cinema – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png cinema – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 “Wonder Wheel”: Woody Allen ma non troppo http://www.360giornaleluiss.it/wonder-wheel-woody-allen-non/ Sat, 16 Dec 2017 12:57:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9095 Sono poche le certezze nella vita. Come la morte, o le tasse. O l’annuale film del regista newyorkese, che nonostante avanzi con l’età continua a dare vita alla propria arte, quanto e più di prima. Instancabile. Probabilmente anche per esorcizzare i grandi dilemmi esistenziali che lo perseguitano da sempre e che sono ricorrenti nelle sue

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Sono poche le certezze nella vita. Come la morte, o le tasse. O l’annuale film del regista newyorkese, che nonostante avanzi con l’età continua a dare vita alla propria arte, quanto e più di prima. Instancabile. Probabilmente anche per esorcizzare i grandi dilemmi esistenziali che lo perseguitano da sempre e che sono ricorrenti nelle sue opere.
E quindi, esattamente 40 anni dopo il capolavoro “Io e Annie”, Woody Allen torna a Coney Island, New York, negli anni ‘50, per raccontarci una storia di forti passioni, sogni infranti e fugaci speranze.
“Wonder wheel” è la storia di Ginny, interpretata da una strepitosa Kate Winslet, cameriera disillusa, depressa e nevrotica. Succube di un marito violento e alcolizzato (buona anche la prestazione di Jim Belushi), che si rivela progressivamente altruista e sinceramente legato ai suoi cari. Impotente verso un figlio piromane e fuori controllo. Messa a dura prova da un’emicrania lancinante e da un rapporto conflittuale con la figliastra, quest’ultima peraltro ricercata dai gangster. La svolta sembra avvenire grazie ad un nuovo amore. Ma come insegna la tragedia greca, spesso menzionata nel film, il Fato tesse trame troppo complicate per i comuni mortali, si prende gioco di loro. E, alla fine, non risparmia nessuno.

Ginny sognava di diventare attrice e, nonostante avesse ormai riposto le proprie speranze, sembra risorgere, mentre parla dei suoi errori, seduta in spiaggia con il suo amante, Mickey, illuminata da una luce (di un immenso Vittorio Storaro, direttore della fotografia che impreziosisce la pellicola) che la rende per un attimo, ma solo per un attimo, una persona nuova.
Woody torna al dramma, il dramma puro (in stile “Un tram che si chiama desiderio”), questa volta non smorzato (come al solito) dalla sua ironia tagliente, dalle battute di spirito. Ci parla di fallimento, di illusioni, di sogni infranti. Lo aveva fatto in “Blu Jasmine”(2013), e ancora prima in “Interiors” e “Un’ altra donna”. In questo film raggiunge un picco di struggimento e sofferenza, delineando un personaggio che sembra discendere dalla Medea di Euripide, che distrugge se stessa e chi le è vicino. Ginny è “consumata dalla gelosia”, continua a mentire a se stessa per essere felice, ma il Fato, vero motore dell’intera vicenda, non avrà pietà di lei.
“Non venire mai al mondo, può essere il più grande dei doni”. Così disse Sofocle; e lo dice anche lo stesso Allen in “Match point”. Lui ci crede veramente e cerca di convincere il pubblico, questa volta più di altre, proprio eliminando (quasi) del tutto l’elemento comico.

Dirigere un film all’anno rende più difficile costruire trame particolarmente avvincenti, questo è innegabile, ma è anche vero che quando è riuscito a sviluppare determinate intuizioni, Woody, ha realizzato veri e propri capolavori. E poi, nonostante abbia superato gli 80, continua ancora a rinnovarsi e a spaziare da un genere all’altro come se fosse nel pieno della carriera (e degli anni). Peculiarità dei geni. Noi possiamo solo sperare nel genio ed aspettare. Perché Woody Allen è imprevedibile e ha sempre un messaggio per il pubblico. Come lui stesso dice: “in conclusione, vorrei avere un qualche messaggio positivo da trasmettervi. Ma non ce l’ho. Vi accontentate di due messaggi negativi?”. Accontentiamoci.

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Loving Vincent: Van Gogh torna in vita per un’esperienza visiva unica. http://www.360giornaleluiss.it/9004-2/ Mon, 30 Oct 2017 12:49:07 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9004 Scorrono i titoli di coda e gli spettatori in sala rimangono pietrificati sulle loro poltrone, la pellicola appena conclusasi sembra aver ammaliato tutti. La minuzia con la quale l’universo di Van Gogh è stato ricreato lasciano lo spettatore incredulo. La grande novità di questo film è senza dubbio la tecnica con cui il film è

