rugby – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png rugby – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 A Firenze l’Italrugby scrive la storia http://www.360giornaleluiss.it/a-firenze-litalrugby-scrive-la-storia/ Sun, 20 Nov 2016 13:25:52 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7609 Firenze. Questa volta dall’altra parte, contro un’Italia un po’ spaurita e delusa dopo un match -secondo alcuni- da dimenticare contro i temuti e temibili tutti neri Neozelandesi, c’era la Repubblica del Sudafrica, per gli intenditori, gli Springboks. Una delle squadre di rugby più forti dell’Emisfero Sud, nonché del mondo, stabilmente posizionata entro i primi posti

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Firenze. Questa volta dall’altra parte, contro un’Italia un po’ spaurita e delusa dopo un match -secondo alcuni- da dimenticare contro i temuti e temibili tutti neri Neozelandesi, c’era la Repubblica del Sudafrica, per gli intenditori, gli Springboks.
Una delle squadre di rugby più forti dell’Emisfero Sud, nonché del mondo, stabilmente posizionata entro i primi posti del World Rugby Rankings, il Sudafrica sconta una storia ben più sensazionale di quella della nostra Nazionale.

Formazione composta solamente da giocatori bianchi sin da prima che entrassero in vigore le odiose leggi dell’Apartheid nel 1984, gli Springboks furono a lungo un simbolo di divisione razziale. Quando Nelson Mandela, dopo 27 anni di lunghissima prigionia, divenne presidente però, da simbolo negativo divennero motore dell’integrazione tra afrikaner e neri. In vista della Coppa del Mondo del 1995, Madiba si interessò tanto alle sorti della squadra, da anni perdente, che da questo amore tra il rugby e il presidente nacque la insperata vittoria contro i tutti neri di Jonah Lomu e un nuovo presente, fatto di gloria e vittorie, per la formazione guidata all’epoca da Francois Pienaar.

Una storia di meraviglia e riscatto sociale, che il 15 azzurro si è trovato a fronteggiare nella cornice del toscano Artemio Franchi, piovoso e non proprio gremito come lo era stato una settimana fa lo Stadio Olimpico.
Dall’altra parte della trincea 15 omaccioni tutti gialli e verdi, che non facevano paura come gli All Blacks, ma non erano proprio cuccioli di labrador.

Il primo tempo è spettacolare, ma equilibrato. Qualche fallo azzurro di troppo, forse figlio dell’ansia da prestazione, regalano parecchi metri alla formazione ospite. Ancora una volta l’Italia riesce a rimanere concentrata, e i placcaggi dei finalmente ritrovati Venditti e Favaro riescono a respingere chiunque , eccetto Bryan Habana, che mette a terra la palla conquistando i primi 5 punti per il Sudafrica. Risponde con una meta anche il sudafricano azzurro Van Schalkwyk e Carlo Canna infila anche la difficile trasformazione. La fatica azzurra viene sfocata da una nuova meta Springboks, con De Allende che corre verso la linea e la trasformazione, stavolta centrata, di Lambie.
Al break si va con il 12-10 per la squadra ospite, grazie ad un calcio di punizione di Edoardo Padovani, tutt’altro che l’ultimo arrivato, che chiede di andare per i pali. Al secondo tempo un fallaccio di Fuser costringe all’inferiorità numerica gli azzurri. Sembra impossibile gestire in 14 gli Springboks, ma l’Italia ha la concentrazione giusta e la cavalcata azzurra domina i giganti. Un fallo di Canna e la disattenzione del veterano Parisse, però, donano ai sudafricani una touche nei 22, che fortunatamente porta a nulla di fatto. Al 56 minuto l’Italia, con un gigantesco Venditti, torna in meta e il solito Canna trasforma per il 17-15.
Il vantaggio però dura poco: il Sudafrica torna in meta.
Gli ultimi minuti appaiono secoli.
Grazie ad un calcio di punizione siamo di nuovo in vantaggio, ma di 2 punti.
Il vantaggio si spera più generoso grazie ad una meta, poi annullata dall’abile occhio di Nigel Owens.
Passato l’ottantesimo l’ovale è ancora nel rettangolo verde e piovoso; ad Allan tocca buttarla in tribuna per entrare nella storia.

20 a 18 per l’Italia contro i Boks. La vittoria è da copertina, ed il delirio dei giocatori nostrani dentro il campo e fuori -cantano Stand By Me a suon di birre, con uno straordinario ed insolito Padovani al piano (controllare la storia Instagram di “tallan10” per credere)- lascia intendere l’importanza del traguardo.
La guida dell’irlandese Conor O’Shea, il nuovo staff, i gladiatori Favaro e Venditti, sembrano aver fatto spuntare il sole su una squadra di rugby maltrattata dentro il campo dagli avversari, derisa fuori dagli italiani stessi: tolti i tifosi storici, solo battutine e un certo odio inspiegabile.
Resta il dubbio che sia un fuoco fatuo però, destinato a spegnersi subito, come fu la guida di Brunel: inizialmente la vittoria contro l’Irlanda nel Six Nations, poi un declino inarrestabile…
C’è da ammettere, ad onor del vero, che i Boks non sono quelli di qualche tempo fa: sette sconfitte consecutive, e gli stadi pieni solo di bianchi, con i neri continuano ad amare solamente il calcio, mentre alcuni partiti politici vorrebbero che la squadra fosse eliminata del tutto per i trascorsi razzisti, stanno facendo vivere al Sudafrica un momento piuttosto buio.
Ma non è importante.
L’importante è fare la storia. E noi, consentiteci, l’abbiamo fatto.

