» Lifestyle http://www.360giornaleluiss.it Mon, 07 Mar 2016 21:51:40 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.2.4 Cosa vuoi fare da grande? http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/04_03_2016/cosa-vuoi-fare-da-grande/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/04_03_2016/cosa-vuoi-fare-da-grande/#comments Fri, 04 Mar 2016 11:36:10 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5895 Scrivo questo articolo per tutti quelli che, come me, si trovano spesso a farsi la domanda “cosa voglio fare da grande?”. Spesso la risposta viene rimandata, con la scusa che tanto ci sia tempo, ma si sa, il tempo vola e piano piano i piccoli traguardi vengono raggiunti e c’è la necessità di prefissarne altri.

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Scrivo questo articolo per tutti quelli che, come me, si trovano spesso a farsi la domanda “cosa voglio fare da grande?”. Spesso la risposta viene rimandata, con la scusa che tanto ci sia tempo, ma si sa, il tempo vola e piano piano i piccoli traguardi vengono raggiunti e c’è la necessità di prefissarne altri.
Un giorno, sopraffatta dalla mia indecisione circa il futuro e l’eventuale lavoro della mia vita, e, di conseguenza, anche sulla scelta della specialistica, mi sono messa a vagare su internet. Ho curiosato tra varie università, tirocini e robe varie fino a quando, durante l’immancabile pausa FB, mi sono imbattuta in un video condiviso da una mia amica. Era un video di un Ted talk, dove una ragazza giovane, di nome Emilie Wopnick, andava contro corrente dicendo che “non avere una vera e propria chiamata non è un problema”.

Infatti, inizia il suo discorso affermando di essere sempre stata incapace di dare una risposta alla fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?”, ma questo è dovuto non alla sua mancanza di interessi, ma ai tanti, troppi, interessi che coltiva.
Interessi più disparati, che possono portare a spendere tempo ed energie in una cosa, fino a quando non la si trova più stimolante, ci si annoia e si decide di lasciar perdere. Questo, come penso la maggior parte di noi sappia bene, genera ansia ed un senso di inadeguatezza nei confronti della società, una sensazione di insuccesso e di disimpegno, come se fossimo persone anormali.
Emilie, nel suo illuminante discorso, spiega che la ragione di tutto ciò sta nella società, che, partendo dalla semplice domanda “cosa farai da grande?” ti porta a pensare a cosa vuoi essere e non a tutto ciò che tu puoi essere, ti inculca l’idea che bisogna scegliere, ed il più presto possibile, come se ci fosse un destino fatto da una strada a senso unico, dalla quale non si può mai tornare indietro.

In realtà, una vera ed unica chiamata può non arrivare, ma può arrivare un’altra bellissima dote, da lei stessa chiamata “multipotenzialità”. La multipotenzialità ha anche tre superpoteri. Il primo è la capacità di unire più idee in un unico risultato, come Sha Hwang e Rachel Binx che hanno unito la passione per il mondo e per la moda creando Meshu, la linea di gioielli ispirati alla forma dei luoghi del mondo. Poi vi è la capacità di apprendere rapidamente proprio perché stimolati da questa continua ed incessante voglia di imparare e di capire sempre di più, e, infine, la capacità di adattarsi, che può rivelarsi estremamente utile in un mondo in continua trasformazione come il nostro.
Quindi, cari amici, se non avete una vera e propria chiamata, come dice Emilie, non disperatevi, perché potete essere felici nella vostra multipotenzialità, guidati non tanto dal desiderio di una meta precisa, quanto dalla voglia di apprendere sempre di più e di “essere tante cose” durante il viaggio stesso.

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Cosa cambia con l’Internet delle Cose (o anche IoT, per quelli bravi) http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/27_02_2016/cosa-cambia-linternet-delle-cose-anche-iot-bravi/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/27_02_2016/cosa-cambia-linternet-delle-cose-anche-iot-bravi/#comments Sat, 27 Feb 2016 08:30:21 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5841 Questo 2016 sarà sicuramente un anno dai grandi cambiamenti: la tecnologia indossabile, la realtà virtuale e la diffusione di connessioni internet sempre più prestazionali sono alcuni dei trend più discussioni e interessanti da tenere d’occhio. Quello che potrebbe però stravolgere (di nuovo) le nostre abitudini è l’Internet of Things, vale a dire l’introduzione di oggetti

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Questo 2016 sarà sicuramente un anno dai grandi cambiamenti: la tecnologia indossabile, la realtà virtuale e la diffusione di connessioni internet sempre più prestazionali sono alcuni dei trend più discussioni e interessanti da tenere d’occhio. Quello che potrebbe però stravolgere (di nuovo) le nostre abitudini è l’Internet of Things, vale a dire l’introduzione di oggetti di uso comune capaci di connettersi alla rete per rendere più smart le nostre case e le nostre città.

Le applicazioni finora viste lasciano un’unica certezza: le possibilità saranno illimitate. Orologi capaci di rilevare il battito cardiaco, termostati che regolano automaticamente la temperatura e videocamere di sicurezza in grado di riconoscere i malintenzionati sono oggetti che entreranno sempre di più nelle nostre vite abbattendo definitivamente qualsiasi barriera tra internet e mondo reale. Secondo l’agenzia di ricerca Gartner nel 2016 ci saranno 6,4 miliardi di dispositivi connessi nel mondo (+30% sul 2015) e oltre 20 miliardi entro il 2020, numeri che segnano una vera e propria esplosione del fenomeno IoT, con un mercato da circa 3000 miliardi di dollari entro 4 anni.

Quali e quanti saranno i benefici della vita intelligente dipenderà dall’uso che pubblico e privato riusciranno a fare di queste tecnologie, ma i primi risultati sembrano dimostrare come le smart city e l’industria 4.0 siano due realtà dal futuro radioso. È il caso ad esempio della Danimarca, dove nel 2015 il 50% delle città ha intrapreso progetti per la città intelligente e solamente nella capitale Copenaghen sono stati creati più di 20 mila posti di lavoro nel settore. L’aumento dell’occupazione e il miglioramento dei servizi pubblici grazie al controllo da remoto sembrano essere due argomenti particolarmente convincenti per i governi di tutto il mondo ed è notizia di questo mese che l’amministrazione Obama, attraverso il dipartimento dei trasporti, abbia messo sul piatto 50 milioni di dollari per progetti di smart city.