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Scorrono i titoli di coda e gli spettatori in sala rimangono pietrificati sulle loro poltrone, la pellicola appena conclusasi sembra aver ammaliato tutti. La minuzia con la quale l’universo di Van Gogh è stato ricreato lasciano lo spettatore incredulo. La grande novità di questo film è senza dubbio la tecnica con cui il film è girato: tutta la storia riportata sul grande schermo è stata prima recitata da attori, poi trasposta in pittura grazie all’opera di centoventicinque artisti che hanno riprodotto su tela ciascuna delle 65mila inquadrature. Il risultato è semplicemente stupefacente, da subito le pennellate pastose e dense calano lo spettatore nell’immaginario campestre dell’artista. Lungo questo scenario tracciato da nervosi colpi di pennello si muove il protagonista, Armand Roulin, giovane debosciato e arrogante, incaricato dal padre di recapitare al fratello dell’artista morente la sua ultima lettera. Giunto nel paesino di Auvers-sur-oise, il ragazzo incontrerà i personaggi che conobbero l’artista nella sua fase di massimo tormento interiore, poco prima di togliersi la vita in aperta campagna. Il dottor Gachet, la bella locandiera, il barcaiolo e gli abitanti del paese, figure romantiche e pittoresche, sono i testimoni ignari delle ultime ore dell’artista, considerato da questi alla stregua di pazzo. La particolare tecnica utilizzata, che in un primo momento può infastidire l’occhio, dopo poco appaga lo spettatore con una potenza visiva unica. La pittura si fa motore e pilastro dell’opera, in grado di trascendere la tela e di trasporre il dipinto in un processo dinamico più che mai vivo. I covoni, i corvi e le case di campagna divengono centro e opera viva in funzione della quale si sviluppa la trama stessa. Sarà il giovane Armand che, con riscoperta sensibilità, coglierà per primo il genio assoluto del maestro Van Gogh e la sua condizione di profondo tormento. Immergersi in questa pellicola è per lo spettatore una terapia, un percorso nuovo che fonde cinema e pittura, un viaggio nell’inconscio appassionato e tormentato dell’artista, che rinnova nello spettatore la scoperta di Van Gogh come padre artistico universale.

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“Dunkirk” di Nolan: 9 su 9 http://www.360giornaleluiss.it/dunkirk-nolan-9-9/ Sun, 17 Sep 2017 15:51:27 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8815 Non sarà il genere di tutti e per tutti, ma obiettivamente Dunkirk è un film stupefacente da molti punti di vista. Il primo aspetto che risalta è che, nonostante si tratti di un film di guerra, non si veda una goccia di sangue – o quasi – un must di Nolan (vedi la faccia di

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Non sarà il genere di tutti e per tutti, ma obiettivamente Dunkirk è un film stupefacente da molti punti di vista.
Il primo aspetto che risalta è che, nonostante si tratti di un film di guerra, non si veda una goccia di sangue – o quasi – un must di Nolan (vedi la faccia di Joker dopo i tre pugni sferrati da Batman nella scena cult dell’interrogatorio).
Fuori dagli schemi, come sempre.
Il film narra un episodio della seconda guerra mondiale – tra il 26 maggio e il 3 giugno 1940 – in cui 400.000 soldati britannici sono rimasti accerchiati dai nemici sulla spiaggia francese di Dunkuerqe (che dista poco meno di 50km dalle coste inglesi). La missione è quella di svuotare quanto più possibile la spiaggia attraverso navi pendolari dall’Inghilterra per evitare uno sterminio, mentre i soldati francesi fanno da scudo con trincee.
E’ una trama banale, costruire intorno delle storie per incollare alle sedie i telespettatori non è semplice, ma il regista non ha di questi problemi e, con un tocco di Memento (salti nel tempo), condito da un infallibile Hans Zimmer, ecco il Dunkirk che ci si aspettava.
Colonna sonora imponente e sempre adeguata alla scena, con questo ticchettìo di fondo continuo – classico della premiata ditta Zimmer-Nolan – lascia sempre col fiato sospeso e rende l’apprensione uno dei protagonisti principali.
I dialoghi non sono molti, giusto in un film di guerra che deve esteriorizzare il dramma e il trauma che lascia il conflitto sul viso dei soldati.
Il cast ha lavorato eccezionalmente, in particolare – al solito – Tom Hardy, ancora una volta – dopo aver interpretato Bane, villain di Batman – chiamato ad una recitazione “only eyes” per via della mascherina ad ossigeno visti i 106′ passati in volo su di uno Spitfire (aereo di guerra Britannico).
L’IMAX permette di ammirare le immense spiagge francesi decorate da soldati in fila in attesa di essere portati in salvo, oppure, di morire sotto le incessanti bombe sganciate dagli aerei nemici.
L’inarrestabile ritmo trasporta il combattimento – che non diventa mai noioso – da terra in mare, da mare in cielo, per ricominciare un ciclo continuo che alla fine si riconduce ad un solo ed unico obiettivo: la sopravvivenza.
Infine, il cinismo dei personaggi non oscura gli atti di eroismo, che in un qualsiasi film di guerra devono esistere ed emozionare; anche a costo della vita.

