Mondo Sport – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Mondo Sport – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Mesut Özil: uomo assist a chi? Ora segna e Wenger se la ride http://www.360giornaleluiss.it/mesut-ozil-uomo-assist-a-chi-ora-segna-e-wenger-se-la-ride/ Mon, 16 Jan 2017 10:09:45 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7981 L’uomo assist è colui che fa dell’altruismo la propria virtù. Una dote naturale per Mesut Özil, ma da quest’anno anche finalizzatore. Una rete al West Ham, per aprire il derby di Londra e record di goal con la maglia dell’Arsenal. Già otto centri, eguagliato lo score della scorsa stagione, quando lo stesso bottino era arrivato

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L’uomo assist è colui che fa dell’altruismo la propria virtù. Una dote naturale per Mesut Özil, ma da quest’anno anche finalizzatore. Una rete al West Ham, per aprire il derby di Londra e record di goal con la maglia dell’Arsenal. Già otto centri, eguagliato lo score della scorsa stagione, quando lo stesso bottino era arrivato al termine di 45 gare. Ora siamo al diciassettesimo gettone tra Premier e Champions League. Una nuova vita? Macché, merito di quella volpe di Wenger che ha pensato ad un altro ruolo per Mesut. Non più trequartista libero di allargarsi sulla destra per convergere sul piede forte. Meglio più avanti. Lì vicino all’ultima linea difensiva, a duettare con Sanchez e sfruttare la velocità del cileno.

Gli assist, quelli non mancano mai. Ne fu stregato Cristiano Ronaldo, che maledisse Florentino Perez all’indomani della sua cessione. Ventisette passaggi vincenti solo per CR7, meglio di lui solo Benzema, 4 assist più in su, ma con il doppio delle partite giocate. Per il numero uno Blancos però: “Era ossessionato dalle donne”. Protagonista sul campo e della cronaca rosa. Tradisce la moglie con la fidanzata di Lell compagno di squadra nella nazionale Under 21 tedesca. Con il povero ex Bayern Monaco che sui social rende pubbliche le infedeli conversazioni. Distrazioni e poca professionalità, secondo Don Florentino, che lo mette sul mercato. Wenger fiuta l’affare e lo porta nel nord di Londra. Non proprio un occasione, piuttosto un investimento. Sarà l’acquisto più costoso nella storia dei Gunners: 53 milioni, alla faccia di Henry e Wiltord, la vecchia guardia. Ma anche più di Sanchez e Wellbeck. Il giusto riconoscimento, per un giocatore che ha sempre anteposto la gioia degli altri alla sua. Centottantotto assist in carriera, ma anche gol magici. Sempre dopo aver dato una carezza al pallone. Un sospiro per accomodare la palla a terra, come contro il Ludogorets. In quello che è probabilmente il miglior gol realizzato fin qui nella Champions League di quest’anno. Un sombrero al portiere, rientro sul sinistro, una finta e i due difensori in maglia verde che si stendono davanti a lui, espressione della paura mista all’impotenza difensiva.

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Andatura ciondolante, quasi compassata, che sembra non poter in alcun modo creare pericoli. Un giocatore troppo tecnico e poco fisico per la Premier dicevano… Lo scorso anno determinante: 19 assistenze ed il rischio di mandare in frantumi il sogno del Leicester. Secondo posto finale, l’ultima volta di Wenger così in alto fu nel 2004, ma sul prato verde di Highbury c’erano Henry, Bergkamp e Pirès. Ora il mago di Oz viene accusato di stregoneria all’Emirates. Nasconde il pallone e lo fa ricomparire sui piedi dei compagni. Sempre più vicini al portiere. Giocatore frontale e meno playmaker. Uomo verticale, alla ricerca sempre del passaggio risolutivo. Lo scorso anno primo in tutte le statistiche: occasioni create, passaggi decisivi e assist per le conclusioni. La fantasia dei ricami e dei merletti, quello che poco piace agli allenatori, ma che si lascia ammirare dai cultori della bellezza.

Un incanto, una seduzione, o semplicemente un assist. Tra qualche hanno si continuerà a parlare dei gol di Cristiano Ronaldo o Sanchez, ma pochi saranno i tabellini che ricorderanno gli assist di quel tedesco caracollante.

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“Mamma dillo alla maestra, farò il calciatore…”. Pinamonti, dal cortile di casa a San Siro http://www.360giornaleluiss.it/mamma-dillo-alla-maestra-faro-il-calciatore-pinamonti-dal-cortile-di-casa-a-san-siro/ Mon, 19 Dec 2016 09:30:24 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7821 “Pina, Pina!”. In Primavera lo chiamano così. Quasi un ritornello. “Pina, Pina!”. Un continuo. Diminutivo di Pina…monti. Ecco sì, un ’99 alla prima coi grandi. Perché come dice lui sui social “il calcio è fantasia, un cartone animato per adulti“. Step by step, Pina e diventato tale; dal cortile dietro casa all’Europa con Pioli: “Mamma,

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Pina, Pina!”. In Primavera lo chiamano così. Quasi un ritornello. “Pina, Pina!”. Un continuo. Diminutivo di Pina…monti. Ecco sì, un ’99 alla prima coi grandi. Perché come dice lui sui social “il calcio è fantasia, un cartone animato per adulti“. Step by step, Pina e diventato tale; dal cortile dietro casa all’Europa con Pioli: “Mamma, io resto qui. Dillo alla maestra, tanto farò il calciatore!”. Promessa mantenuta. Questo il pensiero di un giovanissimo Andrea Pinamonti, che sui social cominciava a plasmare la sua vita da professionista. Il calcio come divertimento, ma anche come sogno da inseguire. Fino a ieri sera. Una serata che cerchi di immaginare nella tua mente, San Siro pieno, la musichetta della Champions, magari decisiva per la qualificazione al prossimo turno. Ed invece tutto il contrario: protesta della Curva Nord per i risultati non convincenti, l’ambientazione tiepida dell’Europa League e partita inutile con i nerazzurri ormai eliminati.