In questa nuova era saranno due i grandi temi al centro dell’attenzione: i big data e la privacy. I primi, ovvero l’enorme massa di dati generata di questa miriade di dispositivi, sono una risorsa preziosa per enti pubblici e aziende che con le adeguate competenze possono trarre indicazioni importanti sulle abitudini dei cittadini (o, nel caso delle aziende, dei clienti). Il tema della privacy è strettamente legato a quello dei big data: questi ultimi contengono informazioni potenzialmente sensibili e il loro utilizzo potrebbe ledere il diritto alla privacy. Danny Bradbury, giornalista freelance ed esperto di sicurezza informatica, ha definito la questione “un incubo”, ma allo stesso tempo ha ammesso che è difficile fare previsioni sulle evoluzioni future della vicenda essendo questo un territorio finora inesplorato.

Nonostante le incognite ancora pendenti, l’Internet delle Cose è qui per restare: il superamento della dicotomia online-offline segna un passaggio importante nella trasformazione della quotidianità del rapporto uomo-macchina e apre ad un’idea nuova di luogo pubblico e privato. La macchina non è più intermediaria tra l’uomo e le informazioni ma diventa un elemento autonomo capace di elaborare gli input dell’ambiente esterno per poi renderli utili all’utente finale. Le cose non potranno più fare a meno di internet e noi non sopporteremo più gli oggetti stupidi. The next big thing.

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LA SOTTILE LINEA TRA APPROPRIAZIONE CULTURALE E APPREZZAMENTO CULTURALE http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/19_02_2016/la-sottile-linea-tra-appropriazione-culturale-e-apprezzamento-culturale/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/19_02_2016/la-sottile-linea-tra-appropriazione-culturale-e-apprezzamento-culturale/#comments Fri, 19 Feb 2016 11:21:48 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5807 Negli ultimi mesi è in corso una polemica che coinvolge ogni forma d’arte, dalla moda alla musica: stiamo parlando della “cultural appropiation”. Non è facile dare una definizione del termine: la professoressa Susan Scafidi che insegna legge alla Fordham university di New York l’ha definita così: “Appropriarsi della proprietà intellettuale, delle conoscenze tradizionali, delle espressioni

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Negli ultimi mesi è in corso una polemica che coinvolge ogni forma d’arte, dalla moda alla musica: stiamo parlando della “cultural appropiation”. Non è facile dare una definizione del termine: la professoressa Susan Scafidi che insegna legge alla Fordham university di New York l’ha definita così: “Appropriarsi della proprietà intellettuale, delle conoscenze tradizionali, delle espressioni culturali , o manufatti dalla cultura di qualcun altro senza permesso. Questo può includere l’uso non autorizzato di una danza di un’altra cultura, di un abito, della musica, della lingua, del folklore , della cucina , della medicina tradizionale ecc. E ‘ più dannoso quando la comunità di origine è un gruppo minoritario che è stato oppresso o sfruttato o quando l’oggetto di appropriazione è particolarmente sensibile, come ad esempio oggetti sacri”.

Il tema dell’appropriazione culturale abbraccia ogni continente. Per quanto riguarda l’Africa, a creare la polemica, è stata la sfilata di Marc Jacobs SS 2015: i modelli e le modelle avevano una particolare acconciatura che ricreava i “bantu knots”, una pettinatura indossata per secoli dalla tribù Zulu in Sud Africa. Dopo la sfilata, è stato pubblicato un tutorial chiamato “How to: twisted mini buns inspired by Marc Jacobs’ show” in cui si spiegava come realizzare l’acconciatura definita però “mini buns” ossia piccolo chignon, senza dare credito alle sue vere origini. Il web si è indignato davanti a quest’appropriazione culturale, le ragazze afroamericane che sono solite utilizzare questa tipica acconciatura – parte della loro cultura da secoli – si sono fotografate, creando anche un apposito hashtag su Instagram #ITaughtMarcJacobs cercando di sensibilizzare lo stilista e l’intero mondo della moda su questo “furto culturale”.

La stessa polemica ha colpito la collezione di Givenchy AW 2015: stavolta l’appropriazione culturale viene dal sud America e riguarda le “Chola”. Il significato del termine “Chola” ha avuto un’evoluzione rispetto al 1800 quando veniva usato per identificare coloro che hanno origini latino-americane e fu poi usato per riferirsi agli immigrati messicani fino a quando è stato adottato per definire le ragazze delle bande Latinos negli anni ’70. Le ragazze “Chola” hanno uno stile ben definito, capelli curati detti “baby girl” spesso con trecce e appunto riccioli da bambina sulla fronte, sopracciglia disegnate con la matita e labbra scure. Riccardo Tisci, direttore creativo della maison francese alla domanda: “Da dove viene l’ispirazione per questo look?” ha risposto cosi: “Le ragazze della mia collezione rappresentano una “Chola vittoriana”, lei è il capo della gang”.
La collezione è stata ampiamente apprezzata e considerata come un omaggio da parte di Tisci alla sub-cultura giovanile. Ma la maggior parte della stampa ha ignorato il vero significato del termine “Chola” e quello che rappresenta: i sostenitori della “cultural appropiation” hanno definito la collezione un insulto alla cultura latino-americana, anche perché di tutte le modelle che hanno sfilato durante lo show, solo Joan Smalls era l’unica con origini latino-americane ed inoltre il termine “vittoriano” accostato alla parola “chola” è stato utilizzato – sempre secondo i sostenitori della polemica – per “sbiancare” il riferimento ad una cultura prevalentemente appartenete agli immigrati del sud America. Ma Tisci non è stato il solo a prendere ispirazione dal mondo delle “Chola”: numerose pop star – da Lana del Rey a Gwen Stefani, da Nicki Minaj a Fergie – hanno attinto dallo stile delle Chola girls. Gwen Stefani, in particolare, è una veterana dello stile ” chola glamour” come si può vedere nel suo video Luxurious del 2004.

Più recentemente – e sempre dal mondo della musica – arriva l’ultima polemica legata alla “cultural appropiation”. Questa volta siamo in India e gli autori sono Beyoncè e Chris Martin, leader della band inglese Coldplay. Il video del loro ultimo singolo, “Hymn for the weekend”, è stato girato a Mumbai ed è un tripudio di colori e cultura indiana. Beyoncè canta con il tipico look indiano, con bindi e gioielli sul viso e mehndi (tatuaggi all’henné naturale rosso usati in Oriente come rito benaugurante) sulle mani, mentre Martin percorre le strade della città circondato da bambini che lo rincorrono. Il video è stato accusato di “cultural appropiation” per l’eccesivo utilizzo dei simboli della cultura indiana stereotipati.

