Lifestyle – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Fri, 16 Mar 2018 19:15:12 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Lifestyle – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Nini: la nuova forma di passività del XXI secolo http://www.360giornaleluiss.it/nini-la-nuova-forma-passivita-del-xxi-secolo/ Sun, 04 Mar 2018 11:14:07 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9225 Ni estudia y ni trabaja, è questo il significato del termine “Nini”. Ma che cos’è un Nini? Ebbene non cosa, ma chi. Forse ne avrete incontrato più di uno in vita vostra. Una persona, o meglio, un giovane uomo o una giovane donna che impiega le sue migliori qualità intellettive per fare zapping e si

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Ni estudia y ni trabaja, è questo il significato del termine “Nini”. Ma che cos’è un Nini? Ebbene non cosa, ma chi. Forse ne avrete incontrato più di uno in vita vostra. Una persona, o meglio, un giovane uomo o una giovane donna che impiega le sue migliori qualità intellettive per fare zapping e si assume le proprie responsabilità dal divano, denigrando continue e ripetute lamentele dei propri genitori (o tutori) come fossero voci lontane, perse nell’universo.

Questo “esemplare” di gioventù è un vero e proprio fenomeno studiato, con la speranza che non diventi un valore medio.

Alle soglie del XXI secolo il termine fu ufficialmente introdotto nel suo corrispettivo inglese “Neet”, definendo quella fascia di età compresa tra i 16 e i 18 anni che non si impegnava né a livello scolastico né in quello lavorativo. Oggigiorno il Nini supera la maggiore età, protraendosi verso i 30. Lo studio sul Nini si diffuse a macchia d’olio e presto ogni nazione ebbe una documentazione chiara e limpida sul numero di Ninis presenti entro i confini, con tanto di “lettere motivazionali” che hanno definito la loro posizione.

Dietro ad ogni Nini c’è una motivazione, tra le più gettonate abbiamo cause ti natura sociale, l’ozio e, come risultato della National Youth Survey condotto nel 2010, la difficoltà economica unita all’aumento delle tasse. Prime fra tutti le tasse universitarie.

 

Partiamo dalle cose semplici. L’ozio è il migliore amico di quei ragazzi che se volessero potrebbero, ma ahimè non vogliono. Non capita spesso di nascere in una famiglia economicamente agiata, ma quando accade, grande è la tentazione al dare per scontato.

Regola numero 1: campare della rendita di mamma e papà senza alzare un dito. Disinteresse a 360 gradi verso anche solo la minima possibilità di diventare una persona produttiva. Ingratitudine sprezzante verso il lavoro di chi ha costruito il materasso su cui si lasciano cadere ancora e ancora. Spreco è la parola d’ordine. La motivazione persa dentro ad un Martini.

 

Fattore numero due: difficoltà economica e tasse. E qui ne abbiamo quante vuoi, o per lo meno, quante bastano a ridurre in schiavitù famiglie con un reddito borderline. Facendo riferimento all’Italia, si parte dal CANONE RAI, costringendo gli italiani in una sorta di prigione psichica in cui “Visto che la devo pagare almeno la guardo” oppure a sentirsi in colpa per l’abbonamento SKY anche se voluto. Poi passiamo all’IVA che ogni anno è sempre più verde, per arrivare alla TARES che forse è la più oscura di tutte visto che di recente la spazzatura sembra invadere le città meglio degli alieni.

Tra la moltitudine spiccano le tasse universitarie. Essendo di fronte ad un bivio si sa che i beni di prima necessità vanno pagati e il superfluo eliminato. E fu così che l’università per molti diventò off-limits. Allo sconforto di un percorso negato si aggiungono le numerose porte in faccia che questo tipo di Ninis affronta in ambito di lavoro, poiché, privi di laurea, sono incapaci di competere con i loro colleghi dalla corona d’alloro.

 

Giunti alla deriva danno libero sfogo alla Santa rassegnazione. Grazie ad essa forte è la sensazione di essere ad un limite verso il quale vengono spinti molti altri di loro. Ad aggravare il carico vi è una società che li considera come appestati. La conseguenza diretta è la marginalizzazione, ossia allontanare il nocivo, o meglio, l’inutile.

Molti si stancano di lottare e vedono l’emancipazione solo da lontano e con bordi sfocati. Un’influenza sociale così forte sommata ad una crescente vulnerabilità di questi soggetti sfocia a tratti nella criminalità. In questo caso è il “vorrei ma non posso” che grida a gran voce e cerca ogni scappatoia da questo tunnel degli orrori, usando la delinquenza come mezzo per raggiungere ciò che a loro è precluso, protestando al tempo stesso contro un sistema che puntualmente glielo nega.

Arrivando al dunque, abbiamo anche una ragione per cui Nini è diventato il termine per eccellenza nel descrivere questa categoria sociale. Sembra che gli inglesi non possano aggiudicarsi la supremazia linguistica questa volta. Secondo i dati dell’Eurostat degli ultimi anni la Spagna insieme all’America Latina sembra dar man forte a questo fenomeno aggiudicandosi i primi posti.

Tuttavia in Europa sembrano esserci altri due concorrenti per maggior numero di giovani che non studiano e non lavorano. l’Italia nel 2015 ha superato la soglia del 31,1 % seguita dalla fedele compagna Grecia con una percentuale di 26,1. Inutile dire che il Regno Unito si allontana da queste cifre anni luce.

In Europa, attualmente, abbiamo 5 milioni di giovani compresi tra i 20 e i 24 anni che abitano questo limbo, tra chi ci sguazza e chi ne vorrebbe uscire.

 

A fronte di questi risultati, c’è chi ha fatto della generazione Nini una vera e propria scienza.

Ne è un esempio vivente lo psicologo argentino Alejandro Schujman. Si dà il caso che il signor Schujman sia un esperto in materia e che stia portando le sue ricerche a spasso per il mondo.

Nel suo libro “Generación Nini”, egli tenta di dare una risposta a questo fenomeno, o per meglio dire, scatenare un’onda d’urto. Secondo il dottor Schujman una delle possibili vie da percorrere per contrastare il fenomeno è in mano ai genitori. Ad essi è rivolto il suggerimento di prendere coscienza che i giovani non devono in nessun modo contemplare come opzione l’ozio o la rassegnazione. Devono incentivare i figli ad uscire dalla bolla familiare mano a mano, senza permettere che si adagino sui famosi allori. Spesso i genitori della generazione 2k18 non comprendono che i propri figli sono cresciuti in un’epoca in cui tutto si muove alla velocità di un click. Quanti di noi vorrebbero tutto subito. Non sappiamo aspettare, ci peniamo ad aspettare. L’attesa non solo ci logora ma è indice di fallimento. Non abbiamo la pazienza di riprovarci una volta in più, di crederci una volta in più. Al contrario, chi ci ha cresciuto ha una storia completamente diversa. Arrendersi per godere del lusso del Nini non era concesso. Dopo una formazione anche minima c’era il lavoro, doveva esserci per portare il pane a casa.

