360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Tue, 12 Feb 2019 13:31:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 I PARTITI ALLE ELEZIONI EUROPEE 2019 http://www.360giornaleluiss.it/partiti-alle-elezioni-europee-2019/ Tue, 12 Feb 2019 13:31:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9607 Le elezioni del maggio 2019 per il rinnovo del Parlamento Europeo saranno, come sempre, il momento per sondare le opinioni dei cittadini in merito alle direzioni politiche europee e nazionali. Tra tutti i partiti, quello che ha più seggi a Bruxelles è il PPE (Partito Popolare Europeo), di centrodestra. Quest’anno, ci si aspetta che ottenga

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Le elezioni del maggio 2019 per il rinnovo del Parlamento Europeo saranno, come sempre, il momento per sondare le opinioni dei cittadini in merito alle direzioni politiche europee e nazionali. Tra tutti i partiti, quello che ha più seggi a Bruxelles è il PPE (Partito Popolare Europeo), di centrodestra. Quest’anno, ci si aspetta che ottenga 178 seggi, una trentina in meno rispetto alla precendente legislatura. Il gruppo spera di ottenere una maggioranza solida senza doversi alleare con gruppi più a destra, come l’ECR.

Il PPE comprende Forza Italia, Alternativa Popolare e il CDU della Merkel. Tra i nuovi arrivati c’è il Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán. La scelta di Orbán di restare nel centrodestra moderato del PPE scoraggia l’ipotesi di un’alleanza Orbán-Salvini. Senza di lui il progetto di Salvini per eliminare “tecnocrati e partiti fatiscienti” a Bruxelles può contare sul partito polacco di Kaczynski, sul Front National di Marine Le Pen e altri membri minori del gruppo ENL. Altra figura chiacchierata del PPE è la Merkel: è tra i possibili candidati alla presidenza della Commissione europea. Dopo la flessione alle regionali in Baviera e in Assia, i sondaggi sono tornati a sorridere alla cancelliera e alla sua politica fortemente europeista e pro-integrazione.

Il secondo gruppo maggioritario è il PSE (Partito Socialista Europeo), ossia l’S&D. Oltre al Partito Democratico e Partito Socialista Italiano, questo include i tedeschi dell’SPD e i Socialisti spagnoli e francesi. Per il PSE le aspettative sono a 132 seggi, in calo di ben 60. Nel gruppo è emersa la necessità di politiche più attente al disagio sociale e più coraggiose, per proporsi come valida alternativa ai populisti. Il favorito del PSE per la presidenza in Commissione Europea è Timmermans, strenuo oppositore di Weber, il candidato favorito del PPE, perché troppo tollerante nei confronti del reazionario Orbán. La nomina del candidato di ogni gruppo, o Spitzenkandidat , dà una prima prospettiva delle future dinamiche nel Parlamento.

L’ECR è l’alleanza dei Conservatori e Riformisti e detiene 52 seggi. In seguito alla Brexit, il gruppo perderà un partito chiave, quello di Theresa May, probabilmente un duro colpo per i risultati elettorali. Sonomembri dell’ECR Direzione Italia di Raffaele Fitto e Fratelli d’Italia.

EFDD sta per Europa della Libertà e Democrazia Diretta. Questo è attualmente il gruppo del Movimento 5 Stelle e dei tedeschi dell’AfD. E’ un gruppo fortemente euroscettico e di destra, che ha tra le priorità la lottaal cosiddetto “centralismo burocratico” nell’UE. Dovrebbe stanziarsi sulla cinquantina di seggi alle elezioni.

L’ALDE è l’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa. Ne fanno parte il movimento spagnolo Ciudadanos, i liberali olandesi e, da febbraio, +Europa. Di impronta liberale ed europeista, il gruppo ha un orientamento centrista e ha una settantina di seggi, in aumento per i sondaggi. L’ascesa però procede a rilento. La nomina del leader del gruppo è stata rimandata a marzo e ha restituito l’immagine di un partito frammentario, confuso. Stessa sorte per l’alleanza con Macron, impegnato a gestire il movimento dei gilet gialli e il calo di popolarità subito in patria. L’accordo potrebbe risollevare il partito del presidente, En marche!, e rafforzerebbe il contrasto tra ALDE e il PPE, sempre più antimacronista con Orbán.

Gli stessi gilet gialli stanno lavorando a una loro lista da presentare alle europee. Il movimento vuole rimanere apolitico e portare una maggiore umanità in politica, contro il cosiddetto “presidente delle élite”.

 

LE INTENZIONI DI VOTO DEGLI ITALIANI ALLE EUROPEE

La rappresentanza nazionale nel Parlamento europeo è data, per l’Italia, da un totale di 73 seggi. Di questi, Poll of Polls prevede che 28 andranno alla Lega, 23 al Movimento 5 Stelle, 15 al Partito Democratico e 7 a Forza Italia. Nelle ultime settimane è la Lega (ENL) a capeggiare in Italia, oscillando sul 30%. Con uno stacco di solo una decina di punti si colloca il Movimento 5 stelle. Seguono il PD al 17%, in forte calo rispetto alle europee di cinque anni fa, e Forza Italia, con un 9% stabile. Gli altri partiti, tra cui Fratelli d’Italia (ECR) con il 3,8%,+Europa con il 3%, MDP e Potere al popolo, se non raggiungeranno la soglia di sbarramento del 4%, non forniranno alcun seggio al proprio gruppo europeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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“Europa Series”: Elezioni Europee http://www.360giornaleluiss.it/elezioni-europee/ Mon, 11 Feb 2019 10:38:06 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9602 No, le prossime elezioni europee non saranno come quelle che le hanno precedute. Non solo perché si prospetta la possibilità concreta del declino delle tradizionali forse europeiste (Popolari e Socialisti), almeno come le abbiamo conosciute finora, accusate di avere perseguito politiche di rigidità economica e di lotta alla inflazione apparse come una presa di posizione,

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No, le prossime elezioni europee non saranno come quelle che le hanno precedute.

Non solo perché si prospetta la possibilità concreta del declino delle tradizionali forse europeiste (Popolari e Socialisti), almeno come le abbiamo conosciute finora, accusate di avere perseguito politiche di rigidità economica e di lotta alla inflazione apparse come una presa di posizione, rispetto alle quali le parole di autocritica dei giorni scorsi del Presidente della Commissione Juncker paiono ancora poca cosa.

E non solo perché nuove forze politiche, anche così dette populiste, si preparano in questi giorni alla discesa in campo con alleanze ancora solo ipotizzabili.

Ma anche e sopratutto perché l’Europa non è mai stata così tanto al centro del dibattito politico nazionale e comunitario. Tutti ne parlano. Per disprezzarla e cercare di farne a meno, ma anche per reiventarla e renderla più forte. Molti, infatti, ne mettono in dubbio l’utilità, molti altri ne rilevano la necessità in un mondo sempre più globale e la capacità di essere, in certi casi, una garanzia di uguaglianza tra gli Stati che la costituiscono, o un freno al libero mercato per la tutela dei consumatori quando rischia di diventare monopolio, come è stato nel caso della fusione tra la tedesca Alstom e la francese Siemens, bloccata dalla Commissione proprio nei giorni scorsi.

Altri ancora evidenziano la necessità di riforme nel senso di una maggiore democraticità del funzionamento delle sue istituzioni – con il potenziamento del Parlamento, l’Organi eletto direttamente dai cittadini – , di maggiore flessibilità di spesa pubblica, anche per il finanziamento di politiche sociali comunitarie, di potenziamento ed efficientamento delle politica estera, con l’eliminazione del principio di unanimità delle decisioni del Consiglio e l’istituzione di una difesa comune europea, e di maggiore regolamentazione dei mercati finanziari, tema quest’ultimo rispetto al quale, ad onor del vero, l’Europa è già piuttosto avanti rispetto al resto del mondo.

Ma si può, si deve fare di più. Anche riguardo ad un sistema fiscale comune che preveda tasse giuste, per tutti e ovunque, contro il mondo diseguale ed ai temi legati alla tutela dell’ambiente ed allo sviluppo sostenibile, sui quali l’Europa potrebbe – il condizionale è d’obbligo – ricostruire la propria identità di forza sociale e culturale, che ne aveva ispirata la fondazione e che, se mai c’è stata, oggi sembra perduta: per la prima volta dal 1972, infatti, a Katowice, la delegazione europea si è mostrata piuttosto timida sui temi legati alla tutela dell’ambiente ed alla riconversione energetica.

Le prossime elezioni europee, quindi, avranno al centro, di fatto, il futuro dell’Europa.

Da giovedì 23 Maggio a Domenica 26 Maggio 2019 si terranno, nei 27 Stati Membri dell’Unione Europea (per la prima volta non parteciperà il Regno Unito), quelle che potrebbero rivelarsi le più decisive elezioni europee dal 1979 ad oggi.

A sfidarsi saranno, quasi sicuramente, due visioni diverse e contrapposte della cooperazione internazionale, della democrazia e della cultura dell’Uomo. Non si deciderà solo il destino dell’Italia, ma quello dell’Europa, del mondo e delle generazioni future. Un motivo in più per andare a votare.

Gli italiani, quindi, per parte loro, saranno chiamati ad eleggere settantatré eurodeputati, contribuendo a ridefinire l’assetto del nuovo Parlamento – il decimo – e dei vari gruppi politici, attuali – quello socialista, quello Cristiano Democratico, quello conservatore, quello democratico – e ipotetici – dicevamo della possibilità di un fronte “populista”-. Il funzionamento delle elezioni, in Italia, è regolato, in conformità ai principi sanciti dall’ordinamento comunitario, dalla legge del 30 Gennaio 1979, improntata a due sistema proporzionale puro, con una soglia di sbarramento al 4% introdotta dalla legge n.10 1994. Ogni elettore può indicare fino a tre candidati, nell’ambito della lista circoscrizionale votata. Non sarà valido, quindi, il voto disgiunto, e l’elettore non potrà esprimere la preferenza per un candidato di un partito diverso da quello scelto.