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Miss Peregrine – La casa dei bambini speciali di Tim Burton http://www.360giornaleluiss.it/miss-peregrine-la-casa-dei-bambini-speciali-di-tim-burton/ Mon, 23 Jan 2017 16:08:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8003 Una caratteristica che ha sempre portato il pubblico ad amare i film di Tim Burton è il fatto che ogni sua pellicola porta la sua firma indelebile dalla prima all’ultima inquadratura: ambientazioni fiabesche e gotiche, i protagonisti incarnati da personaggi stravaganti che si trovano a fronteggiare problemi quali la solitudine e l’emarginazione, queste caratteristiche sono

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Una caratteristica che ha sempre portato il pubblico ad amare i film di Tim Burton è il fatto che ogni sua pellicola porta la sua firma indelebile dalla prima all’ultima inquadratura: ambientazioni fiabesche e gotiche, i protagonisti incarnati da personaggi stravaganti che si trovano a fronteggiare problemi quali la solitudine e l’emarginazione, queste caratteristiche sono quelle che rendono i film di Burton senza ombra di dubbio suoi, e i personaggi indubbiamente frutto della sua mente da sognatore fuori dagli schemi.

Purtroppo gli ultimi lavori del regista americano, quali ‘Big Eyes’, ‘Dark Shadow’ e i due ‘Alice in Wonderland’ avevano lasciato gli amanti del vero Burton a bocca asciutta, quasi preoccupati che questa nuova ricerca di uno stile diverso ma affine, lo avesse portato a perdere di vista se stesso con un inevitabile fatica ad infondere negli spettatori quelle tipiche sensazioni caratteristiche che sono parte integrante delle sue pellicole.

Burton, però, non si arrende, come potrebbe dopo capolavori come ‘Sweeney Todd’, e nel 2016 torna nelle sale cinematografiche con il film: ‘Miss Peregrine-La casa dei ragazzi speciali’. Storia, quella di Miss Peregrine, tipicamente burtoniana che racconta le avventure di Jake (Asa Butterfield), adolescente di Miami caratterizzato da due grandi, quanto malinconici occhi blu.

La morte del nonno e la velata consapevolezza che ha Jake di non appartenere al mondo “normale” lo spinge in una piccola isola del Galles alla ricerca di un gruppo di bambini dai talenti speciali che vivono in una casa diretta da una misteriosa direttrice, Miss Peregrin ( Eva Green). L’incontro con una bambina di nome Emma,cattivi che si fingono buoni, mostri mangia occhi, portali temporali sono solo alcuni degli elementi presenti nel film di Burton e che cambieranno per sempre la vita di Jake.

Nell’insieme è un film gradevole con caratteristiche originali che nonostante la quantità di colpi di scena riesce comunque a presentarsi allo spettatore con una certa linearità conducendolo a un finale che non lascia niente di non detto o in sospeso.

Ciò che col tempo pare stia tristemente venendo meno sono però le atmosfere, quella fiamma che rendeva i film di Burton tali che pare si stia spegnendo a poco a poco.

E’ così che il regista in mancanza dei suoi punti di riferimento ai quali aggrapparsi si affida a una sorta di usato garantito dando vita a un cliché cinematografico senza infamia e senza lode. E’ una situazione complicata nella quale incappano solo quei cineasti che hanno lasciato un segno, e Tim Burton è senza ombra di dubbio uno di questi. Miss Peregrin, purtroppo, non rappresenta ancora la risposta che il regista stava cercando per riuscire a ritrovare dentro di se ciò che rendeva egli stesso un ‘bambino speciale’ e di cui noi non possiamo far altro che aspettare il ritorno.

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The Young Pope http://www.360giornaleluiss.it/the-young-pope/ Sun, 15 Jan 2017 14:56:13 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7959 “Sono una contraddizione, sono tutto”. Così esordiva Pio XIII, al secolo Lenny Belardo (Jude Law), nelle prime scene rilasciate alla stampa: primo papa americano della storia, tanto giovane quanto restio a strategie di comunicazione, così progressista nelle idee da risultare un conservatore convinto. Un personaggio unico e controverso ci presenta Paolo Sorrentino alla sua prima

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“Sono una contraddizione, sono tutto”. Così esordiva Pio XIII, al secolo Lenny Belardo (Jude Law), nelle prime scene rilasciate alla stampa: primo papa americano della storia, tanto giovane quanto restio a strategie di comunicazione, così progressista nelle idee da risultare un conservatore convinto. Un personaggio unico e controverso ci presenta Paolo Sorrentino alla sua prima esperienza televisiva, dove l’aspetto umano e spirituale si alternano e combattono episodio dopo episodio, alla ricerca di un Dio assente come i suoi genitori hipster che lo abbandonarono in orfanotrofio.

Nell’universo del regista napoletano ogni personaggio risulta essere di una singolarità eccezionale, a tratti ironico, ma con una profondità caratteriale e visiva di primo ordine (grazie anche alle eccellenti prove del cast): il napoletano Voiello (Silvio Orlando,) Segretario di Stato appassionato di finanza e potere almeno quanto di calcio, la direttrice dell’orfanotrofio e madre spirituale Sister Mary (Diane Keaton), figura di assoluta stima e fiducia del giovane papa, insieme con il severo ma comprensivo cardinale Spencer, padre spirituale e contendente alla più alta carica dello Stato Vaticano insieme a Belardo.

