culturama – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png culturama – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Francesco Giorgino a “Culturama” su giornalismo e società http://www.360giornaleluiss.it/francesco-giorgino-culturama-su-giornalismo-e-societa/ Mon, 03 Apr 2017 07:35:02 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8424 Il professor Francesco Giorgino è stato il primo ospite di “Culturama”, il festival di giornalismo realizzato dagli studenti di “360° – Il giornale con l’Università intorno”. Lo scorso 23 marzo ho intervistato il professore di “Luiss” e “Sapienza”, nonché noto giornalista del Tg1, nel corso di una conferenza sul tema del newsmaking. Buongiorno professor Giorgino.

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Il professor Francesco Giorgino è stato il primo ospite di “Culturama”, il festival di giornalismo realizzato dagli studenti di “360° – Il giornale con l’Università intorno”. Lo scorso 23 marzo ho intervistato il professore di “Luiss” e “Sapienza”, nonché noto giornalista del Tg1, nel corso di una conferenza sul tema del newsmaking.

Buongiorno professor Giorgino. Vorrei rivolgerle alcune domande per “360° – Il giornale con l’Università intorno”.

  1. Innanzitutto, come distinguere una notizia da una non-notizia e cosa differenzia le notizie interessanti e quelle importanti?

Una notizia si differenzia da una non-notizia anzitutto se la prima è collocata o meno nei processi di produzione della “notiziabilità”, e cioè quei processi che sostanzialmente replicano al loro interno le dinamiche della selezione, della gerarchizzazione, del trattamento e della tematizzazione della notizia. Quindi il primo discrimine sta nel fatto che, nel caso in cui la notizia venga selezionata, gerarchizzata, trattata e tematizzata da un’organizzazione professionale e da un giornalista professionista, c’è automaticamente un conferimento di valore professionale alla scelta fatta dallo stesso professionista. Nel caso della non-notizia, si tratta di un prodotto che può anche assurgere al valore di informazione, ma non necessariamente questo si consegue attraverso l’assolvimento di una serie di procedure di tipo professionale. Quindi, nel caso della notizia, si tratta di un prodotto riconosciuto come tale sia dall’emittente che dal ricevente, un genere dal punto di vista della sociologia della comunicazione. Nel secondo caso (la non-notizia) si tratta di un’informazione che può essere anche utile per l’opinione pubblica, ma che non è prodotta da un’organizzazione professionale.

  1. Quanto è importante che un buon telegiornale abbia un bilanciamento tematico delle notizie?

Assolutamente importante, perché si tratta di un prodotto che deve interloquire con la totalità del pubblico. Quindi, tra i valori della notizia che contano di più vi è proprio quello del bilanciamento tematico che serve anche a riequilibrare il valore dell’interesse col valore dell’importanza, cioè si tratta sostanzialmente di mettere insieme ciò che registra un feedback chiaro da parte del pubblico in termini di interesse con ciò che, pur non interessando in modo diffuso il pubblico, merita di essere portato a conoscenza del pubblico stesso, perché oggettivamente importante. Il bilanciamento tematico risolve sostanzialmente anche questo tipo di problema.

  1. Quali sono le caratteristiche dell’informazione politica?

L’informazione politica ha come obiettivo principale quello di mettere in evidenza le dinamiche di esercizio del potere politico, dunque si muove in un’interlocuzione assolutamente chiara – per seguire la separazione dei poteri di Montesquieu – sia nei confronti del potere esecutivo che del potere legislativo. Quindi ha questa doppia funzione di vigilanza dell’esercizio dell’azione esecutiva, dell’amministrazione dello Stato e, al tempo stesso, non di condizionamento, ma di verifica delle modalità con le quali il processo di regolamentazione giuridica e il processo di normazione avvengono nel nostro Paese. Nel mio libro (“Giornalismi e società. Informazione politica, economia e cultura”, edito da Mondadori Università, ndr) ho più volte fatto riferimento, soprattutto in relazione a quest’aspetto, alla “teoria dell’agenda-setting”, che è una teoria che ci consente di spiegare il modo in cui le priorità dei media coincidono con le priorità della politica e quindi dell’opinione pubblica o, viceversa, che le priorità della politica vengano poi fatte proprie dai mezzi di comunicazione. L’informazione politica si muove lungo questo percorso di evidenziazione e di controllo di quelle che sono le dinamiche del potere, pur nella consapevolezza che il concetto stesso di potere è cambiato.

  1. Cosa ci può dire riguardo all’interazione media-economia?

Lì il tema è ancora più delicato, perché non c’è soltanto un’interazione tra newsmedia, quindi informazione, ed economia, ma c’è anche l’interazione tra informazione e finanza. Anzi, l’informazione può svolgere anche un ruolo di arbitro tra l’economia e la finanza, atteso che la finanza è sempre più aggressiva nei confronti dell’economia. Però, perché questo accada, c’è bisogno di rivedere quelli che sono i paradigmi con la quale la narrazione dei temi economici e finanziari avviene da parte dell’informazione mainstream perché, sostanzialmente, se noi reiteriamo l’idea che l’unico parametro di narrazione è quello del Prodotto Interno Lordo, quindi un parametro quantitativo, difficilmente riusciremo a mettere in linea le esigenze della rappresentazione della realtà con la complessità della realtà stessa. Complessità che è tanta, visto che si tratta di due settori che non sempre agiscono nella stessa direzione (economia e finanza). Quindi va risolto anche questo tema.

