Trump – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Thu, 15 Feb 2018 11:32:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Trump – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 L’addio di Trump ad UNESCO: accuse di “anti-Istraelian bias” http://www.360giornaleluiss.it/trump-lascia-unesco/ Sat, 14 Oct 2017 12:55:18 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8945 Correva l’anno 1945 quando la potenza statunitense firmava la costituzione dell’UNESCO. Una firma che comportò un’erogazione di finanziamenti pari quasi a 83 milioni e mezzo di dollari l’anno. Tuttavia queste cifre a 5 zeri sono negate all’UNESCO da ben sei anni, un finanziamento bloccato che oggi sfiora un debito di 500 milioni. Debiti saldati o

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Correva l’anno 1945 quando la potenza statunitense firmava la costituzione dell’UNESCO. Una firma che comportò un’erogazione di finanziamenti pari quasi a 83 milioni e mezzo di dollari l’anno. Tuttavia queste cifre a 5 zeri sono negate all’UNESCO da ben sei anni, un finanziamento bloccato che oggi sfiora un debito di 500 milioni.

Debiti saldati o meno, sono altre le ragioni che hanno portato il Presidente Donald Trump alla decisione di lasciare l’organizzazione.

Ebbene sì, la storia si ripete dopo circa 40 anni dal primo tentativo di Ronald Reagan. In questo caso la miccia ha iniziato a bruciare nel 2011, quando la Palestina è ufficialmente diventata un paese membro. Da quel momento la relazione tra l’istituzione internazionale culturale e gli USA si è incrinata.

Nel Luglio 2017, Unesco dichiara la Città Vecchia di Hebron e la Terra dei Patriarchi ,“siti Palestinesi” del Patrimonio mondiale. In allegato a tal definizione troviamo “in pericolo”, alludendo maliziosamente alla vicinanza con Israele.

Apriti cielo.

L’indignazione degli Israeliani si accompagnò a nuovi sentimenti di ostilità, condivisi con il potente alleato statunitense che osservava amareggiato dalle retrovie.

Il legame polito-economico tra USA e Israele ha radici profonde, non per altro già durante la presidenza di Abram Lincoln si avviarono i primi movimenti sionisti volti a riconoscere una patria per gli ebrei, appoggiati dal presidente stesso. Un vero e proprio “sogno condiviso da molti americani” a detta di Lincoln.

Israele era una nazione amica in un campo minato, un fattore che si rivelò fondamentale durante la Guerra Fredda, quando gli Israeliani elargirono un po’ più di qualche informazione sull’armamentario Sovietico, unito in accordo con le vicine Siria ed Egitto.

La svolta arrivò dopo l’11 settembre 2001, quando la questione musulmana diventò un tabù per gli Stati Uniti:  un argomento impensabile che non poteva prendere forma nemmeno mentalmente, tanta era la paura, tanta era la rabbia.

In quel frangente Israele rimase l’unico stato non-musulmano in quella zolla terrestre.

Nel frattempo, Hamas e Israele si impegnavano da anni in una politica di (auto)distruzione in una “striscia” di arena diventata ormai un’ecatombe, fin quando nel 2008 la man forte israeliana ideò l’operazione Piombo Fuso al fine di terminare questa guerra. A seguito di una presa di posizione troppo marcata, le Nazioni Unite dichiararono che Israele aveva violato i diritti umani del popolo palestinese. Ancora una volta gli Stati Uniti difesero la causa israeliana.

Arrivando ai giorni nostri, l’America accusa l’UNESCO di “anti-Israelian bias”, un attacco pungente rilasciato dall’amministrazione di Trump. Quest’ultima è stata attenta a precisare che la decisione non è avvenuta “nottetempo”, bensì è la reazione ad un sentimento di delusione già ben radicato negli animi della popolazione.

L’acronimo UNESCO sta per “Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura”, un’istituzione che dovrebbe vantare una maturità culturale tale da non lasciare spazio a pregiudizi. A questo proposito è evidente come la potenza americana non sia troppo d’accordo, riconoscendo che forse a renderci uniti c’è solo un’ipocrisia fondante.

Nonostante ciò, l’obbiettivo primo dell’organizzazione continua ad essere un quid fondamentale nella linea politica statunitense, pertanto la confederazione continua ad impegnarsi come “stato osservatore” abbandonando la membership, ma mettendo a disposizione competenze consultive.

Quello compiuto degli Stati Uniti in data 12 Ottobre 2017 è un grande passo- forse addirittura troppo grande- che indica però una forte determinazione a procedere secondo la linea isolazionista da sempre preferita dalla nuova amministrazione.

Questa è solo l’ultima mossa (per ora) di una lunga serie, che potrebbe portare gli Stati Uniti a distaccarsi pesantemente dalla politica filo-liberale adottata dalla maggior parte degli stati a livello mondiale, e che, non bisogna escluderlo, potrebbe portare alla nascita di movimenti più radicalizzati e soprattutto basati su principi completamente diversi da quelli con cui vennero fondate istituzioni come le Nazioni Unite.

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L’America che entra in guerra http://www.360giornaleluiss.it/lamerica-entra-guerra/ Fri, 07 Apr 2017 16:37:39 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8484 Trump ordina un’azione militare contro Assad   Venerdì 7 Aprile 2017, ore 2:30 italiane. Parte l’ordine per il lancio di 59 missili Tomahawk contro le basi munite di armamenti chimici del presidente siriano Bashar al-Assad. Bilancio ufficiale: 5 vittime tra cui 2 civili. Bilancio secondo l’agenzia di stampa Sana: 15 morti tra cui 4 bambini. Trump, dopo

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Trump ordina un’azione militare contro Assad

 

Venerdì 7 Aprile 2017, ore 2:30 italiane. Parte l’ordine per il lancio di 59 missili Tomahawk contro le basi munite di armamenti chimici del presidente siriano Bashar al-Assad. Bilancio ufficiale: 5 vittime tra cui 2 civili. Bilancio secondo l’agenzia di stampa Sana: 15 morti tra cui 4 bambini.