Pioli gli affida l’attacco, lasciandolo in balia della difesa dello Sparta Praga. L’aiuto di Eder c’è, ma si sente più quello di Palacio. Vero mentore, o meglio un mister in campo. Detta i movimenti e suggerisce i passaggi. Il Pina diventa decisivo alla metà del primo tempo. Cross in mezzo di Miangue, sempre lui come in Primavera, e poi il consegnato ad Eder per il primo gol interista. Settantotto minuti di corsa e sacrificio, possono bastare per il battesimo in prima squadra. Sulle spalle la 99, o meglio due volte nove come il suo idolo, “my dream”, Icardi, lui sì vero bomber. Novantanove come l’anno di nascita, esordio europeo a 17 anni come Bergomi e hai voglia a seguirne le orme, ma anche come Bonazzoli sacrificato per ragioni di bilancio e ora lì che sgomita tra i prestiti in giro per l’Italia prima Lanciano, ora Brescia. L’Inter se lo coccola e aspetta il 19 maggio, quando maggiorenne potrà offrirgli un contratto da professionista, per scacciare via gli assalti delle inglesi pronte a riempire di sterline il giovane trentino. Difendere il proprio talento come fece al tempo dei Pulcini del Bassa Anaunia. I dirigenti dell’Inter lo consegnarono ai tecnici del Chievo, in un tacito accordo con i genitori, che a 14 anni lo avrebbero portato definitivamente a Milano. E allora tanti sacrifici soprattuto di mamma Monica che accompagnava Andrea fino al casello di San Michele all’Adige, dove un pulmino lo portava agli allenamenti. Più di novanta chilometri a costeggiare tutto il Lago di Garda, e poi il ritorno a Cles. Un paesino con poco meno di settemila anime, dove Pinamonti ha cominciato a giocare. Non in un campo di calcio, ma nel giardino di casa. E poi “#finalmente #a #Milano”, come obbliga la dicitura social, immortalando il momento sotto il Duomo. Le prime foto ad Appiano Gentile sono un ricordo, dopo quattro anni quelli sono proprio i suoi compagni di squadra. In ritiro sugli stessi campi di Riscone di Brunico, con Miranda, Medel e ancora Palacio. Gli idoli? Balotellii, “qualcosa di illegale, di un altro pianeta”. Ma anche Valentino Rossi, la passione delle moto e soprattutto stesso cuore bianconero.

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Vivere una vita 90 minuti a settimana”, ma non solo anche le estati in Romagna, a Riccione, come tutti i ragazzi della sua età. Appena può ritorna a Cles, per trascorrere ancora serate tranquille passate semplicemente a giocare a carte. Sempre con il suo compagno Federico Valietti, cresciuti insieme con la maglia nerazzurra, con il quale divide anche le trasferte in Nazionale, con la maglia dell’Italia. Tutta la trafila dall’Under17 e domani chissà, il sogno di quella maggiore. I gol? Tanti, 12 in 10 partite quest’anno in Primavera. Tutti festeggiati scoccando la freccia dell’arco. Come Bolt? No, macché un arciere, infallibile come un cecchino. “E se da bambino mi fossi scritto una storia, l’avrei scritta come effettivamente mi sta accadendo”. Magari come colonna sonora, quella di un altro interista, Ligabue. “Certe notti, son notti”, è l’ultima istantanea che lo ritrae mentre entra sul prato di San Siro. Quelle notti che somigliano a un vizio, quello del gol, che Pinamonti non vorrà perdere mai.

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Come funziona il mercato nella MLS? http://www.360giornaleluiss.it/come-funziona-il-mercato-nella-mls/ Wed, 11 May 2016 06:39:56 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6606 Il soccer negli Stati Uniti d’America (lì il football è tutt’altro sport) negli ultimi anni ha conosciuto uno straordinario sviluppo. La storia della Major League Soccer, il massimo campionato calcistico a stelle e strisce, inizia infatti nel vicino 1988, quando agli Stati Uniti viene assegnata l’organizzazione del mondiale di calcio del 1994. In quel momento

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Il soccer negli Stati Uniti d’America (lì il football è tutt’altro sport) negli ultimi anni ha conosciuto uno straordinario sviluppo. La storia della Major League Soccer, il massimo campionato calcistico a stelle e strisce, inizia infatti nel vicino 1988, quando agli Stati Uniti viene assegnata l’organizzazione del mondiale di calcio del 1994. In quel momento non esisteva un vero e proprio campionato di calcio, in quanto la North American Soccer League era fallita a termine della stagione 1984. La struttura della Mls è ben diversa da quella degli altri campionati organizzati in giro per il mondo ed in particolare in Europa. Le principali differenze riguardano la composizione dei roster e l’organizzazione del mercato. Ma andiamo con ordine. Nella Mls esiste un contratto collettivo, ovvero i giocatori non sono sotto contratto con le squadre ma con la Lega. Conseguenza di ciò è il salary cap (tetto degli ingaggi) fissato a quota $3.49 M per la squadra e a un massimo di $436.250 per il singolo giocatore. Ci sono tre modi per rendere il salary cap più leggero: i Designated Players, la Generation Adidas Players e gli Homegrown Players. I Designated Players, al massimo tre per squadra, sono quei giocatori che possono percepire uno stipendio superiore rispetto al limite fissato. Grazie a questa regola sono approdati in America giocatori del calibro di Beckham, Kakà, Henry o Gerrard. Altro modo è la Generation Adidas Players, un programma nato dalla collaborazione tra la Mls e l’Adidas, che ha come obiettivo quello di aiutare i giovani più talentuosi ad arrivare nel campionato prima del finire dei tre anni di college.