Ma c’è una linea davvero sottilissima tra l’appropriazione culturale e l’apprezzamento culturale. Il mondo della moda da sempre rende omaggio alle sottoculture: basti pensare a Vivienne Westwood che nell’Inghilterra degli anni ’70 di Margareth Thatcher portò il punk – sottocultura per eccellenza – a sfilare sulle passerelle, eppure nessuno l’accusò di “cultural appropiation”. Ogni forma d’arte, che sia la moda o la musica, spesso tende a utilizzare elementi provenienti da culture differenti, provenienti da contesti culturali difformi, cercando di unirli per creare qualcosa di nuovo e innovativo. La polemica, a mio parere, è sterile: finché la cultura viene omaggiata con rispetto, che sia sulle passerelle, sul grande schermo o nelle radio – dando ovviamente credito alle sue reali origini – non credo ci sia differenza tra ispirazione e appropriazione, perché essere aperti, curiosi, conoscere e onorare altre culture trascende dall’appropriarsene senza rispettarle.

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La donna dietro Steve Jobs http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/05_02_2016/la-donna-dietro-steve-jobs/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/05_02_2016/la-donna-dietro-steve-jobs/#comments Fri, 05 Feb 2016 11:31:33 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5718 Se è vero che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna il nome di quella dietro Steve Jobs è Joanna Hoffman. Poco nota ai più, solo da pochi mesi si sono accesi i riflettori sulla sua storia in seguito al film di Aaron Sorkin e Danny Boyle in cui veniva interpretata da Kate Winslet

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Se è vero che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna il nome di quella dietro Steve Jobs è Joanna Hoffman.

Poco nota ai più, solo da pochi mesi si sono accesi i riflettori sulla sua storia in seguito al film di Aaron Sorkin e Danny Boyle in cui veniva interpretata da Kate Winslet che, con questo ruolo, si è guadagnata un Golden Globe e una nomination agli Oscar come miglior attrice non protagonista.

Nonostante le critiche al film, ispirato alla biografia autorizzata di Walter Isaacson del 2011, l’interpretazione di Kate Winslet è rimasta quasi esente da attacchi, ma anzi è stata accolta da commenti positivi. L’ex marketing executive del Mac, infatti, è l’unica dei protagonisti a dirsi soddisfatta dell’interpretazione data di sé soprattutto in virtù del fatto che sia stata riportata la natura ed il tono del suo rapporto sia personale che lavorativo con Steve Jobs.

La “travagliata origine europea” (definita così da Steve Jobs all’interno del film) di Joanna Hoffman affonda le sue radici in Unione Sovietica dove nasce da un padre ebreo-polacco (il noto regista Jerzy Hoffman) ed una madre ebrea. Joanna studiò fisica ed antropologia laureandosi in Lettere e Scienze al MIT per poi proseguire con un dottorato in Archeologia presso l’Istituto Orientale dell’Università di Chicago, che non porterà mai a termine. La sua vita cambia quasi per caso, quando i suoi amici la costringono ad andare ad una conferenza della Xeron PARC in California: qui si ritrovò a sostenere una accesa discussione con Jef Raskin su come avrebbero dovuto essere i computer e ciò che avrebbero dovuto fare per migliorare la vita delle persone. Raskin fu così impressionato dalla Hoffman che le chiese di candidarsi per una posizione alla Apple. Così Joanna Hoffman inizia a lavorare nel team Macintosh quando, nell’ottobre del 1980, il Mac era ancora un progetto di ricerca e per il primo anno e mezzo guiderà da sola l’intero settore marketing. Ha scritto lei la prima bozza dell’ User Interface Guidelines per Mac, ha definito il segmento di mercato a cui il prodotto era destinato ed è stata una sua intuizione lanciare il Mac per l’istruzione superiore prima che diventasse un successo attraverso le imprese; divenne international product marketing manager e con il suo team seguì il Mac in Europa ed in Asia, per poi affiancare Steve Jobs nel progetto NeXT come uno dei membri fondatori.

Nel film viene definita “la moglie al lavoro” di Steve Jobs ma lei stessa smentirà questa definizione nonostante sia stata nota per le sue capacità di lavorare a stretto contatto con un carattere complicato come quello di Jobs tanto da aggiudicarsi per due anni consecutivi (1981 e 1982) il premio ironicamente istituito dalla Apple assegnato annualmente a chi era in grado di tener meglio testa a Steve Jobs.

Alla Apple Joanna ha incontrato anche l’amore: sposa Alain Rossman e con cui ha due figli. Nel 1995, dopo essere diventata vice presidente del marketing alla General Magic decide di ritirarsi per trascorrere più tempo con la sua famiglia. Vive a Palo Alto dove i figli frequentano la Scuola Internazionale e Joanna fa parte del consiglio scolastico.

Il suo ruolo all’interno della storia della Apple ha permesso agli scrittori e al regista di riuscire nello scopo dell’intero sceneggiato ovvero mostrare il volto umano di Steve Jobs: nonostante intimidisse molti Joanna non si è mai sentita minacciata dal carattere di Jobs e ritiene che il suo essere una persona difficile fosse dovuto al fatto che pretendesse da chi gli stava attorno di dare il meglio ed essere la migliore versione di sé stessi.

Quando è stato chiesto a Joanna Hoffman a cosa avrebbe lavorato Jobs se fosse attualmente vivo ha risposto “una parte dell’essere visionario è l’essere imprevedibili”.

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10 consigli 2.0 per essere cacciatori di cuori http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/29_01_2016/10-consigli-2-0-per-essere-cacciatori-di-cuori/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/29_01_2016/10-consigli-2-0-per-essere-cacciatori-di-cuori/#comments Fri, 29 Jan 2016 10:13:36 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5671 Imprescindibile. Se oggi come conquistatore amoroso o fanciulla in ricerca vuoi avere successo in amore, non potrai esimerti dall’elevare il tuo standard sui social network a qualcosa di più del semplice caso. Cagnolini, gattini, tramonti, quindicenni che scoprono di essere belle, pietanze invitanti e sudate lauree, non competeremo mai con questi immortali che conquistano milioni

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Imprescindibile. Se oggi come conquistatore amoroso o fanciulla in ricerca vuoi avere successo in amore, non potrai esimerti dall’elevare il tuo standard sui social network a qualcosa di più del semplice caso.

Cagnolini, gattini, tramonti, quindicenni che scoprono di essere belle, pietanze invitanti e sudate lauree, non competeremo mai con questi immortali che conquistano milioni di cuori a colpi di like, ma a noi basterà una piccola e semplice conquista, il mi piace, il retweet, l’emoticon Instagram della persona che siamo convinti sia in grado di fare la differenza nella nostra vita. Dimenticavamo le coppie scatena-diabete ma se voi foste una di queste non leggereste questo articolo, giusto?
Detto ciò, non le suddette divinità del 2.0, ma noi semplici mortali possiamo fare la differenza per rendere i nostri amati social un’ottima freccia di Cupido. Sebbene l’amore sia dall’inizio dei tempi gioco di sguardi, contatto fisico e caldi baci, non quelle piaghe inviate milioni di volte al giorno, per intenderci queste :-*, *_* , :3, il resto sarà tutto ottimo marketing per la vostra persona e attraverso dieci consigli casual vi ricordiamo quanto imprescindibili siano gli ambienti digitali.