Adesso manca una prova, quella con Tonga, nella cornice di Padova. Sarà la sfida finale di questi Test Match autunnali.
Poi sarà la prova del nove: scaldiamo le gole -e le gambe-, a febbraio inizia il Sei Nazioni.

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Italia vs All Blacks: ennesima disfatta azzurra http://www.360giornaleluiss.it/italia-vs-all-blacks-ennesima-disfatta-azzurra/ Mon, 14 Nov 2016 13:02:31 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7554 ROMA. Sabato 12 novembre è andata in scena allo Stadio Olimpico una di quelle partite che non dimentichi, e che probabilmente racconterai ai tuoi nipoti. Italia vs All Blacks è infatti una di quelle sfide che un appassionato di rugby made in Italy aspetta tutta la vita, e quando arriva bisogna assolutamente esserci, in un

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ROMA. Sabato 12 novembre è andata in scena allo Stadio Olimpico una di quelle partite che non dimentichi, e che probabilmente racconterai ai tuoi nipoti. Italia vs All Blacks è infatti una di quelle sfide che un appassionato di rugby made in Italy aspetta tutta la vita, e quando arriva bisogna assolutamente esserci, in un modo o nell’altro. Ed ecco che lo stadio era un tripudio di persone, ognuna con il proprio accento e con la propria storia, venuta da ogni parte d’Italia a Roma per guardare e ammirare –pare brutto, sì, ma è così- la nazionale di rugby più forte del mondo, quelli della Haka, quelli di Jonah Lomu: i leggendari All Blacks.

Le aspettative erano quelle che erano, è vero, ma non tanto basse da aspettarsi uno stacco di quasi 60 punti. Conor O’Shea, il nuovo allenatore venuto dalla guerriera Irlanda –gli unici che dopo 17 vittorie sono riusciti a infrangere la supremazia All Blacks, poco più di una settimana fa-, il completamente rinnovato staff, le parole di Capitan Parisse –“Sarà un’Italia mai vista” aveva rilasciato ai microfoni di Repubblica- promettevano una difesa di ferro e placcaggi infrangibili. Insomma, che gli All Blacks avrebbero vinto ce lo aspettavamo, inutile negare -loro sono loro, negli asili neozelandesi si gioca a touch rugby- ma non ci aspettavamo certo che sul rettangolo romano ci avrebbero dato una lezione di palla ovale da rimanerci secchi.

I neozelandesi sono arrivati a Roma diversamente da come ci arrivano le nazionali del Sei Nazioni, scozzesi, irlandesi, inglesi, gallesi, fino agli odiati francesi, con il quale ogni anno abbiamo da giocarci il combattuto “Trofeo Garibaldi”. Gli All Blacks sono arrivati a Roma accolti come dei in terra, da adorare e ai quali immolare vittime sacrificali: in questo caso i vitelli da sgozzare sull’altare erano Parisse e co., però.

Haka a parte, litri di birra a parte, e uno Stadio Olimpico tutto esaurito (un traguardo che ormai solo il rugby riesce a centrare, a differenza di Roma e Lazio), resta un po’ di amarezza. I neozelandesi hanno vinto senza scomporsi più di tanto, dando l’impressione anche ai meno esperti sugli spalti e davanti alla TV –i testmatch vengono trasmessi in diretta dall’emittente televisiva DMAX- di star giocando senza fare troppo sul serio, quasi come se fossero in allenamento. Tolta l’euforia, è arrivata un po’ di desolazione, alla quale Sergio Parisse ha risposto con uno stizzito “E’ scontento solo chi non capisce niente di rugby”, aggiungendo poi che non è come le altre volte, che l’Italia sta lavorando molto bene e che stiamo assistendo all’inizio di una nuova era per il movimento rugbistico italiano.

C’è da notare, a scanso di equivoci, che qualche piccola nota positiva c’è stata: la squadra, sebbene formata da numerose nuove leve provenienti dall’Eccellenza italiana, che in confronto ai massimi campionati europei è un torneuccio di dilettanti allo sbaraglio, non ha mai perso la concentrazione durante gli ottanta minuti del match. Nel passato, ci si perdeva d’animo alla prima difficoltà. Nonostante la presenza di un gran numero di giovani rugbisti alle prime armi, in campo si è vista una maggiore disciplina, che è servita a evitare i falli stupidi e inutili che nel passato sono costati cari alla nostra Nazionale.

Il patrimonio tecnico del nostro quindici resta comunque limitato rispetto agli avversari, che siano i tutti neri o quelli provenienti da oltre Manica, e Italia All Blacks è finita per essere l’ennesima sconfitta, che a chi odia tutto ciò che non è calcio ha fatto nuovamente sussurrare, sarcasticamente “Ma perché hanno mai vinto?”.

Il problema però non è solo perdere, ma anche come si perde. Negli ultimi anni Italia-Nuova Zelanda era già andata in scena, ma il 14 novembre 2009, a San Siro. Le mete concesse ai tutti neri furono solo due. E poi di nuovo, sempre all’Olimpico, il 17 novembre 2012. Quella volta perdemmo con un più dignitoso 10 a 42. Questa volta, appena due giorni fa, le mete subite sono state addirittura dieci, contro l’unica meta azzurra.

Il rugby italiano va indietro, non avanti, ma lo Stadio Olimpico continua a bere birra e a fare la ola.