I giocatori Generation Adidas non rientrano nel salary cap. Questo programma ha permesso la crescita dei maggiori talenti del calcio a stelle e strisce, come ad esempio Altidore, Howard o Donovan. Infine vi sono gli Homegrown Players introdotti nel 2008. A un giovane calciatore ha giocato per almeno un anno nel settore giovanile della squadra, tramite un contratto da Homegrown players, gli viene garantito un ingresso facilitato nella lega . Dal 2014 a oggi sono circa 30 i ragazzi messi sotto contratto secondo questa modalità, il più famoso è sicuramente l’attuale terzino del Tottenham Yedlin. E per gli stranieri? I giocatori stranieri non possono essere più di otto per squadra, gli slot però possono essere ceduti, così c’è chi ha un limite di sette e chi uno di dieci. Per quanto riguarda invece il calciomercato in America, curioso è come non si senta mai parlare di offerte, controfferte e spesso nemmeno di trattative dirette. Come vengono allora comprati i calciatori? Alcuni vengono acquistati durante il SuperDraft: le squadre, proprio come avviene in Nba, pescano i migliori giocatori dei vari college secondo un preciso ordine stabilito dalla classifica dell’anno precedente ( l’ultima classificata sceglie per prima e via dicendo per più giri). L’allocation process viene invece utilizzato per decidere chi ha la precedenza nell’acquisto dei giocatori americani provenienti dall’estero.

Mar 14, 2015; Columbus, OH, USA; Toronto FC midfielder Sebastian Giovinco (10) dribbles in the first half of the game against the Columbus Crew at Mapfre Stadium. The Columbus Crew beat Toronto FC by the score of 2-0. Mandatory Credit: Trevor Ruszkowski-USA TODAY Sports

Mar 14, 2015; Columbus, OH, USA; Toronto FC midfielder Sebastian Giovinco (10) dribbles in the first half of the game against the Columbus Crew at Mapfre Stadium. The Columbus Crew beat Toronto FC by the score of 2-0. Mandatory Credit: Trevor Ruszkowski-USA TODAY Sports

Vi sono poi i Free-agent, ovvero i giocatori svincolati; e i Trades, coloro che vogliono essere ceduti. Quella del prestito è invece una modalità di trasferimento poco utilizzata nella Mls. Queste rigide regole di mercato e di composizione delle squadre hanno avuto effetti più o meno positivi sullo sviluppo del soccer negli Stati Uniti. Se da un lato, come dimostra il settimo posto nella classifica mondiale per affluenza negli stadi, qualche passo avanti è stato fatto; dall’altro i calciatori protestano perché i salari minimi sono in alcuni casi addirittura dieci volte inferiori a quelli degli altri sport professionistici. Celebre la storia di Clint Irwin, attuale compagno di squadra di Sebastian Giovinco, che due anni fa, con un contratto di appena $87.000 annui, era costretto a vivere come un comune studente di college. Nonostante questi problemi gli Stati Uniti ci credono, come sostiene infatti il vice presidente esecutivo Dan Courtemanche: “Entro il 2022, la Mls sarà uno dei campionati più belli al mondo”.

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COPA AMERICA 2016: UN CENTENARIO FESTEGGIATO NEGLI STATES http://www.360giornaleluiss.it/copa-america-2016-un-centenario-festeggiato-negli-states/ Mon, 09 May 2016 09:39:23 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6571 Dire Copa America ad un amante del gioco più bello del mondo, significa far suscitare emozioni particolari, creare un immaginario costellato dei grandi squadroni Sudamericani, farciti di campioni che hanno segnato la storia di questo sport nel mondo. Non giriamoci intorno, Copa America significa Sud America, o meglio, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, perché le regine

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Dire Copa America ad un amante del gioco più bello del mondo, significa far suscitare emozioni particolari, creare un immaginario costellato dei grandi squadroni Sudamericani, farciti di campioni che hanno segnato la storia di questo sport nel mondo.

Non giriamoci intorno, Copa America significa Sud America, o meglio, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, perché le regine del calcio, a quelle latitudini, sono loro e non ce ne vogliano i Centro e Nord Americani. Però il continente è grande e racchiude moltissime federazioni, non solo quelle latine dove il calcio ha il valore del sacro, una passione ai limiti dell’eros, ma si è aperto a molte altre nazioni. E se il Centro America una tradizione calcistica,se pur non a grandi livelli, la mantiene (pensate ai risultati del Messico più che positivi negli ultimi anni), l’attenzione si può indirizzare verso il paese ospitante: gli USA.


Terra di football (quello strano con la palla ovale), di baseball, basket e hockey. Quegli Americani storicamente sempre più inclini agli altri sport che al “Soccer”. Ma da qualche anno a questa parte si sono cominciati ad aprire grandi spiragli di interesse: in fin dei conti è una terra ricca. Gli investimenti nel pallone possono esserci anche lì, e un ringraziamento speciale per la crescita di interesse non può che andare agli “Hispanicos”. Tutti gli immigrati di origine latina che negli States, oltre un bagaglio carico di speranze, si sono portati la loro pasion, el futebol.
E allora vuoi che l’interesse sta aumentando, che gli occhi degli Americani guardano con maggior fascino i campioni nelle leghe Europee. Vuoi pure che il calcio è lo sport del popolo per antonomasia, gli Stati Uniti si ritrovano ad ospitare un’edizione del Torneo Sudamericano così importante: la Copa Centenario, che festeggia i 100 anni di esistenza della CONMEBOL, il corrispettivo sudamericano della UEFA.

Già i significati aumentano, perché il trofeo consegnato sarà nuovo, diverso a quello delle precedenti 44 edizioni, porterà nel paese a stelle strisce tutti i campionissimi sudamericani (pesa l’assenza di Neymar nel Brasile, causa Olimpiadi) e si concentrerà (guarda un po’) nelle 10 città con maggiori comunità latine. Una nazione che quindi darà vita ad un torneo inedito, nuovo il trofeo in palio, diversa la formula (la tradizionale Copa America è a 12 squadre,con solo due centro e nord americane) e inaspettato il pubblico. Hanno fatto capo alla loro proverbiale organizzazione e ritardi non ce ne saranno, ma i prezzi dei biglietti hanno già smosso diverse critiche. Considerati poco popolari, visto che l’indirizzo di pubblico prediletto sarà composto proprio dai cittadini di origine Hispanica, molti provenienti dai ceti più bassi del paese. Ma oltre le polemiche e il caro prezzi, l’attesa è alta e l’attenzione sarà comunque di primo piano. Sapranno regalare gli Stati Uniti uno spettacolo degno del futebol d’oltreoceano? Lo scopriremo solo vivendolo.