  1. Può parlarci della triangolazione “soggettività-oggettività-obiettività” del giornalismo?

Facciamo riferimento a Max Weber e alla distinzione tra obiettività orientata al valore e obiettività orientata allo scopo. L’obiettività orientata al valore significa assumere un principio che ha una sua spendibilità indipendentemente dalla possibilità che poi si traduca sotto il profilo operazionale. Invece, se consideriamo l’obiettività orientata allo scopo, consideriamo una serie di regole che sono finalizzate a diminuire l’assedio della soggettività che è presente in tutte le fasi della mediazione. È questa l’obiettività orientata allo scopo o quella che Gaye Tuchman chiama “obiettività come rituale strategico”, quindi separazione dei fatti dalle opinioni da un lato, indicazione delle prove a sostegno delle proprie tesi dall’altro, tracciabilità delle informazioni e quindi rapporto trasparente con le fonti dall’altro ancora. Basterebbe questo per rendere l’obiettività funzionale e quindi strategica. Altra cosa è l’oggettività, (che oggi appare impossibile) perché non c’è una conformità piena nella rappresentazione, tra la rappresentazione e l’oggetto rappresentato. Per cui si può ragionare in termini di obiettività orientata allo scopo e non in termini di oggettività.

Grazie professore.

 

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La vignetta satirica ieri e oggi http://www.360giornaleluiss.it/la-vignetta-satirica-ieri-oggi/ Tue, 21 Mar 2017 16:16:18 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8347 La vignetta umoristica o di satira politica ha ormai una storia ultra secolare. Alla ribalta dall’ottocento questa forma d’arte, che si serve della forza dell’immagine per veicolare contenuti satirici, non verrà più abbandonata. In Italia è a cavallo tra l’ottocento e il novecento che si assiste alla nascita dei famosi giornali satirici: “L’Asino”, “Il becco

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La vignetta umoristica o di satira politica ha ormai una storia ultra secolare. Alla ribalta dall’ottocento questa forma d’arte, che si serve della forza dell’immagine per veicolare contenuti satirici, non verrà più abbandonata. In Italia è a cavallo tra l’ottocento e il novecento che si assiste alla nascita dei famosi giornali satirici: “L’Asino”, “Il becco giallo”, “il Guerin meschino” sono solo alcuni dei tanti che vedono la luce in questo periodo.

Per buona parte del novecento le vignette, e i giornali che le ospitano, riescono ad avere un impatto spaventoso sulla vita politica e sull’opinione pubblica. Nel 1950 il settimanale umoristico “Candido” pubblicava una vignetta in cui l’allora Presidente della Repubblica Einaudi era ritratto mentre passava in rassegna una fila di bottiglie di vino invece che di Corazzieri, scoppia così il “caso Einaudi”. Nel mirino del giornale era finito il fatto che tali bottiglie circolassero con la dicitura “Poderi del Senatore Luigi Einaudi” sull’etichetta, e che quindi il Presidente sfruttasse la sua carica a fini commerciali. Il direttore responsabile del “Candido”, il celebre scrittore Giovannino Guareschi, fu condannato per vilipendio al Capo dello Stato insieme a Carletto Manzoni, autore della vignetta, a otto mesi con la condizionale. E oggi? Il mondo della satira è in crisi da molti anni e lo stesso di conseguenza si può dire della vignetta satirica. Tutti gli storici giornali satirici sono scomparsi progressivamente con il passare degli anni.

La vignetta sembra ormai relegata ad una funzione di sfondo, l’abitudine rassicurante sulla prima pagina del quotidiano che ti strappa un sorriso o una risatina amara ma il 7 gennaio 2015 torna prepotentemente protagonista. Due attentatori infatti entrano a Parigi nella sede del giornale satirico francese “Charlie Hebdo” e uccidono dodici persone tra le quali cinque vignettisti del periodico. I terroristi, collegati alla branca yemenita di Al-Qāʿida avevano deciso di colpire “Charlie Hebdo” proprio a causa di alcune vignette che come bersaglio avevano l’Islam. In seguito all’attentato si è aperto un nuovo dibattito sulla satira nei nostri giorni: da una parte i sostenitori della libertà di espressione sempre e comunque, dall’altra coloro che credono che nonostante tutto la satira debba porsi un problema morale.

Anche di questo dilemma parleremo il 23 Marzo a Culturama in una conferenza che ospiterà Sergio Staino “imprevisto direttore”, per sua stessa definizione, de “l’Unità” e “storico vignettista”, vincitore del Premio Satira Politica Forte dei Marmi nel 1984 e fondatore del settimanale satirico “Tango”, inserto de “l’Unità”. E proprio di dilemma si tratta perché se è vero che nei giorni successivi all’attentato nella redazione di “Charlie Hebdo” la grande maggioranza dell’ opinione pubblica occidentale, e quindi anche italiana, si schierava senza dubbio con i vignettisti e la loro libertà di espressione con lo slogan “Je suis Charlie”, è altrettanto vero che le reazioni sono state decisamente diverse in due occasioni recenti che hanno visto nuovamente protagonista il settimanale francese. La prima è la pubblicazione di una vignetta in seguito al terremoto nell’Italia centrale dell’ estate 2016. Nell’immagine, intitolata “Séisme à l’italienne” (Terremoto all’italiana) le vittime del terremoto vengono paragonate a tre piatti tipici della nostra cultura: “Penne all’arrabbiata”, illustrato con un uomo sporco di sangue; “Penne gratinate”, e “Lasagne”, strati di macerie alternati ai corpi rimasti sotto. La seconda riguarda un’altra tragedia italiana: la recente valanga che ha travolto l’hotel a Rigopiano, in questa vignetta  l’immagine della morte scende dalla montagna in mezzo ad una valanga. Le reazioni sdegnate, che in alcuni casi sono arrivate a invocare la censura, della maggioranza degli italiani, pur se possono essere comprensibili dal punto di vista emotivo, vanno quindi viste come un’incongruenza nei confronti della salvaguardia della libertà di espressione e della vocazione principale della satira, il cui scopo è far riflettere anche pungendo e facendo male, oppure c’è un limite alla satira?