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God save Stuart Lancaster http://www.360giornaleluiss.it/god-save-stuart-lancaster/ Mon, 05 Oct 2015 14:07:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=4495 L’Australia, si sa, non è più la squadra da battere da un paio d’anni. Complici della crisi dei vecchi, temibili, dei, risse negli spogliatoi di casa, distruzione di quelli ospitanti (i poveri irlandesi si son viste scardinare le porte  anti panico dell’Aviva Stadium poco tempo fa). Poi, però, è arrivato Twichenham, tempio indiscusso del rugby

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L’Australia, si sa, non è più la squadra da battere da un paio d’anni. Complici della crisi dei vecchi, temibili, dei, risse negli spogliatoi di casa, distruzione di quelli ospitanti (i poveri irlandesi si son viste scardinare le porte  anti panico dell’Aviva Stadium poco tempo fa). Poi, però, è arrivato Twichenham, tempio indiscusso del rugby albionico, e con lui i Leoni, la squadra di casa, la Nazione ospitante, gli inventori della palla ovale. I predatori veri dell’incontro sono però i Wallabies e i bianchi vestiti, sofferenti, perdono di misura: 33 a 13 il punteggio finale, da sommare ad un Owen Farrell vergognoso che si prende un giallo a dieci minuti dalla fine del match. È la rovina di una Nazione. L’Inghilterra non era mai uscita così presto dalla corsa alla Coppa del Mondo, figuriamoci se immaginava di farlo questa volta, in casa propria. Secondo una stima della London Business School, addirittura, la sconfitta subita farà crollare dello 0,5% l’indice della Borsa. Che Dio salvi Stuart Lancaster dal linciaggio, intanto…

Il proverbio recita “il rugby è nato perché anche i calciatori devono avere degli idoli”. E Maradona, sì, Diego Armando Maradona, ne è forse la prova vivente (e forse ubriaca). El Pibe de Oro era a Leicester, ad incitare la sua Nazione, l’Argentina, dagli spalti in modo del tutto eccentrico. Passare inosservato? Non ne è mai capace, lui, e quindi per non smentirsi dopo il match ha fatto il suo ingresso trionfale negli spogliatoi, dando il peggio di sé con movimenti di bacino. Ha promesso che tornerà, se i Pumas arriveranno in semifinale… Stiamo temendo il momento.

Dagli irlandesi, vincitori indiscussi degli ultimi due RBS Sei Nazioni, ti aspetti la disfatta, completa e totale. Ma non è arrivata (per fortuna) e una nuova e magica Italia della palla ovale ha rischiato addirittura il sorpasso con una meta di Furno, innescata da Parisse, contro la quale ha potuto solo la forza del TMO. E’ la miglior Italia vista negli ultimi anni: senza paura e col coraggio di chi sa che può, e perché non potrebbe, dopo tutto? I ritrovati Parisse e Favaro alzano il livello della difesa, granitica e saccente, Tommaso Allan ha un piedino preciso, e degno di nota. Unico rammarico: un Leo Sarto sbiadito, insieme ad un’intera linea dei tre quarti affaticata, dalla quale si salva solo il solito, audace e marmoreo Venditti.
Al 70^ tocca a Mauro Bergamasco: con questo siamo al quinto Mondiale giocato per lui.Bel traguardo per un oramai signore che non ha mai perso testa, voglia e umiltà, ma questa è un’altra storia. Ci si rivede sabato, a Exeter, contro la Romania. Dalla RWC siamo matematicamente out, ma la vittoria ci assicurerebbe un posto per la prossima… La speranza è l’ultima a morire.

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Italrugby: l’hashtag, le polemiche e ‘sto Sei Nazioni… http://www.360giornaleluiss.it/italrugby-lhashtag-le-polemiche-e-sto-sei-nazioni/ Fri, 24 Apr 2015 08:02:18 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3218 A cinque mesi dal via della Coppa del Mondo di Rugby – che si giocherà in Inghilterra – è tempo di infuocate polemiche in Casa Gavazzi. Il numero uno della Federazione Italiana Rugby, in un’intervista rilasciata pochi giorni fa, ha avanzato la discutibile proposta di premiare i giocatori in base ai risultati, abolendo i famigerati

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A cinque mesi dal via della Coppa del Mondo di Rugby – che si giocherà in Inghilterra – è tempo di infuocate polemiche in Casa Gavazzi. Il numero uno della Federazione Italiana Rugby, in un’intervista rilasciata pochi giorni fa, ha avanzato la discutibile proposta di premiare i giocatori in base ai risultati, abolendo i famigerati gettoni di presenza.

E’ un fulmine a ciel sereno: Capitan Parisse lancia un tweet che recita una frase estrapolata dall’intervista al Presidente: “Dei pensionati sono stanco, al 15° posto del ranking non ci sono andato io” (che seppur andrebbe contestualizzata risulta in egual maniera triste) seguita dall’hashtag – presto virale- “#portacirispetto”. E di sostegno al numero 8 della Nazionale intervengono subito tutti –o quasi- gli Azzurri muniti di un profilo Twitter.
Gavazzi non tarda a giustificarsi ed aggiunge che i ragazzi sono stati “mal consigliati”. Forse il cattivo consiglio è giunto da un signore che di nome fa Matteo Barbini ed è il Presidente della GIRA (Giocatori Italiani di Rugby Associati), ma ci interessa piuttosto il comunicato che poco dopo giunge alla FIR da parte degli Azzurri rappresentati nel Sindacato, con il quale minacciano pure di proseguire con le proteste se non verranno ascoltati (e non solo in merito a quel famoso gettone di presenza…).