Quali saranno i partecipanti e le date? Per la prima volta saranno 16: Argentina,Bolivia,Brasile,Cile,Ecuador,Paraguay,Perù, Uruguay,Venezuela,StatiUniti,Messico,Costarica,Giamaica,Panama,Haiti. Le date invece: 3 Giugno a Santa Clara la partita d’apertura, 26 Giugno Metlife stadium la finalissima.
Pronti alla più grande festa di compleanno dei popoli Americani?

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Il ritono dell’Imperatore! http://www.360giornaleluiss.it/il-ritono-dellimperatore/ Thu, 05 May 2016 09:37:09 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6526 È tornato! L’Imperatore è tornato. Dopo tre anni e mezzo Adriano Leite Riberio torna a calcare il manto verde del campo da calcio e lo fa con la maglia del Miami United, squadra statunitense che milita nella National Premier Soccer League, la quarta divisione del calcio statunitense ovvero l’equivalente della nostra Serie D. Poco importa

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È tornato! L’Imperatore è tornato. Dopo tre anni e mezzo Adriano Leite Riberio torna a calcare il manto verde del campo da calcio e lo fa con la maglia del Miami United, squadra statunitense che milita nella National Premier Soccer League, la quarta divisione del calcio statunitense ovvero l’equivalente della nostra Serie D. Poco importa che nella partita di presentazione lo United sia uscito sconfitto con un sonoro 0 – 5 contro i rivali cittadini del Miami Fusion, l’importante è stato il ritorno in campo di uno dei migliori  centravanti degli ultimi quindici anni.

Una carriera tanto strepitosa quanto breve quella del goleador di Rio de Janeiro: cresciuto come terzino nelle giovanili del Flamengo, ha esordito in prima squadra nel 2000 collezionando al primo anno 10 centri in 24 partite giocate. Una media-gol superiore a molti attaccanti più navigati del diciottenne brasiliano che gli consente di attirare immediatamente l’attenzione dei club più blasonati d’Europa.

Sarà l’Inter ad assicurarsi le prestazioni di Adriano per la stagione successiva per poi girarlo, durante la sessione invernale del calcio mercato, alla Fiorentina in prestito dopo aver collezionato otto presenze e un gol importantissimo per la vittoria dei nero-azzurri contro il Venezia.

In viola supererà definitivamente l’impatto con la Serie A, ma è con la maglia del Parma, dove approda nel 2002 in comproprietà con l’Inter, che avverrà la sua consacrazione nella massima serie italiana. Ventitré gol in trentasette partite gli consentono, in coppia con Adrian Mutu, di trascinare gli emiliani fino al quinto posto in campionato e alla qualificazione in Coppa Uefa. Ormai è pronto per qualcosa di grande.

Rientra all’Inter e dal 2004 al 2008 l’Imperatore trascinerà i nero-azzurri grazie al suo fiuto per il gol, forza fisica e un sinistro micidiale. Oltre a quella interista arriverà pure la maglia della Seleçao. Sono però i rumors fuori dal terreno di gioco a rendere questa storia meno favola. Alcol, festini, una vita sregolata e soprattutto depressione. L’Imperatore si perde. Ad appena 26 anni l’Imperatore decide di tornare in Brasile per ritrovarsi, prestito di sei mesi al San Paolo. Ma non basta. L’anno successivo, rientrato alla base, passerà più tempo in panchina che in campo e a fine stagione dirà addio all’Inter per sempre.

In patria sembra ritrovarsi, il Flamengo lo pone al centro del suo progetto e con la squadra carioca pare davvero che l’Imperatore sia risorto. Tanto da convincere la Roma a richiamarlo in Italia l’anno successivo. Si rivelerà un flop totale; cinque presenze e zero gol numerosi infortuni e una patente ritirata, in Brasile, per guida in stato di ebbrezza. La risoluzione del contratto sembra l’unica strada per il ritorno ancora una volta nella terra della samba.

Una nuova occasione gli viene concessa dal Corinthias con il quale si laurea campione del Brasile nel 2012. Subito dopo il suo contratto verrà reciso. Troppi gli infortuni, poche le presenze e ancor meno i gol rispetto alla mole di gossip e fisica dell’Imperatore di Rio il quale vantava in quegli anni uno stato di forma tutt’altro che invidiabile.

Inizia il suo periodo di inattvità che lo vedrà alternare ancora episodi di gossip con tentativi di ritorno in campo. Prima il Flamengo e poi l’Atlético Paranaense proveranno a dargli fiducia senza però essere ricambiati adeguatamente. Poi finalmente il 29 Gennaio 2016 la chiamata ufficiale del club di Miami, il tempo di rimettersi in forma e il primo Maggio esordisce. La voglia di tornare in campo, a fare quello per cui è nato e per cui tutti gli amanti del calcio lo adorano alla fine è stata più forte di tutto. Non sarà di certo una favola ma non è detto che per l’Imperatore non possa esserci un lieto fine.

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Lo splendido viaggio dei Playoff NBA http://www.360giornaleluiss.it/playoff_nba/ Wed, 04 May 2016 14:35:36 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6500 Se c’è un pregio nel mondo del Basket NBA, questo si nasconde dietro sette lettere. Sette lettere che racchiudono un mondo, uno stile di vita, uno dei periodi più belli dell’anno, notti italiane insonni in attesa che la rotazione terrestre faccia arrivare l’ora X dall’altra parte dell’Atlantico. Sette lettere per una parola: PLAYOFF! Il meccanismo

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Se c’è un pregio nel mondo del Basket NBA, questo si nasconde dietro sette lettere. Sette lettere che racchiudono un mondo, uno stile di vita, uno dei periodi più belli dell’anno, notti italiane insonni in attesa che la rotazione terrestre faccia arrivare l’ora X dall’altra parte dell’Atlantico. Sette lettere per una parola: PLAYOFF! Il meccanismo è molto più semplice di quanto possa sembrare: le 30 squadre partecipanti al Campionato della National Basketball Association sono divise in due gironi, Est ed Ovest. Nel corso della stagione regolare da 82 partite si delinea la classifica e le prime 8 di ogni girone, di ogni Conference per essere precisi, accedono ai Playoff, le altre 14, invece, sono già in vacanza. Ai Playoff continua la suddivisione tra Est ed Ovest e le squadre si affrontano in serie al meglio delle sette partite, fino alla serie finale, culmine di epicità della competizione.