E questo solo per citarne alcuni: infatti Sorrentino costruisce una trama avvolgente intorno a questi e ad altre figure rilevanti in diverse situazioni che si ripercorrono durante gli episodi: dal caso del millantatore Tonino Pettola, alla missione in Africa con l’ambigua suor Antonia, al caso di pedofilia nella diocesi di New York. Il tutto condito da costanti ma brevi attimi di “manifesta” santità di un papa che, episodio dopo episodio, si mostra nella figura tanto carismatica quanto fragile, tipica delle figure di potere del mondo sorrentiniano. Personaggio che si nutre di attimi dirompenti e scene memorabili, così come per tutta la durata della serie, ogni singola apparizione dei diversi comprimari (per citare alcuni il nostro primo ministro interpretato da Stefano Accorsi o quello della Groenlandia) da spunto a riflessioni potenti e visionarie nella mente di Pio XIII, toccando temi come quello degli omosessuali nella Chiesa e dell’aborto.

Narrato come un’opera più vicina alla cinematografia che all’opera seriale (“un film di 10 ore” come tiene a sottolineare spesso il regista), dove le 10 puntate si eclissano e risorgono autonome ma coese dal viaggio terreno e divino di Belardo, con una sigla iniziale che rimarrà impressa per molto nel mondo delle serie TV. The Young Pope raggiunge i livelli più alti della filmografia di Sorrentino, riprendendo ed elevando il suo riconoscibile stile barocco in una Roma estiva e nostalgica a lui così cara, passando per monologhi e aforismi tipici della sua narrazione a musiche evocative e oniriche che supportano ogni singola scena. Lo spettatore si trova così a vivere in prima persona il dramma dell’ossessione umana del papa, arrivando ad un finale rivelatore e suggestivo dove Pio XII riesce a rispondere alle domande che si era posto nel suo cammino di fede e laicità.

O almeno non ancora tutte… la recente conferma della seconda stagione riapre molti interrogativi a cui noi non vediamo l’ora di rispondere!

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Youth. La giovinezza http://www.360giornaleluiss.it/youth-la-giovinezza/ Sun, 13 Nov 2016 11:46:59 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7530 Quando ci si trova davanti a un film di Paolo Sorrentino c’è ancora chi parte prevenuto. Chi, per definire un film tale, ha bisogno di azione, di movimento, di colpi di scena magari conditi da un’abbondante spolverata di effetti speciali. Non c’è da stupirsi che rimanga deluso di fronte ai film di un regista il

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Quando ci si trova davanti a un film di Paolo Sorrentino c’è ancora chi parte prevenuto. Chi, per definire un film tale, ha bisogno di azione, di movimento, di colpi di scena magari conditi da un’abbondante spolverata di effetti speciali. Non c’è da stupirsi che rimanga deluso di fronte ai film di un regista il cui cavallo di battaglia sono proprio le lunghe inquadrature, quasi geometriche, che affascinano e innamorano.

Per chi ha soprannominato a suo tempo “La grande bellezza” “la grande lentezza” perché in circa due ore di film non figurava un drago mangia teste o un supereroe in tutina aderente, vorrei sconsigliargli caldamente di mettersi comodi in poltrona con l’intenzione di guardare un altro successo di Sorrentino, ovvero : “Youth- La giovinezza”.

Youth- La giovinezza” è un film del 2015 di uno dei registi che appartiene ormai alla ristretta categoria dei ‘Grandi Maestri’ del nostro paese, Paolo Sorrentino.

Suo secondo film girato in lingua inglese dopo “This must be the place” vede come attori principali: Michael Caine (britannico) e Harvey Keitel (statunitense) nella cornice di un idilliaco hotel tra le alpi svizzere. I due protagonisti, un ex direttore d’orchestra il primo e un vecchio regista il secondo, ormai non più nel fiore dei loro anni, osservano con sguardo critico la giovinezza (Youth) degli altri ospiti che si susseguono tra le stanze, piscine e lussureggianti prati dell’hotel in cui risiedono.

A fare da padrone in questo film è sempre il profondo estetismo che caratterizza Sorrentino e che lo spinge, in un modo quasi maniacale a controllare ogni inquadratura a millimetro, rendendolo, magari, meno reale ma donandogli quell’aura di perfezione che non ammette il minimo difetto. Perfezione che non ci abbandona in nessuna scena del film, che si propaga nelle musiche (molto simili a quelle di “La grande bellezza”), nei gesti, seppur semplici, negli sguardi, insomma in ogni più piccolo carattere di questa pellicola.

In questo sfondo estetista vediamo alternarsi per tutto la pellicola un profondo dualismo che mette in contrapposizione vecchiaia e giovinezza, voglia di vivere e voglia di arrendersi all’inesorabile tempo che passa, insomma varie visioni della vita, diametralmente opposte rappresentate da due generazioni che in comune hanno poco o niente soprattutto per quanto riguarda il modo di affrontare i sentimenti.

I sentimenti, sopra a tutto quello dell’amore, fanno da piccolo filo rosso in un film che apparentemente sembrerebbe intrappolato nella sua cornice. Lo sviluppo di questa pellicola infatti va ricercato all’interno dei personaggi, nelle loro consapevolezze che cambiano, nelle loro idee che mutano e che li portano, nel bene o nel male, a cambiare le loro priorità e a condurci a un finale totalmente inaspettato. Nell’ultima inquadratura, infatti, compare Keitel che con le dita fa il segno della macchina da presa quasi a dirci che sì, ci siamo lasciati stregare dalla profondità dei dialoghi e dalle riflessioni sul senso della vita, ma che alla fine, non si tratta di nient’altro che di un film.