Chi può votare?

Tutti i cittadini con una tessera elettorale valida, quindi tutti i cittadini che hanno compiuto diciotto anni e sui quali non sono in corso particolari limitazioni decise dall’Autorità giudiziaria.

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“Europa Series”: DIVORZIO ALL’INGLESE http://www.360giornaleluiss.it/divorzio-all-inglese/ Sun, 10 Feb 2019 09:25:18 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9598 E alla fine fu la Brexit. L’epilogo di un rapporto, quello tra Regno Unito ed Europa continentale, che non è mai stato facile o lineare, un matrimonio non all’inglese, ma all’italiana, degno del miglior neorealismo desichiano. Il fatto che l’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna sia una sconfitta già adesso, e per tutti gli attori

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E alla fine fu la Brexit. L’epilogo di un rapporto, quello tra Regno Unito ed Europa continentale, che non è mai stato facile o lineare, un matrimonio non all’inglese, ma all’italiana, degno del miglior neorealismo desichiano.

Il fatto che l’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna sia una sconfitta già adesso, e per tutti gli attori in campo – ed in un mondo sempre più diviso in blocchi ( Cina, Sud-Est asiatico, Stati Uniti, America Latina e, appunto, Europa), quasi una contraddizione in termini -, non vuol dire che a pagarne le spese non sarà sopratutto la terra di Albione. D’altronde, nonostante l’uscita dall’Europa avverrà ufficialmente ‘solo’ il 29 Marzo, gli operatori finanziari hanno già iniziato a trasferire i loro capitali, ad oggi circa 800 miliardi di sterline, lontano da Londra.

E non vuol dire nemmeno che le conseguenze saranno le stesse comunque vadano le cose. Gli scenari, al contrario, saranno molto diversi a seconda che l’uscita avvenga in maniera ordinata oppure no. Deal o no deal, cambierà molto.

Il Paese che decide di recedere, infatti, deve notificare tale intenzione al Condiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità di recesso di tale paese. I Trattati, appunto, cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo o, anche in mancanza di un accordo, due anni dopo la notifica del recesso stesso. Tanto prevede l’articolo 50 del trattato Trattato sull’Unione europea in caso di recesso unilaterale e volontario di un- ex- Stato Membro, come è certamente avvenuto nel caso della Brexit.

Il rischio maggiore, quindi, sarebbe quello di un no deal, il mancato accordo che porterebbe ad una Brexit senza intese commerciali tra Regno Unito ed Unione Europea. Ipotesi tornata prepotentemente sulla scena da quando, nel Gennaio scorso, il parlamento di Westminster ha bocciato, con 325 voti contrati e 306 a favore, la proposta di accordo con il Consiglio d’Europa sulla Brexit, presentata dal Primo Ministro Teresa May. Un divorzio disordinato che metterebbe addirittura in discussione la stabilità stessa della moneta inglese ed imporrebbe alle imprese, oltre che costi maggiori, anche, persino nuovi vincoli doganali rispetto a quelli già previsti nell’ipotesi di accordo.

Conseguenze non tali, forse, da augurare un ‘posto speciale all’inferno per i promotori di Brexit’ come ha fatto, facendo infuriare Londra, il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, ma comunque molto gravi.

Detto questo, rimane da chiedersi quali siano gli scenari possibili oltre a quello, piuttosto sconveniente, di un no deal.
L’ipotesi di un referendum-bis, caldeggiata da Tony Blair e Jeremy Corbyn, leader dei laburisti, – sembrerebbe più che altro per fini propagandistici – sembra alquanto fantasiosa. Prevederebbe un ritorno alle consultazione popolare dopo quella del 23 Giugno 2016, conclusasi con un voto favorevole all’uscita dall’UE con il 51,89% dei voti. Se questa volta dovesse vincere il remain, quando si giocherebbe la ‘bella’, il referendum-ter destinato a mettere fine ad ogni polemica? Siamo seri, un referendum è stato già abbastanza, forse troppo. Ma il popolo sovrano della Gran Bretagna si è gia espresso. Il problema, semmai, rimane ancora, sempre quello di evitare un’uscita non regolamentata.

In questo senso, ciò che sembra maggiormente auspicabile è che la Gran Bretagna decida di restare nell’Unione doganale. In questo modo perderebbe il controllo sulla politica dell’immigrazione – uno degli obiettivi fissati dopo il referendum -, ma Teresa May incasserebbe quasi sicuramente l’appoggio dei laburisti – che farebbero fatica a spiegare un eventuale no al proprio elettorato ed ai cittadini tutti -, e, di conseguenza, quasi sicuramente, anche la maggioranza dei voti alla Camera dei Comuni.

La Commissione europea, d’altronde, l’ha fatto capire, anzi l’ha detto chiaramente: sarebbe disponibile a negoziare un secondo accordo solo nel caso in cui la Gran Bretagna decidesse di restare nel mercato interno oppure, appunto, nell’Unione doganale. Solo in questo caso il Consiglio europeo, dal canto suo, sarebbe disposto a decidere di prolungare il termine per l’operatività della clausola di recesso, ex art 50 TUE.

Per un ordinato, ragionevole ed educato divorzio all’inglese.

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“Viaggio di scoperta” http://www.360giornaleluiss.it/viaggio-di-scoperta/ Sat, 09 Feb 2019 13:20:12 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9594 Un tempo, nei primi anni Sessanta, un noto pianista ed il suo autista personale attraversarono gli Stati Uniti del sud per un tour. Fin qui niente di strano, se non fosse che il talentuoso musicista era afroamericano, mentre, il suo chauffeur, caucasico. E quindi, nonostante le sue enormi capacità, il colto e raffinato Don Shirley

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Un tempo, nei primi anni Sessanta, un noto pianista ed il suo autista personale attraversarono gli Stati Uniti del sud per un tour. Fin qui niente di strano, se non fosse che il talentuoso musicista era afroamericano, mentre, il suo chauffeur, caucasico. E quindi, nonostante le sue enormi capacità, il colto e raffinato Don Shirley era costretto a confrontarsi con una mentalità retrograda e razzista, affiancato da Tony, un italoamericano rozzo e poco elegante, ma al tempo stesso leale e dotato di grande sensibilità. Un tempo, i due protagonisti della storia, comicamente diversi e diversamente comici, riuscirono ad abbattere le barriere del pregiudizio e lo fecero con una forza superiore, quella dell’amicizia. Un tempo, ma anche oggi, la vicenda raccontata in “Green Book” ci ricorda (o forse ci insegna?) che la diversità non deve essere considerata un difetto. Può anzi essere un motivo ulteriore per scoprire nuovi punti di vista, un’occasione d’incontro fra mentalità divergenti, ma non per questo inconciliabili. Perché “diverso”, non significa necessariamente peggiore. Solo che in quel tempo, ma non solo in quel tempo, non tutti erano in grado di comprenderlo.
La forza del film risiede nelle ottime prove di recitazione e nella brillante sceneggiatura (candidata e favorita all’Oscar), che offrono uno spaccato della società del tempo, facendo divertire (soprattutto), ma offrendo anche vari spunti di riflessione. Ma a questo punto, tralasciando il contenuto della pellicola, vorrei focalizzare l’attenzione su un tema centrale in questa, come in altre opere. Il viaggio. Viaggiare, si viaggiare, cantava Battisti. Il viaggio non inteso come meta, ma come percorso. Nel cinema, come nella vita, il viaggio rappresenta un cambiamento, una rivelazione. Chiunque intraprenda una nuova strada è inevitabilmente spinto da uno spirito di “curiositas”, da una smania di conoscenza, dal piacere della scoperta. Quella forza incontrastabile che spinse Ulisse oltre le colonne d’Ercole. E quindi viaggiare significa davvero cambiare, arricchirsi con nuove esperienze, vivere nuove vite. Possibilmente con la giusta compagnia. Fino a quando non è più possibile comprendere se sono realmente i posti ad essere diversi o se è il nostro modo di guardare le cose, ad essere cambiato. Perché, citando Proust, “il vero viaggio di scoperta non è vedere posti nuovi. Ma avere occhi nuovi”.

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Il Giappone tra storia e attualità geopolitica http://www.360giornaleluiss.it/giappone-storia-attualita-geopolitica/ Fri, 08 Feb 2019 11:24:04 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9577 La storiografia dell’arcipelago nipponico è, forse, la più breve tra quelle dei popoli che hanno sperimentato lo sviluppo di proprie civiltà. Le prime forme di insediamenti urbani organizzati in Giappone risalgono, infatti, solo al VII sec. d.C., all’epoca Nara. In quegli anni la Cina, governata dalla dinastia Tang, aveva già costituito da tempo una formidabile

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La storiografia dell’arcipelago nipponico è, forse, la più breve tra quelle dei popoli che hanno sperimentato lo sviluppo di proprie civiltà. Le prime forme di insediamenti urbani organizzati in Giappone risalgono, infatti, solo al VII sec. d.C., all’epoca Nara. In quegli anni la Cina, governata dalla dinastia Tang, aveva già costituito da tempo una formidabile struttura burocratica, perennemente atta a formare l’unità geopolitica del continente. L’immagine più tradizionale del Giappone, a partire dagli abiti tradizionali e dalla cerimonia del tè, furono tutti “importati” dalla Cina (tramite la Corea, allora divisa non in due ma in tre stati), così come lo strumento più essenziale per sviluppare una società organizzata: la scrittura. In questa stessa epoca vengono redatti il Kojiki e il Nihongi, i due testi giapponesi più antichi di cui abbiamo conoscenza. Essi sono scritti attraverso un complesso sistema di caratteri cinesi usati in modo semantico intrecciati con ideogrammi fonetici. L’intento dell’autore o degli autori, però, risulta ben chiaro: mettere per iscritto la lingua indigena, conservandone il patrimonio di varietà espressive, costrutti poetici, frasi idiomatiche, formule magiche, locuzioni rituali e proverbi. I giapponesi d’allora utilizzarono gli “strumenti” culturali arrivati dal continente per organizzare la propria società, costruire le prime città, cimentarsi con la scrittura. Ma le trasformazioni che vissero non inficiarono la loro lingua orale e la sua grammatica. Protetti sulle loro isole, i giapponesi riuscirono a diversificarsi notevolmente dalla Cina, che allora si percepiva come il mondo intero (tianxia), pur adottandone i suoi usi e costumi. Gli stessi Samurai nascono in quest’epoca come conseguenza delle riforme istituzionali dell’imperatore Tenji, che riorganizzò la società in dodici classi, le cui ultime sei erano quelle dei “servitori”, i Samurai. Il Giappone mutò pelle ma conservò l’anima. Originariamente erano contadini coscritti, schierati soprattutto lungo la costa che si affaccia sullo stretto di Tsushima, che separa Corea e Cina. Il loro compito iniziale era quello di prepararsi per la temuta invasione cinese, considerata a quel tempo una minaccia imminente (che si concretizzò solo sei secoli dopo), ma la loro finalità non manifesta era di affermare la loro diversità e autonomia verso il continente.