PROFILO. Basta link, basta canzoni, basta video virali, hanno stufato o non c’è nulla di personale. Ancora peggio, daranno l’impressione al fantomatico popolo della rete che voi siate una persona che vive dietro lo schermo. Il successo sui social è inversamente proporzionale al tempo che vi trascorrete. Siate persone piene di cose da fare, se non lo siete date l’impressione di esserlo. Credete che il partner dei vostri sogni possa essere più interessato a un articolo condiviso sulla Gioconda o al fatto che voi siate sempre all’ultima mostra da urlo nella vostra città? Nel lato sportivo un selfie in campo per quanto autoreferenziale sarà sempre più gagliardo dell’ennesima meme per sfottere i tifosi della vostra squadra di calcio avversaria. Il tasto dolente è che per le ragazze conti sempre molto l’immagine, ma a qualsiasi livello il selfie in bagno sarà sempre molto più squallido di uno mentre vi atteggiate a donne impegnate in università, al lavoro, ai meeting con le amiche per l’happy hour. In un imperativo, non condividete l’estro altrui, fate! E fatelo in prima persona.

COORDINAZIONE. Quando inizierete ad attirare l’attenzione già così dovrete allo stesso modo alternare ogni cosa con esperienze tangibili e un luogo di ritrovo, una condivisione, un’esperienza dovrete incrementarla. In fondo la vostra anima gemella tanto desiderata da qualche parte l’avrete incontrata, no? Altrimenti per le storie a distanza e virtuali scriveremo un altro articolo, ma non è questo. L’amore è molto più tangibile di quanto crediate e i social rimarranno sempre una mera bolla speculativa della vostra vita reale. In tutto ciò incrementate il rapporto tra voi e gli interessi in comune, rendete visibile il tutto sui social. Cinema? Tutti esperti di Oscar. Tennis? Tutti in campo. Scienza? Trattati della Montalcini everywhere.

CASUALITA’. Non importa il vostro piano malefico ideato da mesi, tutto quello che accade deve sembrare frutto del caso, come se la storia fosse stata scritta da sé, come se dipendesse tutto sempre dai miracoli di Cupido. Esempio pratico. Se morite dalla voglia di sentire quello/a che finora è solo un amico/a scrivetegli che l’avete pensato ma solo perché è successa una cosa che non poteva non farvi pensare a lui/lei. Se non è accaduta, fate sia accaduta lo stesso. Se non potete scrivergli, perché probabilmente lo avrete fatto milioni di volte senza che il vostro (eh, magari vostro!) amore l’abbia mai fatto di sua iniziativa, la legge del like isolato funziona sempre. Un mi piace su Facebook o Instagram dopo mesi dalla pubblicazione del post o della foto ha sempre il suo peso, ma in maniera casual perché voi non metterete like proprio alla sua foto profilo dove crede di essere stupendo/a tra tutte le cose dove potete farlo, vero? Se avete fegato fatelo lo stesso, ma adesso leggete subito il prossimo consiglio.

MODERAZIONE. Ogni cosa deve essere fluida come un pattino sul ghiaccio. Se rompete l’elastico della flessibilità cadrete rovinosamente a terra. Piace a tutti partire di sentimento come vivessimo in Anna Karenina, ma passioni del cuore a parte, saranno sempre cervello e razionalità a vincere la vostra preda. Alternate presenza e assenza, effettiva (affettiva soprattutto) e non, attraverso la prossima indicazione.

BASTONE E CAROTA. Nulla da aggiungere. Come fosse rivolto a inafferrabili coniglietti, un pensiero dolce, specifichiamo “non diabetico”, deve essere sempre alternato a menefreghismo, specifichiamo “non ostilità, non bipolarismo schizofrenico”. Una volta coccolosi, l’altra indifferenti. Alle ragazze i trip mentali su queste cose non bastano mai, mentre i ragazzi vanno torturati sui loro alti e bassi, un giorno li gonfi come pavoni, l’altro li distruggete in orgoglio, fiducia e virilità. Non occorre tanta crudeltà e violenza, basta alternare i complimenti a qualche provocazione di sfida, il risultato lo raggiungerete di fronte a qualsiasi carattere. Dove la corda viene un po’ tirata, lì si scatena sempre la passione, sia che vogliate l’amore tribale del sabato sera, sia quello parsimonioso dei lunghi pomeriggi domenicali.

SORPRESA. Non importa quanto possa sembrare strano e quanto incredibilmente possa essere poco liscio. Deve essere tutto abbastanza irrazionale. Se le/gli scrivete su Whatsapp tutti i giorni, prima ovviamente di verificare che vi scriva a sua volta, sparite per un po’. E non solo per messaggio ma anche su Facebook. Nulla attanaglia più la mente quando una persona sparisce dai social. Cosa starà facendo? Con chi trascorrerà le giornate? Voi ne sapete qualcosa per colui/colei che amate vero? Incredibili patemi, dalla colazione all’ora di dormire, sempre con quel telefono in mano a sondare tutto come agenti STASI.

STUDIO. Inutile fare tante ironie, studiate, studiate tutto. E sondate come SS, altro che STASI. I social non sono esperienza sensoriale, ma neanche virtuale. Tutto quello che dicono, e che soprattutto non dicono, è sempre dannatamente vero. Like, commenti, post e perfino ore di connessione. Potete sapere quasi tutto, ci riserviamo un quasi, sulla vita del vostro Romeo, della vostra Giulietta, sia che sia incomprensibile come Amleto o palese come Ofelia.

LOTTA A DUE. C’è un pubblico lì fuori, voi scrivete e postate elementi validi per tutti, ma non dimenticate il vostro obiettivo, tanto anche lei/lui ogni tanto vi ritroverà nella propria timeline, come se non ci aveste già pensato milioni di volte… Ebbene sebbene siano ambienti mediali pieni di soggetti,  la vostra attività social coadiuvata dall’esperienza reale deve essere una sfida a due. La cotta meno si sa in giro e più sarà sicura l’operazione conquista. L’amica del cuore riuscirà sempre a portarsi a letto l’uomo dei vostri sogni, l’amico di una vita sputtanerà sempre il vostro lato peggiore di fronte a colei che vediamo ogni giorno come una principessa rosa.