Trump, dopo la cena di stato con il presidente cinese Xi Jinping, ha annunciato che gli Stati Uniti d’America non rimarranno in silenzio davanti ai gravi attacchi contro la popolazione siriana, avvenuti lo scorso martedì 4 aprile, per mano del governo di Damasco.

“Assad ha stroncato le vite di uomini, donne, bambini senza speranza. È stata una morte lenta e brutale per molti di loro. Perfino neonati meravigliosi sono stati crudelmente assassinati in questo attacco barbarico. Nessun figlio di Dio dovrebbe mai patire un simile orrore”

Nel frattempo non si è fatta aspettare la risposta russa. Il Cremlino ha subito chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite poichè, secondo quanto dichiarato dal presidente del comitato di Difesa e sicurezza del Consiglio Federale, “questo può essere considerato come un atto di aggressione da parte degli Stati Uniti contro uno Stato dell’Onu”.

Le armi

Martedì 4, il governo siriano sgancia sulla popolazione dei barili contenenti armi chimiche. Si tratterebbe del Sarin, un gas nervino classificato dalle Nazioni Unite come arma chimica di distruzione di massa. E’ completamente inodore, lascia un fumo di colore giallo e basta respirarlo o entrarvici in contatto per rimanere completamente contaminati. I primi sintomi si presentano nella forma di difficoltà respiratorie, ma in pochi minuti il veleno intacca il sistema nervoso portando alla morte. I Caschi Bianchi e i Medici senza frontiere, trovandosi di fronte ad una situazione così grave e inaspettata, sciacquano i feriti con acqua ma subito si rendono conto che ormai c’è ben poco da fare. Un bambino, sopravvissuto all’attacco chimico, ha raccontato quei drammatici momenti così:

“Ero ad EL Hamra (un quartiere). Stavo guardando gli aerei. L’aereo ha sganciato un barile. Ho visto il fumo, era giallo.”

L’amministrazione Trump ha invece utilizzato i missili Tomahawk, ovvero missili da crociera con una gittata di circa 2500 km; questi possono contenere fino a 500 kg di esplosivo.

Le reazioni internazionali

L’Unione Europea ha dichiarato oggi di essere già da tempo a conoscenza del piano americano. Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha seguito gli sviluppi durante la notte con i membri della diplomazia di Bruxelles. Netanyahu, Primo Ministro israeliano, è stato il primo ad appoggiare l’iniziativa militare statunitense in quando “l’uso di armi chimiche non è e non sarà tollerato”. Erdogan ha immediatamente chiamato Putin e reso noto che i rapporti con gli alleati sono a un passo dalla completa chiusura.

 

 

 

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We the People http://www.360giornaleluiss.it/we-the-people/ Wed, 25 Jan 2017 19:42:23 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8024 Quando le strade del mondo si tingono di umanità e solidarietà lo scenario è impagabile: Charles Bukowski diceva: “la gente è il più grande spettacolo del mondo e non si paga il biglietto” e la Women’s March ne è l’ennesima dimostrazione: donne, uomini e bambini di diverse nazionalità che inondano le vie perché la loro

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Quando le strade del mondo si tingono di umanità e solidarietà lo scenario è impagabile: Charles Bukowski diceva: “la gente è il più grande spettacolo del mondo e non si paga il biglietto” e la Women’s March ne è l’ennesima dimostrazione: donne, uomini e bambini di diverse nazionalità che inondano le vie perché la loro voce sia ascoltata, perché i loro diritti siano rispettati e le loro scelte prese in considerazione. Non è solo politica ma la dimostrazione che riconoscersi l’uno nell’altro è possibile e che non c’è niente di più meraviglioso di sapere che non si è soli; milioni di persone combattono la tua stessa battaglia, sono pronte ad alzare la voce e mettersi in gioco perché un diritto non diventi solo rumore di sottofondo, ma invece sia la voce narrante. Non importa in quanti e con quanta forza cerchino di abbassare il volume.

Nonostante il nome, la marcia ha visto il coinvolgimento anche di numerosi uomini e, dato il suo carattere pacifico (non c’è stato neanche un arresto), si è dimostrata anche adatta alle famiglie. Molti, infatti, i bambini che hanno preso parte alla manifestazione insieme ai propri genitori, dimostrando così quanto sia grande il supporto riscontrato. La Women’s March è la più vasta manifestazione politica dai tempi della guerra del Vietnam. I numeri raggiunti, infatti, sono strabilianti: 2 milioni e mezzo di manifestanti e 670 marce sparse in tutto il mondo tra cui: Sydney, Seul, Tokyo, Londra, Barcellona, Madrid e numerose altre grandi città che hanno preso parte alla protesta.

Ovunque le strade si sono tinte di rosa anche grazie anche al “pussyhat”: berretto rosa con le orecchie da gatto divenuto il nuovo simbolo del pink power e nato dall’idea di due amiche di Los Angeles di unire in un gioco di parole: “Pussycat”, che significa micio o gattina – usato anche per esprimere il concetto di ‘bella ragazza’ – e ‘hat’, cappello. Il berretto, indossato non solo dalle donne, è un chiaro riferimento alle parole pronunciate da Trump in una registrazione risalente al 2005 in cui si vanta di poter fare ciò che vuole con le donne.