Prima di tutto il fango e dello squallore di polemiche mezzo stampa e social network, però, esiste una Nazionale brutta che gioca non al meglio l’appena trascorso Sei Nazioni, e chiude i giochi lasciando quantomeno il cucchiaio di legno alla Scozia.

Ne abbiamo parlato, pro e contro, meriti e colpe, pregi e difetti, con Christian Marchetti, firma de Il Messaggero e voce di Rtl 102.5 per la palla ovale.

Polemiche a parte, a che punto è oggi il rugby Italiano?

A livello mondiale ci stiamo lasciando scappare opportunità di crescita non indifferenti, come quelle che offrono le prossime Olimpiadi con il Rugby a 7. Nazionali quali il Portogallo o la Russia, per esempio, procedono spedite: sono la prova che mentre l’Italia cerca di crescere, c’è chi lo fa sul serio, giorno dopo giorno. Sul fronte europeo, il Sei Nazioni appena passato è stato un torneo discutibile, giocato da alcuni team non al massimo della forma solita ma gli Azzurri, aldilà della bella vittoria con la Scozia, che va loro riconosciuta, hanno battuto molti record negativi.

Di chi sono le colpe?

La Federazione e le franchigie dovrebbero prendersi le loro responsabilità. Certo, quest’ultimo Torneo ci ha confermato che esiste qualcosa da rivedere anche sotto il punto di vista caratteriale e motivazionale del team: i ragazzi patiscono cali psicologici che una squadra di questo livello non può e non deve permettersi. Per non parlare dell’atavica necessità di un piazzatore dalle percentuali importanti: dalla piazzola continuiamo a perdere troppi punti importanti, che decisamente fanno comodo…

Azzurri e futuri tali si coltivano in Italia esclusivamente presso Benetton e Zebre. Aprire anche all’Eccellenza non potrebbe rappresentare un fattore di crescita?

Salvo rare e sporadiche eccezioni, i giocatori che militano in Eccellenza non possono che mostrare in Azzurro standard di livello inferiore a quello di Parisse e compagni. Ovvio che i rugbisti di qualità maturino nelle franchigie o fuori dai nostri confini. Non pensiamo però di non possedere capitale umano sul quale investire: ragazzi quali Morisi, Sarto, Campagnaro sono ottimi atleti, ma troppo spesso in Italia non si utilizza il potenziale loro e di altri come si dovrebbe invece fare. Quello che ci affligge e peggiora i nostri risultati è una cattiva gestione delle giovani promesse: rischiamo ogni volta di bruciare presto tutte le qualità che possiedono. Jonathan Sexton, in Irlanda, fu chiamato a sostituire Ronan O’Gara. Il confronto da reggere per lui era di certo devastante, ma è stato fatto su di lui uno straordinario lavoro, non è stato lasciato in balia di sé stesso, diventando il campione che tutti conosciamo.

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C’era una volta la Gran Sasso Rugby… http://www.360giornaleluiss.it/cera-una-volta-la-gran-sasso-rugby/ Wed, 18 Mar 2015 08:07:00 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=2632 Quella dell’ASD Gran Sasso Rugby è una bellissima storia di sport, tanto da dover esser necessariamente raccontata. Sì, perché è la favola di ragazzi che piano, pazienti e tenaci, ce l’hanno fatta per davvero. Nata nell’ormai lontano 2001 nella piccola Navelli, comune di ben 614 anime in provincia de L’Aquila, conosciuto dai più per la celeberrima

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Quella dell’ASD Gran Sasso Rugby è una bellissima storia di sport, tanto da dover esser necessariamente raccontata. Sì, perché è la favola di ragazzi che piano, pazienti e tenaci, ce l’hanno fatta per davvero. Nata nell’ormai lontano 2001 nella piccola Navelli, comune di ben 614 anime in provincia de L’Aquila, conosciuto dai più per la celeberrima coltivazione del prestigioso zafferano (“l’oro rosso”, per i cultori), la Gran Sasso ha scalato in pochi anni i gironi del rugby made in Italy. Dal 2004 al 2009 il team ha disputato il campionato di serie C e tutti i campionati giovanili di categoria, ottenendo la promozione nel 2012; poco più tardi la squadra, giovane ma già temprata, come le montagne tra le quale si allena, ha vinto il girone 4 del Campionato Nazionale di Serie B e conquistato le finali per la promozione. Ad oggi, la Gran Sasso milita in Serie A, campionato secondo solo a quello d’Eccellenza nel sistema rugbystico nostrano. Un percorso di vittorie, sangue, sconfitte, lacrime –il terremoto del 2009 ha impedito di portare a termine alcuni campionati giovanili ed i seniores hanno lottato duramente per completare la stagione- ma soprattutto gioie infinite e coraggio smisurato, che non poteva esserci raccontato meglio che dal Presidente del team, Loredana Micheli.