PRONTO INTERVENTO. Qualsiasi cosa passi secondo il meteo sentimentale, è sempre tempo di agire, di agire subito a volte. Se lui/lei è interessato a un evento cosa aspettate a invitarlo/la prontamente? Se non accetta e poi vedete un post dell’esperienza vissuta a riguardo, oppure se accetta coinvolgendo la solita crew, saprete che per il momento non siete l’oggetto dei suoi desideri. Ad ogni modo fatelo con scaltrezza, è attraverso il 2.0 che dovrete già esservi resi irresistibili.

SAGGEZZA. Precauzioni in ogni cosa, torniamo a citarla. Non fate la fine di Ofelia, per quanto struggente e poetico, non vogliamo nessun suicidio per amore. Se la preda non ne vale più la pena abbandonatela, ma non disdegnate del fatto che a volte sia solo questione di tempo o di giuste o vane speranze. Nel dubbio a voi il buonsenso se continuare a combattere o no. Una nuova preda si trova sempre, ma non sarà mai come quella cavolo! Detto ciò anche qui ci vuole alternanza. Un giorno come Ofelia, l’altro come Amleto, persi nei vostri pensieri. Per essere Romeo e Giulietta si passa sempre per tutte le altre tragedie di Shakespeare, chiara esperienza di vita vista, sentita e vissuta.

Se per il momento lo spazio a nostra disposizione giunge al termine, noi non pretendiamo nulla come voleva Ovidio ai tempi dell’Ars Amatoria, tipo un encomio scritto sulla schiena nuda del vostro amore una volta che ci avrete dormito insieme. Bastano un like Facebok, un retweet su Twitter, un following per Instagram, una whatsappata e tante condivisioni. In fondo Narciso non è mai morto e queste cose con la giusta moderazione faranno piacere anche alla vostra sognata anima gemella, per quanto angelicamente umile possa essere. Narciso non è mai morto e si è già comprato pure lo smartphone, perché questa è la sua epoca, i social network il suo ossigeno.

 

 

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90 anni dalla prima dimostrazione della televisione http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/29_01_2016/90-anni-dalla-prima-dimostrazione-della-televisione/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/29_01_2016/90-anni-dalla-prima-dimostrazione-della-televisione/#comments Fri, 29 Jan 2016 09:12:53 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5684 Come ci ha ricordato Google con uno dei suoi doodles, il 26 gennaio è stato il 90esimo anniversario della prima dimostrazione pubblica della tv da parte di Baird. Infatti, in un laboratorio di Londra, nel quartiere di Soho, l’ingegnere scozzere John Logie Baird mostrò ai membri della commissione scientifica della Royal institution e ai giornalisti

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Come ci ha ricordato Google con uno dei suoi doodles, il 26 gennaio è stato il 90esimo anniversario della prima dimostrazione pubblica della tv da parte di Baird.

Infatti, in un laboratorio di Londra, nel quartiere di Soho, l’ingegnere scozzere John Logie Baird mostrò ai membri della commissione scientifica della Royal institution e ai giornalisti la prima trasmissione televisiva.
Il televisore meccanico assomigliava ad una radio, con l’aggiunta di un meccanismo roteante, il disco di Nipkow. Quest’ultimo era un dispositivo meccanico che permetteva di analizzare e riprodurre le immagini, che venivano ingigantite poi con una lente di ingrandimento. Era, dunque, il primo esperimento delle televisioni elettroniche, che verranno commercializzate a partire dagli anni Trenta.
L’esperimento era stato già fatto, a porte chiuse, il due ottobre dell’anno precedente, quando Baird, grazie ai meccanismi di amplificazione dei segnali elettrici, riuscì ad inviare a distanza la prima immagine televisiva, formata da 28 linee. Il soggetto di questa immagine era il suo fattorino, William Taynton, presente nella stanza accanto, chetelevisione divenne così il primo uomo a comparire sul piccolo schermo.
Questa volta, sempre a bianco e nero, fu trasmesso il volto di Daisy Elizabeth Gandy, la sua socia in affari. Furono utilizzati due dischi di Nipkon, uno di ripresa e l’altro di riproduzione, che lavoravano però in modo sincronizzato. In questo modo venivano prodotte trenta righe per immagine e cinque immagini al secondo.
Successivamente, l’ingegnere perfezionò le apparecchiature e riuscì, poco tempo dopo, ad eseguire trasmissioni da oltre 600 km di distanza.

Nel 1927 fu fondata la Baird Television Development Company, che ottenne anche la prima trasmissione televisiva transatlantica l’anno successivo.
La BBC decise di adottare questo sistema televisivo per poi abbandonarlo successivamente a favore del sistema a scansione elettronica, messo a punto dalla Marconi-EMI, a raggi catodici. Quest’ultimo produceva un’immagine con una definizione di 405 linee, contro le 240 del primo.

Baird morì nel giugno del 1946, lasciandoci però il suo contributo ad una delle invenzioni più importanti (e presenti) della nostra vita quotidiana.

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52 posti da visitare nel 2016, secondo il New York Times http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/22_01_2016/52-posti-visitare-nel-2016-secondo-new-york-times/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/22_01_2016/52-posti-visitare-nel-2016-secondo-new-york-times/#comments Fri, 22 Jan 2016 12:10:38 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5599 Da alcuni anni il New York Times sceglie, nei primi giorni di Gennaio, una cinquantina di posti in tutto il mondo che per vari motivi consiglia di visitare durante l’anno. La classifica viene fatta in base alle indicazioni dei corrispondenti che il New York Times ha sparsi per il mondo, tramite diverse procedure. Nella prima

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Da alcuni anni il New York Times sceglie, nei primi giorni di Gennaio, una cinquantina di posti in tutto il mondo che per vari motivi consiglia di visitare durante l’anno. La classifica viene fatta in base alle indicazioni dei corrispondenti che il New York Times ha sparsi per il mondo, tramite diverse procedure. Nella prima fase ciascuno propone le sue mete precisando il motivo per cui le ha scelte, e da qui si fa una prima cernita con circa cento destinazioni. Tra tutte poi si tengono solo quelle con le novità più interessanti dell’anno. Per esempio l’apertura di un museo particolare, nuovi mezzi di trasporto che consentono ai viaggiatori di arrivare o di spostarsi con facilità o un anniversario storico per il quale si organizzano eventi culturali di rilievo. Nella classifica dei 52 posti da visitare nel 2016, ci sono mete famose (importanti capitali europee, per esempio) ma anche luoghi meno noti (isole più o meno sperdute o piccole regioni). L’anno scorso aveva vinto Milano, scelta soprattutto in qualità di città ospitante di Expo 2015. Quest’anno in classifica c’è solo una città italiana, Torino, che non è però nemmeno tra i primi 30 posti in classifica.

