Occhi da orientale

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Fiumicino. Terminal 3, ci siamo. Check-in, security, imbarco, si parte. Direzione Hong Kong poi traghetto per Macao. Undici ore e trentacinque minuti, volo diretto. Tutti dormono, ma come fai a dormire se stai andando a vivere dall’altra parte del mondo, a diecimila chilometri da casa? Come fai a dormire se stai andando a stare in Cina: il lontano Oriente. Non dormi, pensi. Guardi fuori dal finestrino: l’alba. Certo, pensi, il sole sorge a est. L’alba di una nuova esperienza. Paura, eccitazione, aspettative e stanchezza si mescolano come i colori in un caleidoscopio. Ci siamo. Atterri. L’aeroporto di Hong Kong è immenso. Segui le indicazioni per il traghetto per Macao. La traversata non è finita. Speri che non ti perdano la valigia. Aspetti. il primo traghetto è alle 12. Quattro ore di attesa. Una specie di limbo tra ciò che conosci e l’ignoto. Ti guardi intorno. Sono tutti asiatici.Ti guardano tutti, i bambini ti girano intorno incuriositi, gli adulti ti osservano diffidenti. Una signora ti scatta una foto. Sei una straniera. I tuoi pensieri vengono interrotti da un sonoro rutto, ti giri incredula: una donna. Nessuno sembra turbato. Ti chiedi dove sei finita. Tempo di prendere il traghetto. Guardi ancora fuori dal finestrino. L’acqua è marrone. Ti vengono in mente tutte quelle cose che ti sono state dette a casa sull’inquinamento in Cina, chissà che cosa stai respirando. Decidi di non pensarci. Il traghetto attracca. Passi la dogana. Senti il suono sordo del timbro. Sei arrivata. Taxi. Ed eccola, presentarsi subito, immensa e insormontabile, la barriera linguistica che ti farà da personale muraglia cinese da scavalcare ogni volta che hai una conversazione con qualcuno, per tutta la durata della tua permanenza in Cina. “University of Macau, please”, il tassista non ti capisce,  meno male che tra le varie scartoffie che hai nella borsa hai anche un biglietto con l’indirizzo in cinese dell’università, glielo mostri, speri abbia capito, parte. 79 MOP. Il tuo primo pagamento in Patacas. E’ come come quando da piccola mamma e papà ti davano 1000 lire per comprare le figurine: non sai bene quanto valgano, ma ti hanno portato dove volevi andare e va bene così.

University of Macau: L’insegna si erge davanti a te come un traguardo, ma in breve realizzi che non sei che ai blocchi di partenza. Infatti, ben presto, ti rendi conto che la Cina non è poi così lontana, che nel mondo perennemente connesso in cui viviamo la distanza geografica non si sente poi così tanto e che  la vera sfida non era il viaggio o la distanza geografica. La sfida vera, è un’altra, molto più emozionante: è quella culturale che risiede nel loro modo di relazionarsi con il prossimo, nel loro modo di percepire la buona educazione, nel loro modo di non rispettare le regole e le persone, nel loro modo di mangiare e in generale di vivere radicalmente diverso dal nostro. Dopo poco la sensazione è quella di essere atterrati su un altro pianeta, dove per di più la comunicazione è interrotta per ragioni linguistiche. Tutto questo all’inizio è un shock, ma quando metabolizzi la differenza immensa che c’è tra quello che hai davanti e quello che hai sempre conosciuto sei inevitabilmente spinto a cercare di comprenderlo e a imparare a relazionartici senza dover cambiare quelle che sono le tue abitudini, ma trovando un equilibri fra te e loro. Certo, è necessario avere un pochino di spirito di adattamento, è innegabile, ma credo che sia in questo che consiste la grande sfida di una esperienza simile: provare ad vedere con occhi da orientale.

Credo che sia questo che ha reso questa esperienza importante, al di là delle lezioni condotte in maniera molto differente, al di là delle feste, che certo non sono mancate, al di là della opportunità di viaggiare e visitare posti straordinari, al di là della affermazione della propria indipendenza e, in generale, al di là di tutte quelle esperienze che inevitabilmente trascinano fuori dalla propria comfort zone.