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Paolo Sorrentino ospite della Luiss http://www.360giornaleluiss.it/un-pomeriggio-oscar-paolo-sorrentino-ospite-della-luiss/ Sat, 29 Oct 2016 14:58:29 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=4188 Qualche giorno fa la Luiss è uscita fuori dai suoi classici schemi; infatti giovedì 20 ottobre un ospite d’eccezione ha varcato il cancello della sede di Viale Pola: il regista e sceneggiatore napoletano premio oscar Paolo Sorrentino. L’incontro era organizzato all’interno di una lezione del master Luiss Writing School for Cinema and Television, ma era

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Qualche giorno fa la Luiss è uscita fuori dai suoi classici schemi; infatti giovedì 20 ottobre un ospite d’eccezione ha varcato il cancello della sede di Viale Pola: il regista e sceneggiatore napoletano premio oscar Paolo Sorrentino. L’incontro era organizzato all’interno di una lezione del master Luiss Writing School for Cinema and Television, ma era aperto a tutti gli studenti della Luiss interessati. Poiché era stato tutto organizzato nella Sala delle Colonne di Viale Pola, ovviamente non c’era spazio per tutti gli studenti interessati, ma fortunatamente lo staff ha reso accessibili le due sale laterali, quindi alla fine tutti hanno trovato un posto. Quando è arrivato, Sorrentino è stato circondato dai fan che chiedevano di farsi una foto con lui, e, da brava star, si è gentilmente concesso. Tuttavia, si vedeva che era una cosa che non faceva spesso, tanto che ha, addirittura, ironicamente chiesto “Ma poi che ve ne fate di queste foto?”. Comunque si notava che era a suo agio e, tra una boccata di sigaro e una foto con uno studente, dopo un po’ era arrivato il tempo di entrare e iniziare l’incontro.
Le prime domande che gli vengono fatte riguardano naturalmente il suo nuovo coinvolgimento nel mondo della televisione, con la serie tv “The Young Pope”, da lui scritta e diretta, la quale ha registrato un boom di ascolti già solo dopo la messa in onda delle prime due puntate.
Com’è stato il passaggio dal grande al piccolo schermo? Quali tecniche hai utilizzato? Come ha fatto questa idea a diventare una realtà? Queste sono solo alcune delle domande che gli sono state poste. Le risposte sono state lunghe e soprattutto pensate:
“Ovviamente cinema e televisione sono due mondi diversi, mi sono dovuto adattare. A me piace definire questo mio nuovo lavoro come un “film di dieci ore”, un film che viene distribuito a puntate; naturalmente i tempi di lavorazione sono molto più lunghi, si passa molto più tempo sul set con gli attori e con la troupe, e poi soprattutto ci sono nuove tecniche che ho dovuto imparare”.
Più avanti l’attenzione si è focalizzata su questioni più “sociologiche”, ad esempio: “Cosa ne pensi di questa passione delle nuove masse più per le serie tv che per i film? Le sale stanno ormai scomparendo?”
“Ovviamente ora come ora la sala cinematografica gode di molta meno popolarità rispetto a quando io ero giovane, io ho avuto la mia formazione nei cinema, ma i tempi cambiano, la tecnologia va avanti; secondo me bisogna guardare questo fenomeno con un occhio positivo, l’era del grande schermo sta lasciando spazio a quella di una nuova entità, quella del piccolo schermo”.
Alla fine è arrivato l’attesissimo momento delle domande degli studenti, i quali hanno chiesto di tutto: da una semplice spiegazione del finale del suo film “Le conseguenze dell’amore”, a cui ha risposto che un film deve essere un’emozione e non deve trasmettere nessun messaggio particolare, ad alcune più complesse, come ad esempio qual era il suo rapporto con la musica, la cui risposta è stata semplicemente “buono, non so che altro dire”, se prima di andare sul set organizzasse ogni cosa nei minimi dettagli, “un tempo lo facevo, ma adesso decido tutto sul momento; i miei primi tempi, se dovevo andare sul set alle 8:00, mi alzavo sempre alle 4:00 per pianificare tutto al meglio, adesso mi sveglio tranquillamente alle 7:00”, e infine sono io a domandargli se, durante la sua carriera, avendo lavorato con attori di successo sia italiani che americani, avesse trovato delle differenze tra i due, dato che comunque ricevono una formazione diversa gli uni dagli altri; la sua risposta è stata molto netta: “No, per me non ci sono differenze tra attori americani e attori italiani, per me ci sono tra attori bravi e attori stupidi; con gli attori bravi riesco a lavorare bene, con quelli stupidi di meno”.
C’erano ancora tante curiosità che potevano essere risolte, ma purtroppo il tempo dell’incontro era finito; tuttavia, prima di andarsene, Paolo Sorrentino decide di concedersi un ultimo momento agli studenti per firmare degli autografi.
Un incontro del tutto fuori dagli schemi ma che comunque ci ha aperto la mente come studenti universitari; imparare da un premio oscar non è comunque una cosa che accade tutti giorni.