 

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Il newsmaking secondo Francesco Giorgino http://www.360giornaleluiss.it/il-newsmaking-secondo-francesco-giorgino/ Mon, 20 Mar 2017 18:30:49 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8295 Il prossimo 23 marzo il professor Francesco Giorgino sarà ospite di “Culturama”, il festival di giornalismo realizzato dagli studenti di “360°- Il giornale con l’Università intorno”. Giorgino, giornalista professionista dal 1993 e conduttore dell’edizione delle 20 del Tg1, è anche professore universitario presso la Sapienza e la Luiss di Roma. È proprio presso la nostra

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Il prossimo 23 marzo il professor Francesco Giorgino sarà ospite di “Culturama”, il festival di giornalismo realizzato dagli studenti di “360°- Il giornale con l’Università intorno”. Giorgino, giornalista professionista dal 1993 e conduttore dell’edizione delle 20 del Tg1, è anche professore universitario presso la Sapienza e la Luiss di Roma. È proprio presso la nostra università che Giorgino tiene il corso interdipartimentale di “Newsmaking”, termine che identifica il processo che porta alla produzione di una notizia da parte degli attori dell’informazione, attraverso le fasi di selezione, gerarchizzazione, trattamento e tematizzazione. Come dire che non tutto ciò che accade è notizia, cioè non tutto viene portato all’attenzione del pubblico.

Il professor Giorgino è dunque una guida nell’apprendimento di questa materia non soltanto per i suoi studenti, ma anche per chiunque ne sia affascinato grazie al suo ultimo libro: “Giornalismi e società. Informazione, politica, economia e cultura”, edito da Mondadori Università. In questo volume, l’autore parte dall’analisi dei paradigmi del mondo dell’informazione (newsmaking, agenda setting, framing), soffermandosi ampiamente sui rapporti e le interconnessioni tra informazione da un lato e politica, economia e cultura dall’altro. Vengono svolte accurate analisi sul ruolo sociale che ricopre l’informazione: analisi quanto mai fondamentali in un periodo di crisi del giornalismo, soprattutto della carta stampata. Perciò le interconnessioni tra il mondo dell’informazione e gli ambiti sopra citati possono aiutare a ragionare sull’evoluzione della professione giornalistica e sulle soluzioni che si possono trovare ai numerosi problemi concernenti l’informazione. Criticità che riguardano anche la pervasività dei social network (Facebook e Twitter in primis) nel dare notizie talvolta prima delle agenzie di stampa oppure nel diffondere informazioni false (le cosiddette bufale). In questo contesto diventa ancora più centrale il ruolo di mediatore da parte del giornalista, che deve attenersi nel miglior modo possibile a quella che è la realtà dei fatti.

Giorgino insiste quindi sulla necessità e sull’esigenza di avere un giornalismo di qualità in un mondo sommerso da “overloading informativo” e che sappia combattere efficacemente la crisi di credibilità dell’informazione. Per spiegare meglio il suo ragionamento, l’autore si concentra anche sulla triangolazione soggettività-oggettività-obiettività del giornalismo. Sono quattro le tesi sostenute da Giorgino nel suo libro: la prima è che resta esclusiva la capacità dell’informazione e di chi fa informazione di ricercare, indicare e perseguire l’orizzonte di senso da garantire al pubblico; la seconda è che bisogna puntare sulla qualità dell’informazione, se si vuole aumentare il livello di democrazia di un Paese; la terza è che l’informazione deve ricoprire la funzione di arbitro tra politica ed economia, tenendo a freno la finanza, che tende a prevaricare il processo decisionale; la quarta è che l’acquisizione di conoscenze da parte del pubblico coincide in gran parte con la fruizione di contenuti mediali dilatando, il tal modo, la responsabilità dei mezzi d’informazione e il ruolo da mediatore del giornalista. In conclusione, nel Ventunesimo secolo, di fronte alla rappresentazione di alcune delle grandi questioni attuali della sfera pubblica, come la vittoria di Donald Trump nelle elezioni americane, la crisi economica mondiale, le dimissioni di Renzi in seguito al referendum costituzionale, il conflitto magistratura-politica (tutte questioni affrontate nel libro), c’è la necessità di comprendere come si forma la notizia e perché alcuni eventi vengono assurti al rango di notizia. Ad ogni modo, la questione cardine è: il giornalismo serve ancora?

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Bernie Sanders, la promessa rivoluzionaria del Democratic Party http://www.360giornaleluiss.it/bernie-sanders-la-promessa-rivoluzionaria-del-democratic-party/ Wed, 11 May 2016 13:10:56 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6616 10.05.2016 – “La settimana prossima vinceremo in West Virginia, e poi vinceremo in Kentucky e in Oregon” – così si esprime fiero dopo un’ inaspettata vittoria in Indiana Bernie Sanders, mentre parla a Louisville, in Kentucky. Lo separano dalla Clinton soltanto pochi punti, per un match chiusosi con 53 a 47 per il primo. A dispetto di

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10.05.2016 – “La settimana prossima vinceremo in West Virginia, e poi vinceremo in Kentucky e in Oregon” – così si esprime fiero dopo un’ inaspettata vittoria in Indiana Bernie Sanders, mentre parla a Louisville, in Kentucky. Lo separano dalla Clinton soltanto pochi punti, per un match chiusosi con 53 a 47 per il primo. A dispetto di chi credeva che chiunque fuorché lui potesse arrivare così lontano nella campagna elettorale, il senatore del Vermont ha sottolineato l’importanza di questa vittoria “perché le idee per cui ci stiamo battendo sono le idee del futuro dell’America”. Il sogno di Sanders è infatti poter ridare voce all’America su determinate questioni sulle quali il candidato alle primarie democratiche vorrebbe vederci più chiaro, idee che chiaramente lo collocano in una posizione di netto contrasto con la futura promessa alla presidenza stelle e strisce, la “sempreterna” Hilary Clinton.