Il 21 Gennaio 2017, quasi tre milioni di persone in tutto il mondo hanno manifestato non solo contro la diseguaglianza di genere, ma contro la diseguaglianza di ogni genere; hanno visto come volevano dividerli e ne hanno fatto uno strumento di unione. Lo stesso Bernie Sanders, candidato alle primarie democratiche del 2016, ha twittato: “President Trump, you made a big mistake. By trying to divide us up by race, religion, gender and nationality you actually brought us closer.” (Presidente Trump, ha fatto un grande errore. Provando a dividerci in razza, religione, genere e nazionalità ci ha in realtà avvicinati). Unione è infatti la parola chiave di questa manifestazione. È importante però ricordare che il significato di questa parola non è l’essere d’accordo su ogni cosa, ma piuttosto rispettare tutti perché la dignità di un essere umano non dipenda dal fatto che questo ci piaccia o meno; un’unione che vada oltre la destra e la sinistra e che stia semplicemente dalla parte del giusto. Tra i molti slogan proposti, infatti, spicca per originalità e significato quello che recita “Love each other more than you hate him” (“amatevi a vicenda più di quanto lo odiate”) in cui il riferimento al neo presidente eletto Donald J. Trump è evidente, ma tutt’altro che centrale e lascia spazio a un concetto più profondo e universale: il potere dell’amore, in ogni sua forma.

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Nonostante ciò, il sentimento anti-Trump ha svolto un ruolo fondamentale e primario nella manifestazione; numerosi sono stati i riferimenti alle parole spese dal tycoon in occasioni precedenti, specialmente nei confronti delle donne, primo tra tutti l’appellativo “nasty” usato nei confronti della Clinton in campagna elettorale. La protesta è stata, inoltre, interpretata come l’inizio di un periodo di “Resistenza” che comincia dal primo giorno successivo all’insediamento del magnate newyorkese alla Casa Bianca e non ha intenzione di arrestarsi fino alla fine del suo mandato. “Neanche un giorno di luna di miele”, queste le parole di molte attiviste presenti.

Una battaglia, quella al sessismo di Trump, che non può aspettare neanche un altro minuto, perché massima rappresentazione di uno obsoleto atteggiamento nei confronti delle donne, spesso caratterizzato dalla mancanza di rispetto nei confronti del sesso femminile e un’ingiusta svalutazione del loro valore e dei loro risultati. Il fatto che un leader possa condividere una tale visione, a prescindere dal fatto che abbia o meno già agito in questa direzione, è sconcertante e mortificante per tutti coloro che si battono e si sono battuti perché l’eguaglianza non fosse più solo utopia e che ogni libera scelta non dovesse più nascondersi. Libera scelta che non può non comprendere anche il diritto all’aborto, tema caldo nei confronti del quale Trump si è detto più volte contrario, assicurando ai suoi elettori la nomina di uno o più giudici anti-abortisti. Le donne rispondono al grido di “My body, my choice” rifiutando anche solo la potenzialità di dover sottostare ad ingerenze governative circa una scelta così personale, di nuovo. La lotta al sessismo ha le sue radici lontane nel tempo e nel corso degli anni di strada ne ha fatta molta. Conquiste come il diritto al voto o all’aborto sono frutto dell’impegno di tutta quella gente che prima di noi ha avuto l’audacia di credere in un mondo libero da pregiudizi e stereotipi ma, nonostante ciò, purtroppo, questa battaglia non è ancora terminata. Esattamente come la Women’s March, non è uno sprint ma una maratona.

In molti si stanno chiedendo in che modo questa battaglia continuerà nel tempo. Per rispondere all’interrogativo alcuni gruppi invitano i cittadini a essere sempre più attivi nella società: si consiglia di offrirsi volontari in gruppi che riflettono i propri valori; comunicare il più possibile con i membri del Senato, tramite lettere o quando possibile di persona e, soprattutto, di aumentare il livello di partecipazione agli uffici pubblici, candidandosi a tali cariche.

Una giornata, quella del 21 Gennaio, che ha portato di nuovo in prima pagina quell’idea di femminismo puro da non confondere con un “Feminazi”, come in molti hanno ironizzato durante la manifestazione, che mira alla realizzazione di una società di pari diritti. Una società di cui nessun uomo dovrebbe aver paura perché non nociva per nessuno dei suoi diritti, se non per quello infondato di riconoscersi superiore solo perché nato con un pene.

 Aldo Cazzullo ha chiamato questa generazione la “generazione Hermione”: donne determinate, coraggiose, inclini allo studio e al successo che non temono le sfide e sono pronte a rischiare pur di perseguire ciò in cui credono. Mi piace pensare che questa marcia sia stata la conferma che questa generazione esiste davvero, che dopotutto Hermione era presente.

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La gang di Trump e il suo passato http://www.360giornaleluiss.it/la-gang-di-trump-e-il-suo-passato/ Sun, 13 Nov 2016 19:11:15 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7547 Con le elezioni appena avvenute, la presidenza americana è ancora un tema scottante e ampiamente dibattuto. Com’è chiaro, sono molte le persone scontente per il risultato delle elezioni, e Donald Trump, il nuovo Presidente del Mondo Libero, è fonte primaria di discussioni. Persona controversa e che non ha bisogno di presentazioni, Trump potrebbe essere uno

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Con le elezioni appena avvenute, la presidenza americana è ancora un tema scottante e ampiamente dibattuto. Com’è chiaro, sono molte le persone scontente per il risultato delle elezioni, e Donald Trump, il nuovo Presidente del Mondo Libero, è fonte primaria di discussioni.

Persona controversa e che non ha bisogno di presentazioni, Trump potrebbe essere uno dei Presidenti più chiacchierati d’America. Le satire e le battute fatte su di lui, le immense indignazioni che lascia dietro a sé, riportano alla mente un libro di Philip Roth, ‘La nostra gang’.