Nella fase storica successiva, quando la capitale imperiale venne spostata da Heijō-kyō (l’attuale Nara) a Heian-Kyō (l’attuale Kōyto), nel 794, per affermare la centralità del potere imperiale, si assistette all’ascesa al potere dell’élite militare. Raccontato nell’opera Heike Monogatari (平家物語), quando il clan guerriero dei Taira aveva già spodestato le famiglie nobili dei Fujiwara, si assistette alla fusione delle funzioni burocratiche con quelle militari in un’unica figura, quella del guerriero (bushi). Da allora fino alla fine del periodo Edo (1615-1868) l’arcipelago sarà governato da riottosi clan rivali che si batteranno per mantenere il controllo dei propri feudi contro chiunque avesse la pretesa di unificare il paese. Anche quando, nel 1615, il daimyō (signore feudale) Tokugawa Ieyasu, ricordato con il nome postumo di Tōshō Daigongen (東照大権現), seppe imporsi sulle altre casate e ad iniziare lo shogunato Tokugawa (periodo Edo) non riuscì a soggiogare tutti i clan rivali. Ciò che creò fu un complesso sistema basato su una società a matriosca, dove i vari daimyō erano sia signori dei loro servi (watakushi) sia sottoposti di una casata più grande (ōyake), quella degli Shōgun Tokugawa. Le gerarchie erano, inoltre, rese ancora più complesse dalla presenza a Kyōto della corte imperiale, formalmente all’apice nel sistema a caste confuciano ma nella realtà piegata all’autorità dell’élite militare. Gli Shōgun Tokugawa governavano le loro terre dalla loro città-castello di Edo (l’attuale Tōtyo) dove ogni signore feudale doveva mantenere una dimora nella quale recarsi almeno una volta all’anno, in base ad un sistema chiamato sankin-kōtai. Inoltre, a partire dal 1630, lo Shōgun Tokugawa Iemitsu emanò una serie di editti che vietarono il commercio, il viaggio all’estero e il professare la fede cristiana, considerata minaccia identitaria. Furono mantenuti solo limitati commerci con l’Olanda (cui gli fu concesso l’attracco di una sola nave l’anno nel porto di Nagasaki) e con la Corea. L’arcipelago si chiuse in se stesso per necessità, per preservare il suo precario assetto istituzionale. Per due secoli non si fecero più guerre e la società pareva aver acquisito una certa stabilità.

Finché, l’8 Luglio 1853, il commodoro statunitense Methiw Perry si presentò nella baia di Edo e, dopo aver sparato una bordata a salve con i 73 cannoni della sua ammiraglia, la fregata a vapore Mississippi, fece recapitare una lettera allo Shōgun, chiedendogli l’apertura del Giappone al commercio internazionale.

Il Giappone venne improvvisamente a contatto con un mondo che allora gli era quasi completamente sconosciuto.

L’anno dopo, il 31 Marzo del 1854, venne firmato, dopo un mese di trattative, la Convenzione di Kanagawa, con la quale si sancì l’apertura alle navi americane di due porti: Shimoda (vicino a Tōkyo) e Hakodate, nell’Hokkaido. Vennero poi firmati numerosi altri trattati con quasi tutte le potenze occidentali: nel 1856 il Trattato di Amicizia e di Commercio con gli Stati Uniti garantì a quest’ultimi una posizione di vantaggio e si aprirono altri porti (Edo, Kobe, Nagasaki, Niigata, Yokohama), nell’arco del 1858 vennero firmati accordi con Olandesi, Russi, Inglesi e Francesi.

Le varie intese si dimostrarono ben presto dei “trattati ineguali” nello stile di quelli stipulati con la Cina. Nell’arcipelago si sviluppò un movimento antioccidentale denominato sonnō jōi, il quale ottenne il sostegno dell’imperatore Kōmei. Nel 14 Settembre 1862 avvenne l’incidente di Namamugi, piccolo villaggio vicino a Yokohama, dove il mercante inglese Charles Lennox Richardson non volle scendere da cavallo per prostrarsi, come di consuetudine, al passaggio del daimyō del dominio di Satsuma, Shimazu Hisamitsu, ma cavalcò nel mezzo del corteo feudale. Dopo numerosi richiami venne buttato giù da cavallo e ferito a morte. Le conseguenze dell’incidente ricaddero sul governo dello shōgun, che fu costretto a pagare un’ingente indennità, ma gli inglesi non si limitarono a ciò e nel 1864 bombardarono Kagoshima (nel dominio di Satsuma) e Shimonoseki (dominio di Chōsu), anche in conseguenza all’emanazione dell’editto di “espellere i barbari (攘夷勅命jōi chokumei)” emanato dall’imperatore Kōmei. Nel 1866 morì il quattordicesimo shōgun Tokugawa Iemochi e gli succedette colui che diverrà l’ultimo shōgun, Tokugawa Yoshinobu. L’imperatore Kōmei morì anch’esso qualche mese dopo, nel 1867, passando la sua carica al 122esimo imperatore Meiji (明治天皇 Meiji-tennō). In quello stesso anno i feudi rivali (tōzama daimyō) al governo Tokugawa si rafforzarono e, dopo essersi coalizzati, marciarono con i loro eserciti equipaggiati con armamenti moderni verso Kōyto. Nella battaglia di Toba-Fushimi, sebbene le forze fedeli allo shōgun fossero tre volte superiori ai loro nemici, durante i combattimenti vi furono numerose defezioni, soprattutto quando le forze ribelli issarono gli stendardi imperiali, segno che la corte imperiale aveva definitivamente delegittimato i Tokugawa. Nel maggio del 1868 le forze imperiali entrarono a Edo e Yoshinobu si arrese. Nonostante ciò la guerra continuò, dato che i feudi nel nord del paese più fedeli allo Shōgun non vollero riconoscere il nuovo governo imperiale. Con le loro forze e la loro marina si ritirano nell’isola settentrionale dell’Hokkaido e fondarono, nel gennaio del 1869, la Repubblica di Ezo che però durò meno di un anno dato che nel giugno dello stesso anno venne conquistata dalla neonata marina imperiale giapponese, che sconfisse le forze di Ezo nella battaglia di Hakodate. In Giappone si compì per la prima volta una vera unità politica. Tramite le direttive della nuova classe dirigente iniziò un periodo di radicali riforme, passate alla storia come Restaurazione Meiji. Gli oltre 280 feudi giapponesi furono aboliti e il territorio fu riorganizzato attraverso il nuovo sistema di autonomie locali todōfuken (1 area metropolitana to, 1 regione , 2 province urbane fu, 43 prefetture ken), al giorno d’oggi rimasto pressoché invariato. Tra il 1870-80 fu liquidato il vecchio sistema di caste confuciane, compresi i Samurai, fu organizzato un moderno esercito basato sulla leva obbligatoria, furono sostituiti i tributi feudali con un sistema di tassazione nazionale, si costituì l’apparato educativo e si iniziò l’industrializzazione del paese grazie all’aiuto di numerosi tecnici occidentali. Come avvenuto nell’epoca Nara, l’arcipelago mutò per necessità la sua forma, ma non la sua identità. Sia nel VII che nel XIX secolo i giapponesi si adattarono ad un nuovo contesto, sfruttandone le nuove opportunità e i rischi che offriva. L’arcipelago riuscì a mantenersi se stesso durante il turbinio di riforme. Rappresentativo di questa volontà è senz’altro il famoso libro di Inazo Nitobe, Bushidō: L’anima del Giappone, scritto nel 1900. In questo libro vengono enumerate le otto caratteristiche (Rettitudine e Giustizia – Coraggio, lo Spirito dell’Audacia e del Portamento – Benevolenza, la Sensazione di angoscia – Gentilezza –Veridicità – Onore – il Dovere di Lealtà – l’Autocontrollo) che costituiscono il codice morale contenuto nel Bushidō. Nessuna di queste caratteristiche, come notato da Takeo Harada, ex diplomatico giapponese, è assimilabile a principi assertivi, frutto di ragionamenti logici, ma tutte appartengono alla sfera emotiva e ai sentimenti personali, non sono enunciati oggettivi ma puramente soggettivi. Ciò delinea il carattere passivo della cultura nipponica, che assorbe concetti e strumenti esterni e li traduce e utilizza sulla base dei propri principi emotivi. Si può citare, ad esempio, il Dovere di Lealtà:

“L’individualismo occidentale, che riconosce interessi separati per il padre e il figlio, per la moglie e il marito, porta necessariamente in forte rilievo i doveri dell’uno all’altro, ma il Bushidōsostiene che l’interesse della famiglia e dei suoi membri sia intatto – uno e inseparabile. Questo interesse è legato dall’affetto – naturale, istintivo, irresistibile… Come un potere inconscio e irresistibile, il Bushidōha guidato la nazione e gli individui. Fu un’onesta confessione della razza quando Yoshida Shoin, uno dei più brillanti pionieri del Giappone Moderno”, scrisse alla vigilia della sua esecuzione i seguenti versi:

 Sapevo benissimo che questa via sarebbe finita nella morte;                                                           Fu lo spirito Yamato che mi esortò                                                                                                           Di osare il contrario

Informulabile, Bushidōfu e rimane lo spirito stimolante, la forza che mette in moto il nostro paese.”