Ma chi è, in realtà, Bernie Sanders? Dal forte accento popolare di Brooklyn, fa carriera in Vermont dove corre per la poltrona di sindaco di Burlington, dopo aver studiato Scienze Politiche a Chicago. Ama dichiararsi socialista democratico contro ogni rischio di apparire anacronistico, e forse è proprio questo a far presa sul suo elettorato, composto prevalentemente da giovani. Ma quella che ha tutta l’aria di essere la sua carta vincente, è #TTIPleaks. I documenti sul TTIP resi noti lo scorso 6 maggio da Greenpeace sono stati prodromici per un commento a caldo del senatore: “Le rivelazioni di oggi dimostrano che il cosiddetto accordo commerciale Usa-Ue ha poco a che fare con il “libero commercio” e molto a che fare con l’aumento del potere delle banche di Wall Street, delle aziende farmaceutiche e delle grandi compagnie petrolifere […]” e così conclude, mettendo ben in chiaro la sua posizione: “In qualità di presidente, il senatore Sanders non sarà d’accordo con qualsiasi accordo commerciale che minaccia la sicurezza alimentare […]. Il commercio è una cosa buona, ma deve essere onesto”. Il timore, esplicitato in decine di manifestazioni che hanno attraversato l’Europa (non ultima quella che ha visto i comitati #StopTtip sfilare per Roma sabato scorso), è che il Trattato sia una sorta di cavallo di Troia americano per abbassare gli standard qualitativi europei in fatto di agroalimentare, sicurezza del lavoro e, dulcis in fundo, diritti umani. Tanto più che l’Europa non appare unita in una trattativa che va avanti ormai dal 2013. La questione è delicatissima dalla trama non poco articolata. Si sarà mosso bene “Bern”, come lo chiamano i suoi affezionati, nella scelta del jolly da tirar fuori per la sua corsa alla Casa Bianca? Se sul fronte repubblicano Trump ha già fatto fuori i suoi rivali, le primarie democratiche si chiuderanno a Giugno, per cui l’ attesa di conoscere il verdetto, fino ad allora, non sarà poi troppa.

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Hillary ad un passo dalla Casa Bianca http://www.360giornaleluiss.it/hillary-ad-un-passo-dalla-casa-bianca/ Wed, 11 May 2016 08:43:37 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6611 Secondo i sondaggi dell’emittente televisiva statunitense CNN Hillary Clinton sarebbe la favorita per la corsa alla Casa Bianca. Se si votasse oggi vincerebbe con il 54% dei voti, con ben 13 punti di vantaggio su Donald Trump che si attesterebbe invece al 41%. Anche la BBC da la Clinton in vantaggio con il 46,7% delle

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Secondo i sondaggi dell’emittente televisiva statunitense CNN Hillary Clinton sarebbe la favorita per la corsa alla Casa Bianca. Se si votasse oggi vincerebbe con il 54% dei voti, con ben 13 punti di vantaggio su Donald Trump che si attesterebbe invece al 41%.

Anche la BBC da la Clinton in vantaggio con il 46,7% delle preferenze contro il 40,5% di Trump, uno scarto minore di quello pronosticato dalla CNN, ma comunque sufficiente a determinare una vittoria sicura per l’ex first lady.

Non solo Hillary Clinton avrebbe un solido vantaggio ma sarebbe anche giudicata dall’elettorato americano come la candidata più qualificata su molte questioni delicate, come per esempio il terrorismo.

Mentre per quanto riguarda l’economia del paese gli americani si fiderebbero maggiormente di Trump.

 

Dunque la strada per lo studio ovale sembrerebbe tutta in discesa per Hillary. O quasi.

Infatti sul fronte democratico c’è ancora Bernie Sanders, reduce dalla vittoria in Indiana, da battere.

Il dilemma che si trova davanti la Clinton è insidioso: spostare la sua campagna elettorale a sinistra per recuperare voti democratici dal bacino elettorale di Sanders o spostarla al centro per guadagnarsi la fiducia dei repubblicani moderati che mal tollerano Trump.

La strategia migliore secondo alcuni sarebbe la prima opzione: puntare sulla sinistra e disfarsi dell’avversario democratico. Effettivamente a spingere gli elettori moderati tra le braccia della Clinton ci pensa già lo stesso Trump con le sue provocazioni.

Altri ostacoli da non sottovalutare sarebbero lo scandalo delle email e il passato ingombrante del marito.

Trump non perde occasione per far pesare questa spada di Damocle sulla testa della sua avversaria. Sabato, durante un comizio a Spokane (Stato di Washington) ha infatti affermato: “Bill è l’uomo che ha più abusato delle donne nella storia della politica. Nessuno, nessuno si è comportato come lui. E alcune di queste donne sono state distrutte non da lui, ma da Hillary Clinton che è stata sua complice. Hillary le ha trattate in modo orribile, quando tutto è finito”. Ovviamente il riferimento è allo scandalo Lewinsky che investì Bill Clinton durante i suoi anni da presidente degli Stati Uniti. Ma l’attacco risulta infondato, la stessa ex stagista ha infatti supportato la candidatura della moglie di Clinton.

Sebbene secondo i sondaggi la strada per l’ex first lady sembri spianata, le variabili che potrebbero influenzare il voto degli americani, tra cui una possibile scarsa affluenza al voto, sono molte e in definitiva non resta che aspettare l’8 novembre.

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Super PAC e altre storie (di finanziamento) http://www.360giornaleluiss.it/super-pac-e-altre-storie-di-finanziamento/ Tue, 10 May 2016 16:34:52 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6598 Se state leggendo questo articolo e avete ancora qualche dubbio sul funzionamento di questa complicata macchina che sono le elezioni americane, i numeri di delegati che convergono o divergono a ogni tappa e i pronostici più accurati, è forse logico aspettarsi che sia io a chiarirveli. Ebbene, purtroppo non posso, perché sono anche io nella