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Omaggio alla Settima Arte http://www.360giornaleluiss.it/omaggio-alla-settima-arte/ Tue, 25 Oct 2016 14:35:13 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7333 Siamo nel periodo più in fermento dell’anno. A Ottobre si sa, le città pullulano di eventi e festival e sagre che una volta arrivati a Natale siamo già stanchi – o Nati stanchi, come direbbero i nostri cari comici Ficarra e Picone, giusto per restare in tema. E cosa è successo a Roma negli ultimi

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Siamo nel periodo più in fermento dell’anno. A Ottobre si sa, le città pullulano di eventi e festival e sagre che una volta arrivati a Natale siamo già stanchi – o Nati stanchi, come direbbero i nostri cari comici Ficarra e Picone, giusto per restare in tema. E cosa è successo a Roma negli ultimi dieci giorni di Ottobre si sa pure, soprattutto se siamo stati bombardati su qualsiasi social dall’hashtag #RomaFF11. Che non è una sigla di formula uno, ma più semplicemente l’acronimo per 11° Roma Film Fest, l’evento più atteso dal pubblico romano cineasta, oltre che dagli innumerevoli appassionati di cinema, romani e non, cultori sfegatati e non.

“Eleganza e internazionalità sono fra gli elementi fondanti della mia idea di Festa: è questo il senso dell’immagine simbolo di quest’anno, che vede danzare Gene Kelly insieme a Cyd Charisse.” Così risponde ai microfoni dei telecronisti Antonio Monda, Direttore Artistico del Festival per il secondo anno, mentre i cameramen inquadrano la ballerina statunitense Cyd Charisse abbandonarsi alla romantica presa di Gene Kelly, nell’intramontabile Singin’ in the Rain.
Eleganza e internazionalità dunque, ma non solo: discontinuità e varietà sono gli altri due temi chiave di quest’anno, per un festival che fosse questa volta dinamico e non ingabbiato nella tipica formula concorsuale – il festival mummificato da concorsi e premi che piaceva davvero poco al pubblico capitolino. Non a caso dunque ne è derivata la scelta di cambiare il nome da « Festival » in « Festa », e giusto perchè non solo l’Auditorium di via Pietro De Coubertin si vestisse a festa ma la Capitale tutta, non è stato difficile reperire manifesti e indicazioni sparsi a tappeto per la città. Proprio così, come in una sorta di Cammino di Santiago in salsa romana – « Il Cammino per Roma », si potrebbe azzardare! – si peregrinava dal centro alla periferia – perfino le Carceri di Rebibbia sono state imbandite a cineforum – dal Red Carpet di via De Coubertin a quello di via Condotti, passando per gli appuntamenti al Maxxi e alla Casa del Cinema di Villa Borghese.

La struttura della festa ha una forma decisamente poliedrica: non bastava la Selezione Ufficiale – categoria sotto la quale vengono presentate 44 pellicole di 26 paesi in anteprima mondiale per concorrere al Premio del Pubblico -, Monda ha pensato bene di andare a pescare negli altri Festival, giusto perchè il suo pubblico non restasse a bocc’asciutta, e così ha inserito Tutti ne parlano, una piccola sezione con quattro film che hanno ricevuto particolari attenzioni in altri festival. Non meno importante, per il Direttore Artistico, è il tema del dialogo, motivo per cui è nato Incontri Ravvicinati, ovvero uno spazio in cui fosse possibile per il pubblico fare il proprio incontro con le grandi personalità dell’arte, spaziando dai grandi del cinema come Oliver Stone, Bernardo Bertolucci, David Mamet, Viggo Mortensen, Meryl Streep e Roberto Benigni, passando per l’arte contemporanea con Gilbert&George, per finire alla musica con Jovanotti, Michael Bublé e Paolo Conte. Senza considerare l’ovazione ricevuta da Tom Hanks, primo fra tutti ad aprire le danze su Red, o i numerosi selfies scattati col cast di The English Patient, che si è mostrato brioso e accessibile al pubblico nell’ultima giornata della Festa, domenica 23.
Le altre sezioni della Festa riguardano le Retrospettive, due  delle quali dedicate rispettivamente a due grandi del cinema inglese ed italiano, nei nomi di Tom Hanks e Vittorio Zurlini, e l’altra alla politica statunitense, con l’intento di dare una rispolverata ai miti del passato a meno di un mese dalle elezioni presidenziali. Suggella il tutto Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela alla Festa del Cinema dedicata al cinema per ragazzi, ormai fedele alleato della kermesse romana. 

Dieci giorni di full immersion dentro questo parco divertimenti, all’interno delle sale messe sù da Renzo Piano – seppur sprovviste di Wi-Fi – in effetti sono stati una cosetta così. Forse in poche altre occasioni non si è avvertita la nostalgia della rete, avviluppati come si era dal network di artisti, imprenditori e addetti stampa che scivolavano giù lungo il tappetone rosso da mattino a sera. E nel frattempo cibo e musica a cielo aperto a fare da sfondo. Già, proprio una cosetta da nulla.