Il carattere emotivo che viene sottolineato da Harada si accompagna anche ad un’altra caratteristica tipicamente nipponica e che, come tale, subì anch’essa trasformazioni. Si tratta dello shintoismo che va opportunamente distinto nello “Shintō Antico” o Ko-Shintō (古神道) e nel “Nuovo Shintō” o Shintō di stato (国家神道Kokka Shintō).  Quest’ultimo fu creato artificialmente durante le riforme Meiji per dotarsi di una religione di stato come l’anglicanesimo in Gran Bretagna, per legittimare il nuovo assetto istituzionale sorto dopo la caduta dello Shōgun. Tuttavia, lo Shintō di stato non si configurò come una religione di stampo occidentale, come riassume Ruth Benedict nella sua opera intitolata “The Chrysanthemum and the Sword. Patterns of Japanese Culture”, commissionata dal Governo degli Stati Uniti all’alba dell’occupazione durante la Seconda Guerra Mondiale:

“A causa della posizione ufficiale del Giappone su questo tema, non possiamo parlare di Shintō di Stato come una chiesa affermata, ma più come un Establishment. Furono eretti più di 110.000 santuari che spaziavano da quello più grande, dedicato alla grande Ise, dea del sole, ai più piccoli santuari che i sacerdoti curavano in occasione di speciali cerimonie. La gerarchia nazionale dei sacerdoti era parallela a quella politica e i gradi di autorità andavano dal prete di livello più basso, attraverso i loro colleghi di distretto e di prefettura, fino alle Eccellenze superiori. Essi praticavano le cerimonie per le persone piuttosto che dirigere il culto e non vi fu niente nello Shintō di stato che somigliasse al nostro andare in chiesa. Ai preti dello Shintō di Stato – che non fu una vera e propria religione –era vietato per legge di insegnare qualsiasi tipo di dogma…”

La figura imperiale era considerata inviolabile e rappresentava la collettività della popolazione che si esprimeva attorno a questi santuari. Ben più antiche sono, invece, le pratiche del Ko-Shintō. Si può definire lo shintoismo antico come l’esercizio del vivere in salute. Gli antichi santuari erano posizionati in luoghi non casuali, vicino ad acque termali o in località di mare, conosciute per i loro effetti positivi sulla salute. Al Ko-Shintōsono ascrivibili molte pratiche mediche, focalizzate soprattutto nel garantire l’equilibrio dei neuroni involontari (autonomic neurons) attraverso la prescrizione di specifiche diete e stili di vita. Il vero shintoismo non era un’ideologia o un insieme di superstizioni, ma l’uso pratico, tramandato oralmente, dei mezzi e conoscenza premoderna per mantenere una buona salute. La società era regolata da coloro che performavano e tramandavano queste pratiche, conosciuti come Onmyou-ji (陰陽師). La classe di governo imperiale giapponese fu all’origine strettamente connessa a queste attività ed era principalmente composta da Onmyou-ji. Forse è proprio questa tradizione di assidua ricerca scientifica, praticata allora non solo in campo medico, ad aver contribuito allo sviluppo tecnologico giapponese nell’età moderna, dopo essere entrato in contatto con le dottrine occidentali.

Passiamo adesso al Giappone contemporaneo, figlio di quello moderno, analizzandone le sue connotazioni geopolitiche. Dall’epoca Meiji l’arcipelago ha vissuto forti mutamenti demografici. Durante il periodo Edo la popolazione non superò mai i 34 milioni. Questo era il numero massimo di abitanti che si poteva raggiungere in un periodo di completa autarchia. Negli anni successivi, dopo essere stato messo a contatto con il resto del mondo, fu sperimentata una crescita demografica vertiginosa. All’inizio del secolo scorso, nel 1900, la popolazione ammontava a 43,847 milioni di abitanti, nel 1950 raggiunse gli 84,115 milioni e nel 1999 i 126,667 milioni. Una tale massa demografica (comunque piccola nel contesto asiatico) non poteva più essere autosufficiente dato che veniva a dipendere dallo sviluppo tecnologico e industriale del paese. La dimensione marittima dell’arcipelago assunse, così, importanza vitale, dato che il Giappone è essenzialmente sprovvisto delle fondamentali risorse naturali necessarie a nutrire una moderna economia. L’impero si scoprì marittimo e divenne in tempi record una potente talassocrazia. Nella prima guerra sino-giapponese del 1894-95 il Giappone sconfisse ciò che rimaneva della Cina Qing e si garantì il controllo di Corea e Formosa. La prima era fondamentale per proteggersi da qualsiasi invasione (all’epoca la penisola coreana era rappresentata come un pugnale teso verso l’arcipelago) e come vettore offensivo verso il continente, mentre la seconda, l’isola di Taiwan, è situata in una posizione nevralgica (assieme alle Filippine) per poter controllare le rotte marittime provenienti da meridione, arteria principale che irrora di risorse naturali il Giappone. Poi, nel 1905, fu battuto un altro impero in decadenza, quello russo, garantendo ai giapponesi il protettorato sulla Manciuria, territorio che si frappone tra russi e cinesi. L’impero nipponico si avviò verso la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale quando, nel 1937 decise di fare della Cina una sua colonia, cosa che rese l’esercito importante quanto la marina fino a dettare la strategia da seguire. L’invasione della Cina si limitò ben presto al solo controllo delle grandi città costiere, lasciando le campagne all’azione partigiana, che riuscì efficacemente a organizzarsi grazie alla direzione strategica di Mao. Nonostante ciò la marina imperiale raggiunse notevoli dimensioni e nei giorni prima di Pearl Harbour contava 11 corazzate, tra cui svettava la Yamato da 73.000t, 6 portaerei di squadra, 9 portaerei leggere, 18 incrociatori pesanti, 26 incrociatori leggeri, più di 150 cacciatorpediniere, circa 80 sottomarini ed altre numerose unità minori. Nonostante l’imponente flotta a disposizione, i giapponesi sapevano che contro gli USA avrebbero potuto vincere solo se la guerra fosse durata poco, attraverso un’unica battaglia risolutiva che avrebbe dovuto scardinare la US Pacific Fleet. Ma a Midway i giapponesi subirono una cocente sconfitta, perdendo quattro portaerei di squadra e i loro piloti migliori, che allora costituivano in Giappone un corpo d’élite. Durante la guerra il Giappone si giocò la sovranità e l’occupazione americana guidata dal generale Mc Arthur durò fino al 1972. In questi anni gli statunitensi ne dettarono la nuova costituzione e disseminarono nell’arcipelago una moltitudine di basi militari, tra le quali svetta la United States Fleet Activities Yokosuka (横須賀海軍施設 Yokosuka kaigunshisetsu), un’enorme base navale posta nella baia di Tōkyo e sede della settima flotta, che oggi costituisce il più formidabile sistema aereonavale di sicurezza. In questi anni venne ricostituito il tessuto produttivo e industriale nazionale, assumendo la guida dello sviluppo tecnologico e scientifico a livello mondiale. La burocrazia divenne la vera detentrice del potere in Giappone e il Ministero del commercio internazionale e dell’industria (通商産業省 Tsūshō-sangyō-shō, MITI), allora denominato METI (Ministero dell’economia, del commercio e dell’industria) si percepisce tutt’ora come il fautore di tale progresso. La forte crescita portò il Giappone ad essere la seconda economia del mondo, posizione persa inevitabilmente nel 2010 quando il PIL cinese superò quello giapponese, facendo passare quest’ultimo in terza posizione. Oggi l’ex-impero si trova nel mezzo dello scontro geopolitico tra un’egemone che si sta guardando la pancia, gli Stati Uniti, e una nazione che tenta di non disgregarsi, divenendo per questo sempre più aggressiva e autoritaria, la Cina. Cogliendo, come fatto in passato, la nuova fase geopolitica, i dirigenti giapponesi non vogliono finire schiacciati tra questi due giganti e hanno già da tempo mutato la loro azione diplomatica, prima limitata solo al campo economico, oggi atta a perseguire l’obiettivo strategico. Quest’ultimo resta, come nel 1870, il garantire la percorribilità delle vitali rotte marittime, che il Giappone percepisce minacciate dall’assertività cinese. Punto cardine su cui si è incentrata la politica del Presidente Xi Jinping è stata la volontà di ricostituire l’unità nazionale, ovvero il ricongiungersi con la “provincia ribelle” di Taiwan non oltre il 2049, anno cui si festeggerà il centenario della Repubblica Popolare. Oggi Formosa è una delle poche ex-colonie giapponesi ad avere ottimi rapporti con l’arcipelago. Il Giappone è il 4° partner commerciale dell’isola e 4° paese fonte di Investimenti Esteri Diretti (IED) che nel 2016 costituivano il 14,2% del pil di Taipei. Inoltre, migliaia di studenti taiwanesi studiano ogni anno in Giappone, cosa che gli permette di esercitare molta influenza sulla classe dirigente locale. La vicinanza dei due paesi è stata particolarmente significativa durante il grande terremoto di Sendai e del Tōhoku nel 2011 (magnitudo 9.0), allora Taiwan fu il primo paese ad inviare squadre di soccorso e aiuti. Tuttavia, la partita contro la Cina è centrata soprattutto nel sud-est asiatico e nell’Oceano Indiano, regioni in primo piano nella Free and Open Indo-Pacific Strategy promossa da Tōkyo. Estrema rilevanza assumono, nell’ambito del piano strategico, i numerosi progetti infrastrutturali promossi dall’arcipelago che vogliono costituirsi come alternativa a quelli sponsorizzati dalla Cina sotto il marchio delle nuove vie della seta (one belt, one road initiative, BRI). Pechino è diventata primo partner commerciale dei paesi in queste regioni (anche del Giappone), ma la sua presenza è vissuta sempre più con irrequietezza. L’occupazione da parte dell’Esercito di Liberazione Popolare (PLA) del gruppo di atolli delle Spartly e Paracelso, entrambi nel Mar Cinese Meridionale, hanno allarmato le altre nazioni rivierasche che hanno a loro volta cominciato a rivendicare e ad occupare militarmente numerosi altri atolli. Il Vietnam ne è il paese più minacciato e per tale motivo sta rinnovando la sua marina, avendo già acquistato quattro fregate classe Gepard-3.9, otto corvette classe Tarantul e sei sottomarini classe Kilo dalla Russia.