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Se state leggendo questo articolo e avete ancora qualche dubbio sul funzionamento di questa complicata macchina che sono le elezioni americane, i numeri di delegati che convergono o divergono a ogni tappa e i pronostici più accurati, è forse logico aspettarsi che sia io a chiarirveli. Ebbene, purtroppo non posso, perché sono anche io nella vostra condizione. Ci sarà tra voi chi come me si trova anche a capire poco delle classifiche di calcio; sono sicura così di poter condividere con qualcuno il senso di confusione che talvolta accompagna l’ascolto dei più fanatici, mentre tutti i mondi possibili vengono ipotizzati già dieci giornate prima della fine del campionato mettendo in campo doti statistiche innate. Nel calcio quindi mi limito spesso a leggere tra le righe nei discorsi dei telecronisti quando elaborano le metafore più appassionate per descrivere un semplice assist, lasciando ad altri il giudizio sullo stato della classifica. Allo stesso modo, rispetto al meccanismo delle elezioni in sé e ai pronostici, mi risulta più semplice indagare su cosa risiede nel ‘dietro le quinte’. Perciò, mentre i più esperti avranno capito che non mi diletterò in proiezioni sul futuro delle “giornate di campionato” nei vari Stati americani e avranno già smesso di leggere questo articolo forse dopo poche righe, mi rivolgo a chi, come me, ha indirizzato uno sguardo al passato e si è chiesto: chi ha reso possibile tutto questo?

Jeff Koterba Color Cartoon Fo rFeb 26 2012 "Super Pacs"

Mai sentito parlare di “Super PAC”? Il nome può suonare alle orecchie di molti come un diminutivo carino di qualcosa molto complicato da comprendere. L’acronimo PAC sta per “Political Action Committee”, e, come suggerisce l’espressione, un PAC consiste in un’organizzazione che raccoglie donazioni tra i suoi membri in favore di campagne politiche. Di per sé, i PAC suonano come uno strumento semplice da gestire, poiché in origine, per tale finanziamento, era prevista una soglia massima. Nel 2010, per mezzo di due sentenze, questa soglia venne rimossa, e fu allora che i PAC divennero veramente Super. La caratteristica dei Super PAC è, come detto, l’assenza di una soglia di finanziamento, che è quindi potenzialmente illimitato, e può adesso provenire da numerosi canali: privati, aziende, organizzazioni. Il tutto deve avvenire a patto che l’azione del Super PAC si concretizzi senza coordinamento con la campagna del candidato: in pratica, se io sono un candidato, chiunque può finanziare spot pubblicitari e contenuti mediatici che mi riguardano e, soprattutto, indagini sulla vita privata dei miei avversari, a patto che non glielo dica ufficialmente io.

Nell’attuale corsa alla Casa Bianca, risulta che tutti i candidati siano sostenuti dai Super PAC, ad eccezione di Bernie Sanders, le cui forme di finanziamento non sono riconducibili a questa modalità.

È facile immaginare come l’impiego dei Super PAC dia origine a una serie di controversie. Esse possono essere ben riassunte da una dichiarazione del senatore John McCain del 2012: “I guarantee there will be a scandal, there is too much money washing around politics, and it’s making the campaigns irrelevant”. Tradotto, è il rischio che essi siano un canale privilegiato per la corruzione diffusa ai vertici politici. La seconda grande domanda che accompagna il discorso sui Super PAC riguarda il contributo frequente delle organizzazioni non-profit: qual è la fonte di tali risorse, considerato che chi le dona definisce la propria attività non finalizzata allo scopo di lucro?

La cosa più interessante sui PAC, comunque, è che la loro creazione venne prevista dalla riforma statunitense dei finanziamenti elettorali varata nel 2002, che aveva preso piede a partire dal 1974, l’anno in cui lo “scandalo Watergate” aveva riportato al centro del dibattito pubblico il sistema con cui le campagne elettorali venivano finanziate.

Sorge quindi spontanea una domanda: il riferimento di McCain a uno “scandal” e il flusso smisurato di risorse private che converge nelle campagne politiche dall’introduzione dei Super PAC, stanno ponendo le basi per una ricaduta della fiducia degli elettori Statunitensi nei confronti della trasparenza politica?

A voi le opinioni, un po’ come quando si discute se “quel fuorigioco c’era o no”.

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“Hillary complice”: la versione di Trump del sexgate http://www.360giornaleluiss.it/hillary-complice-la-versione-trump-del-sexgate/ Tue, 10 May 2016 06:52:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6594 Hillary “complice” del marito! Alza i toni Donald Trump tornando a rispolverare quello che è passato alla storia con il giornalistico nomignolo di sexgate. L’accusa rivolta all’avversaria democratica nella corsa alla Casa Bianca sarebbe quella di essere stata complice, appunto, delle infedeltà coniugali del marito, Bill Clinton, definito dal magnate di New York come “un

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Hillary “complice” del marito! Alza i toni Donald Trump tornando a rispolverare quello che è passato alla storia con il giornalistico nomignolo di sexgate. L’accusa rivolta all’avversaria democratica nella corsa alla Casa Bianca sarebbe quella di essere stata complice, appunto, delle infedeltà coniugali del marito, Bill Clinton, definito dal magnate di New York come “un uomo che è stato il peggior predatore di donne nella storia della politica”. Niente di nuovo sotto al sole, le scappatelle dell’ex presidente sono ben note al pubblico, ma Trump ha deciso di sfruttare ogni appiglio pur di togliere consenso e voti alla rivale, senza curarsi minimamente del rischio di finire nel politically incorrect. “E Hillary è stata complice e ha trattato quelle donne in maniera spaventosa”. Ha continuato poi affermando che alcune di queste sono rimaste devastate non tanto da lui quanto dal modo in cui le ha trattate lei.

Ma cosa c’è effettivamente dietro gli attacchi, sotto certi aspetti maldestri, rivolti contro la candidata democratica? Sicuramente un tentativo di recuperare consensi e simpatie nel bacino elettorale femminile verso il quale in passato si è lasciato andare a più di un commento non proprio utile a farsi amare dall’elettrice media. Il candidato repubblicano deve essersi reso conto di aver calcato eccessivamente la mano e cerca di recuperare il terreno dopo i numerosi scivoloni avuti durante l’intera campagna elettorale per le primarie tra i quali i più noti sono senz’altro la battuta su un’ex Coniglietta di Playboy durante una puntata di Celebrity Apprentice, la proposta di punire le donne che abortiscono, la descrizione del suo modello ideale di collega femminile, giovane sexy e aperta al business, senza dimenticare i numerosi attacchi alla giornalista Megyn Kelly.