Com’è nata l’idea di creare una squadra di rugby? Quattordici anni fa ai professori Anibaldi e Perrotti, che lavoravano fianco a fianco, giorno dopo giorno, presso l’Istituto Comprensivo di Navelli, è venuta in mente l’idea di dar vita ad un punto di aggregazione per i giovani in una zona che ne risultava allora sprovvista. Cosa meglio della palla ovale? E’ dato di fatto che nell’Aquilano il rugby raccoglie ancora innumerevoli fan. Da quella bozza iniziale si sono poi sviluppati tutti i settori giovanili, ed è stato naturale, a quel punto, creare una vera e propria società sportiva. Essendo io cofondatrice della società, ho aderito al progetto da subito: ho avuto la fortuna di seguire il tutto dagli albori fino al raggiungimento della bella realtà odierna. All’epoca il professor Perrotti ricopriva il ruolo di Presidente, ma essendo anche preparatore atletico presso la Federazione Italiana Rugby, ha dovuto passare il testimone, che allora è stato raccolto da me. Svolgo questo compito ormai da sette anni.

Quali sono le problematiche maggiori che un’associazione sportiva simile incontra? Di sicuro la scarsa rendita economica della nostra area fa sì sia difficoltoso il reperimento di fondi, che sono purtroppo necessari. Il capitale umano non manca di certo: i ragazzi desiderosi di giocare sono moltissimi, il territorio è vivace sotto questo punto di vista, ma una squadra come la nostra ha bisogno di molto denaro per organizzare i concentramenti, le trasferte, etc. …

Lei è una donna in un ambiente prettamente maschile. Com’è lavorare tra uomini? Con i ragazzi si ha la possibilità e la fortuna di investire le proprie energie su più fronti, in una costruttiva e continua sfida. Non esistono gelosie, rivalità… La chiave di tutto è il rispetto: una volta che questo fattore è ben consolidato all’interno degli ambienti lavorativi, le cose procedono alla grande, che si lavori con donne o uomini cambia poco, anzi nulla. Alla Gran Sasso in particolare si è ormai creato un rapporto di stima ed affetto reciproco che spero di poter mantenere tale a lungo.

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Italia: a Murrayfield è Braveheart! http://www.360giornaleluiss.it/italia-a-murrayfield-e-braveheart/ Wed, 04 Mar 2015 10:51:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=2283  Roma e dopo una settimana appena a Londra le cose non si erano messe proprio nel migliore dei modi per gli Italiani: i 23 punti di scarto all’Olimpico contro gli Irlandesi campioni in carica e i 30 a Twickenham versus i padroni di casa inventori del rugby  avevano persino fatto ipotizzare ai maligni –primo tra

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A Roma e dopo una settimana appena a Londra le cose non si erano messe proprio nel migliore dei modi per gli Italiani: i 23 punti di scarto all’Olimpico contro gli Irlandesi campioni in carica e i 30 a Twickenham versus i padroni di casa inventori del rugby  avevano persino fatto ipotizzare ai maligni –primo tra tutti Owen Slot, neo capo rubrica del Times e prestigiosa firma del settore- l’imminente uscita del Bel Paese dal prestigioso torneo che, con tanta difficoltà, nasi rotti e spalle lussate, quindici anni fa ci siamo conquistati.

Poi è arrivata la Scozia e con lei la prima vittoria nell’RBS Six Nations 2015 –pure 2014, a volerla dire tutta, dato il più che meritato ultimo posto dello scorso anno da una Nazionale decisamente mediocre, deludente e fuori forma.

Un trionfo cercato ed ottenuto grazie al famoso cuore e a quella passione che muove la palla ovale (lo sport che si gioca in Paradiso, dice un proverbio Gallese), ma soprattutto merito della testa, che gli Azzurri non hanno perso nemmeno un secondo e che il Capitano ha ben usato, per studiare gli Scozzesi, per capire dove colpire ed affondare. Successo inaspettato, data la piega che rischiava di prendere il match e i numerosi infortunati: Campagnaro rimasto zoppo dopo il primo incontro casalingo, Morisi allettato da una brutta influenza tutta la settimana precedente a Murrayfield, i senatori Masi e Bortolami KO.

L’incontro non parte con il piede giusto, almeno per i Tricolore: 10-0 dopo poco meno di una decina di minuti. I rugbysti di casa nostra non perdono però la ragione: cassaforte, carrettino e Furno riesce a schiacciare in meta. L’Italia continua a salvarsi dal baratro nonostante gli errori dell’esordiente Michele Visentin (sarà stata l’emozione?), Sergio Parisse è il comandante senza macchia e senza paura che questo team merita, Luke McLean –poi a ragione eletto dalla stampa Man of the Match- è pura calma e precisione ed Enrico Bacchin, grinta e talento,  alla sua prima assoluta in azzurro fa ben sperare. Grazie ad un brutto fallo dei padroni di casa Haimona  calcia, e prende palo, ma Venditti ipotizza e si lancia: bravo Giamba, è meta!

Il secondo tempo parte in una situazione di equilibrio precario e calma apparente ma la Scozia, esausta, principia a giocare malamente mentre l’Italia prende davvero a far paura, anche se c’è quel piazzato sbagliato da Tommaso Allan da posizione quasi centrale: sarebbe stato più facile metterla tra i pali. I migliori minuti per i rugbysti tricolore sono quelli finali però, giocati sulla linea di meta avversaria: dopo tante mischie ordinate nelle quali i nostri non risparmiano fatica ma per le quali l’arbitro non ci da mai la meglio, una maul affonda definitivamente la marmorea difesa scozzese. E’ meta tecnica, e vittoria, 19-22 per noi, in uno stadio che non vedeva vincere le file italiche dal 2007!

Prossimo appuntamento il 15 di marzo in quel dell’Urbe. Avversari saranno i Francesi, usciti perdenti dal match casalingo contro i dragoni Gallesi. Chi si aggiudicherà l’ambito Trofeo Garibaldi?