Il mondo è piccolo, sempre più piccolo, scrivono gli amici del Nyt, e «dai templi più antichi alle acque cristalline, queste secondo noi sono le destinazioni top da visitare durante l’anno». Quali sono? Al primo posto c’è, a sorpresa, Mexico city, capitale sterminata del Messico. Consigliata perché, oltre ad avere ospitato Papa Francesco e centinaia di migliaia di pellegrini provenienti da tutto il paese, ormai attrae sempre più pellegrini ma di un altro genere: viaggiatori che vogliono scoprire i segreti di una delle migliori cucine al mondo, musei, oggetti di design. Giovani da Spagna, Sud America e Stati Uniti arrivano a flotte a Mexico city attratti dalla movida, dalla sua energia, ma anche per la favorevole quotazione del peso, della moneta locale, che è arrivata a livelli bassissimi rispetto al dollaro.

Secondo posto al mondo da visitare nel 2016 per gli americani è: Bordeaux, la città futuristica e la regione dei vini francese, piacevolmente demodè. Quest’anno aprirà i battenti il futuristico Museo del vino a Bordeaux, ambiziosa costruzione lungo il fiume Garonne dedicata alla storia della viticoltura francese. L’edificio completamente in legno progettato dallo studio di architettura X-TU, è parte di uno sforzo di rivalutazione sostenibile delle sponde e delle vie d’acqua di Bordeaux che comprende anche il più grande ponte levatoio europeo, il Ponte Jacques Chaban-Delmas, e il recupero di una vasta area costiera abbandonata in più di 5mila nuovi appartamenti, parchi e installazioni sull’acqua. Insomma Bordeaux è una delle città più interessanti di Francia, la seconda dopo Parigi secondo un recente report transalpino. Con tanti locali che aprono e ristoranti stellati. Gordon Ramsey da poco ha preso in gestione Le Pressoir d’Argent, il ristorante dell’albergo InterContinental. Mentre lo chef stellato francese Philippe Etchebest guida il Café Opera nel Gran teatro. Il quartiere neoclassico di Bordeaux, in buona parte restaurato, dal 2007 fa parte dei siti urbani degni di protezione dell’Unesco

Al terzo posto, sempre sul podio, c’è Malta. Un clima favorevole, spiagge sublimi, templi megalitici e una cultura mix, piena di influenze di ogni tipo ne fanno uno dei posti preferiti dal Nyt. L’inglese è una delle due lingue ufficiali, ma finora pochi americani hanno scoperto lo charme di Malta. Nell’arcipelago ci sono tre isole da esplorare. Malta e la sua trafficata capitale Valletta, tra le città protette dall’Unesco per le sue case in pietra bianca. Gozo, più calma con la sua costa rocciosa piena di posti fantastici per fare immersioni subacquee. E, in ultimo, la idilliaca Cominco, piccolissima, auto-free, che ha un solo albergo e pochi residenti. Quest’anno sarà speciale per la Valletta che celebra il 450esimo dalla fondazione. Con tanti eventi nella sua città vecchia e tanti altri nella sua parte più moderna, tra cui l’inagurazione della restaurata Opera house all’aperto e del Nuovo Parlamento, entrambi progettati da Renzo Piano. Gli americani consigliano di seguire per visitare Malta le tracce le di Angelina Jolie e Brad Pitt che qui, a Gozo, hanno girato il loro ultimo film «By the Sea».

Torino, Italia, e le dolci colline di Langhe, Roero e Monferrato. I suoi saperi, e i suoi sapori di questa «antica capitale industriale» sono al 31esimo posto tra i luoghi consigliati da visitare. Consigliato c’è il Museo Egizio appena riaperto dopo la ristrutturazione totale e poi i Docks Dora, sede di gallerie, atelier e club underground, la street art alla Barriera, il nuovo headquarter di Lavazza vicino Porta Palazzo, il più grande mercato europeo all’aperto. Torino, viene ricordato, è la città dell’annuale Salone del Gusto organizzato da Slow Food che tanto piace agli americani. Ma è anche la città di tanti spazi espositivi e rassegne culturali (Camera, Art Week, Paratissima e Luci d’Artista, Torino Jazz, Kappa Futur, Todays, Movement Torino). Sempre Torino è a un passo dalla splendida area di Langhe-Roero e Monferrato, patrimonio dell’Unesco. Zona di grandi vini. Gran cibo italiano. Colline dolci. Paesaggi. E buon vivere.

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Il potere di un hashtag http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/16_01_2016/il-potere-di-un-hashtag/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/16_01_2016/il-potere-di-un-hashtag/#comments Sat, 16 Jan 2016 11:47:16 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5603 In principio erano le collezioni a parlare per gli stilisti. Di loro, della loro vita privata, non si sapeva nulla o quasi, ciò che rilevava erano solo i capi: uno dopo l’atro, in passerella raccontavano una storia, un mood, un viaggio . Oggi non è più cosi: grazie in particolare all’uso diretto dei social media

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In principio erano le collezioni a parlare per gli stilisti. Di loro, della loro vita privata, non si sapeva nulla o quasi, ciò che rilevava erano solo i capi: uno dopo l’atro, in passerella raccontavano una storia, un mood, un viaggio . Oggi non è più cosi: grazie in particolare all’uso diretto dei social media – Instagram su tutti – la nuova generazione di designers esprime, impone e crea nuovi trend direttamente tramite i propri account multimediali.