Difficile che un intervento di così basso spessore possa rimetterlo in buona luce agli occhi dell’elettorato femminile ma è un chiaro e deciso segnale di un tentativo di cambio di rotta in vista del confronto finale dopo aver letteralmente travolto gli avversari interni al proprio schieramento.

La corsa alla Casa Bianca inizia a farsi serrata e il testa a testa si profila lungo e pieno di insidie per entrambi i candidati. Hillary non sarà da sola però in questo scontro: al su fianco infatti si schiererà persino Iron Man! Infatti secondo quanto dichiarato dall’attore Robert Downey Jr, il Tony Stark da lui interpretato si schiererebbe senz’altro al fianco dell’ex first lady:”Credo che Tony, essendo un femminista convinto, direbbe che è giunto il momento di avere un po’ di energia femminile alla Casa Bianca. Tony supporta Hillary Clinton”. Trump è avvisato, un supereroe supporta la Clinton.

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Mattia Tarelli, nello staff della Clinton alle presidenziali http://www.360giornaleluiss.it/mattia-tarelli-nello-staff-della-clinton-alle-presidenziali/ Mon, 09 May 2016 10:07:58 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6583 Quando il mio telefono comincia a squillare a Roma sono appena trascorse le sette di sera. Dall’altra parte dello schermo una voce solare e spontanea mi risponde da New York, e a voler essere precisi dalla sede delle Nazioni Unite, dove Mattia (che ha appena cominciato la sua pausa pranzo, sapete, il fuso) lavora da

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Quando il mio telefono comincia a squillare a Roma sono appena trascorse le sette di sera. Dall’altra parte dello schermo una voce solare e spontanea mi risponde da New York, e a voler essere precisi dalla sede delle Nazioni Unite, dove Mattia (che ha appena cominciato la sua pausa pranzo, sapete, il fuso) lavora da alcune settimane presso la delegazione UE. Ma la sua esperienza negli Stati Uniti è cominciata già tempo fa, lo scorso gennaio, quando è entrato a far parte del comitato per l’elezione della candidata democratica Hillary Clinton, prima come Fellow in Iowa e poi direttamente al quartier generale di NYC a Brooklyn Heights.

Sì, perché Mattia Tarelli, classe ’90, laureatosi lo scorso anno all’Università degli Studi di Milano, oggi studente della New York University, ha fatto parte – e da fine agosto, per il rush finale, vi farà ritorno – dello staff elettorale dell’ex-first lady Hillary Clinton, che oggi punta a ridiventare (questa volta però correndo con le proprie gambe) inquilina della Casa Bianca. Un ambiente, quello di “Hillary For America”, nel quale la percentuale di non americani si conta sulle dita di una mano e Mattia è l’unico a essere italiano.

  • Cosa ti ha trascinato in questa esperienza negli Stati Uniti?
    «È nato tutto quando ho deciso di fare l’application per la New York University. All’inizio mi hanno chiamato per un colloquio al telefono al quale non mi hanno preso. Poi, a inizio dicembre, ho notato un post sulla pagina dei Democrats della NYU che parlava di una posizione disponibile come Fellow per l’Iowa in gennaio fino alla caucus night. Sono stato preso e tornato da lì, i primi di febbraio, sono stato scelto dall’ufficio Risorse Umane del Quartier Generale.»
  • Com’è stata la tua avventura come Fellow in Iowa?
    «In Iowa lavoravamo tantissimo, dalle dodici alle quindici ore al giorno, sette giorni su sette! Anche se l’Iowa in realtà conta poco in termini di delegati, puramente matematici, conta però molto in termini morali e a livello emotivo. All’inizio facevamo tantissimo porta a porta con delle liste di persone “targetizzate”. In tanti casi hai dei dati sulla persona con cui stai parlando, sai chi ha o chi non ha votato alle passate elezioni, o se non ha votato affatto.»
  • E com’è stato invece passare al Quartier Generale di Brooklyn Heights, a New York City?
    «Lì ho iniziato ai primi di marzo; il quartier generale è molto affascinante, un ufficio gigantesco con un open-space enorme con centinaia di persone al lavoro, decorato proprio come se fossi in un film! Mentre in Iowa facevo qualsiasi cosa (eravamo solo in sei) al Quartier Generale invece il lavoro è tutto diviso tra i vari uffici. Io ero nel Volunteer Management e mi occupavo del coinvolgimento di nuovi e vecchi volontari, della loro gestione.»
  • Come mai Hillary Clinton? La seguivi già da tempo?
    «Mi piace molto Hillary perché i progetti che ha elaborato – anche nei dibatti contro Bernie – sono molto importanti, molto progressive, riformisti ma allo stesso tempo molto chiari. E soprattutto sono fattibili. Solo per farti un esempio: Sanders vorrebbe rendere gratuiti tutti i college, ma considerando la presenza di un Congresso a maggioranza repubblicana e che un terzo del carico dell’istruzione grava sugli Stati, è quasi impossibile realizzare ciò. Quello che per Hillary possiamo promettere, invece, è non far pagare le famiglie con un reddito più basso, ridurre i costi per le famiglie della middle-class e fare pressione su banche e istituti di credito per far sì che vengano abbassati i tassi di interesse sui prestiti per gli studenti.»
  • Quali messaggi, secondo te, verranno utilizzati da Trump e dalla Clinton a novembre?
    «Lo scontro tra i due sarà durissimo: da un lato Trump parla solo alla pancia delle persone con un populismo spaventoso, utilizzando razzismo e xenofobia. E mentre anche Sanders ha un messaggio molto populista, ma non poi così ben declinato, Hillary è invece la razionalità più pura. Sì, cerca comunque il coinvolgimento emotivo, ma ha dei piani concreti. Parla da sempre con i sindacati, le minoranze nere, i latinos e lavora da anni sull’immigrazione, l’inclusione sociale e l’incremento dei posti di lavoro.»
  • Una buona fetta dell’elettorato statunitense è formata da cittadini americani di origini italiane o comunque da soggetti appartenenti a minoranze. Come vi relazionate con loro?
    «
    So che ci sono dei dipartimenti della campagna che si chiamano latinos outreach che si occupano di raggiungere la minoranza latina elaborando varie strategie. Vengono creati tanti tweet e post sui social network in spagnolo, ad esempio. Proprio due o tre settimane fa mi è successo questo: dei volontari in ufficio stavano chiamando in Connecticut una signora siciliana di settantacinque anni che viveva da quaranta negli Stati Uniti ma non sapeva dire una parola in inglese! Io ho preso la telefonata e mi sono reso conto di come parlare qualcuno del comitato – in quel caso me – che sia in grado di comunicare nella tua stessa lingua sia molto, molto determinante. Dopotutto, nella natura del “candidato Hillary” e quindi della sua campagna non c’è nulla di straordinario in ciò: ha già dedicato davvero tutta la sua vita alle minoranze.»
     