Tōkyo sta aiutando Hanoi nel riformare a sviluppare la sua economia per renderlo meno dipendente dalla Cina. L’arcipelago è il secondo paese, dopo la Corea del Sud, per volume di IED devoluti al Vietnam, che rappresentano il 28% del suo pil e rendono possibile il 70% del suo export. Il Giappone ha costantemente fornito aiuti ad Hanoi attraverso la Japan International Cooperation Agency (JICA) per un valore superiore al miliardo di dollari ogni anno dal 2012, superando la soglia dei $600 milioni spesi fino allora. La JICA, inoltre, ha inviato 100 esperti nel paese. Il progetto più cospicuo ($ 247 milioni), annunciato nel 2017, è la costruzione di una rete di servizi pubblici igienico-sanitari nella città di Bien Hoa, dato che nel paese le malattie epidemiche sono molto diffuse, a fronte di un servizio ospedaliero carente. Molti progetti JICA in Vietnam come questo si concentrano su infrastrutture leggere ad alto impatto sociale, volte alla gestione ambientale e allo sviluppo del settore privato. Le aziende giapponesi hanno un solido appoggio nel loro governo ad investire nel paese e sono attualmente occupate a sviluppare infrastrutture urbane, come il già completato ponte Nhat Tan sul fiume Hong, ad Hanoi, oltre ad essere in prima fila nell’aggiudicarsi la costruzione delle reti di mobilità ad alta velocità vietnamite.

Il Myanmar è un altro paese chiave nella competizione geopolitica tra Tōkyo e Pechino. Quest’ultimo è riuscito ad ottenere l’aderenza dalla Birmania al progetto BRI (nuove vie della seta) nel maggio del 2017. La Repubblica Popolare, nell’ambito del corridoio Cina-Birmania, punta su questo paese per rendersi meno dipendente dallo stretto di Malacca (sotto saldo controllo US) dirottando parte del traffico navale verso il porto birmano di Kyaukpyu nel quale è operativo fin dal 2014 un lungo oleodotto che termina nella città di Kunming, nello Yunnan. Tuttavia, i governanti birmani sono molto preoccupati nell’incorrere nella classica trappola del debito, rischiando l’insolvenza nel ripagare gli ingenti tassi di interesse dei prestiti contratti con i creditori cinesi. È proprio per questo motivo che l’anno scorso il Myanmar ha ricontrattato il progetto cinese d’ampiamento dello scalo marittimo di Kyaukpyu tagliando gli iniziali 7,3 miliardi di dollari a 1,3 miliardi. Il Giappone, invece, ha investito nel paese in numerosi progetti che si stanno dimostrando efficaci e di valida alternativa rispetto alla controparte cinese. Un esempio di ciò è la Zona Economica Speciale di Thilawa, la prima ZES ad essere stata realizzata in Myanmar. Thilawa è diventata operativa nel settembre 2015 dopo quattro anni di lavori, ed è l’iniziativa meglio riuscita del Giappone nel Sud-Est. I due governi ne possiedono ciascuno il 10% e rappresenta un volano per l’industrializzazione della regione di Yangon. Due fattori chiave del suo successo sono stati i finanziamenti infrastrutturali ODA (Official development assistance) e la creazione di un centro “one-stop service” dove gli investitori esteri possono parlare e discutere con i rappresentanti ministeriali ed esplicare tutte le procedure burocratiche in un unico luogo. Il Giappone ha fornito a tale scopo più di $ 176 milioni, ripagabili dalla Birmania in 40 anni a tassi di interesse agevolati allo 0,01%. Nel campo infrastrutturale, il Giappone sponsorizza la costruzione di un porto d’alto mare nella ZES Dawai e dell’autostrada che lo dovrà collegare a Bangkok, capitale della Tailandia. Il progetto, però, sta subendo numerosi ritardi, soprattutto dovuti all’ingente somma richiesta, che è stimata superare gli $ 8 miliardi. Solo in futuro potremmo riscontrare se il progetto rappresenti una valida alternativa al corridoio Myanmar-Cina.

Come il sud-est asiatico, anche l’India è di fondamentale importanza nel contenimento della Cina, importanza ribadita anche dal pentagono, che ha voluto rinominare il comando Pacom in Indo-Pacific Command, per rimarcare come la difesa del Pacifico dipenda anche da quella dell’oceano Indiano. Finora Nuova Dheli non ha voluto aderire alla BRI, che la percepisce come un’intrusione nella sua tradizionale sfera di influenza, che si estende dal Bhutan fino allo Sri Lanka. Il Giappone è ovviamente attivo anche in questo specchio d’acqua. Il governo giapponese e l’agenzia di sviluppo giapponese sono impiegati attivamente in una vasta rosa di iniziative, come il corridoio industriale Dheli – Mumbai e la linea ferroviaria ad alta velocità Mumbai – Ahmedabad. Tuttavia, l’ambito di cooperazione a maggior impatto geopolitico è quello della difesa marittima. L’india si sta impegnando a dotarsi di una marina d’altomare con notevoli capacità di proiezione. Il Giappone sta fornendo l’essenziale supporto tecnologico e logistico per raggiungere questo obbiettivo, impegnandosi a partecipare nelle maggiori esercitazioni navali congiunte, come l’annuale Esercitazione Malabar cui prende parte anche la US navy.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ufficialmente Tōkyo non dispone di forze armate ma di forze di autodifesa (JSDF) marittime, terrestri ed aeree, a causa dei vincoli costituzionali. Ciò non ha impedito al Sol Levante nel riassemblare la sua marina, ufficialmente la 7°-8°, di fatto la seconda marina più potente al mondo. Il Giappone, infatti, possiede un’esperienza e una tecnologia tali da essere secondi solo agli americani (posti ad un livello irraggiungibile) e a garantirgli notevoli margini di vittoria in un’ipotetica guerra solo tra Cina e Giappone, anche se quest’ultimo non riuscirebbe a sostenere un conflitto bellico prolungato. La squadra navale è composta da 4 portaelicotteri, 3 navi anfibie, 26 cacciatorpediniere, 10 fregate, sei caccia di scorta, 19 sottomarini, 30 navi contromina, sei pattugliatori e numerose unità minori per un totale di 155 vascelli perfettamente attivi. La nuova versione rivista del National Defense Program Guidelines (NDPG) predispone di equipaggiare le due portaelicotteri da 27.000 tonnellate della classe lzumocon una quarantina di nuovi F-35B a decollo corto ed atterraggio verticale (Short Take Off And Vertical Landing), assemblati su licenza dalla Mitsubishi. Nel 2018, inoltre, è stato varato un nuovo, impressionante cacciatorpediniere da 10.500 tonnellate appartenente alla nuova classe Maya, che sarà equipaggiato con il sistema d’arma navale più potente al mondo, il sistema statunitense Aegis, che comprende l’ultima versione del radar a scannerizzazione elettronica passiva AN/SPY-1 e capacità d’ingaggio cooperativo (CEC). Il Maya sarà provvisto di 96 celle Mark 41, che possono lanciare anche gli SM-3 block II, missili anti-balistici di produzione nipponica. Questa sarà la più avanzata dei sei cacciatorpediniere Aegis attualmente a disposizione della JMSDF (Japanese Maritime Self-Defence-Force), che nel 2021 diverranno otto. L’arcipelago schiera, inoltre, i sottomarini più potenti al mondo tra quelli a propulsione convenzionale, parliamo degli 11 battelli da 4200 t della classe Sōryū.

Vorrei concludere parlando delle sfide future che il Giappone dovrà affrontare. Questa è tra le nazioni più anziane al mondo e l’andamento demografico atteso annuncia impressionanti perdite di popolazione. Gli attuali 126.177 milioni di abitanti (nel 2010 erano 128.057 milioni) diverranno 119.125 milioni nel 2030 e nel 2053 scenderanno sotto la soglia psicologica dei 100 milioni. Se nel 1947 l’aspettativa di vita degli uomini era di 50,06 anni e 53,96 per le donne, nel 2017 questi numeri si attestavano rispettivamente a 80,98 e 87,14 anni. Il tasso di fertilità toccò il livello più basso nel 2005, sui 1,26 figli per donna per poi risalire lentamente, fino ad attestarsi a quota 1,44 nel 2016. L’unico modo per arrestare questa emorragia demografica è aprirsi all’immigrazione per attrarre il maggior numero di giovani dall’estero ma finora i provvedimenti che vanno in questa direzione sono stati insufficienti a fronte dei numeri richiesti. Dal 2015 al 2017, i residenti con nazionalità estera sono cresciuti di 329.659 unità, ma il dato di stock (2.561.848) è ancora troppo basso, costituendo solo il 5% della popolazione. I governi giapponesi sono restii ad allentare le rigide politiche sui lavoratori stranieri dato che l’arcipelago non è mai stato meta di consistenti flussi migratori. Per paura di diluirne la monocromia etnica e per inesperienza nell’integrare l’allogeno i giapponesi saranno condannati a convivere con l’ineludibile calo delle nascite, che in futuro si tradurrà in recessione e dinamiche deflattive, risultando anche in pesanti ricadute a livello militare.