Non era tutto subito, si andava a tentativi ma non c’era posto per lo scoraggiamento.

 

Nel 2012, Rodolfo Tuirán, sottosegretario dell’Educazione superiore dell’istruzione pubblica messicana e José Luis Ávila, professore della Facoltà di Lettere e Filosofia della UNAM, pubblicarono la la diagnosi del fenomeno in Messico, rivelando possibili strategie per cambiare le carte in tavola.

 

Ciò che emerge dall’analisi condotta è che la condizione insofferente del Nini lo porta a rifiutare lo stile di vita tradizionale fatto di studio e lavoro, lo stesso che li ha esclusi e marginalizzati. Di conseguenza, vi è la maturazione di un disprezzo senza precedenti verso lo sforzo in sé per sé, data la dubbia realizzazione del beneficio.

La politica del rifiuto è a questo punto una determinante che scatena la rivoluzione. La debolezza dei soggetti in questione apre le porte alla violenza, alla criminalità organizzata e ogni scappatoia di sovversione, facendo dei Ninis delle bombe ad orologeria.

Per questo, fondamentale è il ruolo delle politiche pubbliche. La salvezza vien dall’alto.

La gran maggior parte dei giovani è attualmente classificata come studente o persona occupata, ed è un dato di fatto. Dato che non deve fungere da giustificazione per i governi affinché non prendendo provvedimenti di fronte ad un fenomeno che cresce giorno dopo giorno.

Ed è proprio questa la proposta che conclude lo studio di Tuirán e Ávila. Questa è la nota positiva della loro ricerca. La comprensione che un cambiamento è possibile ed è in mano a chi di cambiamenti ne può fare. Lo stato e la società devono riconoscere come priorità l’emergenza giovani. Un codice rosso che se trascurato può portare al degrado, alla regressione.

I suggerimenti a fine studio ammontano a svariate azioni di politica pubblica come maggiori opportunità d’apprendimento aperto e a distanza, programmi di borse di studio e potenziamento di interventi pubblici che collegano la domanda all’offerta di lavoro, facilitando il passaggio tra istruzione e lavoro.

 

A rigor di logica, ogni soluzione ricorre alla re-impostazione. Del sistema ma anche delle menti. Soprattutto delle menti. La popolazione di “sdraiati” ha bisogno di incentivi. Ha bisogno di capire che l’azione è fondamentale e parte da loro, perché il mondo non aspetta nessuno. Non aspetta lamentele inutili tantomeno giustificazioni. Se i giovani sono il futuro, come si sente spesso dire, quel che ci aspetta sarà di certo una sorpresa.

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Ciao, Marina! http://www.360giornaleluiss.it/ciao-marina/ Sun, 07 Jan 2018 12:26:54 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9131   Una donna unica nel suo genere: una lottatrice, estrosa, intelligente, forte. E anche negli ultimi suoi giorni ha voluto lasciare il segno. Infatti, anche se priva di forze, ha parlato di “come una persona deve sapere che può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze”. Insomma, un’alternativa al suicidio assistito in

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Una donna unica nel suo genere: una lottatrice, estrosa, intelligente, forte. E anche negli ultimi suoi giorni ha voluto lasciare il segno. Infatti, anche se priva di forze, ha parlato di “come una persona deve sapere che può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze”. Insomma, un’alternativa al suicidio assistito in Svizzera.

Una donna impegnata in moltissime cause, in particolare, negli ultimi anni, per sensibilizzare il pubblico sull’importanza della diagnosi precoce contro il cancro. E lei ne sa qualcosa: per 16 lunghi anni ha lottato contro questa malattia, che è riuscita a sconfiggere per ben due volte. La diagnosi precoce, grazie alla Pet total body, è stata cruciale. Ed è per questo che Marina si è battuta a lungo affinché questo esame fosse garantito dal Servizio Sanitario Nazionale, visto l’elevato costo.

Ma non solo. Come dimenticare la sua campagna di sensibilizzazione per la protezione degli animali? La sua foto in cui mostrava la sua “pelliccia” apparve su manifesti di sei metri per tre, sui muri di Roma e Milano.

Decisamente una vita fuori dagli schemi: dal matrimonio con Alessandro Lante della Rovere, a quello con Carlo Ripa di Meana. Ha frequentato Craxi, Moravia, Pasolini e gli artisti della Scuola di Piazza del Popolo. Un milione di aneddoti da raccontare, come quando Franco Angeli avrebbe voluto strozzarla o quando si prostituì per comprare la droga al suo amante Franco Angeli.

Una vita straordinaria ma allo stesso tempo umile: “posso frequentare tutti, l’importante è che siano persone intelligenti”.

E poi i suoi cappelli: appassionata di arte e moda, era ossessionata dai cappelli eccentrici. Non c’era sfilata di moda o qualunque altro evento in cui non si presentasse sfoggiando un copricapo enorme, stravagante e totalmente fuori dagli schemi. Un po’ come lei.

Ci mancherai, Marina.

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FSTD: lo street style made in Italy http://www.360giornaleluiss.it/8835-2/ Tue, 19 Sep 2017 12:04:58 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8835 Probabilmente vi sarà capitato di vedere le foto del suo profilo Instagram, o di leggere i suoi divertenti tweet. Oppure lo avete già conosciuto in qualche scavo archeologico, o avete già letto qualche “pezzo” del suo blog. Lui è Jacopo Fiorentino, 25 anni, archeologo, esperto viaggiatore, creativo. Dopo aver terminato gli studi ha deciso di

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Probabilmente vi sarà capitato di vedere le foto del suo profilo Instagram, o di leggere i suoi divertenti tweet. Oppure lo avete già conosciuto in qualche scavo archeologico, o avete già letto qualche “pezzo” del suo blog. Lui è Jacopo Fiorentino, 25 anni, archeologo, esperto viaggiatore, creativo. Dopo aver terminato gli studi ha deciso di intraprende una strada diversa, e forse anche più complicata, coltivando una delle sue più grandi passioni. Fondatore del marchio FSTD, ora è giunto alla seconda collezione. Ma scopriamo di più su cosa si nasconde dietro questo marchio.

 

Innanzitutto, Come nasce FSTD?
Beh, FSTD nasce durante il mio anno di studio all’estero, a Bruxelles, dove ho avuto la possibilità di viaggiare e visitare le capitali europee più note, e dove per l’appunto sono entrato a contatto diretto con la cultura street, ormai sdoganata e presente ovunque. E da ciò, dunque, nasce l’obiettivo di FSTD, ossia rendere lo street style accessibile a tutti con un ottimo rapporto qualità-prezzo.