Olivier Rousteing, giovanissimo direttore creativo della storica maison francese Balmain, spicca su tutti. Con i suoi 2 milioni di followers ha letteralmente monopolizzato la scena: infatti è con l’hashtag #HMBalmaination che il 18 Maggio del 2015 ha annunciato la collaborazione con il marchio low cost H&M. Rousteing non è nuovo all’uso degli hashtag: visitando il suo profilo se ne trovano svariati, tra cui #balmainarmy, tra i preferiti dello stilista.
Oltre a Rousteing, anche l’italiano Riccardo Tisci, direttore creativo di Givenchy dal 2005, è solito pubblicare assiduamente sul suo account di Instagram. Le foto comprendono le sue fonti d’ispirazione – dalle Madonne gotiche ai rottweiler, passando per le bandiere americane – la sua terra – la Puglia – le sue muse – su tutte Maria Carla Boscono, ma anche i nipotini dello stilista, senza tralasciare alcuna parte della propria vita privata. Il tutto ovviamente contrassegnato dagli hashtag #gang, #family e #love. Addirittura l’hashtag “Fashion gang” è diventato l’intestazione di uno dei numeri più belli di quest’anno di Vogue Japan, che ritraeva Tisci circondato da alcuni membri della sua gang, tra i quali Kanye West, Jessica Chastain e le modelle Kendall Jenner, Joan Smalls e Mica Arganaraz.
Guardando ancora ai designers italiani, Stefano Gabbana è un accanito fan di Instagram. Lo stilista non si limita a “postare” le campagne pubblicitarie della sua maison, sfruttando il social network come una vetrina, ma rende partecipi i fans del suo stile di vita, delle sue vacanze, ma soprattutto della sua passione per l’Italia – e per la Sicilia in modo particolare. L’isola è, infatti, omaggiata dall’hashtag #Sicilyismylove, ormai ricamato a mano su alcune borse della collezione Primavera/Estate 2016. Altri hashtag firmati Stefano Gabbana – #dgmamma #dgfamily, #Italyislove – hanno segnato le collezioni più recenti di Dolce&Gabbana e, allo stesso tempo, raccontano in una parola i temi d’ispirazione della coppia di stilisti.

Gli hashtag diventano, infatti, una vera e propria istituzione, il mezzo di comunicazione più rapido per creare proseliti e arrivare direttamente ai fans. Infatti, in un settore elitario come quello della moda, l’hashtag permette alle persone comuni di sentirsi parte di esso ma soprattutto ai designers di conquistare l’attenzione della fascia più giovane del mercato.
Family, gang, Italy is love: scegliere quello preferito sembra essere la tendenza del momento. Non è più sufficiente affidarsi alle campagne pubblicitarie, seppure realizzate da grandi fotografi. Gli acquirenti vogliono conoscere la storia che si nasconde dietro un capo firmato e quale migliore modo di comprenderla se non attraverso il suo creatore?
Non è stato sempre così: negli anni Novanta, soprattutto, nessun dettaglio della vita privata dei designers era noto al grande pubblico. Di Gianni Versace, ad esempio, non sapevamo nulla, il suo estro era comunicato attraverso gli abiti, o grazie alle sue provocanti e trasgressive campagne pubblicitarie con protagoniste le top-model per eccellenza: Naomi, Claudia e Cindy, (tra l’altro, le tre super modelle sono state recentemente ingaggiate da Rousteing per l’ultima campagna di Balmain). Prima dell’esistenza di Instagram gli stilisti non avevano bisogno di creare stuoli di seguaci a suon di likes, bastava la creatività affinché la stampa di tutto il mondo parlasse di loro.

A questo punto viene naturale chiedersi se oggi sia lo stilista a creare il marchio o, viceversa, il marchio a creare lo stilista. E quest’ultimo, inoltre, crea forse attorno a sé un esercito di fan per supplire alla sua mancanza di creatività? Ma cosa succederà quando gli attuali direttori creativi lasceranno la maison d’adozione per crearne una propria? Porteranno via con loro i milioni di fan che adesso li seguono?
Occorrerà attendere che le nuove generazioni – cresciute nel mondo social – trasformino il potere di un hashtag in potere d’acquisto, perché non bastano milioni di followers e likes ad alimentare l’industria multimilionaria della moda.

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Una moda Atipica http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/09_01_2016/una-moda-atipica/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/09_01_2016/una-moda-atipica/#comments Sat, 09 Jan 2016 09:19:28 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5590 Sono finiti gli stereotipi e le modelle 90-60-90. Ora tutto ciò che è diverso nel mondo della bellezza viene sempre più apprezzato, proprio come il numero sempre più elevato di modelli “atipici” che posano per le campagne pubblicitarie dei marchi più prestigiosi. Modelle affette da vitiligine, con protesi alle gambe. In fondo, chi ha detto

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Sono finiti gli stereotipi e le modelle 90-60-90. Ora tutto ciò che è diverso nel mondo della bellezza viene sempre più apprezzato, proprio come il numero sempre più elevato di modelli “atipici” che posano per le campagne pubblicitarie dei marchi più prestigiosi. Modelle affette da vitiligine, con protesi alle gambe.
In fondo, chi ha detto che il brutto anatroccolo è costretto a diventare un cigno?

Velo in testa e piercing sul naso. Mariah Idrissi, 23 anni musulmana di Londra, è la prima modella con l’hijab ad apparire in una campagna pubblicitaria di un brand di moda fast-fashion. Nel video di H&M che promuove il ricliclo degli abiti c’è lei (dopo 54 secondi): foulard in testa – abbinato al cappottino rosa – occhiali da sole, tanti gioielli. Di origini pakistane e marocchine, la ragazza che ha il piercing sul naso si è fatta notare su Instagram. Le immagini postate sono prodotte da uno smartphone, ma la posa è quella di una modella professionista, con tanto di broncio, viso di profilo e il collo un po’ piegato. Mariah è bella e lo sa. Con o senza rossetto e eyeliner. «Sono sorpresa di questo successo» ha spiegato con impeccabile accento british. Adesso che è diventata famosa, perché molti giornali hanno parlato di lei, da quelli africani a quelli inglesi, tutte le ragazze musulmane vogliono imitare il suo sistema di «coprirsi» in modo chic.

I parenti in Pakistan e Marocco non hanno gradito l’esordio di Mariah nella moda. Eppure, i commenti sui social network sono quasi tutti positivi. «Fa guardare la donna musulmana senza paura e disprezzo, ma con una sana curiosità» scrive il blog MuslinGirl. «Siamo fiere di te, finalmente si parla di musulmani in modo positivo» si legge sull’account Instagram di Mariah. Le critiche, poi, ci stanno. Immancabili gli haters. C’è chi pensa che l’esposizione fashion sia in conflitto con la religione. Punti di vista. In ogni caso, nessun ha detto niente quando Mariah ha deciso di aprire un salone di bellezza a Londra, specializzato in henné sul corpo, massaggi marocchini e cura delle mani.

Aimee Mullins è un’atleta paralimpica, attrice e modella statunitense. È conosciuta per le sue idee sul concetto di corpo e per le sue prestazioni atletiche, nonostante abbia subito l’amputazione di entrambe le gambe quando aveva un anno. Nel 1999, a Londra, ha sfilato per lo stilista inglese Alexander McQueen su delle protesi di legno intagliato a mano, ed è stata nominata dalla rivista People come una delle cinquanta persone più belle del mondo. Nel 2002 è apparsa in Cremaster 3, film dell’artista Matthew Barney, nel ruolo di donna ghepardo. Ne 2006, è apparsa nel film World Trade Center, nel ruolo di un giornalista. Si occupa attivamente di pensiero innovativo, immagine del corpo e problemi legati alle opportunità e all’equità nello sport e nella vita. Su questi temi ha pubblicato articoli ed è stata oggetto di numerose interviste, e in più occasioni è apparsa come oratrice in diverse radio e televisioni, e ha tenuto conferenze al TED e alle Nazioni Unite.

