confini canonici

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Il concerto di Natale della Luiss, da qualche anno a questa parte riserva sempre piacevoli sorprese. Quest’anno è stata la volta dell’esibizione per violoncello solo del Maestro Georgy Gusev , con uno spettacolo senza dubbio avveniristico.
Gusev, diplomato al Conservatorio Tchaikovskij di Mosca nonché allievo del leggendario Mtislav Rostropovich, spinge ben oltre i confini canonici le possibilità delle sue quattro corde: “Cello Drive” viene interamente eseguito su di un Violoncello elettrico Yamaha Silent, che assieme all’amplificazione consente a Gusev di sperimentare l’utilizzo di strumenti come distorsioni e Looper (che gli consente di intrattenere un simpatico siparietto con il pubblico durante il “Carnevale Di Venezia” di Paganini). E non si ferma qui l’innovatività dello spettacolo: ad accompagnare l’esecuzione in senso stretto immagini e installazioni visive che catturano l’attenzione di ogni spettatore; una scelta sicuramente audace , che secondo alcuni amanti della “Musica Pura” rischia di far passare l’elemento sonoro in secondo piano. Tuttavia mi riservo di discutere la questione in altri momenti; sta di fatto che Gusev ha conquistato l’intera platea con una tecnica cristallina ed una esecuzione appassionata e vibrante, sopperendo anche ad alcune debolezze strutturali che una musica per violoncello datata 2014 difficilmente evita.
Tra installazioni visive e rigore esecutivo , si può dire che Gusev abbia accontentato tutti i gusti, concedendo anche qualche momento più disteso grazie anche alle doti da Showman del violoncellista. La sua forte vena esplorativa e sperimentale si addice poi perfettamente al tema del viaggio e dell’incrocio di culture che è sotteso a tutto la sua opera. Viaggio che sembra destinato a proseguire proprio su quei sentieri che Gusev, con il benestare dei suoi venerabili maestri e sostenuto da una incredibile curiosità artistica, sta tracciando e che hanno ancora molto da dirci.

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Il concerto di Natale che nasceva tra gli Urali http://www.360giornaleluiss.it/il-concerto-di-natale-che-nasceva-tra-gli-urali/ Tue, 11 Nov 2014 22:59:12 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=918 Dalla regione montuosa della Russia passando per Mosca si arriva fino alla Luiss Guido Carli di Roma. In vista di Natale le Attività Culturali hanno scelto ancora una volta di non risparmiarsi organizzando l’ennesimo grande concerto, quest’anno previsto per il prossimo 2 dicembre. Alle ore 20:30 sono tutti attesi in Aula 200, Aula Chiesa per

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Dalla regione montuosa della Russia passando per Mosca si arriva fino alla Luiss Guido Carli di Roma.
In vista di Natale le Attività Culturali hanno scelto ancora una volta di non risparmiarsi organizzando l’ennesimo grande concerto, quest’anno previsto per il prossimo 2 dicembre.
Alle ore 20:30 sono tutti attesi in Aula 200, Aula Chiesa per i Luissini più navigati, per un evento aperto anche a tutti gli esterni.
Sì avete sentito bene, un concerto aperto a tutti previa consueta registrazione nella sezione-news del sito della Luiss.
Chi andranno a vedere i fortunati? A dispetto di ogni sorpresa vi anticipiamo che l’artista viene dai lontani Urali, suona il violoncello e lo usa sia in ambito classico che sperimentale. Georgy Gusev è un musicista e compositore russo di soli 27 anni, conoscitore dell’Italia e ben avviato perfino allo studio dell’italiano. Frequentatore dell’Accademia Santa Cecilia, non si è risparmiato né nel mondo della discografia né in quello della creazione e fruizione di nuove offerte musicali e culturali. Ha creato la GOSHproject con la quale ha portato in scena il “Music Messe Moscow”, aperto non solo agli Europei, ma soprattutto al pubblico russo ed asiatico a seguito di alcuni inviti e partecipazioni alla già celebre “Messe Frankfurt” tedesca alla quale si è ispirato. “È questo l’obiettivo di Georgy” ci racconta Gabriella Marčelja, studentessa LUISS, organizzatrice del concerto e collaboratrice di Gusev, “Creare una musica che sia ponte di più culture, avvicinando il rigore e la qualità russa alla libertà d’espressione italiana ed europea. Ne avremo un assaggio proprio la sera del 2 dicembre ascoltando rivisitazioni e composizioni legate al mondo Russo, Spagnolo e Italiano, come i cosiddetti stormi che migrano da un Paese all’altro del mondo, eterni viaggiatori che avvicinano ogni cultura, tanto per usare un espressione dell’artista.”
Inutile dire che Gusev possiede anche il titolo di Maestro e non a caso ha ideato e creato perfino un evento musicale di cui è interprete, autore e organizzatore, il Festival Internazionale “Masters of Music” in cui ogni artista invitato da Georgy ha modo di partecipare mettendo in campo la sua arte.
La musica ne è espressione invisibile, ma il nostro compositore ha scelto di arricchire le proprie note con video multimediali ed immagini profonde, in modo da integrare lo scibile dei sensi umani. Non male per un quasi coetaneo del nostro mondo universitario. Non male per chiunque voglia partecipare al concerto di Natale 2014 “Cello Drive” dove per una sera la Luiss incontrerà le profonde sinfonie degli Urali russi.

Info ed iscrizioni, ph. 327 8186778

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