Il tennis sul cemento di Rio

A pochi mesi dalla trentunesima edizione dei Giochi, parliamo di Tennis, sport molto al centro delle polemiche di questi giorni per il caso Sharapova.

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Risale ai Longobardi il gioco della pallacorda, l’antenato di uno sport particolarmente amato nel nostro ateneo, il tennis. Il nome di questa disciplina venne coniato nel 1325, quando i giocatori francesi in isita a Firenze, giocando a pallacorda con delle racchette rudimentali, avvertivano l’avversario dell’arrivo della pallina gridando “tenez” (tenete).
Nel 1896 il tennis divenne disciplina olimpica fino al 1928, anno in cui venne escluso dal novero degli sport partecipanti ai Giochi. Sarà reinserito solo nel 1988 in occasione dei Giochi di Città del Messico. La trentunesima edizione dei Giochi Olimpici, che si svolgerà questa estate a Rio de Janeiro, ospiterà i più forti atleti del tennis mondiale pronti a sfidarsi su un campo di cemento, news fresca di pochi giorni che fa storcere il naso a diversi atleti. Se è vero che spesso i ranking stilano le classifiche dei migliori atleti al mondo, è altrettanto vero che ciascuno di essi ha prestazioni altisonanti a seconda del campo in cui si giochi la partita.
Essenzialmente esistono tre tipi di campo: il campo di erba, il più classico, che attutisce parte della spinta della palla, rendendola più lenta e, quindi, più gestibile; il campo di terra-in particolare il campo di terra rossa- molto comune in Europa e Sud America, considerata mediamente “veloce”; il campo di cemento, di facile manutenzione, ma massima durezza. Quest’ultima proprietà accelera lo spostamento della pallina, pur aumentandone la prevedibilità della traiettoria. È il campo più “veloce” e la scelta di Rio spaventa diversi attori protagonisti, primo fra tutti Rafael Nadal, da sempre favorito su terra.
Una curiosità che spesso sorge spontanea è legata all’importanza che i tennisti professionisti danno alle edizioni olimpiche rispetto ai quattro eventi mondiali che compongono il Grande Slam (Australia Open, Open di Francia o Roland Garros, Wimbledon e U.S. Open).
A quanto pare la risposta è disomogenea. Secondo molti campioni del passato, poter vincere la medaglia olimpica è un’emozione incomparabile con qualsiasi trofeo delle sfide major, poiché è la sola grande occasione in cui si partecipa in nome del proprio paese e non come singolo giocatore. Eppure proprio questa affermazione illumina l’opinione di Pete Sampras, il quale ritiene sia meglio che il tennis olimpico sia giocato solo a squadre in quanto si corre il rischio di assistere a una finale tra due atleti della stessa bandiera, cosa che valicherebbe i confini del patriottismo.
Altri atleti invece paiono sottovalutare l’importanza dei Giochi poiché gli stessi criteri di assegnazioni punti, che permettono di scalare le classifiche, valutano una medaglia olimpica 750 punti (685 per le donne), contro i 2000 assegnati per ogni slam vinto.
Per concludere questo breve, ma speriamo, esaustivo approfondimento della nostra rubrica, analizziamo le aspettative del mondo dello sport circa i tennisti che prenderanno parte alle olimpiadi di Rio. Sicuramente ci si attende un grande Federer, che si gioca l’ultima chance di vincere una medaglia olimpica, come anche si indovina la vittoria dell’americana Serena Williams, libera dal peso di dover competere con Maria Sharapova, squalificata proprio la scorsa settimana per doping. Il caso Sharapova non è del tutto limpido. La tennista è risultata positiva a un test antidoping durante gli Australian Open, tuttavia la sostanza incriminante, il meldonium, è considerata sostanza dopante solo dal primo gennaio 2016, perciò l’atleta si è detta colpevole di negligenza per non essersi informata a dovere, ma non di doping volontario.

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Infine nel proprio piccolo l’Italia ha le proprie aspettative, che piccole non sono. Tra le prime dieci tenniste al mondo c’è anche la nostra Roberta Vinci. Potrebbe essere lei la vincitrice di una sfida che travalica lo sforzo e la fatica, supera la tecnica e l’allenamento e diventa un puro, semplice, complicatissimo scontro mentale a suon di rovesci.