Quest’anno, porta principale di ingresso alla post-season è stata la partita numero 82 della stagione, l’ultima, quella che normalmente non conta nulla e che invece poche settimane fa ha visto i Golden State Warriors conquistare il record di vittorie in un solo anno stabilito dai Chicago Bulls di Michael Jordan. Ma, cosa forse ancor più importante, ha visto anche l’addio al Basket giocato di Kobe Bryant, che ha appeso al chiodo la canotta gialloviola col 24, per entrare di diritto nell’olimpo del Basket ogni epoca.

Ai blocchi di partenza i nomi per la vittoria finale sono sempre i soliti: favoriti principali i Warriors campioni in carica che vengono dal record di cui sopra, guidati dal solito Steph Curry con intorno la macchina perfetta allenata da Steve Kerr. Competitors ad Ovest restano San Antonio Spurs ed Oklahoma City Thunder: i primi per l’ennesimo titolo nella splendida storia di quei ragazzini che contano 113 anni in tre (Duncan, Ginobili e Parker, ndr), i secondi per consacrare il talento di Durant e Westbrook, in quella che forse potrebbe essere l’ultima occasione per farlo con le canotte azzurre dei Fulmini di Oklahoma City. Ad Est, tutto molto meno incerto: i Cleveland Cavaliers di Lebron James, finalisti l’anno scorso, sembrano avere la strada spianata anche quest’anno verso il titolo di Campioni della Eastern Conference, per poi provare a mettere le mani, per la prima volta nella loro storia, sul trofeo dei Campioni NBA.

Al momento della stesura di questo articolo non siamo neanche a metà dell’opera, il primo turno è finito e si è delineato il programma delle semifinali di conference che sono appena cominciate. Nel primo turno, tutto come da pronostico, o quasi: Golden State, OKC, San Antonio, e Cleveland passeggiano rispettivamente contro Houston, Dallas, Memphis e Detroit. Le prime due concedendosi addirittura il lusso di una sconfitta, le altre non lasciando nemmeno queste poche briciole agli avversari. La quarta partita ad Ovest è l’unica ad aver ribaltato l’iniziale accoppiamento di classifica: Portland, classificatasi come quinta, ha infatti battuto i Clippers decimati dagli infortuni per 4-2. Ad Est, invece, Atlanta è stata la prima a raggiungere i Cavaliers in semifinale dopo aver battuto i Celtics e l’ultima semifinale è stata decisa dopo due Gare 7, nelle quali Toronto Raptors e Miami Heat hanno battuto, rispettivamente, Indiana Pacers e Charlotte Hornets, vera sorpresa di questa stagione di Basket a stelle e strisce. Il tabellone delle semifinali si è così completato: Warriors – Trail Blazers e Spurs – Thunder ad Ovest, Cavaliers – Hawks e Raptors – Heat ad Est.

Dispiace che per quest’anno non ci siano italiani a farne parte sul parquet. Noi veri maniaci, però, continueremo a seguire queste nottate di grande Basket con la stessa passione, nell’attesa del Preolimpico. Siamo solo all’inizio di questo viaggio, di ore di sonno ne perderemo ancora tante, consapevoli che per questo meraviglioso spettacolo ne varrà sempre la pena.

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Scelta la portabandirera: il nuoto al primo posto http://www.360giornaleluiss.it/scelta-la-portabandirera-nuoto-al-primo-posto/ Sun, 01 May 2016 22:42:51 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6357 Se mai vi fosse capitato di cimentarvi nella lettura di almeno un paio dei miei articoli, la probabilità che questi parlassero di nuoto o di altri sport natatori è sicuramente molto alta. Per questa ragione mi ero ripromessa di non parlare di nuoto anche in questa rubrica, lasciando il dolce compito ai miei colleghi della

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Se mai vi fosse capitato di cimentarvi nella lettura di almeno un paio dei miei articoli, la probabilità che questi parlassero di nuoto o di altri sport natatori è sicuramente molto alta. Per questa ragione mi ero ripromessa di non parlare di nuoto anche in questa rubrica, lasciando il dolce compito ai miei colleghi della redazione sport. Tuttavia, proprio due giorni fa il Coni ha nominato Federica Pellegrini come la nuova portabandiera e la puntualità di questa decisione, in precisa corrispondenza con la pubblicazione della puntata della rubrica non può essere che un segno del destino. Perciò rompendo la promessa che avevo fatto a me stessa, vi accompagnerò nell’immersione.

Per quanto riguarda il nuoto propriamente detto sono già nove gli atleti che possono per certo volare in Brasile. Oltre agli ormai conosciuti Federica Pellegrini e Gregorio Paltrinieri, ricordiamo la nuova stella Martina Carraro, esecutrice del sesto tempo mondiale annuale nei 100 metri rana (siglando il nuovo record italiano), e il “risorto” Luca Dotto, che sembra sostituire l’infortunato Marco Orsi. Da notare il successo di Gabriele Detti, fondista finora sempre all’ombra di Greg, che sbanca agli assoluti di Riccione con un poker di 200, 400, 800 e 1500 metri stile libero, mostrando di essere tanto in forma da vincere anche gare non propriamente lunghe. Tuttavia per definire la spedizione italiana a Rio dobbiamo ancora aspettare gli europei di Londra, ultima possibilità per gli atleti di qualificarsi.

Passando invece al nuoto sincronizzato lo scorso marzo la squadra italiana ha strappato il pass qualificandosi terza alle manifestazioni preolimpiche di Rio. Un grande successo per la squadra, che firma così la quarta partecipazione pentacerchiata italiana, dopo la pesante assenza delle ultime due edizioni. Anche il duo composto da Linda Cerruti e Costanza Ferro si qualifica per Rio grazie ad un secondo posto dietro la ancora irraggiungibile coppia spagnola. Soddisfatto tutto lo staff, che ha lavorato per l’obiettivo comune di permettere alle ragazze di giocarsi le proprie carte in quel di Rio.