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Jonah Lomu il padre fondatore del rugby http://www.360giornaleluiss.it/jonah-lomu-il-padre-fondatore-del-rugby/ Mon, 23 Feb 2015 19:06:53 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=2135 Siona Tali “Jonah” Lomu, può essere considerato l’uomo che ha reso il rugby uno sport, traghettandolo dai provinciali campi in terra, ai maestosi templi nei quali migliaia di spettatori oggi ammirano questo spettacolo. Nato il 12 maggio 1975 a Mangere dove rimanere lontano dai guai è impossibile e ogni giorno la vita te la devi

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Siona Tali “Jonah” Lomu, può essere considerato l’uomo che ha reso il rugby uno sport, traghettandolo dai provinciali campi in terra, ai maestosi templi nei quali migliaia di spettatori oggi ammirano questo spettacolo. Nato il 12 maggio 1975 a Mangere dove rimanere lontano dai guai è impossibile e ogni giorno la vita te la devi conquistare per la strada. In quel sobborgo di Auckland forgia una tempra d’acciaio e un cuore di pietra, essenziali per stare lontano dai problemi, la valvola di sfogo dello sport è spesso l’unica via da seguire per “non tornare a casa su una macchina della polizia”. A 14 anni la madre lo iscrive al Wesley College, la scuola più antica della Nuova Zelanda, nella quale in ogni disciplina si cimenti risulta devastante. Per tutti è “la Bestia” destinata ad asfaltare qualsiasi avversario su una pista d’atletica. Poi un giorno del 1994, visto che si trova nella patria della palla ovale, partecipa anche ad un torneo nel quale è presente Laurie Mains, l’allenatore degli All Blacks. Per prima cosa va spostato nel ruolo di ala, dove può scatenare tutti i suoi cavalli, è un portento, un diamante grezzo pronto a splendere di luce propria. Il 26 giugno 1994, a soli 19 anni, esordisce con la maglia con la felce argentata sul petto, in una partita poi persa 22 a 8 contro la Francia, avrà modo di rifarsi.

Il 1995 è l’anno dei mondiali più attesi di tutta la storia del rugby. Si giocano in Sud Africa, finalmente liberata dal male del regime segregazionista. La corsa degli All Blacks non sembra poter avere freni così come quella di Jonah, che in semifinale contro l’Inghilterra decide che la può vincere anche da solo. Dopo un solo minuto riceve palla sul corridoio di sinistra, fa fuori con una “carezza” Tony Underwood, poi comincia a mulinare ad alta frequenza le gambe: fermare una locomotiva di 120 chili per due metri risulta impossibile. Ci prova Will Carling provandolo a falciare, Lomu barcolla e sembra cadere, ma ci vuole di più per abbatterlo. L’ultimo baluardo è Mike Catt che non può reggere il confronto e viene letteralmente investito. Più tardi dirà: “Non sarei mai rimasto in piedi senza il placcaggio, grazie al quale sono riuscito a ritrovare lo slancio per concludere in meta”. Proprio così perché per chi è cresciuto senza troppi privilegi, nel corso del tempo ha imparato a sfruttare ogni occasione per trasformarla in opportunità. La finale è quella che tutti avrebbero voluto, a Johannesburg si trovano di fronte Springboks e All Blacks, ma i maori hanno accusato dei malori nel prepartita. Non si trattava più di sport, il Sud Africa appena scampata dall’orlo della guerra civile non è pronta a subire un ulteriore sconfitta, vincerà ai tempi supplementari con un drop di Stransky. Ma Jonah la sfida più grande doveva ancora affrontarla, una malattia incurabile lo placca improvvisamente, gli viene diagnosticata una disfunzione renale, per la quale è necessario un trapianto. Lontano dai campi di gioco sembra quasi crescere la sua fama, quello che ha fatto vedere in 63 partite con la maglia della Nuova Zelanda è impresso nel cuore di tutti gli appassionati. Ancora adesso l’aurea di legenda continua ad avvolgere un personaggio mai realmente vincente a livello internazionale, ma che ha scritto le pagine più belle del rugby, i primi capitoli di uno sport che fino a quel momento era solo un sobborgo.

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Credere nel rugby (e nei rugbysti) http://www.360giornaleluiss.it/credere-nel-rugby-e-nei-rugbysti/ Mon, 12 Jan 2015 11:58:18 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=1271 Si sa: il rugby, in Italia, è sport muto. La palla ovale non stimola i cinguettii del volgo, i rugbysti non godono del seguito riservato ad altre categorie di atleti, i tifosi –il più delle volte sparuti- non si azzuffano platealmente durante, prima o dopo i match, in modo da finire sul Tg della sera.

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Si sa: il rugby, in Italia, è sport muto. La palla ovale non stimola i cinguettii del volgo, i rugbysti non godono del seguito riservato ad altre categorie di atleti, i tifosi –il più delle volte sparuti- non si azzuffano platealmente durante, prima o dopo i match, in modo da finire sul Tg della sera.
Nonostante tutto, però, nel nostro Bel Paese c’è chi di rugby vive, seppur spesso in maniera modesta, senza fragore, ed è a coloro, pochissimi coraggiosi, che si rivolge il lavoro dell’AIR e di tutti coloro che vi collaborano sotto l’attenta guida del Presidente Avvocato Stefano Di Salvatore.