Winnie Harlow è una top model che ha una malattia della pelle chiamata vitiligine. La vitiligine è una condizione che causa la depigmentazione di parti della pelle e si verifica quando i melanociti, le cellule responsabili della pigmentazione della pelle, muoiono o non sono in grado di funzionare.Winnie ha un coraggio da leonessa e non ha paura di mostrarsi nelle sfilate, sul suo profilo Instagram e a tutto il mondo per la sua condizione, davvero una donna da ammirare!

Brunette Moffy, ha un piccolo problema agli occhi: è affetta dal cosidetto ‘strabismo di Venere’. Nonostante questo suo piccolo difetto, Brunette è stata ingaggiata da un’agenzia di top model, la Storm Models, che in passato lanciò celebrità come Kate Moss e Cindy Crawford. Il suo debutto nel campo della moda è avvenuto l’estate scorsa, quando la bella Brunette è stata la protagonista della copertina del magazine Pop. Subito è arrivato il successo, forse anche ‘favorita’ dal suo piccolo difetto, elemento distintivo di una bellezza fuori dal comune. “Moffy non era mai stata fotografata per una rivista ed è sempre emozionante lavorare con una persona quando non si sa come potrebbe andare – commenta il fotografo Tyrone LeBon – Ha tutte le misure fisiche di una modella professionista, ciò che la distingue sono proprio gli occhi, belli, enormi e grigio-verdastro , particolari proprio perché non si allineano”.

Ognuna di queste donne lotta contro un disagio: chi per una problematica fisica, chi estetica, chi sociale. Ogni donna lotta contro dei luoghi comuni, contro dei limiti, delle debolezze, delle incertezze. Ogni donna lotta per un sentimento vero, per una verità che fa paura, per una paura che condiziona ogni giorno. Ogni donna lotta e ci prova, perché provarci e vincere è parte integrante dell’essere donna.

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Un Natale laico http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/05_01_2016/un-natale-laico/ http://www.360giornaleluiss.it/lifestyle/05_01_2016/un-natale-laico/#comments Tue, 05 Jan 2016 14:43:14 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=5177 Nel periodo pre-natalizio, tra luminarie cittadine e aria carica di gioia, l’ennesima diatriba è scoppiata: crocifisso si o crocifisso no, recita di Natale si o recita di Natale no, presepe si o presepe no? In alcune scuole dei presidi coraggiosi hanno cercato di rendere i festeggiamenti del natale più laici possibili, per promuovere l’integrazione interreligiosa.

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Nel periodo pre-natalizio, tra luminarie cittadine e aria carica di gioia, l’ennesima diatriba è scoppiata: crocifisso si o crocifisso no, recita di Natale si o recita di Natale no, presepe si o presepe no?

In alcune scuole dei presidi coraggiosi hanno cercato di rendere i festeggiamenti del natale più laici possibili, per promuovere l’integrazione interreligiosa. Molti, anzi moltissimi, non l’hanno presa bene. Ecco quindi che ogni talk show pomeridiano si è popolato di mamme infervorate che difendevano presepe, crocifisso e canti natalizi a spada tratta, con una forza e tenacia invidiabili.
Le proposte alternative dei presidi erano sì prive di tratti strettamente religiosi, ma non di certo dell’allegria che caratterizza le festività per i più piccoli. Si trattava di manifestazioni laiche, che rappresentavano comunque un’occasione per un momento di condivisione serena: anziché la festa di Natale la festa d’Inverno, anziché “Tu scendi dalle stelle” si cantavano gli inni alla pace come “Imagine” di John Lennon per esempio, anziché solo bambini cristiani tutti i bambini potevano festeggiare insieme.

I presidi in questione sono stati trascinati in un vortice di polemiche senza fine, genitori su tutte le furie hanno scritto lettere, chiamato politici e contattato giornalisti. Così da una diatriba locale si passa al dibattito nazionale; l’Italia si divide : la maggioranza difende la presenza della religione in un’ istituzione pubblica come la scuola, in quanto simbolo della tradizione italiana, e una sparuta minoranza rivendica la laicità dello Stato.

La polemica in questione è stata strumentalizzata da alcune figure politiche, che hanno veicolato le proteste contro coloro che venivano dipinti come i “colpevoli”, ovvero gli immigrati. La frase “ Se non volete il crocifisso e il presepe, tornatevene al vostro paese!” è rimbalzata di canale in canale, inneggiando alla protezione della cultura italiana. Ma se a chiedere festeggiamenti laici nella scuola fosse un italiano, in quale paese dovrebbe tornare? Se sei italiano e chiedi una cosa del genere allora vieni tacciato di essere “meno italiano”, perché questo è quello che siamo. Se non conosci la poetica di Petrarca, la brillante dottrina politica di Macchiavelli, il concetto di umorismo di Pirandello e la genialità di Marconi puoi comunque arrogarti il diritto di ergerti a difensore della cultura italiana; ma se non vuoi simboli religiosi nei luoghi pubblici sei “italiano a metà”.

Da un punto di vista giuridico, i crocifissi non sono vietati nelle scuole; da anni infatti non c’è chiarezza sulla questione. Si tollera silenziosamente una presenza imposta da i regi decreti 965/1924 e 1297/1928:
« Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re. »
« Tabella degli arredi e del materiale occorrente
nelle varie classi e dotazione della scuola.
Prima classe.
1. Il crocifisso.
2. Il ritratto di S. M. il Re.
(..) »
Da qui in poi lo Stato si è come addormentato sui due decreti, ribadendo in modo nebuloso la validità degli stessi senza mai però aggiornare la legge in modo chiaro e insindacabile. La Corte europea per i diritti dell’uomo, il 3 novembre 2009 con la sentenza Lautsi v. Italia proclamò che il crocifisso nelle aule è “una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di religione”, sentenza ribaltata poi dalla Grand Chambre. Nonstante decreti regi e sentenze, esiste la Costituzione che stabilisce (artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20) la laicità dello Stato Italiano.

Allora, al di là della validità giuridica o meno, non rimane che chiederci che cosa rappresentano davvero per noi il crocifisso, il presepe e le recite natalizie.

Siamo così spaventati dal progresso e dal cambiamento culturale da legarci spasmodicamente a certi tipi di simbolo o siamo semplicemente troppo arretrati per accettare il fatto che si può vivere la fede anche in maniera privata?

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