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L’altra disciplina acquatica di cui l’Italia è una grande protagonista è quella dei tuffi, da trampolino e piattaforma. Quella di Rio sarà l’ultima Olimpiade contesa da Tania Cagnotto, che con il primo posto ottenuto ai mondiali di Kazan della scorsa estate, fa ben sperare. La campionessa italiana ha da poco vinto un argento alle World Series dietro la cinese He Zi e un ulteriore argento con il tuffo in coppia con Francesca Dalappè. Rio sarà sicuramente la migliore occasione per tentare ancora una volta di strappare la medaglia dal collo della cinesi. The last but not the least la pallanuoto azzurra sembra andare a gonfie vele. Il Settebello (la nazionale maschile), vice campione olimpico in carica, si è qualificato per Rio lo scorso 8 aprile vincendo ai quarti di finale del Preolimpico contro la coriacea Romania. Lo stesso pass era stato ottenuto pochi giorni prima dal Setterosa (nazionale femminile) al trofeo di qualificazione di Gouda.

Insomma ci pare che la decisione del Coni di scegliere la nuova portabandiera nel ”vivaio” acquatico sia sintomo dell’altissimo livello che gli azzurri hanno raggiunto in queste discipline. Federica Pellegrini è senza dubbio uno dei visi più conosciuti dello sport italiano. La tenacia e la sua continua obiettività, oggetto spesso di tante critiche, fanno di lei la persona che più di ogni altra ha permesso ad uno sport puro, non ancora insozzato dal potere dei soldi, come il nuoto ( con tutte le sue discipline) di valicare la soglia della popolarità. Non possiamo che esserne fieri.

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Calcio e Resistenza: un mediano partigiano http://www.360giornaleluiss.it/calcio-resistenza-un-mediano-partigiano/ Wed, 27 Apr 2016 15:20:42 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6466 Era il 10 luglio 1944. A Gamogna, un pugno di case in pietra vicino a Marradi, un piccolo centro amministrativamente in Toscana ma sul versante romagnolo dell’Appennino (Romagna toscana), c’erano gli alberi in fiore, faceva molto caldo e la luce del sole filtrava tra i rami rischiarando uno spiazzo dove c’era riverso a pancia in giù il

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Era il 10 luglio 1944. A Gamogna, un pugno di case in pietra vicino a Marradi, un piccolo centro amministrativamente in Toscana ma sul versante romagnolo dell’Appennino (Romagna toscana), c’erano gli alberi in fiore, faceva molto caldo e la luce del sole filtrava tra i rami rischiarando uno spiazzo dove c’era riverso a pancia in giù il vicecomandante del Battaglione Ravenna, Berni. Al suo fianco, anche lui esanime, il comandante Nico: quest’ultimo non era altro che il partigiano Vittorio Bellenghi; l’altro invece, il Berni, era Bruno Neri.

Quando si parla di Bruno Neri, è più che mai opportuno partire da Gamogna, perché quando si narra della sua breve vita, si sta raccontando di una guerra, che oltre a lui è stata combattuta da tantissimi altri volontari che parteciparono alla Resistenza Italiana. Molti, non tutti, hanno pagato quel desiderio di libertà al prezzo più alto, dopo vent’anni di oppressione, contro un moribondo fascismo che cercava ossigeno dopo la caduta avvenuta il 25 luglio 1943.

Bruno Neri nacque a Faenza nel 1910. Frequentò l’Istituto Agrario di Imola ed era appassionato di auto, ma già a 14 anni era riserva della squadra di calcio della sua città natale. Giocava nel ruolo di mediano, e dimostrò fin dalla giovane età una grande attitudine per il gioco del calcio, tanto è vero che a 16 anni era titolare inamovibile nel Faenza. Dopo qualche stagione da protagonista con la casacca biancoceleste con cui era cresciuto, venne comprato dalla Fiorentina per dieci mila lire, e si ritrovò quindi titolare nei viola a soli 19 anni.

Il presidente della Fiorentina, il fascista e squadrista marchese Ridolfi, volle allestire una squadra competitiva per salire in massima serie, ed effettivamente al secondo anno in viola di Neri, l’obiettivo fu raggiunto. Inoltre a Firenze emersero insieme alle sue innate capacità in mezzo al campo, anche i suoi interessi fuori dal campo: Bruno era un grande amante di Eugenio Montale, leggeva il giovane Cesare Pavese, e pare se ne intendesse anche di arte e di recitazione. Era di casa al Bar delle Giubbe Rosse nel centro del capoluogo toscano; il suo alto livello culturale e le capacità acquisite nel linguaggio grazie ai suoi interessi, gli consentirono di avere conversazioni e coltivare amicizie con giornalisti, scrittori e artisti che frequentavano questi centri culturali dell’epoca, nei quali senza dubbio trovava terreno fertile l’ideologia antifascista, che prendeva sempre più forma di pari passo al consolidamento definitivo del regime fascista.

Neri non fu un semplice mediano, perché riuscì a coniugare la sua straordinaria abilità di interdizione sul campo a una raffinatezza culturale senza eguali. Nel 1931 fu inaugurato il nuovo stadio dei viola, intitolato allo squadrista fiorentino Giovanni Berta, e fu giocata una partita per l’occasione. Quel giorno era prevista addirittura la presenza di Mussolini, considerando anche che la struttura dello stadio vista dall’alto non era altro che una gigantesca D. Alla fine, però, quest’ultimo non godette della celebrazione a lui riservata. Prima dell’inizio della gara era prassi che i ventidue giocatori in campo salutassero i gerarchi presenti sugli spalti e in quell’occasione destò scalpore proprio Bruno Neri, che fu l’unico calciatore a non alzare il braccio destro per compiere il saluto romano, rimanendo con entrambe le braccia lungo i fianchi, dimostrando sotto la luce del sole, nel pieno del Ventennio, da che parte stava.