Perché? Perché credono “in coloro che malandati sono in campo per se stessi, per i loro compagni, per l’onore della maglia che indossano, in coloro che giocano in campi impraticabili davanti a quattro gatti, con le scarpe scompagnate, in coloro che si allenano in penombra, in un lato di campo rubato al calcio, in coloro che leggono i giornali sportivi partendo dall’ultima pagina e, a ritroso, cercano il trafiletto ‘rugby’”.

Come e perché è nata l’AIR?

L’Associazione Italiana Rugbysti è nata come unica associazione riconosciuta ufficialmente dalla Federazione Italiana Rugby quale rappresentativa di tutti i rugbysti italiani. Attiva su tutte le questioni che coinvolgono la tutela dei rugbysti, agisce come un vero e proprio “sindacato dei giocatori di rugby”.

Quali sono gli intenti e gli obiettivi principali dell’Associazione?

In breve, l’intento principale dell’Associazione è quello di tutelare gli interessi sportivi, morali ed economici dei giocatori di rugby e di promuovere iniziative utili alla categoria ed allo sviluppo della palla ovale.

Quali importanti risultati è riuscita a conseguire l’AIR?

Di risultati importanti negli anni ne abbiamo raggiunti moltissimi. Ne cito tre per tutti: la polizza assicurativa infortuni specifica per i giocatori di rugby che tutela i rugbysti anche nei grandi infortuni, il Fondo di Solidarietà a favore di giocatori gravemente infortunati a rischio di invalidità permanente ed il Contratto Tipo, il primo nella storia del rugby italiano, per disciplinare in modo uniforme in tutto il territorio nazionale, i rapporti tra giocatori e società sportive. Inoltre, in questi ultimi anni l’oggetto sociale dell’AIR si è arricchito di una nuova mission: la divulgazione verso tutti i rugbysti tesserati di informazioni sui temi della prevenzione infortuni, doping e delle scommesse sportive .

Quali sono i principali problemi del rugby italiano dal vostro punto di vista?

Oggi il problema più grande è rappresentato dalle difficoltà economiche che attraversano molte società di rugby, anche di alto livello, che faticano a pagare i compensi di giocatori e tecnici.
Per questo motivo, negli ultimi anni, accade sempre più spesso che interi spogliatoi si rivolgano all’AIR per recuperare intere mensilità non percepite. Questo argomento mi offre lo spunto per parlare di un altro importante ramo di attività dell’AIR: la tutela legale dei giocatori nei rapporti con la Società di appartenenza che inizia sempre, come primo passo, da un tentativo di composizione bonaria del contenzioso sino a sfociare, quando la mediazione non raggiunge i risultati sperati, nella procedura arbitrale condotta secondo le modalità previste dai regolamenti della Federazione Italiana Rugby. 

Chi voglia comunque approfondire la conoscenza dell’Associazione giocatori, può dare un’occhiata al sito web air.it, on line dal 1997.

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Bentornata, Italia! http://www.360giornaleluiss.it/bentornata-italia/ Wed, 26 Nov 2014 06:19:42 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=1062 ASCOLI PICENO Contava solo la vittoria, e i ragazzi di Capitan Parisse, alla fine, battono Samoa 24-13 sul terreno inesplorato del “Del Duca”, nelle Marche. Match durissimo, non solo perché nella severa classifica mondiale della palla ovale i “guerrieri del Pacifico” sono noni mentre gli Azzurri si tengono difficilmente in equilibrio sulla quattordicesima posizione, ma

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ASCOLI PICENO Contava solo la vittoria, e i ragazzi di Capitan Parisse, alla fine, battono Samoa 24-13 sul terreno inesplorato del “Del Duca”, nelle Marche. Match durissimo, non solo perché nella severa classifica mondiale della palla ovale i “guerrieri del Pacifico” sono noni mentre gli Azzurri si tengono difficilmente in equilibrio sulla quattordicesima posizione, ma soprattutto perchè su quest’Italia, uscita da una dozzina di mesi di sconfitte, nessuno avrebbe scommesso un euro. Il quindici di Brunel, invece, fa cambiare rotta a quelli che già chiamano l’odierno Sei, Cinque Nazioni (anzi, quattro, visto che la Scozia è snobbata tanto quanto noi): il piede di Haimona, al suo primo cap in maglia tricolore, è promosso a pieni voti; Favaro, da poco tornato in azzurro per colpa di un brutto infortunio, porta l’ovale in meta grazie a un carretto della mischia da touche; la seconda meta è conquistata proprio grazie all’esperienza di Parisse: 21-13 al sessantacinquesimo. Lucidità, organizzazione, cuore, e l’Italia –che tanto ci ricorda quella del Sei Nazioni 2013- torna a trionfare.

 

GENOVA La partita viene disputata un giorno prima -causa allerta meteo della Protezione Civile- e così il “Luigi Ferraris” non riesce ad accogliere tutti gli spettatori attesi, durante venerdì 14 novembre. Nonostante il pubblico sparuto però, l’arena ligure si fa teatro di una delle migliori prestazioni di sempre dell’Italrugby che, nonostante il merito, esce sconfitta 18-20 dagli argentini. Coraggio e determinazione degli Azzurri costringono i Pumas a molteplici fasi nei propri ventidue, e la tormentata Genova si scalda grazie alla poderosa difesa di Castrogiovanni, rientrato vittorioso dopo due giornate di squalifica, e alle giocate di Masi, presente tanto in difesa quanto in attacco. Dopo i primi quaranta minuti, però, la truppa tricolore comincia a concedere agli avversari la futura vittoria con un primo fallo in mischia oltre la linea dei dieci metri. E sono poi l’egoismo di Campagnaro –pensa che tutte le sue mete debbano essere segnate come le due contro il Galles?-, la deconcentrazione di Sarto e un drop troppo brutto per essere vero di Orquera, a regalare il trionfo definitivo agli avversari.