Qual è la tua fonte d’ispirazione?
L’ispirazione per l’appunto viene dai tanti viaggi fatti, in particolare a Parigi, Berlino, Amsterdam e Londra, in cui ho avuto modo di relazionarmi con realtà street differenti.

Ci sono state alcune collaborazioni?
A Giugno per il Crack fumetti dipendenti ho collaborato con due artisti emergenti romani, Amedeo Nicodemo e Francesco Leggio nella realizzazione di due Tshirt sulla base di due disegni prodotti per l’occasione.

Chi si nasconde dietro FSTD?
Beh dietro FSTD per il 50% per cento ci sono io, il restante 50% è composto da tutti coloro che comprano e sostengono questo progetto, senza di loro FSTD non potrebbe esistere.

E per quanto riguarda la creazione vera e propria?
Per quel che riguarda la creazione vera e propria al momento mi occupo di tutto io, dalla progettazione alla manifattura.

Parlaci della nuova collezione.
La nuova collezione arriva dopo mesi di riflessioni e vuole mostrare come in soli nove mesi io sia riuscito a maturare. Si tratta di una linea minimal, che gioca su materiali non convenzionali, tra cui pitture glitter, PVC, pelle sintetica e cotone. In totale ci saranno otto pezzi, tra cui t-shirt, felpe, pantaloni, impermeabili, cappelli e una shopper.

Dove si possono trovare i prodotti?
I prodotti saranno acquistabili straordinariamente il 24 settembre presso il Kick it Rome, evento che tenterà di avvicinare Roma alla cultura dello street style e dello street wear delle principali capitale europee. In via ufficiale la nuova collezione invece sarà disponibile su FSTD.BIGCARTEL.COM a partire dal primo ottobre.

Dunque per tutti gli amanti dello street style, appuntamento il 24 settembre a partire dalle ore 11:00 al Kick it Rome, in Via Libetta 19: un evento che vi permetterà di avvicinarvi a questo tipo di stile e non solo, visto che potrete trovare anche market di vinili e tapes. Insomma, un evento che coniuga musica e moda. E “buona nuova collezione” a tutti!

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Five MInutes Bag: quando moda è sinonimo di praticità http://www.360giornaleluiss.it/five-minutes-bag-moda-sinonimo-praticita/ Wed, 19 Jul 2017 10:54:15 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8719 Estate romana significa anche stand al Riverside Market. Ed è proprio tra questi che, una sera passeggiando con amici, ho trovato quello di Daniela D. Chi mi conosce sa che non sono un’ amante della moda, ma la vitalità e l’entusiasmo di Daniela mi hanno convinta a fermarmi davanti alle sue creazioni, per rimanerne poi del

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Estate romana significa anche stand al Riverside Market. Ed è proprio tra questi che, una sera passeggiando con amici, ho trovato quello di Daniela D. Chi mi conosce sa che non sono un’ amante della moda, ma la vitalità e l’entusiasmo di Daniela mi hanno convinta a fermarmi davanti alle sue creazioni, per rimanerne poi del tutto affascinata. Infatti, le sue Five Minutes Bags, borse che si bloccano sul braccio, coniugando moda e praticità, mi hanno conquistata ed una volta tornata a casa ho iniziato a guardare il suo sito e le sue pagine FB e Instagram, decidendo poi di farle qualche domanda per capire meglio il messaggio che vuole trasmettere con il suo prodotto.

Daniela D. insieme ad una delle sue Five Minutes Bag

Five Minutes Bag: esigenza trasformata in originalità

L’idea Five Minutes Bag nasce circa 2 anni fa, quando, dopo essere diventata mamma, le borse sono diventate un problema, perché tutte, o quasi tutte, erano per me scomode, nonostante io sia da sempre stata una fashion victim, con un debole particolare per questo accessorio. Così ho pensato che avrei desiderato una borsa di tendenza, capiente e comoda allo stesso tempo, capace di contenere l’essenziale ma anche di rimanere ferma, lasciandomi così libera nei movimenti, dal momento che le mie priorità stavano cambiando. Una notte, mi ricordo perfettamente, alle tre mi sono svegliata e ho pensato “devo mettere un elastico sotto il manico”. Così, il giorno dopo, mi metto all’opera, taglio, cucio e do vita alla prima Five Minutes Bag, con ancoraggio comodo. Ne parlo con il mio compagno di vita, che sposa sin da subito il mio progetto… E brevettiamo l’idea!

Un brand tutto italiano

In questa fase le Five Minutes Bags possono essere considerate prodotti sartoriali. Infatti sono interamente fatte a mano, da sarti specializzati, in Italia. Considerando il successo che sta avendo, abbiamo già pianificato diversi incontri con produttori italiani che potranno industrializzare il processo produttivo per soddisfare il numero crescente di richieste.

Nerea, Adelaide, Kendra e le altre

E’ difficile scegliere la mia Five Minutes Bag preferita. Ogni volta che le guardo per decidere quale indossare, le ammiro e le tratto con cura perché per me sono le prime compagne di viaggio. Un viaggio che, nonostante sia iniziato solamente quasi due mesi fa, porta con sé delle neonate di appena un mese pronte per essere vendute al pubblico. Infatti, la vera data di inizio coincide con il debutto dell’attività della mia azienda, il 1 Giugno 2017. Sarà un viaggio lungo e misterioso e non so ancora cosa questo percorso mi riserverà. Sono certa, però, che Aurora, Miranda, Electra, Zoe, Nerea, Adelaide, Kendra e Bianca rimarranno per sempre nel mio cuore. Il primo amore, si sa, non si scorda mai!

Condivisione, ingrediente essenziale per un ottimo traguardo

Nella vita i traguardi più belli sono quelli che si raggiungono quando c’è condivisione. Per la realizzazione di qualsiasi progetto vi è la necessità di essere affiancati da persone che credano in quello che stai facendo quasi quanto te. Per questo mi ritengo molto fortunata, perché tutti i ragazzi che hanno scelto di sposare la filosofia Five Minutes Bags si sono dimostrati straordinari e professionali. Senza di loro non sarei mai potuta arrivare alla realizzazione di quello che oggi potete vedere. Antonio, Andrea, Viviana e Nidi siete unici!

Amore e qualità assicurata

Riflettendo sul concetto di qualità, penso a molteplici caratteristiche. La qualità non è soltanto un buon tessuto, una buona façon o una buona commercializzazione del prodotto. Infatti, oltre a queste caratteristiche imprescindibili per un brand Made in Italy come il nostro, ve ne sono altre essenziali. E’ importante innamorarsi delle proprie creazioni, dando loro calore ed energia positiva: la qualità risiede anche nell’offrire ai nostri clienti un pizzico del nostro “Think Positive!”. Qualità vuol dire anche serenità delle persone che lavorano con me, dal momento che ritengo che la nostra energia arrivi direttamente fino al consumatore finale. Un prodotto nato e cresciuto in armonia ed amore non può che essere il nostro specchio!
Tornando alle caratteristiche più “tradizionali”, sicuramente un’ottima façon, ottimi tessuti, packaging curato e assistenza post vendita con una comunicazione che faccia sentire i nostri clienti parte di noi, indispensabili per completare una macchina vincente!