  • Cosa pensi del bipartitismo americano Repubblicani – Democratici? Soprattutto i giovani statunitensi, nostri coetanei, non preferirebbero poter fare delle scelte più varie, che possano scardinare questo sistema?
    «Di questo ne ho parlato molto spesso con i miei amici americani. Va detto che all’interno dei due partiti ci sono tante divisioni: alle elezioni puoi scegliere se votare un democratico centrista o un democratico tradizionale (come Hillary, ad esempio) o ancora un democratico più a sinistra. In sostanza ognuno dei due partiti è suddiviso al suo interno in tre categorie. A molti miei colleghi statunitensi però piacerebbe che ci fossero più partiti; alcuni di loro hanno anche votato in passato dei candidati che han preso neanche l’1%, ma se ne sono chiaramente pentiti. Col maggioritario statunitense è molto improbabile che un partito diverso da quei due possa anche solo pensare di poter vincere; a meno che una figura nota (come Sanders, per esempio), già resasi importante dentro uno dei partiti principali, non decidesse di candidarsi in un terzo.»

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Quattro cose che ci hanno insegnato le primarie del Partito Repubblicano http://www.360giornaleluiss.it/quattro-cose-che-ci-hanno-insegnato-le-primarie-del-partito-repubblicano/ Sun, 08 May 2016 13:57:05 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6573 « Ci sono più probabilità che Trump faccia un altro cameo in “Mamma ho perso l’aereo” o giochi le finali NBA, piuttosto che vincere le primarie del partito Repubblicano » affermava Harry Enten nel giugno dello scorso anno. Enten è un giornalista politico e analista per FiveThirtyEight, il giornale online fondato dallo statistico Nate Silver.

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« Ci sono più probabilità che Trump faccia un altro cameo in “Mamma ho perso l’aereo” o giochi le finali NBA, piuttosto che vincere le primarie del partito Repubblicano » affermava Harry Enten nel giugno dello scorso anno. Enten è un giornalista politico e analista per FiveThirtyEight, il giornale online fondato dallo statistico Nate Silver. Le primarie sono andate molto diversamente da come Enten si aspettava, e per questo motivo ha messo in fila quattro cose che si possono imparare dalla vittoria di Donald Trump alle primarie del Partito Repubblicano.

 

Non si può dire “non è mai successo nella storia” quando c’è “poca” storia.

Nessuno dei due partiti aveva, storicamente, mai nominato uno come Trump: hanno sempre scelto qualcuno che fosse “affidabile”, ma soprattutto “eleggibile”. Trump sembrava (sembra?) non rientrasse in nessuna di queste due categorie.

 

La Commissione McGovern-Fraser era stata creata a seguito delle convulse primarie del Partito democratico del 1968: stabilì delle linee guida per le primarie, rendendole più simili a come si svolgono oggi. Il Partito Repubblicano si adeguò qualche anno dopo e le prime primarie a svolgersi con queste regole furono quelle del 1972. Dal 1972, i partiti non hanno mai scelto un candidato che non fosse né un politico né un veterano di guerra.

 

La nomina di Trump sembra quindi qualcosa di assurdo e inaspettato, perché “non è mai successo nella storia”. Il punto è che le elezioni negli Stati Uniti sono troppe poche per poterle considerare un dataset statisticamente rilevante. Il 22esimo emendamento, introdotto nel 1947, impone un limite di due mandati al Presidente: è successo solo 14 volte che ci fosse un Presidente non ricandidabile, come quest’anno.

 

Bisogna fare attenzione alle sfumature dei sondaggi.

I dati mostravano chiaramente che Trump non aveva il sostegno del Partito Repubblicano. Eppure era avanti nella maggior parte dei sondaggi.

 

I primi sondaggi, anche quelli fatti un mese prima di un’elezione primaria, non sono mai stati particolarmente predittivi: molti elettori non sanno chi votare fino al giorno delle elezioni. In quei casi, inoltre, assume un peso rilevante quanto il nome del candidato è conosciuto, e questo aiutava Trump.

 

Per questi motivi, quei sondaggi non sono stati presi in considerazione. Ma Trump si è sempre mantenuto in vantaggio, addirittura aumentando la propria percentuale all’inizio del 2016, sia a livello nazionale che locale.

 

Enten ritiene che sia stato un errore a quel punto non comprendere quello che stava succedendo e sottovalutarlo.

 

Non è così difficile migliorare gli indici di gradimento.