Ciò che ho voluto sostenere è che il Giappone è in una fase di trasformazione e, come avvenuto in passato, cercherà di non perdersi sfruttando appieno tutte le risorse (in fase di contrazione) di cui disporrà. Oggi possiamo limitarci nel constatare che la dirigenza nipponica non ha atteso ad agire a fronte di un clima geopolitica tutt’altro che favorevole, che compromette sensibilmente la relativa stabilità vissuta dal dopoguerra in avanti. L’impero del sol levante, oggi nazione più che compiuta, è chiamato a sostenere l’ennesimo adattamento, come solo i giapponesi sanno perpetuare.

 

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La grotta degli schiavi http://www.360giornaleluiss.it/la-grotta-degli-schiavi/ Thu, 31 Jan 2019 15:26:02 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9569 Sebbene questi siano i “giorni della merla”, quindi i più freddi dell’anno, oggi voglio farvi viaggiare attraverso storie di pirati, mari e principesse, sperando di riscaldare almeno i vostri animi. Uno dei luoghi più affascinanti che la natura ci ha regalato è il Monte Conero, un promontorio di 572 metri sul livello del mare, dove

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Sebbene questi siano i “giorni della merla”, quindi i più freddi dell’anno, oggi voglio farvi viaggiare attraverso storie di pirati, mari e principesse, sperando di riscaldare almeno i vostri animi.

Uno dei luoghi più affascinanti che la natura ci ha regalato è il Monte Conero, un promontorio di 572 metri sul livello del mare, dove circa 30 anni fa venne istituito il rimo Parco Natural delle Marche.

Quello che può sembrare un semplice colle, oltre che ad essere uno spettacolo naturale dal paesaggio incontaminato, è anche una fonte di misteri e leggende, che avvolgono persino l’origine del suo nome. Il monte venne infatti denominato così dopo che il pirata Conero vi sbarcò, guidato dal delfino che aveva liberato dopo aver fatto infuriare gli dei che cercarono di ostacolarlo con una tremenda tempesta.

I pirati erano soliti approdare su questo monte in ricerca di un riparo duranti i loro viaggi. Una nave in particolare, dopo i numerosi saccheggi alle navi venete, era solita fermarsi nelle grotte del monte. I pirati di questa nave, una ciurma di saraceni, sbarcò in una grande grotta che neppure le lanterne riuscivano a illuminare totalmente. I giorni erano scanditi dalle sfumature del colore del mar Adriatico che bagna la costa del monte.

Questa volta, i pirati, dopo aver riposto i tesori trafugati, si occuparono della bellissima principessa che avevano rapito. La ragazza, non appena scese dalla nave, non riuscì a trattenere le lacrime, intimorita dai volti che la circondavano. Allora il capitano cercò di tranquillizzarla: “Nessuno ti farà del male. Quando tuo padre avrà pagato il riscatto ti lasceremo libera. Altrimenti sarai mia schiava”. Alcuni componenti della ciurma vennero mandati il mattino seguente a Venezia per trattare con il Principe e richiedere il riscatto. I giorni passarono, e la principessa non faceva altro che bagnare le rocce con le sue lacrime ogni sera, quando, al calar del sole, le sue speranze di ritornare a casa si facevano sempre più vane.

Tutti i pirati la rispettavano e la trattavano con riguardo, portandole spesso doni dalle navi saccheggiate. Rubarono i bottini di altre cento navi, ma dei Saraceni inviati a Venezia non vi era nemmeno l’ombra; così il capitano andò dalla fanciulla per dirle che il giorno successivo sarebbe dunque diventata sua schiava. Ella, arresasi al suo destino, rispose: “Sì, lo so, e so che hai aspettato molto e che sei stato sempre buono con me”. Il capitano rimase colpito da tanta dolcezza e gentilezza che mai gli era stata rivolta e decise di pensare a fondo sul da farsi prima che il sole fosse sorto.

Quando, il mattino successivo, egli andò dalla principessa con buone intenzioni dovute alle parole che tanto avevano fatto breccia nel suo cuore, non vi trovò nessuno. Lo scoglio dove era seduta la principessa aveva fatto posto ad una sorgente di acqua pura e limpida che si versava nelle acque del mare.

La principessa si era dissolta nelle sue lacrime, che aveva versato non solo durante la notte, come suo solito, ma durante tutto il giorno, mossa da un dolore tanto forte che la sciolse.

La grotta è raggiungibile solo via mare, dopo che nel ‘900 l’ingresso crollò a causa dell’erosione, ed è nota come la “Grotta degli Schiavi”, dati i numerosi prigionieri che ospitò durante i secoli.

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L’ambizione cinese di dominare la tecnologia quantistica – parte 2 http://www.360giornaleluiss.it/lambizione-cinese-dominare-la-tecnologia-quantistica-parte-2/ Wed, 30 Jan 2019 17:04:47 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9562 Un team di ricercatori canadesi guidati dal professore Ebrahim Karimi dell’università di Ottawa ha dichiarato di aver trovato un metodo, adattabile a molteplici applicazioni pratiche, idoneo a bypassare il controllo quantistico. Un messaggio crittato con QKD non può essere perfettamente clonato (in virtù del teorema di non-clonazione), ma si sta dimostrando possibile una forma di

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Un team di ricercatori canadesi guidati dal professore Ebrahim Karimi dell’università di Ottawa ha dichiarato di aver trovato un metodo, adattabile a molteplici applicazioni pratiche, idoneo a bypassare il controllo quantistico. Un messaggio crittato con QKD non può essere perfettamente clonato (in virtù del teorema di non-clonazione), ma si sta dimostrando possibile una forma di clonaggio ottimale. Ciò vuol dire che certe porzioni di uno stato quantistico possono essere lette. Karimi e la sua squadra stano costruendo una macchina che prevedono sia capace di replicare l’informazione originaria con un’accuratezza dal 50% all’83%. Inutile dire che avere metà del messaggio originario è irrilevante, mentre se si raggiungessero percentuali sopra l’80% potrebbe inficiare la perfetta sicurezza che il sistema dovrebbe garantire.

Inoltre, in base ad un report fornito dall’ufficio di consulenza scientifica della U.S. Air Force, la crittazione tramite scambio di QKD non sembra sufficientemente conveniente dato che le sue maggiori garanzie sulla sicurezza non sembrano compensare lo svantaggio dovuto alla complessità del suo utilizzo pratico (dovuto ai considerevoli problemi logistici e tecnici) rispetto alle migliori alternative classiche attualmente disponibili.

Il governo cinese sembra invece essere molto più fiducioso su questa tecnologia, puntando a risolvere i numerosi problemi tecnici ad essa connessa e a sviluppare la sua rete di comunicazione quantistica, che attualmente comprende, oltre al satellite Mencio, una linea di comunicazione diretta tra Pechino e Shangai. In futuro le autorità puntano a collegare fra loro tutte le grandi città cinesi utilizzando questa tecnologia.

Tuttavia, la competizione maggiore si sta osservando nella costruzione e nello sviluppo di computer quantistici,  che al giorno d’oggi è al centro dell’impetuoso flusso di finanziamenti privati e governativi di alto livello per la ricerca. Mentre i computer tradizionali eseguono calcoli utilizzando bit che esistono solamente negli stati di “0” e “1”, i computer quantistici utilizzano i qubit. Questo analogo quantistico dei classici “bit” consiste nella sovrapposizione degli effetti (superposition) di tutti i possibili stati fisici tra lo “0” e l’”1”, permettendo un esponenziale miglioramento delle capacità computazionali. Le potenzialità militari e commerciali di questa tecnologia sono di primaria importanza per tutti quei settori dove la velocità e la potenza di calcolo sono richieste, con applicazioni che variano dalla chimica al machine learning.

Attualmente non esiste un computer quantistico general-purpose che sia capace di superare le capacità dei computer tradizionale più potenti; l’obiettivo comune delle ricerche è infatti proprio questo: raggiungere la “supremazia quantistica” sorpassando le capacità computazionali classiche più potenti, ovvero poter produrre un computer quantistico da più di 100 qubit.

La maggior parte delle grandi aziende come IBM e Google Alfaphet, per raggiungere questa meta, si stanno concentrando nello sviluppo di circuiti superconduttori refrigerati a temperature estreme. Nuove tecniche di calcolo quantistico ottico che coinvolgono l’interazione tra fotoni sembrano essere ugualmente efficaci. In aggiunta, recenti progressi nella computazione quantistica topologica, che sfrutta le proprietà topologiche di specifiche particelle, può provarsi più robusta contro errori ed interferenze cui sono soggetti altri tipi di approcci. Microsoft sta cominciando a esplorare proprio questo campo d’applicazione.

Nel marzo 2018, Google ha introdotto Bristlecone, un nuovo chip di calcolo quantistico da 72 qubits. Nonostante ciò, gli scienziati del laboratorio di computazione quantistica di Alibaba hanno sfidato Google, che è sul punto di raggiungere la supremazia quantistica. Basandosi su un simulatore classico, i ricercatori cinesi hanno rimarcato come la frequenza di errore di Brislecone è ancora troppo elevata. Essi ritengono di essere sulla strada per raggiungere la supremazia quantistica (量子霸权) non oltre il 2019.

Il cammino verso l’acquisizione di capacità di calcolo quantistico sarà lungo e tortuoso, ma va tenuta in conto la possibilità che un futuro computer quantistico possa decrittare informazioni che gli attuali computer si scambiano per ogni tipo di transazione. Utilizzando l’algoritmo di Shor, solo un computer quantistico può riuscire a leggere dati che sono stati criptatati tramite la fattorizzazione dei numeri primi (utilizzata nella tecnica RSA), impresa impossibile da praticare tramite computer classici se non impiegando migliaia di anni. Nel 2015, la National Security Agency (NSA), in risposta ai progressi in atto, ha adottato il tipo di crittazione “Suite B”, che ha la capacità di essere resistente a decrittazioni quantistiche, necessitando capacità di calcolo maggiori dei computer quantistici. Anche la crittografia che utilizza QKD è resistente alla decrittazione quantistica.