Tra il 1936 e il 1937 Neri giocò tre partite con la nazionale italiana, nella quale si trovò in squadra insieme a calciatori del calibro di Giuseppe Meazza e Silvio Piola. Sempre nel ’36 si trasferì per una stagione alla Lucchese, allenata da Ernest Erbstein, con il quale andò al Torino l’anno dopo. Anche nel capoluogo piemontese continuò la vivace attività culturale del calciatore faentino: alloggiava nell’albergo Dogana Vecchia di via Corte d’Appello, frequentato dai calciatori della Juventus, ma anche da giovani scrittori ed intellettuali; lì incontrò anche gli artisti che vivevano nelle soffitte del lungo Po. Intanto quando era ancora a Firenze aveva completato gli studi superiori e si era iscritto presso l’Istituto di Lingue Orientali di Napoli, perciò continuava a studiare e a dare esami nell’università partenopea durante tutti quegli anni.

Neri chiuse la sua carriera da calciatore con la maglia granata nel 1940, pochi anni prima la consacrazione di quel gruppo, che sarebbe diventato il Grande Torino, ricordato ancora oggi come una delle squadre più forti del calcio italiano e forse di tutti i tempi. Decise a questo punto, dopo aver intensificato i rapporti con suo cugino Virgilio, notaio milanese, di comprare un’officina e trasferirsi nel capoluogo lombardo.

Al momento dell’entrata in guerra Neri aveva già ripreso contatti con il calcio perché nel tempo libero allenava il Faenza, ma segretamente collaborava con le forze antifasciste. Il cugino Virgilio gli fece conoscere Giovanni Gronchi e don Luigi Sturzo e, proprio grazie a queste nuove amicizie, dopo l’armistizio di Cassibile del 1943, Bruno sapeva bene che scelta fare: non guardò assolutamente a Salò e alla nascente Repubblica Sociale Italiana, ma optò per andare sui monti a fare resistenza proprio ai nazisti e ai fascisti. Per un terribile scherzo del destino si trovò quindi ancora a dover lottare contro gli avversari, a parlare di manovre di accerchiamenti, di attacchi e di difese. Stavolta però il calcio non c’entrava e la battaglia non era metafora di pressing asfissiante e di ruvidità da mediano: la battaglia era quella vera, era la guerra. La guerra sui monti.

Sempre con l’intercessione del cugino, Bruno Neri entrò nella Resistenza, su autorizzazione del CLN, fondò l’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), che aveva il compito di fare da ponte tra le varie brigate partigiane. Egli era un uomo contro, un mediano che, per quanto questo ruolo imponga determinati dettami, precisi e rigidi, si ribellava alle convenzioni. Il 10 luglio del 1944, Bruno e il suo amico Vittorio Bellenghi, giocatore di pallacanestro, andarono in avanscoperta per verificare che non vi fossero tedeschi sulla strada che stavano costruendo tra Marradi e San Benedetto in Alpe. Nei pressi della chiesa di Gamogna, dove sorge il cimitero, vi fu un’improvvisa svolta: lì si imbatterono inaspettatamente in un gruppo di una quindicina di tedeschi.

La vittoria dei partigiani e la liberazione furono l’ultimo atto e il premio finale per la battaglia di tutti gli antifascisti, che già durante i vent’anni del regime e poi nella guerra contro i nazifascisti hanno sopportato e sono andati in contro all’esilio, a brutali torture e persino alla morte, spinti dalla voglia e dal desiderio di libertà, valori fondanti ancora oggi dopo più di settanta anni; valori per cui vale la pena ricordare ogni 25 aprile la Resistenza e i partigiani.

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Benzema au revoir blues http://www.360giornaleluiss.it/benzema-au-revoir-blues/ Fri, 15 Apr 2016 08:15:57 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6378 “Malheureusement pour moi et pour tous ceux qui m’ont toujours soutenu et supporté. Je ne serai pas sélectionné pour notre Euro en France…” 139 caratteri, dei 140 disponibili su Twitter, con cui Karim Benzema anticipa il provvedimento preso dal federazione francese in merito alla sua esclusione di dalla lista dei convocabili per i prossimi Europei,

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“Malheureusement pour moi et pour tous ceux qui m’ont toujours soutenu et supporté. Je ne serai pas sélectionné pour notre Euro en France…” 139 caratteri, dei 140 disponibili su Twitter, con cui Karim Benzema anticipa il provvedimento preso dal federazione francese in merito alla sua esclusione di dalla lista dei convocabili per i prossimi Europei, da giocare proprio in Francia.

Questa infatti è la decisione presa dal presidente della federcalcio francese Noel Le Graet e dal c.t. Didier Deschamps in seguito all’esame del dossier del giudice istruttore sul “caso Valbuena” in cui sarebbe coinvolto anche il centravanti del Real Madrid.

Le indagini svolte dalla polizia francese erano scattate lo scorso Giugno quando il centrocampista della Nazionale francese, Mathieu Valbuena, aveva sporto denuncia dopo aver ricevuto una serie di telefonate anonime mentre si trovava in ritiro con la nazionale. Un tentativo di ricatto da 150 000 euro con la minaccia in caso di mancato pagamento di diffondere in rete un video in cui il centrocampista blues veniva ripreso in situazioni decisamente hard insieme alla compagna girato proprio dalla coppia e trafugato misteriosamente dal cellulare di lui.

E tra i coinvolti ci sarebbe anche l’attaccante franco-marocchino sotto inchiesta per presunto tentativo di estorsione ai danni del compagno di nazionale. La magistratura francese ha ripetutamente ascoltato la testimonianza di Benzema il quale si è sempre dichiarato a conoscenza del fatto ma completamente estraneo al tentativo di reato. Credo si tratti di un grande malinteso. All’inizio volevo solo che Mathieu venisse a conoscenza della vicenda, lo volevo aiutare. E’ un mio compagno nella nazionale francese, è un amico” queste le parole prese dalle dichiarazioni di Karim rilasciate di fronte ai giudici lo scorso 5 Novembre. Nel proseguo dell’interrogatorio avrebbe spiegato di essere venuto a conoscenza dell’esistenza del video tramite un suo vecchio amico d’infanzia, Karim Zenati , e di aver successivamente riportato la conversazione al compagno di Nazionale.