Una filosofia di vita

La Five Minutes Bag vuole essere proprio questo. Siamo in un periodo storico in cui la donna si sente appesantita, carica di tanti, troppi pensieri: la donna è adesso una mamma in carriera e ha infinite cose da fare. E’ a lei che ci rivolgiamo per donare spensieratezza e per permetterle di percorrere la sua esistenza con più leggerezza. Partendo da questo concetto attuale e reale, penso che si potrà lavorare poi su vari settori. Sicuramente continueremo a produrre borse dell’essenziale con l’ancoraggio rivoluzionario, poi creeremo una linea di abbigliamento e di make up. Tutto incentrato sulla comodità, leggerezza, spensieratezza. La donna Five Minutes è una donna che ama sentirsi alla moda senza rinunciare alla comodità. Il tempo è relativo, qualcuno diceva. Quindi in 5 minuti si può fare di tutto se lo si vuole veramente, soprattutto donarsi del tempo, che credo sia il regalo più prezioso che al giorno d’oggi possiamo farci!

Molto più di una borsa, un concentrato di moda, energia e praticità che faranno sentire le donne perfette in ogni occasione, ma soprattutto in pace con se stesse! Grazie a Daniela D. per averci parlato delle sue creazioni (che potrete ammirare di nuovo dal 24 Luglio al Riverside Market) e in bocca al lupo per il futuro!

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Passa il tempo, ma la donna rimane un prodotto commerciale http://www.360giornaleluiss.it/passa-tempo-la-donna-rimane-un-prodotto-commerciale/ Sat, 17 Jun 2017 18:12:53 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8699 Dal celebre «Chiamami Peroni, sarò la tua birra»(1971) , sussurrato da una bionda irresistibile, fino all’esplicita:«Chi mi ama, mi segua», stampato  sul retro di un paio di mini shorts indossati da una modella anonima, è la pubblicità degli anni ’70  che segna l’inizio di quel processo di commercializzazione del corpo femminile che, da allora, non

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Dal celebre «Chiamami Peroni, sarò la tua birra»(1971) , sussurrato da una bionda irresistibile, fino all’esplicita:«Chi mi ama, mi segua», stampato  sul retro di un paio di mini shorts indossati da una modella anonima, è la pubblicità degli anni ’70  che segna l’inizio di quel processo di commercializzazione del corpo femminile che, da allora, non si è più fermato, toccando ultimamente vertici quasi surreali.

corpocorpo

“Come loperaio si ritrova alienato nel suo stesso prodotto, così grosso modo la donna trova la sua alienazione nella commercializzazione del suo corpo”

Juliet Mitchell

  corpo

Quotidianamente programmi di intrattenimento, spot pubblicitari e carta stampata propongono ai loro interlocutori la solita e ormai celeberrima dicotomia: angelo del focolare contro donna esplicitamente  voluttuosa. E così ogni giorno vengono proposti o meglio imposti da un lato corpi frammentati, privi di un’identità, donne ammiccanti con una forte carica erotica; dall’altro l’estremo opposto, ovvero donne rappresentate come le uniche responsabili della gestione di ambiti familiari e domestici.

Non scioccherò quindi nessun lettore nel dire che  il corpo e lo stereotipo femminile sono da sempre utilizzati  nella pubblicità come esca comunicativa. Il  settore pubblicitario ha e continua, infatti,  ad utilizzare la donna,  o più precisamente il suo corpo, per vendere qualsiasi bene di consumo, facendo affidamento a un linguaggio ambiguo e spesso sedativo.

Com’è quindi la donna nella realtà pubblicità?

Casalinga felice, donna-oggetto, donna frammentata, così la donna viene stigmatizzata e stereotipata.

Sono stati presi alcuni provvedimenti?

Nel settembre 2008, il Parlamento Europeo ha approvato con 504 voti favorevoli la proposta di abolire la pubblicità sessista e degradante per le donne.

Ma l’Italia ha o non ha un problema di pubblicità sessista? In Italia abbiamo lo IAP,  “L’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria”,  l’ente privato che dal 1966 regolamenta la comunicazione commerciale per una corretta informazione del cittadino-consumatore e una leale competizione fra le imprese. Le norme da rispettare sono contenute nel Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e sono applicate dal Comitato di Controllo e dal Giurì. Tuttavia, contrariamente al tag che ci piace tanto,  “Italians do it better”,  il settore pubblicitario  non va.

Ecco un paio di dichiarazioni, prese dal rapporto sulla violenza di genere in Italia di Rashida Manjoo, relatrice speciale dell’ONU, risalenti al gennaio 2012: “Gli stereotipi di genere che determinano i ruoli di uomini e donne nella società sono profondamente radicati….” E ancora: “Con riferimento alla rappresentazione delle donne nei media, nel 2006 il 53% delle donne comparse in TV era muta; il 46% associata a temi inerenti il sesso, la moda e la bellezza; solo il 2% a temi sociali e professionali.

Nel 2005,  il Cedaw (Committee on the Elimination of Discrimination Against Women) si definì  “profondamente preoccupato dalla rappresentazione data delle donne da parte dei mass media e della pubblicità in Italia, ritratte come oggetto sessuale e ruoli stereotipati”.

In breve, la pubblicità italiana è considerata tra le più sessiste al mondo. Crea, sostiene e  promuove stereotipi e modelli discriminanti, relegando la donna a ruoli ipersessualizzati.

 “Serve porre dei limiti alluso del corpo della donna nella comunicazione. È inaccettabile che in questo paese ogni prodotto, dallo yogurt al dentifricio, sia veicolato attraverso il corpo della donna. In Italia le multinazionali fanno pubblicità usando il corpo delle donne mentre in Europa le stesse pubblicità sono diverse”- Laura Boldrini

Tramite l’analisi di quasi 20 mila campagne (TV, radio, affissione, stampa e banner web), uno studio , “Come la pubblicità racconta gli italiani”, ha esaminato il modo in cui uomini e donne sono raccontati nella pubblicità, identificando 12 tipologie narrative femminili e 9 maschili. Le tipologie di donna più utilizzate negli spot offrono un quadro piuttosto esplicativo. Nell’81 %  dei casi si tratta infatti di “modelle” (ideale di bellezza), “grechine” ( una bellezza decorativa che riempie un vuoto), “disponibili” (in atteggiamenti di esplicita disponibilità), “manichini” (corpo femminile o parti di esso), “ragazze interrotte” (annullate in quanto persona) e “preorgasmiche” (in espressione di piacere sessuale). Ovviamente, come prevedibile, la somma delle analoghe categorie per i maschi non arriva nemmeno al venti per cento.