 

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La caducità dell’amicizia: Two Mothers http://www.360giornaleluiss.it/la-caducita-dellamicizia-two-mothers/ Sun, 23 Oct 2016 09:53:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7245 Eros. Amicizia. Incesto. Tre parole difficili, ma allo stesso tempo estremamente facili da collegare tra di loro. Two Mothers ne è l’esempio perfetto. Roz e Lil, due madri, due amiche, due sorelle, due donne che si conoscono fin dall’infanzia e che da allora sono rimaste inseparabili, danno vita ad una dimensione erotica che risucchierà le

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Eros. Amicizia. Incesto. Tre parole difficili, ma allo stesso tempo estremamente facili da collegare tra di loro. Two Mothers ne è l’esempio perfetto. Roz e Lil, due madri, due amiche, due sorelle, due donne che si conoscono fin dall’infanzia e che da allora sono rimaste inseparabili, danno vita ad una dimensione erotica che risucchierà le loro vite fino all’estremo. Una scintilla, un forte desiderio di passione che spinge Roz, inizialmente felicemente sposata con Harold, ad iniziare una relazione con Ian, il figlio della vedova Lil, e quest’ultima sarà a sua volta sedotta da Tom, il figlio di Roz, mosso più da vendetta che da amore vero e proprio.

Per Roz e Ian tutto inizia con un complesso gioco di sguardi e di gesti che li porterà alla prima fugace notte di passione, nessuno dei due ha bisogno di parole per esprimere i propri sentimenti. Per Tom e Lil la situazione è ben diversa: la loro prima notte insieme è più un modo per vendicarsi l’uno della madre e l’altra del figlio. Ciò porta comunque ad un momento di stallo, dove Roz e Lil si ritrovano faccia a faccia ammettendo entrambe di aver fatto un errore e promettendosi di dimenticare ciò che è successo e di non rifarlo mai più. Ovviamente non funziona: la passione torna ad accendersi appena ognuna rivede il proprio “amante” ed entrambe finiscono per rimanere di nuovo vittime del proprio eros.

Da lì in poi la situazione degenera: Harold lascia Roz per accettare un’offerta di lavoro a Sydney, dove si costruirà una nuova famiglia, mentre lei si fidanzerà ufficialmente con Ian e Lil farà lo stesso con Tom. Ormai tutti e quattro hanno accettato la situazione e continuano a vivere le proprie vite come se nulla fosse cambiato, cercano sempre di evitare la questione, ma il gioco di sguardi c’è sempre e non mancano momenti di imbarazzo. Emblematica è la scena in cui sono tutti e quattro seduti a tavola dopo aver finito di cenare e Ian, rivolgendosi a Roz, osa dire “Ti aspetto in camera tua”, costringendo di riflesso Tom a dire a Lil “E io nella tua”. È un continuo ping pong tra le due coppie, dove è sempre Ian che serve e Tom che risponde.

Passano i mesi e due anni dopo sembra che si sia trovato finalmente un equilibrio, tutti sembrano vivere serenamente e soprattutto hanno un rapporto di reciproco rispetto. Ma tutto è destinato a finire, e il primo a cedere è Tom. Durante un viaggio di lavoro a Sydney, dove era andato ad aiutare il padre a dirigere uno spettacolo teatrale, si invaghisce di Mary, l’attrice protagonista, sua coetanea. All’inizio è solo uno sbaglio, un momento di confusione, perché infatti Tom ritorna tra le braccia di Lil. Tuttavia una consapevolezza si sta facendo strada dentro di lui: Lil era ed è sempre stata solo un modo per vendicarsi di Ian e Roz, nulla di più. Poteva anche darsi che fosse nato qualcosa tra di loro, ma sicuramente non era destinato a durare, e Mary ne è la prova. Alla sua festa di compleanno, Tom sceglie definitivamente Mary, passando tutta la notte con lei invece che con Lil, la quale capisce tutto e decide di lasciarlo andare.

Tutto è ormai finito, anche Roz si rende conto che non ha senso continuare ad illudersi. L’unico che non riesce a capire è Ian, a detta sua ancora follemente innamorato di Roz. Passano le settimane, i mesi, Tom si sposa con Susan, mentre Ian ancora non riesce a credere che sia tutto finito e la sua follia lo porta ad avventurarsi con la tavola da surf in un mare agitatissimo, dove rischia la morte. Tuttavia in ospedale inizia a passare molto tempo con Hannah, una ragazza conosciuta al matrimonio di Tom e follemente innamorata di lui. Non passa molto prima che i due inizino una relazione, ma Ian continua ad amare Roz e per questo non vuole andare avanti con Hannah. Tuttavia, quando quest’ultima lo va a trovare a lavoro per dirgli che è incinta, il ragazzo è costretto a ripensarci.

Gli anni passano e ora Tom e Ian sono felicemente sposati e ognuno di loro ha figli. Le due rispettive famiglie, insieme alle nonne Roz e Lil, passano una tranquilla giornata a mare dove Ian e Roz, rimasti da soli sulla spiaggia, condividono un ultimo, intenso sguardo, facendo capire che, anche se non lo danno a vedere, il fuoco che animava la loro passione in realtà non si è mai spento.