Il libro, pubblicato nel ’71 e non molto conosciuto in Italia, ha come personaggio centrale un altro Presidente americano, Trick E. Dixon, caricatura dell’allora Presidente Nixon. Si tratta di una satira politica strutturata in sei capitoli, concepiti perlopiù come monologhi e dialoghi.

Dipinto come una personalità istrionica, impegnato tra una campagna per poter dare anche ai feti diritto al voto e la necessità di reprimere nel sangue una rivolta boy-scout, il Presidente narrato da Philip Roth è una vera e propria macchina di retorica, circondata dalla sua ‘gang’, i consiglieri. Alle fine del libro vediamo Nixon, morto per circostanze poco chiare, all’Inferno, a contendere il trono allo stesso Satana.

Ironico e mordace, quasi visionario (lo scandalo Watergate sarebbe avvenuto soltanto nel ’72), Philip Roth riesce a descrivere un Nixon-Dixon che, nel suo essere surreale, ha un’ispirazione ben definita: la classe politica, disprezzata dall’elettorato americano del tempo.

L’ipocrisia, la scorrettezza e l’irrealizzabilità delle promesse, il tutto è accompagnato da accenni a traumi che hanno segnato la scena americana, come la Guerra del Vietnam o l’assassinio di Kennedy.

Oltre a ciò, i temi presenti nel libro fanno eco a ciò che si discute ancora oggi: aborto e diritti civili. Argomenti tra l’altro molto ‘a cuore’ del neo-eletto Presidente Trump. Le similitudini potrebbero essere molteplici: entrambi i ‘personaggi’ sono arrabbiati, promotori di proposte surreali, e sono pronti a tutto pur di detenere ancora per qualche momento quel tanto amato potere.

Essendo passati parecchi anni, Nixon ci ha offerto molto su cui riflettere. Tra i diversi scandali, fu duramente criticato per la guerra in Indocina e per il suo metodo di governo, portandolo, tra le altre cose, alla scelta obbligata delle dimissioni. I presupposti su cui si poggia il consenso di Trump non ci fanno sperare esiti molto migliori, ma a te la parola, Donald.

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Siete mai stati in Tennessee? http://www.360giornaleluiss.it/siete-mai-stati-in-tennessee/ Wed, 09 Nov 2016 10:17:37 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7487 Lì dove le luci del progresso sembrano così distanti, lì si è fatta la storia mondiale di questa notte che ha portato all’elezione di Donald J. Trump a 45esimo Presidente del Paese più influente del mondo. Ma di chi è la vera vittoria? Chi ha giocato a favore? Il nuovo continente sembrava così inattaccabile da

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Lì dove le luci del progresso sembrano così distanti, lì si è fatta la storia mondiale di questa notte che ha portato all’elezione di Donald J. Trump a 45esimo Presidente del Paese più influente del mondo.

Ma di chi è la vera vittoria? Chi ha giocato a favore? Il nuovo continente sembrava così inattaccabile da demagogia, populismo e razzismo per chi l’ha osservato sempre dall’esterno. Il sogno americano era ancora vivido nella maggior parte della popolazione dell’intero globo, un sogno di democrazia e rivincita: quello del self made man che il vincitore rappresenta in toto. Nonostante ciò, chi ha saputo guardare il popolo a stelle e strisce con criticità, aveva già osservato che il fenomeno Trump faceva scalpore, rendeva il popolo sempre più curioso, più interessato ed appassionato al cosiddetto ‘palazzinaro del Queens’ a prescindere dal contenuto di comizi e di dichiarazioni. Dichiarazioni impensabili a Wall Street, come a Tribeca, a Downtown LA e negli stati dell’Ivy League, dove l’ex Segretario di Stato Clinton ha avuto la meglio. Ma perché oggi il divario democratici – repubblicani ci sembra così incolmabile? Le posizioni dei candidati erano opposte, i loro modi di fare politica anche. Una democratica di vecchio stampo e un repubblicano estremista che hanno fatto breccia nella parte di popolo che realmente li rappresenta: lei nelle grandi città e negli Stati più moderni, lui nei posti dell’entroterra in cui la fanno da padrone grandi distese di campi e uomini e donne delusi dal sogno americano. Sono loro i ‘veri’ americani, i più genuini rappresentanti di questo Stato: guardano con rancore gli immigrati senza ricordare di essere stati nella stessa situazione cinquant’anni prima, sono lontani dalle posizioni che concedono l’aborto e hanno il cristianesimo forte e presente nella loro vita. Sono la contraddizione rispetto al nostro concetto di progresso, al nostro ‘preconcetto’ di USA che ci spinge a vedere solo la New York cinematografica e la Los Angeles delle star.

Ma, per quanto duro da ammettere, bisogna riconoscere che stanotte hanno vinto i veri Stati Uniti d’America: lì dove le luci di Times Square sono così lontane.

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Donald Trump: game over? http://www.360giornaleluiss.it/donald-trump-game-over/ Tue, 11 Oct 2016 17:34:21 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7195 Donald Trump non si ritirerà dalla corsa alle presidenziali statunitensi. Il candidato del Partito Repubblicano lo ha ribadito dopo ogni “gaffe” e lo ha detto anche in seguito allo scandalo delle sue frasi sessiste. Questo nonostante negli ultimi giorni abbia perso l’appoggio di molti esponenti di spicco del partito Repubblicano, tra cui l’ex candidato presidente

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Donald Trump non si ritirerà dalla corsa alle presidenziali statunitensi. Il candidato del Partito Repubblicano lo ha ribadito dopo ogni “gaffe” e lo ha detto anche in seguito allo scandalo delle sue frasi sessiste. Questo nonostante negli ultimi giorni abbia perso l’appoggio di molti esponenti di spicco del partito Repubblicano, tra cui l’ex candidato presidente e senatore John McCain, l’ex Segretario di Stato Condoleezza Rice, l’ex presidente George W. Bush e suo fratello Jeb, l’ex candidato presidente Mitt Romney. Inoltre, Trump è stato duramente criticato dal suo vice Mike Pence e dallo speaker della Camera Paul Ryan. C’è addirittura chi, all’interno del Partito Repubblicano, auspica che Trump abbandoni e affidi la candidatura allo stesso Pence.

