TRUMPIZATION

Cos’è Donald Trump? E, soprattutto, cosa sta succedendo nella mente degli Americani?

Col passare del tempo il mondo si rende sempre più conto di aver sottovalutato il potenziale di Donald Trump,emergente personaggio politico. O per meglio dire, personaggio.

Una fortuita coincidenza ha voluto che durante il mio Exchange negli Stati Uniti mi trovassi a Columbia, South Carolina, città in cui il candidato alle presidenziali aveva deciso di incontrare gli elettori dello Stato. Nel lontano 23 Settembre 2015 Trump non aveva ancora avuto il tempo di farsi conoscere e nessuno sapeva bene cosa aspettarsi da lui.

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Il meeting comincia con il giuramento, l’inno americano, ed il discorso introduttivo di Tim Scott, senatore repubblicano per la South Carolina. Il politico è giovane e di colore, ringrazia calorosamente il pubblico e con doti ed entusiasmo degni di un animatore da spiaggia ed un forte accento Southern infervora il pubblico chiedendo “siete tutti qui per Trump?” e “non ho sentito bene, siete tutti qui per Trump?”. Dopo essersi congratulato con il candidato per aver portato energia ed entusiasmo nel partito repubblicano dopo tanto tempo, e per il suo punto di vista indipendente sui processi politici, lo invita sul palco.

Quello che è seguito, a pensarci ora, ha del familiare.

La dote che bisogna riconoscergli è il carisma.

Comincia subito in quarta, con il suo sempreverde slogan “Make America great again” e con critiche all’operato dei suoi predecessori e ad Obama per essere stato poco di polso in alcune situazioni.

“That won’t happen with Trump!”

Esalta il fatto che sia il più indipendente tra i candidati, perché autofinanzia la sua campagna elettorale e non ha lobby che possono controllarlo. Tuttavia accetta con piacere le piccole donazioni dei suoi sostenitori perché sono un segno del loro supporto.

Un aggettivo che gli si addice è “unpredictable”, imprevedibile.

12784775_10207678984566185_1537078499_nGià allora si vantava dei Poll, i sondaggi, in cui era dato come favorito già al tempo, e del suo temperamento forte, che è esattamente ciò di cui l’America ha bisogno. Interrogato sulla sua posizione riguardo all’immigrazione, propone la sua ormai stra sentita soluzione del muro tra USA e Messico, finanziato dal Messico stesso, e riguardo al problema dell’occupazione dichiara che sarà il “più grande presidente della storia per creazione dei posti di lavoro che Dio abbia mai visto”.

Aggiunge che servono più valori, più religione, e che il suo più grande successo nella vita sono sua moglie e i suoi figli. Parole che fanno battere il cuore ad ogni Repubblicano.

Alla fine di questi 50 minuti di slogan, paroloni ed, essenzialmente, davvero nulla di concreto, io e qualche amico ci siamo chiesti cosa ne pensasse il resto degli spettatori che gremivano la sala conferenze. Così ci siamo messi ad intervistare persone appena uscite dal comizio per catturare a caldo le prime impressioni. Gli intervistati erano quasi tutti provenienti da Stati del Sud  ed ovviamente quasi tutti Repubblicani. Quello che ci siamo sentiti rispondere da quasi tutti è stato che dopo la conferenza erano molto più propensi di prima a votarlo, perché era sembrato più impegnato e meno aggressivo che in tv. Erano anche attratti dal suo spirito, dalla sua energia e dal suo percorso come business man. Gli unici oppositori che abbiamo trovato erano due ragazzi del Wisconsin, sostenitori di Bernie Sanders, che urlavano e mostravano cartelli contro Trump all’uscita dall’edificio. Due personaggi sopra le righe che seguivano il candidato ad ogni conferenza per cercare di persuadere i potenziali elettori a non votare per lui. Furono gli unici a dire, quella sera, che Trump  rispondeva evasivamente a domande di per se già deboli e che non aveva sostanza né valori. Inoltre poteva anche vantarsi di non essere parte dell’establishment politico ma faceva parte di quello dei grandi industriali americani che se possibile era ancora peggio.

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Bene, e ora la domanda: perché Trump ha successo? Perché è già a quota 10 stati vinti (incluso ovviamente il South Carolina) ed il suo stesso partito sembra non poter fare niente per fermarlo?

Da italiana, quello che mi viene in mente è che gli americani stiano cadendo nella trappola che noi conosciamo già così bene: essere un grande imprenditore non vuol dire essere un grande capo di Stato, perché gestire grandi compagnie non è esattamente come gestire il governo di un Paese.

Anche se, a quanto pare, le sue doti di businessman siano allo stesso modo discutibili, come dichiarato da Mitt Romney durante una conferenza stampa di qualche giorno fa e spiegato da John Oliver nel suo programma “Last Week Tonight”.


Ma allora, qual è il suo segreto?

È che con Trump è più facile!

Parlare di sanità, imprenditoria, politica estera, immigrazione. Con l’ingenuità di un bambino continua a proporre soluzioni come se fossero caramelle.

Come risolvere l’immigrazione? Costruiamo un muro.

Come creerai nuovi posti di lavoro? Facendolo.

Qual è il tuo piano per la riforma sanitaria? Abbattere i confini degli Stati.

D’accordo. Ma questo non funziona, non è un piano, non è politica.

In compenso è molto rassicurante. è probabilmente quello che tutti vorrebbero sentirsi dire: che c’è una soluzione semplice a problemi grandi e basta fidarsi di quell’imprenditore divertente e di successo e tutto si sistemerà.

Perché l’America è fondata sul concetto di grandezza e ne ha bisogno per andare avanti. È uno Stato dalla storia relativamente breve che ha fondato la sua identità sul fatto di essere indipendente e di aver superato il resto del mondo raggiungendo la supremazia economica e militare. È stata e resta “the land of the Freedom”.

E questi sono tempi spaventosi: varie zone del mondo attraversano devastanti crisi migratorie, gruppi di terroristi riescono a raggiungere capitali occidentali e a compiere stragi, stiamo appena riuscendo ad uscire da una devastante crisi economica globale iniziata 8 anni fa e le potenze emergenti cominciano a mettere in discussione gli equilibri internazionali che abbiamo conosciuto fin’ora.

In tutto questo, forse, è solo troppo difficile per un cittadino americano resistere alla voce di un omino con un microfono, vestito coi colori della Star-Spangled Banner,  che senza troppi problemi promette “I will make America great again”.