Così, mentre la donna viene narrata insignificante dal punto di vista della personalità e delle competenze, il profilo dell’uomo invece sbilancia verso il lavoro. In più della metà dei casi negli spot pubblicitari il maschio è presentato come un professionista e solo  raramente come padre (nel 4,32 per cento dei casi).

La narrazione dell’universo  “femminile”  riflette davvero la società attuale italiana?

L’Articolo 1 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria afferma che “La comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve evitare tutto ciò che possa screditarla”. Viene, dunque,spontaneo chiedersi: questa narrazione della donna italiana fatta dal settore  commerciale è davvero onesta, veritiera e corretta come dovrebbe? Rispondere a questa domanda è estremamente complesso.

Se da un lato è inutile provare a negare che l’Italia sia un paese storicamente sessista, 8° al Gap Index 2012;  dall’altro molti progressi sono stati raggiunti (basti osservare le percentuali delle laureate italiane).

Ma qual è il problema principale della mercificazione della donna?

La pubblicità non vende solo il prodotto/servizio che sponsorizza e promuove. In un paese che legge poco, la televisione è stata e continua a essere un potente fattore di costruzione dell’immaginario collettivo. Molto subdolamente, infatti, i vari spot pubblicitari, dalla TV fino ai brand su Youtube, vanno a proporre e ad imporre dei canoni estetici da rispettare per essere socialmente accettati; canoni che rendono invisibili corpi diversi  dai parametri mostrati. Le donne  devono essere giovani, belle, oggetti sessualmente disponibili con l’unico scopo di solleticare la libido maschile. Viene evocata , dunque, una presunta sensualità dell’oggetto e la donna spesso viene equiparata ad esso divenendo il prodotto stesso: abbiamo così donne paragonate ad  auto, a bottiglie di olio d’oliva o a una tariffa telefonica.

Pier Paolo Pasolini, intervista su “LEspresso”, 22 ottobre 1972:

Qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi di importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti.”

Dunque le cose possono cambiare, giusto?

10 Maggio 2016. Fa discutere il post su Facebook di Mario Turrini, candidato al Consiglio comunale per “Uniti si vince” che per fare un po’ di pubblicità alla sua corsa per Palazzo D’Accursio ha pubblicato sul social network una foto provocante: quella di una ragazza ritratta di spalle, con un maglione che le lascia scoperto il prosperoso e anonimo  ‘lato B. A fianco, si legge la scritta: “Elezioni amministrative del 5 giugno, scheda azzurra per il Comune, scrivi Turrini” e , in  basso, l’aggiunta: “La foto è servita per attirare la tua attenzione, altrimenti non l’avresti mai letto”.

Eppure gli ottimisti, come me, sperano ancora in un settore pubblicitario “onesto, veritiero e corretto” dove le donne (e ovviamente anche gli uomini) siano rappresentate per quello che sono, senza cristallizzare nell’immaginario collettivo modelli e canoni che incrementano le disuguaglianze tra sessi. Occorre aumentare la consapevolezza sulle responsabilità sociali che ha chiunque abbia accesso ai mass media. Serve diffondere un’autentica cultura della comunicazione, considerando le notevoli implicazioni sociali.

La pubblicità sessista va combattuta: è urgente e necessario Bisognerà pur cominciare a cambiare le cose.Perché non cominciare dalla pubblicità, allora?

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L’estate sta arrivando http://www.360giornaleluiss.it/lestate-sta-arrivando/ Fri, 16 Jun 2017 17:10:57 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8690 Giornate afose passate sui libri, una media di tre docce al giorno, scatole di integratori finite in pochissimo tempo. La vita degli studenti universitari in questo periodo non è affatto semplice, e in più ci si mette anche il caldo. Però bisogna sempre guardare il lato positivo: fra un paio di settimane sarà ufficialmente tutto

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Giornate afose passate sui libri, una media di tre docce al giorno, scatole di integratori finite in pochissimo tempo. La vita degli studenti universitari in questo periodo non è affatto semplice, e in più ci si mette anche il caldo. Però bisogna sempre guardare il lato positivo: fra un paio di settimane sarà ufficialmente tutto finito. L’estate ormai è alle porte, a breve le città si svuoteranno e non resteranno che i turisti. Noi invece ci godremo il meritato riposo e proprio per questo, prima di lasciarci, ho voglia di dispensare un po’ di consigli.

Innanzitutto il luogo; sono molto di parte, ma un posto che vi consiglio di visitare è la Versilia. Forse qualcuno potrà obiettare che il mare non è il massimo ma è una zona che offre molto: dalle mostre d’arte a Pietrasanta, alle innumerevoli discoteche sparse tra Marina di Pietrasanta e Forte dei Marmi. Insomma è una zona dove non ci si annoia mai.

Se poi avete intenzione di espatriare e magari andare in città non troppo calde anche in questo caso sarò di parte: Berlino è la meta ideale. Molti sono scettici su questa città – anche io lo ero – ma anche questo posto ha tanto da offrire: non ha un clima eccessivamente caldo ed è un insieme di moderno e storico che difficilmente si può trovare altrove. Passare davanti al muro di Berlino, così come sorseggiare un caffè davanti la Porta di Brandeburgo, regala delle emozioni uniche. Poi c’è il Sony Center che invece è il simbolo dell’epoca moderna e che vi lascerà davvero a bocca aperta. Anche questa città non vi deluderà.

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Per quanto riguarda le tendenze di quest’estate, sicuramente per le donne un pezzo che non può mancare è il costume intero o rétro. Per l’uomo invece sembra dominare la fantasia: si va dai pinguini di Thom Browne alle pagine di play boy di MC2 Saint Barth. Per chi invece vuole rimanere più sobrio c’è il classico boxer di Armani o i semplicissimi monocolore di Calzedonia. Infine per quanto riguarda gli occhiali da sole il mio consiglio cade sempre sulla See Concept, di cui vi ho già parlato (no, non me li regalano per pubblicizzarli): economici e di tendenza.

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Insomma, ancora un piccolo sforzo e poi saremo ufficialmente liberi, pronti a goderci il meritato riposo. L’estate ormai sta arrivando, e che sia al mare o in montagna, in Italia o all’estero, l’importante è farsi trovare preparati!