 

PADOVA Contro i temibili Spingbooks si gioca in Veneto, paradiso italiano del rugby, in uno stadio “Euganeo” assolato. Finisce 6-22 per i sudafricani, e contro i secondi migliori del mondo sarebbe stato molto difficile fare di meglio, dopotutto. Al primo piazzato di Haimona, infatti, gli avversari rispondono rabbiosi e cominciano una cavalcata incontrollabile, ma il miracolo accade e l’Italia va all’intervallo sul 6-8. Ma gli Azzurri che rientrano al secondo tempo non perdono animo né tantomeno dignità; tuttavia l’entrata platealmente laterale in mischia di Castrogiovanni, il calcetto (furbetto) in ruck di Geldenhuys, quei tiri troppo corti dell’apertura non aiutano una sconfitta certa da sempre.

 

Mentre l’Euganeo vanta il tutto esaurito, però, l’incontro sportivo padovano registra lo share televisivo più basso di sempre: solo il 2,1% degli italiani guarda l’ultimo dei Testmatch in diretta su DMAX. Le aspettative di Discovery vengono miseramente deluse e ogni incontro dell’Italrugby è giorno dopo giorno meno seguito. La palla ovale rimane disciplina sportiva per poche, precise, zone geografiche italiane.

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Mens sana in corpore sano http://www.360giornaleluiss.it/mens-sana-in-corpore-sano/ Wed, 12 Nov 2014 08:24:34 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=878 Una certezza, per lo meno, l’abbiamo: quello appena trascorso è stato un anno ricco di soddisfazioni agonistiche per la LUISS. Ne sono testimonianza i numerosi riconoscimenti elargiti presso l’Aula 211 di Viale Romania, lunedì 3 novembre, ed il numero sempre più alto di studenti che scelgono ogni giorno di far parte di una delle squadre

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Una certezza, per lo meno, l’abbiamo: quello appena trascorso è stato un anno ricco di soddisfazioni agonistiche per la LUISS. Ne sono testimonianza i numerosi riconoscimenti elargiti presso l’Aula 211 di Viale Romania, lunedì 3 novembre, ed il numero sempre più alto di studenti che scelgono ogni giorno di far parte di una delle squadre sportive accademiche.

Ed è stato proprio il Dirigente dell’A.S.D. LUISS ad aprire gli interventi dei tanti illustri ospiti intervenuti alla Festa dello Sport. “Qui, oggi, festeggiamo sedici lunghi anni di attività sportiva all’interno della nostra università” ha esordito il Presidente Luigi Abete. “Siamo soddisfatti e consapevoli di poter espanderci ancora nel futuro. L’Associazione si sviluppa bene, il numero di coloro che praticano sport aumenta, l’universo delle discipline agonistiche presidiate si allarga”. E, con lo spirito che lo contraddistingue, ha aggiunto “Tra le varie presidenze che ho la fortuna di avere, tra l’altro è l’unica per la quale non devo caccià soldi, quindi so contento comunque!
Un lungo discorso, quello di Abete, conclusosi per lasciare spazio e tempo alle parole del Direttore Generale. “Voglio ringraziare voi che ci date la possibilità di far crescere la nostra università: lo sviluppo della LUISS, anche sportivo, rappresenterà per voi stessi un plus in vista del futuro mondo del lavoro”. Ha iniziato il Dottor Lo Storto rivolgendosi agli studenti. “La disciplina agonistica può insegnare tanto. A voi, nativi digitali, figli della velocità, lo sport deve impartire il valore della lentezza, non come fattore negativo, ma come elemento di ricchezza e pazienza, e poi deve impartirvi l’esempio, esempio che voi che riuscite a svolgere un’attività sportiva e una accademica nel contempo, spesso con risultati interessanti su entrambi i fronti, rappresentate già per i vostri colleghi, la cui formazione ruota spesso solamente intorno ai volumi universitari”. Il D.G. LUISS, enumerando poi gli ammodernamenti strutturali che l’Ateneo ha in cantiere, ha ricordato che l’ampliamento esterno riguardante Viale Romania servirà soprattutto per la creazione di nuovi spazi destinati allo sport. Una buona notizia, visto il folto numero di sportivi e attività che oramai contraddistinguono la LUISS a fronte dei luoghi che appaiono sempre più ristretti offerti dal PalaLUISS.

L’Associazione è nata con l’obiettivo primario di sviluppare valore, un valore che lo sport può insegnare, ma che vale soprattutto nella vita di tutti i giorni”. Ha attaccato Paolo Del Bene, Direttore Sportivo dell’A.S.D., prendendo la parola. “Quella LUISS è ad oggi la polisportiva universitaria più grande d’Italia e ciò è merito vostro, che lavorate sul campo giorno dopo giorno in tutti i sensi”.

Ultimo arrivato all’interno dell’università ma protagonista della festa è stato però il nuoto. E’ stato presentato infatti durante l’evento l’importante accordo che l’Ateneo e la Federazione hanno stipulato, grazie al quale vedremo Fabio Conti, allenatore del Settebello Rosa, ricoprire il ruolo di selezionatore degli atleti che andranno a formare la squadra agonistica che tra pochi mesi – o almeno si spera – nascerà in università.

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