Trump ha sempre avuto indici di gradimento molto bassi, ma se inizialmente, nel giugno del 2015, un sondaggio della Monmouth University aveva registrato un indice di gradimento netto pari a -35, già un mese dopo era riuscito a raggiungere un punteggio pari a +17. Il suo punto di forza, a differenza degli altri candidati repubblicani, è un nutrito gruppo di sostenitori che lo vedeva e continua a vederlo “molto favorevolmente”. Questo blocco è rimasto costante nel tempo, anche quando il suo indice di gradimento crollava all’inizio del mese di aprile.

 

Non credere che i partiti sappiano cosa stanno facendo.

Trump non ha mai avuto il sostegno del partito Repubblicano, com’è evidente da questa grafica di FiveThirtyEight che riassume gli endorsement ricevuti finora. È il primo candidato dal 1980 a ottenere la nomination pur avendo meno endorsement di altri candidati. E allora perché il partito non è riuscito a fermarlo?
Il problema è stata la mancanza di coordinamento. Anche quando sembrava ci fosse una convergenza su Rubio, molti funzionari del partito sono rimasti ai margini senza avere il coraggio di prendere posizione. La cosa è poi stata ancora più evidente quando sono rimasti in corsa, oltre Trump, solo Ted Cruz e John Kasich.

 

Anche Trump ha dei meriti in tutto questo, sebbene non sia uno stratega e non avesse pianificato tutto. Ma è riuscito a ottenere una grandissima copertura mediatica gratuita (in maniera simile a ciò che Grillo era riuscito a fare alle elezioni politiche italiane del 2013). Ha sfidato l’establishment repubblicano e ha vinto. È presto per sapere se rappresenta un’eccezionalità o il futuro della politica degli Stati Uniti, ma tra non troppo tempo lo scopriremo.

 

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USA360: Game over in casa repubblicana http://www.360giornaleluiss.it/usa360-game-over-in-casa-repubblicana/ Thu, 05 May 2016 13:47:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6536 In una partita combattuta e piena di sorprese come quella delle primarie di quest’anno – soprattutto sul fronte repubblicano – accade che anche un match di secondaria importanza possa rivelarsi determinante per chiudere i giochi. È quel che è successo in Indiana, Stato del profondo Sud poco rilevante per il numero di delegati che assegna.

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In una partita combattuta e piena di sorprese come quella delle primarie di quest’anno – soprattutto sul fronte repubblicano – accade che anche un match di secondaria importanza possa rivelarsi determinante per chiudere i giochi. È quel che è successo in Indiana, Stato del profondo Sud poco rilevante per il numero di delegati che assegna. Ted Cruz, senatore ultraconservatore del Texas, divenuto da qualche tempo l’improbabile candidato dell’establishment dopo l’uscita di scena di Jeb Bush e Marco Rubio, aveva puntato tutto su questo terreno a lui particolarmente congeniale per recuperare lo svantaggio nei confronti di Donald Trump. E invece il magnate newyorkese lo ha battuto sonoramente – 53,2 a 36,7% – spingendolo a ‘sospendere’ la campagna, che in pratica significa ritirare la candidatura.

Quasi per una sorta di effetto domino, John Kasich, il moderato governatore dell’Ohio, a cui erano sempre mancati i numeri ma non la volontà di presidiare lo spazio politico del centro in un’elezione spaventosamente spostata a destra, si è subito ritirato. Con questa nuova vittoria di Trump e l’uscita di scena di Cruz, è infatti definitivamente tramontata l’unica ipotesi che fin qui aveva tenuto in piedi la sua candidatura: la brokered convention, un’assemblea di partito divisa in cui nessuno ottenga la maggioranza assoluta e i delegati siano, dal secondo scrutinio in poi, liberi di votare il candidato che preferiscono, magari il prediletto dell’apparato.

Sarà dunque Donald Trump, il candidato più inviso ai vertici repubblicani, il loro rappresentante ufficiale alle presidenziali di novembre. L’eventualità che l’establishment trovi un modo per rovesciare l’esito delle primarie bloccando una corsa che considera destinata al fallimento – e in effetti tutti i sondaggi dicono che, se si votasse oggi, Trump perderebbe – appare a questo punto quanto mai remota. Tanto più che così facendo il partito si alienerebbe definitivamente la propria base elettorale, dando nuova forza a quelle spinte antisistema che sono alla base dell’ascesa di ‘The Donald’.

Da parte loro i Democratici hanno visto in Indiana una vittoria a sorpresa di Bernie Sanders, il settantacinquenne senatore ‘socialista’ che sta infiammando i cuori di tanti giovani e della componente più liberal dell’elettorato americano. Il Sud era stato infatti fino ad oggi il teatro dei più importanti trionfi di Hillary Clinton, capace di intercettare un elettorato più variegato dal punto di vista etnico di quello prevalentemente bianco che preferisce Sanders. Eppure anche questa vittoria, la diciottesima dall’inizio delle primarie, non cambia la situazione espressa dal numero di delegati, con la Clinton che conserva un vantaggio ormai impossibile da colmare. Tanto più che nello Stato che mette in palio la quantità più consistente di delegati fra quelli che ancora devono votare, la California, l’ex first lady e Segretario di Stato è data nettamente vincitrice.

Allora perché Sanders non si ritira come hanno fatto, sull’altro versante, Cruz e Kasich?
C’è da pensare che la sfida che il senatore del Vermont continua a lanciare alla Clinton non abbia più la Casa Bianca come obiettivo. Che la sinistra del partito intenda capitalizzare il consenso ottenuto, di gran lunga il più significativo in termini di entusiasmo e mobilitazione che un candidato sconfitto alle primarie abbia ottenuto da lungo tempo a questa parte. Lo scopo sarebbe allora quello di spostare il baricentro del Partito Democratico verso posizioni più progressiste, intercettando quel desiderio di cambiamento e anche un po’ di quello spirito anti-establishment che, seppure con una base ideologica opposta, danno ragione del successo di Sanders come di quello di Trump. Al momento non è dato sapere come tutto questo potrà influire sulla campagna per le presidenziali, una volta che il game delle primarie sarà ufficialmente over. Una cosa sola sappiamo: sarà Trump contro Clinton.

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