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La musica che non ha paura: One Love Manchester http://www.360giornaleluiss.it/la-musica-non-paura-one-love-manchester/ Thu, 08 Jun 2017 15:30:03 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8674 Numerosi gli artisti di fama internazionale che si sono alternati sul palco del blindatissimo stadio del cricket di Old Trafford e che con parole e canzoni hanno lanciato un messaggio globale: no alla paura e no al terrorismo. Questo è One Love Manchester, il concerto di beneficenza voluto dalla  giovane pop star ventitreenne, Ariana Grande, a favore delle

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Numerosi gli artisti di fama internazionale che si sono alternati sul palco del blindatissimo stadio del cricket di Old Trafford e che con parole e canzoni hanno lanciato un messaggio globale: no alla paura e no al terrorismo. Questo è One Love Manchester, il concerto di beneficenza voluto dalla  giovane pop star ventitreenne, Ariana Grande, a favore delle famiglie colpite dall’attentato del 22 maggio proprio alla fine di un suo concerto.

Musica, abbracci, lacrime e una pioggia di coriandoli. Verrà ricordato come uno degli eventi più belli e significativi di questi anni, una dimostrazione di civiltà  e come un successo anche dal punto di vista della raccolta fondi per la croce rossa britannica: circa 10,5 milioni di sterline a fronte dei 2 che erano previsti.

“Let’s not be afraid”, non dobbiamo avere paura: è Marcus Mumford,  frontman della band dei Mumford & Sons, ad aprire il concerto con questo messaggio, intonando, dopo un minuto di silenzio, il singolo “Timshel”, dedicato alla scelta di un uomo tra bene e male.

 

“And death is at your doorstep

And it will steal your innocence

But it will not steal your substance

But you are not alone in this

And you are not alone in this

As brothers we will stand and we’ll hold your hand

Hold your hand”

Seguono i Take That. E la folla, composta da oltre 50mila persone  può finalmente sciogliersi e scatenarsi mentre la gloriosa “ex” boyband  canta: “We are Giants!”.

“Our thoughts are with everyone that has been affected by this, but right now we want to stand strong, look at the sky, and sing loud and proud.”

“I nostri pensieri si rivolgono a tutti quelli che sono stati coinvolti in questo (attacco) , ma ora  vogliamo restare forti , guardate verso il cielo e cantate forte”

— Gary Barlow, Take That.

E così  il coro oceanico intona Stars Are Coming Out Tonight. Poi nello stadio è subito festa e tripudio  per l’entrata in scena, presentato dai suoi ex compagni dei Take That, di Robbie Williams che canta “Strong” e “Angels”.

“Manchester, we’re strong, we’re strong, we’re strong. We’re still singing our song.”

— Robbie Williams, modificando il testo di “Strong”

 

Pharrell Williams, grande produttore e musicista americano,  riprende Get Lucky, grandissimo successo “disco” condiviso con i Daft Punk: “I’m bowing because despite all of the things that have been going on in this place, I don’t feel or smell or hear or see any fear in this building. All we feel tonight is love, resilience, and positivity.” Non vedo nessuna paura in questo luogo, solo amore dice al microfono Pharrell, chiamando in scena Miley Cyrus per un duetto sulla celeberrima “Happy”. Ballano tutti. Non c’è più paura. La  scelta della canzone, fortemente criticata, rispecchia il tema dell’evento: l’amore per la vita .

Dopo la festa, Miley Cyrus invita tutti ad assumere un contegno: “Dobbiamo essere ogni giorno ciò che diciamo di essere”. La canzone che segue, acustica, è una ballata, “Inspired”.

How can we escape, all the fear, all the hate?

Is anyone watching us down here?

Death is life, it’s not curse

Reminds us of time, and what it’s worth

To make the most out of our [?] here

Come possiamo sfuggire a tutta la paura, tutto l’odio?

Qualcuno ci sta guardando quaggiù?

La morte è vita, non è maledizione

Ci ricorda il tempo e quello che ne vale la pena

Per ottenere il massimo da noi, qui


Dopo l’esibizione di Niall Horan, la musica per qualche minuto tace. Scooter Braun, il manager di Ariana Grande, entra in scena e ringrazia tutti, soprattutto i giovanissimi che sono ancora qui: “Avete fatto qualcosa di grande. Avete sfidato la paura. L’avete guardata in faccia per dirle: Noi siamo Manchester! E il mondo vi sta guardando”. Il manager legge lettere di ragazzine che hanno perso i loro amici. Ma le lacrime lasciano il posto all’ovazione quando, concludendo, il maestro di cerimonie chiama a gran voce lei, Ariana Grande. Ritorna per un duetto con Victoria Monet dal titolo speranzoso: “Better Days”.  E non solo: l’artista  a sorpresa  si schiera con i Black Eyed Peas per sostituire la voce della storica componente Fergie, la cui assenza sembra confermarne l’uscita dalla band. Gossip a parte, non può che essere “Where Is The Love” la canzone, una domanda che torna a risuonare, più attuale che mai. La  canzone  che risale al 2003 era nata  proprio  “(..)Per alzare l’attenzione dopo le tragedie del terrorismo sia in Europa che negli Stati Uniti”.

Katy Perry, capelli platinati e piume candide: “L’amore batte l’odio e batte la paura. Toccate la persona che è accanto a voi, entrate in contatto l’uno con l’altro. E ditevi: ti voglio bene”. Ultimamente contraddistintasi per comportamenti piuttosto eccentrici, ha scelto di onorare le vittime di Manchester non soltanto cantando ma anche attraverso il proprio outfit. L’artista di 32 anni è salita sul palco del One Love Manchester indossando un tubino bianco  dove erano stampate le foto delle 22 vittime dell’attentato.


“It’s not easy to always choose love, is it? Especially in moments like these. It can be the most difficult thing to do. But love conquers fear and love conquers hate. And that love that you choose will give you strength. I encourage you to choose love, even when it’s difficult. Let no one take that away from you.”

“Non è facile scegliere l’amore in momenti come questo, può essere una scelta difficile, ma l’amore sconfigge la paura e l’odio, è la nostra forza più grande. Tutti voi che siete qui o a casa, accanto ad un parente, un amico o un estraneo: toccatevi e guardatevi facciamo questo esperimento, creiamo contatto umano”


Da brivido il suo discorso e ragionata la scelta dei pezzi portati sul palco. La versione acustica di “Part Of Me”  fa piangere  e rinforza i giovani presenti allo stadio o davanti allo schermo:

This is the part of me

That you’re never gonna take  away form me, no

Throw  your sticks and your stones

Throw  your bombs  and your  blows

But you’re not gonna break my soul

This is a part of me

Questa è la parte di me

Che non porterai mai e poi mai via da me, no

Lancia i tuoi bastoni e le tue pietre, lancia le tue bombe e i tuoi esplosivi

Ma non distruggerai la mia anima

Questa è la parte di me

Finalmente poi Katy ruggisce: “Roar”, il pubblico è un unico, ritmico battito di mani.