In attesa che la giustizia faccia il suo corso la federazione francese, in quanto parte civile nella vicenda, ha deciso di escludere Benzema dalla lista dei convocabili per gli Europei che si terranno proprio in Francia quest’estate. Se è vero che gli elementi fin qui raccolti non sono sufficienti per stabilire l’oggettiva responsabilità dei soggetti coinvolti e che quindi da un punto di vista giudiziario non ci siano ostacoli alla convocazione del’attaccante, “le prestazioni sportive non sono l’unico fattore da tenere in considerazione. Contano anche il senso di unità, la capacità di preservare il gruppo e la correttezza dei comportamenti” ha chiarito in una nota la federcalcio francese.

Un’altra bella gatta da pelare quindi per la Francia e la sua nazionale già alle prese con i problemi legati all’organizzazione dell’evento estivo più importante per il mondo dello sport, soprattutto dopo le tristi vicende legate al terrorismo più che mai attuali. Una cosa è certa: i blues non potranno contare sulle reti del loro miglior attaccante. La strada inizia già in salita.

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La mia squadra Luiss http://www.360giornaleluiss.it/la-mia-squadra-luiss/ Wed, 13 Apr 2016 06:43:10 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6041 “Pronto, ciao sono Greta, una studentessa della Luiss. Ho sentito che state organizzando una squadra di nuoto, posso lasciare il mio nominativo?” E’ iniziata così, poco più di un anno fa, la mia esperienza dello sport firmato Luiss. A rispondermi fu quella che dopo pochi giorni divenne una grande amica, una team manager la cui

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“Pronto, ciao sono Greta, una studentessa della Luiss. Ho sentito che state organizzando una squadra di nuoto, posso lasciare il mio nominativo?”

E’ iniziata così, poco più di un anno fa, la mia esperienza dello sport firmato Luiss. A rispondermi fu quella che dopo pochi giorni divenne una grande amica, una team manager la cui vitalità è tale da farmi girare la testa ogni volta che la incontro. Un grazie speciale va a te, Sara Massaro, il primo mattone di questa enorme casa che è la nostra squadra.
Dopo i primi giorni di imbarazzo ci siamo immersi nel liquido fresco di un’amicizia genuina che ci lega ancora, un’amicizia forte della condivisione del tempo al gusto di cloro. Ai veterani della prima edizione si sono aggiunti i nuovi venuti di quest’anno. Una squadra bizzarra, disomogenea da tutti i punti di vista. Geograficamente parlando copriamo in lunghezza buona parte della penisola, vantando addirittura un veneziano, Pietro Mora, che discostandosi dall’idealtipo di uomo severo e introverso del nord Italia, è l’emblema d’una squadra che è unita esclusivamente da divertimento e amicizia. Sicuramente non è motivo di legame il materiale tecnico, atteso per mesi e apparso miracolosamente proprio nel pomeriggio di ieri. Il disguido con l’ufficio sport su questo argomento ha stuzzicato le menti elastiche degli atleti, i quali, da buoni rappresentanti Luiss, si sono cimentati in cori, proteste e massime di livello elevatissimo (tra le altre mi preme di ricordare la perla del mister Andrea Gargallo, “l’attesa del materiale tecnico è essa stessa il materiale tecnico”). Gli allenamenti quindi oscillano tra lavori aerobici e tentativi di imitare alla perfezione il dialetto veneziano o, in alternativa, di capire le citazioni di Giulio Garofano, spesso terminanti con un internazionale “chit a muort”. Ahimè su quest’ultimo punto la squadra deve ancora lavorare.

Per non parlare delle tante e diverse esperienze sportive che rendono la squadra variopinta. C’è chi è fresco d’agonismo, come la sottoscritta, Ludovica Mari e Luca Campiello, ma anche chi da tempo ha appeso gli occhialetti al chiodo e ha deciso di rientrare in vasca, come il bomber Lorenzo Consorti, i già famosi Pietro e Giulio, Emanuele Greco e Floriana Fileccia. E infine vantiamo anche nuotatori provenienti da altri sport: i fratelli Salvatore e Barbara Baio, rispettivamente ex atleta di triatlhon e di atletica, Davide Maria Testa, direttamente dal mondo dei motori, Marco Meli (purtroppo infortunato) e Marco Impagnatiello, ex pallanuotisti.
Dopo mesi abbiamo imparato a conoscerci. Sappiamo dove individuare, anche con gli occhialetti appannati, le figure dei nostri guardiani, i tre team manager: la già nominata Sara, la bellissima Camilla Valdinucci e il nostro compagno d’allenamento Riccardo Coletta, atleta dello scorso anno che pur di non abbandonarci si è reinventato team manager. Non ci stupiamo più di vedere Ludovica scendere per prima nello spogliatoio, ma riuscire ogni volta ad entrare in acqua per ultima, né di sentire la famosa domanda di Davide, ormai motto della squadra: “Il materiale tecnico?”. Siamo anche abituati ai rimproveri, ai battibecchi, ai piccoli litigi che tuttavia si estinguono al ricordo di non essere altro che un gruppo sgangherato di studenti, costretti un giorno dal caso a incrociare la propria vita con quella degli altri e finire così per volersi bene.

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La mia squadra, come vedete, è un vero casino. Ma siamo così belli che nessuna foto, nessun video e nessuno articolo potrebbe mai cogliere e rendere appieno ciò che creiamo quando siamo insieme. Lo potremo forse dimostrare al primo appuntamento agonistico, domenica 17 aprile, alla piscina comunale di Civitavecchia, che ospiterà il trofeo regionale Uisp. Dopo mesi di allenamento potremo finalmente rompere il ghiaccio e far gustare al nostro giovane, ma preparatissimo allenatore il frutto del suo impegno. Se è vero che i risultati sono il riflesso del lavoro fatto, so che per lui – e non solo per lui – questa domenica sarà memorabile.
Mi concedo quest’ultima riga per ringraziare te Andrea, per aver fatto di noi la squadra che siamo.

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