Venendo al merito dello scandalo, questo consiste nella pubblicazione di un video del 2005 in cui il tycoon pronuncia frasi volgari e sessiste nei confronti delle donne, affermando che lui poteva fare qualunque cosa in quanto ricco e famoso. L’episodio è sì sconvolgente, ma comunque in linea con il personaggio. Dopotutto, Trump è stato già accusato di aver sistematicamente evaso le tasse, di aver rivolto spesso frasi sessiste (solo poco tempo fa insultò pesantemente una ex Miss Universo definita dall’imprenditore “troppo grassa”) e razziste, di essere troppo estremista (non è una novità che, in caso di vittoria, egli proverà a far costruire un muro al confine con il Messico e che, nell’ultimo dibattito tra candidati, ha affermato che chiederà di far arrestare la sua rivale alla presidenza Hillary Clinton). Il problema, nel caso del video sessista, è che danneggia gravemente l’immagine del candidato, già a picco nei sondaggi, e del partito, che si trova costantemente in confitto con un uomo scelto nelle primarie, ma mai voluto – e tanto meno amato – dall’establishment.

Molti osservatori si chiedono se, a meno di un mese alle elezioni, il Partito Repubblicano possa fare qualcosa per convincere Trump a ritirarsi o per scegliere autonomamente un candidato alternativo. La risposta è chiaramente negativa, innanzitutto perché le regole interne del partito stabiliscono che possa esserci un nuovo candidato solo in caso di morte o di ritiro volontario del prescelto dalle primarie (cosa che Trump non farà mai). Oltretutto, molti elettori hanno già espresso il loro voto in anticipo (tra cui il presidente uscente Obama) e per il partito è decisamente preferibile veder fallire Trump alle elezioni addossandogli tutte le colpe, piuttosto che rinnegarlo già adesso scatenando le ire della base repubblicana e perdendo così molti consensi. Per il partito sarà essenziale continuare a mantenere la maggioranza del Congresso, anche in caso di sconfitta di Trump.

Ad ogni modo, lo scandalo sessista potrebbe essere decisivo per la sconfitta del tycoon, proprio per via del ritiro del sostegno da parte di molti esponenti di spicco repubblicani, che andrà ad influenzare probabilmente molti elettori indecisi. Inoltre, non può certo dare una buona impressione un candidato presidente non sostenuto nemmeno dal suo partito e, cosa più importante, in grado di spostare in massa voti di donne repubblicane che, a questo punto, potrebbero votare per Hillary Clinton.

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“Hillary complice”: la versione di Trump del sexgate http://www.360giornaleluiss.it/hillary-complice-la-versione-trump-del-sexgate/ Tue, 10 May 2016 06:52:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6594 Hillary “complice” del marito! Alza i toni Donald Trump tornando a rispolverare quello che è passato alla storia con il giornalistico nomignolo di sexgate. L’accusa rivolta all’avversaria democratica nella corsa alla Casa Bianca sarebbe quella di essere stata complice, appunto, delle infedeltà coniugali del marito, Bill Clinton, definito dal magnate di New York come “un

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Hillary “complice” del marito! Alza i toni Donald Trump tornando a rispolverare quello che è passato alla storia con il giornalistico nomignolo di sexgate. L’accusa rivolta all’avversaria democratica nella corsa alla Casa Bianca sarebbe quella di essere stata complice, appunto, delle infedeltà coniugali del marito, Bill Clinton, definito dal magnate di New York come “un uomo che è stato il peggior predatore di donne nella storia della politica”. Niente di nuovo sotto al sole, le scappatelle dell’ex presidente sono ben note al pubblico, ma Trump ha deciso di sfruttare ogni appiglio pur di togliere consenso e voti alla rivale, senza curarsi minimamente del rischio di finire nel politically incorrect. “E Hillary è stata complice e ha trattato quelle donne in maniera spaventosa”. Ha continuato poi affermando che alcune di queste sono rimaste devastate non tanto da lui quanto dal modo in cui le ha trattate lei.

Ma cosa c’è effettivamente dietro gli attacchi, sotto certi aspetti maldestri, rivolti contro la candidata democratica? Sicuramente un tentativo di recuperare consensi e simpatie nel bacino elettorale femminile verso il quale in passato si è lasciato andare a più di un commento non proprio utile a farsi amare dall’elettrice media. Il candidato repubblicano deve essersi reso conto di aver calcato eccessivamente la mano e cerca di recuperare il terreno dopo i numerosi scivoloni avuti durante l’intera campagna elettorale per le primarie tra i quali i più noti sono senz’altro la battuta su un’ex Coniglietta di Playboy durante una puntata di Celebrity Apprentice, la proposta di punire le donne che abortiscono, la descrizione del suo modello ideale di collega femminile, giovane sexy e aperta al business, senza dimenticare i numerosi attacchi alla giornalista Megyn Kelly.

Difficile che un intervento di così basso spessore possa rimetterlo in buona luce agli occhi dell’elettorato femminile ma è un chiaro e deciso segnale di un tentativo di cambio di rotta in vista del confronto finale dopo aver letteralmente travolto gli avversari interni al proprio schieramento.