Subito dopo è l’intero Old Trafford a ruggire, letteralmente, quando in scena compare Justin Bieber che con la chitarra acustica si accompagna in perfetta solitudine in “Love Yourself” e “Cold Water”. Ma Justin non si limita a cantare, lanciando uno dei messaggi più belli della serata: “You guys are so brave. … Would you agree that love always wins?”

“Love! Love! Love! Love!” urla l’idolo, la folla risponde come la curva di uno stadio. Contemporaneamente  Una telecamera inquadra un bobby che danza in girotondo mano a mano con quattro ragazzine. Ed è tutto ciò che serve per avere speranza.

Anche Chris Martin dei Coldplay accolto da un’ovazione,  ringrazia Ariana Grande e assieme al chitarrista Jonny Buckland regala una cover di “Don’Look Back in Anger”, tributo a Manchester. Canta tutto l’Old Trafford Cricket Ground. E arriva anche il momento degli accendini, così, in questa atmosfera incredibilmente intima, i Coldplay al gran completo intonano per Manchester anche il loro canto d’amore: “Fix You”, e di vita:”Viva la Vida”. Luci, coriandoli e magie che come sempre accompagnano il gruppo.

I Coldplay evocano gli Oasis e Liam Gallagher, si materializza per davvero. Nessuno potrà dimenticare l’immagine di Chris Martin che imbraccia la chitarra e si mette al servizio di Liam in “Live Forever”:

“You and I, we’re gonna live forever You and I are gonna live forever

We’re gonna live forever

Gonna live forever

Live forever

Forever.”

Durante il concerto-evento non sono mancati i messaggi di solidarietà, tramite filmati, tra cui quelli di U2, Paul McCartney, David Beckham e tanti altri.

Manchester ha dunque risposto all’invito di Ariana Grande, sfidando la paura, pur sapendo che a Londra quella stessa paura era  tornata a colpire meno di 24 ore prima, sconvolgendo il sabato sera della Capitale del Regno Unito, spargendo dolore in altre famiglie. Ma non esserci quella sera sarebbe stato come darla vinta alla paura che è morte. Al concerto-evento  per dire no al terrorismo e alla paura sono accorsi  decine di migliaia di  giovani e adulti perché non hanno voluto rinunciare al diritto di sorridere, di ballare, di unirsi in coro ai loro idoli. Un evento che ha unito più generazioni, più generi musicali, più stili di intendere la musica, uniti in nome della libertà, di una città, di un unico amore.

“La risposta alla violenza sarà quella di stringerci insieme e di cantare più forte […] Non ci faremo dividere, non resteremo in silenzio. Non lasceremo che l’odio vinca”. Ariana Grande

Nonostante tutto la vita non si è fermata, ancora una volta; quindi: “Fuck you, I’m Millway”

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Zara ritira dal mercato la minigonna della discordia http://www.360giornaleluiss.it/zara-ritira-dal-mercato-la-minigonna-della-discordia/ Wed, 17 May 2017 07:26:10 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8660 Non più la mela della discordia. In questo caso la minigonna della discordia. Zara ci è cascata di nuovo ed è finita ancora una volta nella bufera. Ma procediamo con ordine. Chi di voi non ha sentito parlare almeno una volta di Pepe the frog? Questa simpatica rana antropomorfa nacque da un’idea di Matt Furie

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Non più la mela della discordia. In questo caso la minigonna della discordia. Zara ci è cascata di nuovo ed è finita ancora una volta nella bufera. Ma procediamo con ordine. Chi di voi non ha sentito parlare almeno una volta di Pepe the frog? Questa simpatica rana antropomorfa nacque da un’idea di Matt Furie nel 2005 ed ebbe così successo che poi è diventato il meme più utilizzato su Tumblr, Reddit e poi Instagram. Tuttavia il successo gli è costato caro visto che poi la sua immagine è stata sfruttata da gruppi di estrema destra. Pepe così è diventata razzista, sfruttata per diffondere l’ideologia della supremazia della razza bianca, tanto che è finita nella lista dei simboli dell’odio stilata dall’Anti-Defamation League, organizzazione americana nata per combattere l’antisemitismo. Infine, nei tempi più recenti la povera rana è stata utilizzata dal movimento Alt-Right per spingere a votare Trump.

 

 

Purtroppo però qualcosa deve essere sfuggito agli stilisti di Zara che hanno avuto la brillante idea di cucire su una minigonna una rana molto simile alla povera Pepe e così è scoppiata la polemica: nel giro di pochi giorni l’azienda spagnola è stata costretta a ritirarla dal commercio. Crederete che sia stato un caso isolato e invece questo è solo l’ultimo dei tanti flop che hanno segnato la storia della casa di moda spagnola. Solo l’anno scorso infatti l’azienda ha dovuto ritirare una maglia che riportava la scritta “are you gluten free?” che aveva scatenato le polemiche di tutti i celiaci del mondo che si erano sentiti offesi e nel 2014 ancora un’altra “svista”: l’azienda mise in commercio per la collezione bimbo una maglia a righe bianche e blu con una stella gialla sul petto che ricordava le divise dei campi di concentramento. Infine nel 2007 un altro tragico errore; tra le tante borse della collezione una attirò particolarmente l’attenzione: tra i fiori e le biciclette cucite sulla borsa spuntava una svastica. Sì, avete letto bene. Inutile dire che anche questa fu ritirata immediatamente dal commercio.

Nonostante l’azienda spagnola si sia trovata spesso al centro della polemica, va riconosciuto che si è dimostrata molto vicina a questo tipo di tematiche, correndo subito ai ripari, anche nel caso di polemiche forse sterili: in effetti a parte casi inequivocabili, l’opinione pubblica è stata forse troppo dura con Zara, andando a ricercare somiglianze, delle volte in maniera forzata, con simboli che ricordano momenti tragici del passato. L’azienda ha rimediato subito in tutte le occasioni ma c’è da chiederselo: sensibilità eccessiva o polemica giusta? Noi intanto aspettiamo la prossima.

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Narcisismo da social network http://www.360giornaleluiss.it/narcisismo-social-network/ Wed, 10 May 2017 15:56:05 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8638 Trascorriamo in media 2 ore al giorno a navigare, postare e commentare su Facebook, Twitter, YouTube e altre piattaforme social ma quali sono gli effetti dei social media sul nostro cervello? A descriverli con precisione e un pizzico di ironia ci ha pensato il team di AsapScience, spiegando per punti 5 modi inaspettati e curiosi in

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Trascorriamo in media 2 ore al giorno a navigare, postare e commentare su Facebook, Twitter, YouTube e altre piattaforme social ma quali sono gli effetti dei social media sul nostro cervello? A descriverli con precisione e un pizzico di ironia ci ha pensato il team di AsapScience, spiegando per punti 5 modi inaspettati e curiosi in cui l’uso dei social altera alcuni meccanismi cerebrali:

social

1. DIPENDENZA. Le regioni celebrali che controllano le emozioni, l’attenzione e i processi decisionali si degradano così come avviene nel cervello di chi fa abuso di droghe. La ragione? Il cervello ottiene un appagamento immediato, con poco sforzo, offerto dai social media.