Per quanto riguarda le tecnologie a maggior impatto militare, vanno menzionati i radar quantistici, i quali, se sviluppati con successo, consentiranno di rilevare il proprio segnale anche se immersi in un ambiente ad elevato rumore di fondo. Questo permetterebbe l’individuazione di unità stealth, sorpassando questo tipo di tecnologia oggi ancora all’avanguardia, e il filtraggio dei tentativi più sofisticati di disturbo radar intenzionale. Il primo prototipo di radar quantistico è stato sviluppato proprio dai cinesi nell’Agosto 2016, ma poche informazioni sono state ancora rese note.

Vi sono anche altre varianti di sensori quantistici per individuare apparecchi stealth, nascosti o sotterranei. Le tecniche di “ghost imaging” (o “imaging a due fotoni”), che attualmente utilizzano proprietà non quantistiche ma che in futuro potrebbero farlo, possono avere applicazioni come sensori d’intelligence spaziali, di sorveglianza e di ricognizione. L’utilizzo di “orologi quantistici” può aumentarne la precisione, risultando in un grande vantaggio per le moderne operazioni militari. Anche l’utilizzo di “compassi quantistici” per la navigazione si potrebbero rivelare molto più efficienti dell’attuale tecnologia GPS, soprattutto negli ambienti interdetti.

Questa rapida carrellata di nuove tecnologie quantistiche è considerata fondamentale per la strategia e la sicurezza nazionale dal presidente Xi Jinping. L’accelerazione che si è voluto imprimere a questo ambito di ricerca negli ultimi anni è stata incitata anche dalle rilevazioni dell’ex-contractor dell’NSA Edward Snowden nel Giugno 2013. Tra le informazioni svelate ve ne sono anche sul complesso sistema di attività e capacità di intelligence statunitense in Cina, che sfrutta numerose postazioni d’ascolto dislocate soprattutto in Giappone e nella Repubblica di Corea (Corea del Sud). Inoltre, sono stati messi alla luce i numerosi deficit e vulnerabilità dei sistemi informatici e di sicurezza cinesi. Ciò è stato una delle principali preoccupazioni che hanno portato i ricercatori cinesi a puntare di convertire con la crittazione quantistica tutte le comunicazioni sensibili attualmente crittate in modo classico.

Pan Jianwei (潘建伟), considerato il padre della fisica quantistica cinese, è colui che ha permesso la realizzazione del satellite Mencio e che sta guidando gli scienziati cinesi lungo questo difficile percorso. Egli è, infatti, il fondatore del citato Laboratorio di Informatica e Fisica Quantistica (量子物理与量子信息实验室) presso l’Università della Scienza e della Tecnologia in Cina. L’anno di nascita del laboratorio, il 2001, coincide con il suo ritorno in Cina dopo aver conseguito un PhD all’università di Vienna dove lavorò assieme ad Anton Zeilinger, uno dei massimi fisici quantistici con cui sperimentò il satellite Mencio.

Il ricercatore cinese è fiducioso che la tecnologia quantistica fornisca uno scudo fisicamente impenetrabile ad attacchi cibernetici esterni, e pare sia riuscito a ottenere l’allineamento alle sue convinzioni anche da parte dei leader di partito.

Nell’aprile 2016, Xi ha visitato e ispezionato l’università di Scienza e Tecnologia della Cina, dove è stato aggiornato da Pan Jianwei sui nuovi progressi nella comunicazione quantistica e sui progetti che saranno sviluppati in futuro. Durante la 36° sessione studio del Politburo sulla sicurezza cibernetica nell’Ottobre 2016, Xi ha definito l’importanza dello sviluppo nella ricerca quantistica, mentre nell’ottobre 2017, in occasione della redazione del rapporto dei lavori del 19° congresso di partito, è stato rimarcato l’imperativo strategico nel progredire nell’intelligenza artificiale e nella tecnologia quantistica.

Se i piani di sviluppo scientifico cinese avessero successo, la Cina potrebbe ottenere un notevole vantaggio dimostrando di avere capacità tecniche competitive rispetto a quelle statunitensi e raggiungere in futuro il dominio sul mercato e sul settore militare in questo nuovo campo tecnologico. Lo stesso Xi Jinping ha affermato che lo sviluppo dei computer quantistici è una tappa essenziale per la realizzazione del rinascimento cinese, meglio noto come “Sogno Cinese” (中国梦).

I notevoli sforzi e risorse messe in campo per far progredire la scienza quantistica si riflettono nella lunga serie di progetti e piani nazionali per la scienza e la tecnologia, che si innestano in una nuova fase di ricerche dopo aver conseguito i primi obbiettivi.

Nel 2016, una ricognizione su vasta scala dei progetti di ricerca e sviluppo di alto livello ha consolidato la ricerca in campo quantistico attraverso un nuovo Piano Chiave di Sviluppo e Ricerca Nazionale. In quest’ottica, il nuovo Programma Nazionale per l’Innovazione Tecnologica e la Scienza (国家科技创新规划) vuole concretizzare questa tendenza a priorizzare lo sviluppo quantistico fissandolo fra gli obbiettivi dell’ “S&T innovation 2030 Major Project”. Entro il 2030 il progetto si prefigge di implementare la comunicazione quantistica tramite lo spazio aereo nei maggiori conglomerati metropolitani cinesi (soprattutto nella futura super città di Jing-Jin-Ji, che ingloberà tutta la provincia dello Hubei insieme a Pechino e Tianjin) e sviluppare prototipi di computer quantistici per uso quotidiano (common-use) insieme a nuovi simulatori quantistici a utilizzo reale (actual-use).

Sebbene ci siano poche fonti ufficiali, il totale degli investimenti previsti sarà di svariati miliardi di yuan. Secondo i media cinesi, la spesa in scienza quantistica ammontava a 1,9 miliardi di yuan (302 milioni di dollari) tra il 2013 e il 2015.Nei due anni successivi i fondi annui stanziati sui progetti di controllo e informatica quantistica inerenti al solo Piano Chiave di Sviluppo e Ricerca Nazionale hanno eguagliato la precedente cifra di 1,9 miliardi di yuan in 18 direzioni di ricerca e più di 36 progetti.

In collaborazione con l’Accademia Cinese di Scienza, sono allocati 160 milioni di yuan (2,5 milioni di dollari) dal fondo per la cooperazione scientifica e tecnologica spaziale per il periodo 2017-2020, che include sperimentazioni tramite satelliti quantistici. In campo privato è da rimarcare l’investimento di 15 milioni di dollari da parte di Alibaba in tecnologie d’avanguardia, che includono l’intelligenza artificiale e le tecnologie quantistiche, realizzato attraverso l’accademia DAMO (Discovery, Adventure, Momentum, and Outlook).

In ambito militare, invece, il dipartimento per lo sviluppo degli equipaggiamenti del PLA (l’Esercito di Liberazione Popolare Cinese) sta supportando la ricerca quantistica attraverso il National Defense S&T Key Laboratories Fund (国防科技重点实验室基金) che si pone come obbiettivo l’acquisizione di radar e sensori quantistici (dei quali sono stati costruiti finora solo dei prototipi).

Nonostante ciò, i finanziamenti nazionali non sono i soli a esaurire il campo dei fondi per la ricerca: anche le sempre più cospicue finanze provinciali stanno cominciando a investire nella tecnologia quantistica. Nel marzo 2018, la provincia di Shandong (ad alta rilevanza strategica, essendo una penisola bagnata dalle acque del mar giallo e collocata tra Pechino e Shangai) ha redatto lo Shandong Province Quantum Technology Innovation and Development Program (2018-2025) (山东省量子技术创新发展规划) con l’obbiettivo di far diventare la città di Jinan il centro della nuova industria quantistica. Il progetto prevede rendite nell’ordine di decine di miliardi di yuan (miliardi di dollari), puntando a coprire il 70% del mercato nazionale della difesa. Si sta già parlando di una Jinan Hi-tech “Quantum Valley” (量子谷) che giocherà un ruolo fondamentale nell’implementazione di questa tecnologia.

Data la priorità rivestita dai progetti di ricerca, in futuro ci si aspettano ulteriori iniezioni di finanziamenti, benché molto dipenderà dai futuri ritmi di crescita del pil (che si sono attestati al 6,5% nel terzo trimestre di settembre del 2018, dopo il 6,7% del trimestre precedente). Per la competizione geopolitica Cina-USA è logico aspettarsi ulteriori inasprimenti delle attuali tensioni, che finora si sono espresse soprattutto in campo economico, ma che in futuro potranno coinvolgere anche l’ambito militare. Il presidente Xi ha infatti in progetto la riunificazione della Cina continentale con la “provincia ribelle” di Taiwan per il 2049, quando si festeggerà il centenario dalla fondazione della Repubblica Popolare. I leader cinesi considerano la scienza quantistica come un efficace vettore per colmare il gap tecnologico con gli Stati Uniti, battendo sul tempo gli altri paesi nello sviluppo dei primi computer quantistici.

Solo in futuro si potrà affermare se questa scelta sarà stata proficua. Attualmente le maggiori difficoltà cinesi nel muoversi in un contesto internazionale sempre più avverso rende necessario incentivare lo sviluppo di tecnologie indigene, per ridurre la dipendenza dall’estero.