La corsa alla Casa Bianca inizia a farsi serrata e il testa a testa si profila lungo e pieno di insidie per entrambi i candidati. Hillary non sarà da sola però in questo scontro: al su fianco infatti si schiererà persino Iron Man! Infatti secondo quanto dichiarato dall’attore Robert Downey Jr, il Tony Stark da lui interpretato si schiererebbe senz’altro al fianco dell’ex first lady:”Credo che Tony, essendo un femminista convinto, direbbe che è giunto il momento di avere un po’ di energia femminile alla Casa Bianca. Tony supporta Hillary Clinton”. Trump è avvisato, un supereroe supporta la Clinton.

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Quattro cose che ci hanno insegnato le primarie del Partito Repubblicano http://www.360giornaleluiss.it/quattro-cose-che-ci-hanno-insegnato-le-primarie-del-partito-repubblicano/ Sun, 08 May 2016 13:57:05 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6573 « Ci sono più probabilità che Trump faccia un altro cameo in “Mamma ho perso l’aereo” o giochi le finali NBA, piuttosto che vincere le primarie del partito Repubblicano » affermava Harry Enten nel giugno dello scorso anno. Enten è un giornalista politico e analista per FiveThirtyEight, il giornale online fondato dallo statistico Nate Silver.

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« Ci sono più probabilità che Trump faccia un altro cameo in “Mamma ho perso l’aereo” o giochi le finali NBA, piuttosto che vincere le primarie del partito Repubblicano » affermava Harry Enten nel giugno dello scorso anno. Enten è un giornalista politico e analista per FiveThirtyEight, il giornale online fondato dallo statistico Nate Silver. Le primarie sono andate molto diversamente da come Enten si aspettava, e per questo motivo ha messo in fila quattro cose che si possono imparare dalla vittoria di Donald Trump alle primarie del Partito Repubblicano.

 

Non si può dire “non è mai successo nella storia” quando c’è “poca” storia.

Nessuno dei due partiti aveva, storicamente, mai nominato uno come Trump: hanno sempre scelto qualcuno che fosse “affidabile”, ma soprattutto “eleggibile”. Trump sembrava (sembra?) non rientrasse in nessuna di queste due categorie.

 

La Commissione McGovern-Fraser era stata creata a seguito delle convulse primarie del Partito democratico del 1968: stabilì delle linee guida per le primarie, rendendole più simili a come si svolgono oggi. Il Partito Repubblicano si adeguò qualche anno dopo e le prime primarie a svolgersi con queste regole furono quelle del 1972. Dal 1972, i partiti non hanno mai scelto un candidato che non fosse né un politico né un veterano di guerra.

 

La nomina di Trump sembra quindi qualcosa di assurdo e inaspettato, perché “non è mai successo nella storia”. Il punto è che le elezioni negli Stati Uniti sono troppe poche per poterle considerare un dataset statisticamente rilevante. Il 22esimo emendamento, introdotto nel 1947, impone un limite di due mandati al Presidente: è successo solo 14 volte che ci fosse un Presidente non ricandidabile, come quest’anno.

 

Bisogna fare attenzione alle sfumature dei sondaggi.

I dati mostravano chiaramente che Trump non aveva il sostegno del Partito Repubblicano. Eppure era avanti nella maggior parte dei sondaggi.

 

I primi sondaggi, anche quelli fatti un mese prima di un’elezione primaria, non sono mai stati particolarmente predittivi: molti elettori non sanno chi votare fino al giorno delle elezioni. In quei casi, inoltre, assume un peso rilevante quanto il nome del candidato è conosciuto, e questo aiutava Trump.

 

Per questi motivi, quei sondaggi non sono stati presi in considerazione. Ma Trump si è sempre mantenuto in vantaggio, addirittura aumentando la propria percentuale all’inizio del 2016, sia a livello nazionale che locale.

 

Enten ritiene che sia stato un errore a quel punto non comprendere quello che stava succedendo e sottovalutarlo.

 

Non è così difficile migliorare gli indici di gradimento.

Trump ha sempre avuto indici di gradimento molto bassi, ma se inizialmente, nel giugno del 2015, un sondaggio della Monmouth University aveva registrato un indice di gradimento netto pari a -35, già un mese dopo era riuscito a raggiungere un punteggio pari a +17. Il suo punto di forza, a differenza degli altri candidati repubblicani, è un nutrito gruppo di sostenitori che lo vedeva e continua a vederlo “molto favorevolmente”. Questo blocco è rimasto costante nel tempo, anche quando il suo indice di gradimento crollava all’inizio del mese di aprile.

 

Non credere che i partiti sappiano cosa stanno facendo.

Trump non ha mai avuto il sostegno del partito Repubblicano, com’è evidente da questa grafica di FiveThirtyEight che riassume gli endorsement ricevuti finora. È il primo candidato dal 1980 a ottenere la nomination pur avendo meno endorsement di altri candidati. E allora perché il partito non è riuscito a fermarlo?
Il problema è stata la mancanza di coordinamento. Anche quando sembrava ci fosse una convergenza su Rubio, molti funzionari del partito sono rimasti ai margini senza avere il coraggio di prendere posizione. La cosa è poi stata ancora più evidente quando sono rimasti in corsa, oltre Trump, solo Ted Cruz e John Kasich.

 

Anche Trump ha dei meriti in tutto questo, sebbene non sia uno stratega e non avesse pianificato tutto. Ma è riuscito a ottenere una grandissima copertura mediatica gratuita (in maniera simile a ciò che Grillo era riuscito a fare alle elezioni politiche italiane del 2013). Ha sfidato l’establishment repubblicano e ha vinto. È presto per sapere se rappresenta un’eccezionalità o il futuro della politica degli Stati Uniti, ma tra non troppo tempo lo scopriremo.