2. MULTITASKING. Si pensa che l’uso dei social ci renda più abili nel gestire più compiti contemporaneamente, la verità? Chi trascorre molto tempo sui social diviene meno abile nel passare da un compito all’altro, più facilmente distraibile e meno efficiente nel memorizzare informazioni.

3. SINDROME DA VIBRAZIONE FANTASMA. L’89% delle perone provano questa sensazione una volta ogni 15 giorni. Questo avviene perché gli smartphone vengono interpretati come “arti fantasma” dalle aree del cervello che analizzano le sensazioni tattili.

4. RILASCIO DI DOPAMINA. Studi in risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che i centri della ricompensa nel cervello sono più attivi quando, in una conversazione, stiamo parlando di noi, piuttosto che quando ci è chiesto di ascoltare. Ma se nelle chiacchierate faccia a faccia parliamo di noi stessi nel 30-40% delle volte, su Facebook è autocentrato l’80% dei post. Quando scriviamo di noi nel nostro cervello si libera dopamina, un neurotrasmettitore associato alle sensazioni di benessere: è come se il cervello in qualche modo ricompensasse il nostro egocentrismo! Ma c’è di più.
In una ricerca condotta da Dar Meshi, ricercatore post doc dell’Università di Berlino gli studiosi hanno analizzato l’area del cervello di 31 utenti Facebook denominata “nucleus accumbens“ mentre visualizzavano foto di se stessi. Quest area dispensa sensazioni di ricompensa derivanti da cibo, sesso, denaro e accettazione sociale, ed è stato notato che diventa maggiormente attiva in risposta ai complimenti verso se stessi. Non si può affermare con certezza che i like su Facebook creino dipendenza però il cervello adora pregustare le ricompense e se non riesce a ottenerle, svilupperà un comportamento ossessivo fino a che non trova il metodo adatto. Reaction, commenti e condivisioni sono, quindi, delle vere e proprie ricompense che appagano gli utenti, li spingono a pubblicare sempre più contenuti e a restare connessi per sapere cosa ne pensano gli altri. Vi siete mai chiesti perché non esistono reaction negative, del tipo “non mi piace”? Chiaro, per non demoralizzare l’utente, per non scoraggiarlo. Un circolo, naturalmente, virtuoso per gli ideatori dei social e per chi ci lavora. Vizioso, invece, per chi sviluppa delle dipendenze.

5. RELAZIONI INTERPERSONALI. Una ricerca dell’Università di Chicago ha dimostrato che i rapporti nati su Internet sono più solidi di quelli nati offline: in queste storie prima di incontrarsi di persona si ha modo di conoscere gusti e passioni dell’altro.

Un’altro elemento che merita di essere considerato è l’opinione degli influencer. Sono persone che godono di popolarità e ritenute esperte nel loro ambito di competenza: influenzano i comportamenti degli utenti che li seguono tanto da diventare i leader non solo delle mode del momento, ma anche delle scelte di acquisto, modificando quindi l’aspetto di un mercato. D’altra parte in un ambiente circoscritto i giovani sono portati ad adottare comportamenti simili: un ragazzo è portato a “mettere un like” ad un post che già ne possiede un numero elevato anche per uniformarsi ai gusti della massa.

Sarebbe dunque più saggio abbandonare i social? Ovviamente no, è sufficiente utilizzarli senza esagerare.

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Moda islamica all’italiana http://www.360giornaleluiss.it/moda-islamica-allitaliana/ Wed, 03 May 2017 07:23:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8611 Rispettare le proprie esigenze senza bisogno di rinunciare al piacere della moda. È questa la ricetta del successo di Hind Lafrem. Marocchina, di 23 anni, ha iniziato a creare abiti per donne di fede musulmana che si rispecchiano nei canoni di moda occidentale, ma non vogliono, allo stesso tempo, tradire i precetti dell’Islam. L’idea della

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Rispettare le proprie esigenze senza bisogno di rinunciare al piacere della moda. È questa la ricetta del successo di Hind Lafrem. Marocchina, di 23 anni, ha iniziato a creare abiti per donne di fede musulmana che si rispecchiano nei canoni di moda occidentale, ma non vogliono, allo stesso tempo, tradire i precetti dell’Islam. L’idea della giovane stilista, come ha spiegato in numerose interviste, nasce da un’esigenza personale, essendo lei stessa musulmana, ma cresciuta in Italia, e dal confronto con altre amiche come lei. Il bisogno di indossare l’hijab o abiti poco aderenti non deve portare alla mortificazione. E per questo la giovane marocchina decide di fare della propria necessità una virtù e inizia a cucire e a mettere in pratica ciò che ha imparato all’istituto di moda di Torino, che inizia a frequentare dopo due anni di ragioneria, e dal quale si diploma.

Nel 2014 apre una pagina FB, Lafram, attualmente in corso di aggiornamento, dove inizia a pubblicare foto delle sue creazioni, grazie anche all’aiuto della sorella di due anni più piccola, che le fa da modella. Iniziano così i primi commenti, i primi feedback delle donne alle quali si rivolge, che adesso le commissionano abiti da realizzare.  Crea così hijab colorati, vestiti da sposa, burkini su misura, dando sfogo alla sua creatività. Per quanto riguarda quest’ultimo capo, il cui termine particolare si deve ad Aheda Zanetti, che nel 2004 lo usò per descrivere quello che può essere visto come un costume “islamicamente corretto”, Hind lo definisce non come una mortificazione della donna ma come uno strumento sportivo che combatte la discriminazione. Infatti, grazie al burkini, realizzato con tessuto di tute da sub, le donne musulmane possono andare al mare e mostrarsi in presenza di uomini, senza la necessità di andare nelle apposite “piscine per signore”. Hind inizia così a cucirli, riducendo quindi la necessità per le musulmane in Italia di importarlo, e perché no, aggiungendoci anche qualche accessorio che lo renda più personale.

Piano piano la giovane stilista ha ricevuto inviti per partecipare a sfilate locali, mostre ed eventi di bellezza, sino ad arrivare al Salone Internazionale del Libro a Torino. Lo scorso aprile è stata invitata come ospite al Festival del Giornalismo di Perugia, come speaker alla conferenza “Media e Islam: tra disinformazione e nuovi orientalismi”. Attualmente lavora presso un ufficio stile di Milano e sta creando ad una propria collezione con un marchio registrato. L’inizio di un made in Italy simbolo di apertura e sensibilità in un settore che rende il Bel paese conosciuto in tutto il mondo.

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