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5 motivi per vedere “Café Society” di Woody Allen http://www.360giornaleluiss.it/5-motivi-per-vedere-cafe-society-di-woody-allen/ Fri, 30 Sep 2016 16:09:02 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7100 In modo tale da non creare fraintendimenti risulta necessaria una premessa. Questo articolo non contiene un’analisi critica della nuova opera cinematografica di Woody Allen, bensì alcune valide ragioni per cui vale la pena, a priori, trascorrere un’ora e mezza del vostro tempo di fronte ad uno schermo per ridere, riflettere, compartecipare o criticare, ma in

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In modo tale da non creare fraintendimenti risulta necessaria una premessa. Questo articolo non contiene un’analisi critica della nuova opera cinematografica di Woody Allen, bensì alcune valide ragioni per cui vale la pena, a priori, trascorrere un’ora e mezza del vostro tempo di fronte ad uno schermo per ridere, riflettere, compartecipare o criticare, ma in ogni caso gustarsi questo film (appena uscito) di uno dei più grandi cineasti viventi.

Woody Allen. Per gli amanti del regista e sceneggiatore statunitense, è sufficiente che ci sia lui in cabina di regia perché valga la pena vedere un film. In fondo, tutte le opere concepite dal suo genio sono fra loro indissolubilmente collegate da una sottile linea rossa, che fa trapelare i suoi caratteri distintivi sempre e comunque, anche nei prodotti meno riusciti. Gli eleganti dialoghi di sapore wildiano, la satira sociale, l’ironia nel trattare tematiche anche seriose, gli aforismi paradossalmente geniali, le macchiette a loro modo brillanti ma inevitabilmente goffe e comiche, gli spunti di matrice filosofico-esistenziale. Probabilmente Allen possiede una marcia in più rispetto ad altri colossi del mondo del cinema proprio per questo: ogni film lascia qualcosa nello spettatore, emerge sempre quel tratto distintivo per cui chi ama Woody Allen, lo ama sempre. E questo accade perché oltre a dirigere i propri lavori, ne scrive anche la sceneggiatura, ambito in cui appare maggiormente rilevante il suo contributo artistico.

Le tematiche. Woody Allen può essere definito impareggiabile nella versatilità, nella commistione di generi, nella capacità di trattare tematiche melodrammatiche con l’incombenza di un elemento salace, di una battuta brillante, di una pungente ironia che attraversa – come una spada di Damocle – anche le sequenze in cui prevale la suspense o la riflessione filosofica. E allora è proprio quella commedia romantica la massima espressione della sua arte, in cui troviamo la comicità che lo contraddistingue e allo stesso tempo l’amore, tematica centrale dell’intera opera di Allen.

La continuità con la sua produzione. Café Society si propone dunque come elemento di continuità con quelle storie che raccontano un amore impossibile o non corrisposto, tormentato o incomprensibile, frequenti nelle opere precedenti, in cui alla fine lo spettatore rimane con un sorriso amaro stampato sul volto.

“E io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete, quella dove uno va dallo psichiatra e dice: ‘Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina’, e il dottore gli dice: ‘perché non lo interna?’, e quello risponde: ‘e poi a me le uova chi me le fa?’. Be’, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, ehm, e pazzi, e assurdi. Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova”

Emblematico l’epilogo di Io e Annie, capolavoro senza tempo, in cui ancora una volta la comicità diviene strumento d’indagine e di esplicazione della realtà circostante.

Gli interpreti. Woody Allen, tra le altre cose, ha il merito di dirigere gli attori in maniera impeccabile (il più delle volte), in modo tale da farli sentire a proprio agio sulla scena e da farli apparire naturali sullo schermo. In precedenza, era lui stesso ad incarnare i suoi personaggi, quelli macchiettati, mettendo al suo fianco, spesso, quelle che erano le sue partner nella vita (Diane Keaton prima, Mia Farrow poi). E in ogni caso è stato capace di scoprire talenti (Scarlette Johansson, Diane West), assegnare parti inconsuete a determinati attori di successo (Owen Wilson in Midnight in Paris, Sean Penn in Accordi e disaccordi, Hugh Jackman in Scoop), valorizzare interpreti ancora incompresi (Larry David, Penelope Cruz, Mia Farrow) e consacrarne altri in maniera definitiva (Michael Caine, Diane Keaton, Cate Blanchett). Dunque risulterà interessante anche analizzare l’operato di Jesse Eisenberg (che ha già lavorato con il regista di origini ebraiche in To Rome with Love), Steve Carrel (nominato all’Oscar per Foxcatcher), Kristen Stewart (nota per la parte in Twilight) e Blake Lively (Gossip girl), tutti e quattro accomunati da una discreta notorietà ma non ancora consacrati definitivamente, chi per giovinezza, chi per interpretazioni mai particolarmente impegnate, chi per ambedue le ragioni. Che questo film sia il trampolino di lancio per uno o più di loro?

Perché no? In conclusione, non si può non consigliare la visione di un film che ha tutti i presupposti per divertire, fornire spunti di riflessione e far impiegare un’ora e mezza del proprio tempo in maniera costruttiva. Perché in fondo il cinema è innanzitutto svago, un passatempo che spesso può aprirci la mente e insegnarci qualcosa di nuovo. Non deve per forza trattarsi di un capolavoro. Basta che funzioni.

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