 

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USA360: Game over in casa repubblicana http://www.360giornaleluiss.it/usa360-game-over-in-casa-repubblicana/ Thu, 05 May 2016 13:47:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6536 In una partita combattuta e piena di sorprese come quella delle primarie di quest’anno – soprattutto sul fronte repubblicano – accade che anche un match di secondaria importanza possa rivelarsi determinante per chiudere i giochi. È quel che è successo in Indiana, Stato del profondo Sud poco rilevante per il numero di delegati che assegna.

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In una partita combattuta e piena di sorprese come quella delle primarie di quest’anno – soprattutto sul fronte repubblicano – accade che anche un match di secondaria importanza possa rivelarsi determinante per chiudere i giochi. È quel che è successo in Indiana, Stato del profondo Sud poco rilevante per il numero di delegati che assegna. Ted Cruz, senatore ultraconservatore del Texas, divenuto da qualche tempo l’improbabile candidato dell’establishment dopo l’uscita di scena di Jeb Bush e Marco Rubio, aveva puntato tutto su questo terreno a lui particolarmente congeniale per recuperare lo svantaggio nei confronti di Donald Trump. E invece il magnate newyorkese lo ha battuto sonoramente – 53,2 a 36,7% – spingendolo a ‘sospendere’ la campagna, che in pratica significa ritirare la candidatura.

Quasi per una sorta di effetto domino, John Kasich, il moderato governatore dell’Ohio, a cui erano sempre mancati i numeri ma non la volontà di presidiare lo spazio politico del centro in un’elezione spaventosamente spostata a destra, si è subito ritirato. Con questa nuova vittoria di Trump e l’uscita di scena di Cruz, è infatti definitivamente tramontata l’unica ipotesi che fin qui aveva tenuto in piedi la sua candidatura: la brokered convention, un’assemblea di partito divisa in cui nessuno ottenga la maggioranza assoluta e i delegati siano, dal secondo scrutinio in poi, liberi di votare il candidato che preferiscono, magari il prediletto dell’apparato.

Sarà dunque Donald Trump, il candidato più inviso ai vertici repubblicani, il loro rappresentante ufficiale alle presidenziali di novembre. L’eventualità che l’establishment trovi un modo per rovesciare l’esito delle primarie bloccando una corsa che considera destinata al fallimento – e in effetti tutti i sondaggi dicono che, se si votasse oggi, Trump perderebbe – appare a questo punto quanto mai remota. Tanto più che così facendo il partito si alienerebbe definitivamente la propria base elettorale, dando nuova forza a quelle spinte antisistema che sono alla base dell’ascesa di ‘The Donald’.

Da parte loro i Democratici hanno visto in Indiana una vittoria a sorpresa di Bernie Sanders, il settantacinquenne senatore ‘socialista’ che sta infiammando i cuori di tanti giovani e della componente più liberal dell’elettorato americano. Il Sud era stato infatti fino ad oggi il teatro dei più importanti trionfi di Hillary Clinton, capace di intercettare un elettorato più variegato dal punto di vista etnico di quello prevalentemente bianco che preferisce Sanders. Eppure anche questa vittoria, la diciottesima dall’inizio delle primarie, non cambia la situazione espressa dal numero di delegati, con la Clinton che conserva un vantaggio ormai impossibile da colmare. Tanto più che nello Stato che mette in palio la quantità più consistente di delegati fra quelli che ancora devono votare, la California, l’ex first lady e Segretario di Stato è data nettamente vincitrice.

Allora perché Sanders non si ritira come hanno fatto, sull’altro versante, Cruz e Kasich?
C’è da pensare che la sfida che il senatore del Vermont continua a lanciare alla Clinton non abbia più la Casa Bianca come obiettivo. Che la sinistra del partito intenda capitalizzare il consenso ottenuto, di gran lunga il più significativo in termini di entusiasmo e mobilitazione che un candidato sconfitto alle primarie abbia ottenuto da lungo tempo a questa parte. Lo scopo sarebbe allora quello di spostare il baricentro del Partito Democratico verso posizioni più progressiste, intercettando quel desiderio di cambiamento e anche un po’ di quello spirito anti-establishment che, seppure con una base ideologica opposta, danno ragione del successo di Sanders come di quello di Trump. Al momento non è dato sapere come tutto questo potrà influire sulla campagna per le presidenziali, una volta che il game delle primarie sarà ufficialmente over. Una cosa sola sappiamo: sarà Trump contro Clinton.

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TRUMPIZATION http://www.360giornaleluiss.it/trumpization/ Sun, 06 Mar 2016 11:34:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5928 Col passare del tempo il mondo si rende sempre più conto di aver sottovalutato il potenziale di Donald Trump,emergente personaggio politico. O per meglio dire, personaggio. Una fortuita coincidenza ha voluto che durante il mio Exchange negli Stati Uniti mi trovassi a Columbia, South Carolina, città in cui il candidato alle presidenziali aveva deciso di

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Col passare del tempo il mondo si rende sempre più conto di aver sottovalutato il potenziale di Donald Trump,emergente personaggio politico. O per meglio dire, personaggio.

Una fortuita coincidenza ha voluto che durante il mio Exchange negli Stati Uniti mi trovassi a Columbia, South Carolina, città in cui il candidato alle presidenziali aveva deciso di incontrare gli elettori dello Stato. Nel lontano 23 Settembre 2015 Trump non aveva ancora avuto il tempo di farsi conoscere e nessuno sapeva bene cosa aspettarsi da lui.

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Il meeting comincia con il giuramento, l’inno americano, ed il discorso introduttivo di Tim Scott, senatore repubblicano per la South Carolina. Il politico è giovane e di colore, ringrazia calorosamente il pubblico e con doti ed entusiasmo degni di un animatore da spiaggia ed un forte accento Southern infervora il pubblico chiedendo “siete tutti qui per Trump?” e “non ho sentito bene, siete tutti qui per Trump?”. Dopo essersi congratulato con il candidato per aver portato energia ed entusiasmo nel partito repubblicano dopo tanto tempo, e per il suo punto di vista indipendente sui processi politici, lo invita sul palco.

Quello che è seguito, a pensarci ora, ha del familiare.

La dote che bisogna riconoscergli è il carisma.

Comincia subito in quarta, con il suo sempreverde slogan “Make America great again” e con critiche all’operato dei suoi predecessori e ad Obama per essere stato poco di polso in alcune situazioni.

“That won’t happen with Trump!”

Esalta il fatto che sia il più indipendente tra i candidati, perché autofinanzia la sua campagna elettorale e non ha lobby che possono controllarlo. Tuttavia accetta con piacere le piccole donazioni dei suoi sostenitori perché sono un segno del loro supporto.

Un aggettivo che gli si addice è “unpredictable”, imprevedibile.

12784775_10207678984566185_1537078499_nGià allora si vantava dei Poll, i sondaggi, in cui era dato come favorito già al tempo, e del suo temperamento forte, che è esattamente ciò di cui l’America ha bisogno. Interrogato sulla sua posizione riguardo all’immigrazione, propone la sua ormai stra sentita soluzione del muro tra USA e Messico, finanziato dal Messico stesso, e riguardo al problema dell’occupazione dichiara che sarà il “più grande presidente della storia per creazione dei posti di lavoro che Dio abbia mai visto”.

Aggiunge che servono più valori, più religione, e che il suo più grande successo nella vita sono sua moglie e i suoi figli. Parole che fanno battere il cuore ad ogni Repubblicano.

Alla fine di questi 50 minuti di slogan, paroloni ed, essenzialmente, davvero nulla di concreto, io e qualche amico ci siamo chiesti cosa ne pensasse il resto degli spettatori che gremivano la sala conferenze. Così ci siamo messi ad intervistare persone appena uscite dal comizio per catturare a caldo le prime impressioni. Gli intervistati erano quasi tutti provenienti da Stati del Sud  ed ovviamente quasi tutti Repubblicani. Quello che ci siamo sentiti rispondere da quasi tutti è stato che dopo la conferenza erano molto più propensi di prima a votarlo, perché era sembrato più impegnato e meno aggressivo che in tv. Erano anche attratti dal suo spirito, dalla sua energia e dal suo percorso come business man. Gli unici oppositori che abbiamo trovato erano due ragazzi del Wisconsin, sostenitori di Bernie Sanders, che urlavano e mostravano cartelli contro Trump all’uscita dall’edificio. Due personaggi sopra le righe che seguivano il candidato ad ogni conferenza per cercare di persuadere i potenziali elettori a non votare per lui. Furono gli unici a dire, quella sera, che Trump  rispondeva evasivamente a domande di per se già deboli e che non aveva sostanza né valori. Inoltre poteva anche vantarsi di non essere parte dell’establishment politico ma faceva parte di quello dei grandi industriali americani che se possibile era ancora peggio.

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Bene, e ora la domanda: perché Trump ha successo? Perché è già a quota 10 stati vinti (incluso ovviamente il South Carolina) ed il suo stesso partito sembra non poter fare niente per fermarlo?

Da italiana, quello che mi viene in mente è che gli americani stiano cadendo nella trappola che noi conosciamo già così bene: essere un grande imprenditore non vuol dire essere un grande capo di Stato, perché gestire grandi compagnie non è esattamente come gestire il governo di un Paese.

Anche se, a quanto pare, le sue doti di businessman siano allo stesso modo discutibili, come dichiarato da Mitt Romney durante una conferenza stampa di qualche giorno fa e spiegato da John Oliver nel suo programma “Last Week Tonight”.


Ma allora, qual è il suo segreto?

È che con Trump è più facile!

Parlare di sanità, imprenditoria, politica estera, immigrazione. Con l’ingenuità di un bambino continua a proporre soluzioni come se fossero caramelle.

Come risolvere l’immigrazione? Costruiamo un muro.

Come creerai nuovi posti di lavoro? Facendolo.

Qual è il tuo piano per la riforma sanitaria? Abbattere i confini degli Stati.

D’accordo. Ma questo non funziona, non è un piano, non è politica.

In compenso è molto rassicurante. è probabilmente quello che tutti vorrebbero sentirsi dire: che c’è una soluzione semplice a problemi grandi e basta fidarsi di quell’imprenditore divertente e di successo e tutto si sistemerà.

Perché l’America è fondata sul concetto di grandezza e ne ha bisogno per andare avanti. È uno Stato dalla storia relativamente breve che ha fondato la sua identità sul fatto di essere indipendente e di aver superato il resto del mondo raggiungendo la supremazia economica e militare. È stata e resta “the land of the Freedom”.

E questi sono tempi spaventosi: varie zone del mondo attraversano devastanti crisi migratorie, gruppi di terroristi riescono a raggiungere capitali occidentali e a compiere stragi, stiamo appena riuscendo ad uscire da una devastante crisi economica globale iniziata 8 anni fa e le potenze emergenti cominciano a mettere in discussione gli equilibri internazionali che abbiamo conosciuto fin’ora.

In tutto questo, forse, è solo troppo difficile per un cittadino americano resistere alla voce di un omino con un microfono, vestito coi colori della Star-Spangled Banner,  che senza troppi problemi promette “I will make America great again”.

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