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L’ambizione cinese di dominare la tecnologia quantistica – parte 1 http://www.360giornaleluiss.it/lambizione-cinese-dominare-la-tecnologia-quantistica-parte-1/ Wed, 23 Jan 2019 15:07:02 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9557 Negli ultimi anni il governo cinese ha puntato molto sullo sviluppo della tecnologia quantistica, che sta assumendo sempre più rilevanza per le sue potenzialità. Gli scienziati cinesi hanno raggiunto nuovi record nell’ambito della crittografia, della comunicazione e della computazione quantistiche, registrando, inoltre, progressi nell’imaging, nel rilevamento (sensing), nella metrologia (scienza delle misurazioni) e nella navigazione

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Negli ultimi anni il governo cinese ha puntato molto sullo sviluppo della tecnologia quantistica, che sta assumendo sempre più rilevanza per le sue potenzialità. Gli scienziati cinesi hanno raggiunto nuovi record nell’ambito della crittografia, della comunicazione e della computazione quantistiche, registrando, inoltre, progressi nell’imaging, nel rilevamento (sensing), nella metrologia (scienza delle misurazioni) e nella navigazione quantistiche, oltre che nella tecnologia radar quantistica.

Le numerose scoperte fatte dai ricercatori cinesi si inseriscono in progetti di lungo termine chehanno permesso di formare tecnici altamente specializzati.

Già nel novembre 2015, al quinto Plenum del XVIII Congresso del Partito, il presidente Xi Jinping, riconoscendone la fondamentale importanza strategica, ha incluso le comunicazioni quantistiche nella lista dei principali progetti scientifici e tecnologici ritenuti prioritari per importanti scoperte da realizzare entro il 2030. Due anni prima venne per la prima volta registrato dalla società di ricerca Patinformatics il sorpasso cinese rispetto agli Stati Uniti per numero di brevetti rilasciati nell’ambito di applicazioni di computazione quantistica: 74 brevetti cinesi contro i 71 statunitensi. Nel 2017 questo divario numerico si è notevolmente accentuato, con 553 applicazioni brevettate in Cina, contro le sole 307 negli Stati Uniti, sempre secondo i dati forniti da Patinformatics.

Il governo cineseha infatti devoluto finanziamenti quasi illimitati a questi progetti di ricerca, fra i qualiassume di particolare importanza il piano da 10 miliardi di yuan (1,6 miliardi di dollari) per la costruzione del Laboratorio Nazionale di Scienza dell’Informazione Quantistica (安徽省量子科学产业发展基金) a Hefei, provincia di Anhui, la cui apertura è previstaper il 2020. Questa cifra appare straordinariamente elevata, sopratutto se messa a confronto con i 200 milioni di dollari che, secondo un rapporto governativo datato Luglio 2016, sono stati stanziati dall’amministrazione Usa per la ricerca nella meccanica quantistica.

Ma cosa rende questa tecnologia così importante da essere posta al centro non solo della ricerca cinese e americana, ma addirittura della geopolitica mondiale?

La scienza quantistica sfrutta le strane e controintuitive proprietà della fisica quantistica. Una volta realizzate e impiegate su vasta scala, le tecnologie risultanti potrebbero stabilire nuovi paradigmi in quasi tutti i contesti in cui le informazioni sono utilizzate, archiviate, raccolte o elaborate, fornendo strumenti molto più potenti per la sicurezza informatica, il calcolo e la misurazione.

Queste tecnologie, soprattutto le tecniche dicrittazione quantistica, avranno anche una serie di applicazioni e implicazioni per la sicurezza nazionale e la difesa.

Tutte le tecnologie sviluppate in questo campo sono basate sulle proprietà fondamentali dei fenomeni quantistici. Il concetto di “superposition” (sovrapposizione degli effetti) si riferisce alla proprietà di un sistema quantistico (ad es. una particella subatomica, come un fotone) di esistere attraverso tutti i possibili stati fisici contemporaneamente. Un’altra proprietà fondamentale, l’”entanglement”, implica il collegamento tra due o più particelle tale per cui il loro stato sia strettamente correlato (lo stato di un sistema entangled non è esprimibile come derivante dai singoli stati delle particelle). Pertanto, l’osservazione di una particella appartenente ad una coppia entangled farà “collassare” il sistema quantistico, provocando una decoerenza e il ritorno del sistema ad uno stato classico (non quantistico), determinando automaticamente e immediatamente il valore dello stato dell’altra particella.

Questa proprietà è alla base dei sistemi che rendono fisicamente impossibile decifrare una comunicazione a crittazione quantistica per tre ragioni principali: in primo luogo, il teorema della “non-clonazione” afferma che uno stato quantistico sconosciuto non può essere clonato. A livello teorico, i messaggi crittografati attraverso tecniche quantistiche sono ad uno stato quantistico sconosciuto, quindi impossibili da copiare. Secondo, in un sistema quantistico a 2 livelli,che può assumere uno dei due stati possibili, qualsiasi tentativo nel misurare lo stato quantistico farebbe collassare il sistema come spiegato precedentemente. Un messaggio quantistico che venisse intercettato e letto risulterebbe incomprensibile e inutile.

Terzo, gli effetti prodotti dalla misurazione di una proprietà quantistica sono irreversibili, ciò vuol dire che l’intercettatore non può ripristinare un messaggio quantistico al suo stato originale. La comunicazione risulta quindi sicura: nulla può alterare il fatto che l’osservazione di una proprietà quantistica alteri irreversibilmente l’oggetto osservato.

Il sistema più utilizzato per questi tipi di crittazioni è basato sulla creazione di una chiave quantistica “distribuita” (quantum key distribution, QKD), in base al quale le chiavi crittate sono scambiate per mezzo distati quantistici entangled. Questo meccanismo sicuro per lo scambio di chiavi è utilizzabile per crittografare comunicazioni compiute tramite tecniche classiche, come l’utilizzo di QKD attraverso dispositivi collegati con cavi in fibra ottica. Questo tipo di comunicazione, però, presenta limiti nella distanza percorribile per comunicare, mentre quelle compiute nello spazio aereo, ad esempio tra una stazione a terra e un satellite, possono consentire di percorrere distanze molto maggiori. Per questo motivo nell’Agosto del 2016 è stato lanciato dalla Cina il primo satellite per le comunicazioni quantistiche denominato Mencio (Mozi, 墨子) in onore di uno dei massimi filosofi cinesi del periodo classico. Grazie al satellite, il 29 settembre 2017 si è potuta realizzare la prima videoconferenza a crittazione quantistica intercontinentale tra l’Accademia Cinese di Scienza e l’Accademia di Scienza Austriaca dell’Università di Vienna, separate da una distanza di 7600 km, e durata 75 minuti. Attraverso Mencio è stato possibile scambiare QKD usate per crittare la videoconferenza che è stata eseguita attraverso una normale connessione internet.  Nonostante ciò, la comunicazione nello spazio è soggetta a molte forme di interferenza che hanno a lungo reso impossibile comunicare nelle ore di luce, problema che è stato risolto finora solo parzialmente. Anche la comunicazione sott’acqua, soprattutto nell’acqua di mare, presenta in verità numerosi problemi.

Nella pratica, però,si sta dimostrando come la totale sicurezza prevista dallo scambio di QKD non sia pienamente realizzabile. La sostituzione di QKD per la crittografia convenzionale non elimina altre connessioni deboli e vulnerabilità nella sicurezza di un sistema.

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MULTIPOTENZIALITA’:RISORSA O ZAVORRA? http://www.360giornaleluiss.it/multipotenzialitarisorsa-o-zavorra/ Tue, 22 Jan 2019 17:11:08 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9554 Pregi e difetti di una preziosa dote che spesso non sappiamo di avere Tutti noi prima o poi abbiamo dovuto fare i conti con la domanda “Cosa vuoi fare nella vita?”. Alcuni di noi non avranno provato alcuna esitazione e avranno risposto “non ho dubbi: il medico”, altri invece avranno dovuto fare per anni i

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Pregi e difetti di una preziosa dote che spesso non sappiamo di avere

Tutti noi prima o poi abbiamo dovuto fare i conti con la domanda “Cosa vuoi fare nella vita?”. Alcuni di noi non avranno provato alcuna esitazione e avranno risposto “non ho dubbi: il medico”, altri invece avranno dovuto fare per anni i conti con domande esistenziali, crisi interiori e la speranza che prima o poi arrivasse l’illuminazione che gli indicasse la giusta strada da percorrere. Generalmente siamo abituati a pensare che il non riuscire a trovare la propria strada entro i vent’anni sia sinonimo di debolezza e di inconsistenza; mi viene in mente una frase del film The Big Kahuna che diceva esattamente l’opposto: “Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita. Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.”

Così cerchiamo di guardarci dentro,cerchiamo di capire cosa ci riesce meglio ma spesso non riusciamo a trovare una risposta convincente, oppure ne troviamo sin troppe e questo ci manda in confusione. Magari ci vediamo bene in diversi abiti: quelli del medico, però, perché no, anche del fotografo e magari del web designer. Ci svegliamo una mattina convinti di voler fare una cosa e quella dopo già ne abbiamo trovata un’altra, approfondiamo un determinato argomento e dopo poco tempo, inspiegabilmente, iniziamo a provare noia e la lasciamo a metà. E lo schema sembra ripetersi per ogni nuovo argomento che approfondiamo.

Così ci paralizziamo e finiamo con il concludere che forse non siamo portati per nulla in particolare, che non abbiamo alcun talento peculiare che valga la pena coltivare.

E se a essere sbagliata fosse la prospettiva da cui guardiamo il problema?

Se al contrario avessimo tanti interessi diversi, riuscissimo ad eccellere in tanti ambiti e proprio per questo non riuscissimo a individuarne uno specifico? Se ti rispecchi nella descrizione il tuo fardello, che è anche il tuo dono più prezioso, ha un nome e si chiama”multipotenzialità”.

Il termine è stato coniato da Emile Wapnick, esempio vivente di cosa significa essere un multipotenziale : lei stessa è stata al contempo studentessa di legge, musicista, web designer e molto altro.

La Wapnick spiega questo concetto partendo da una domanda apparentemente semplice: Cosa vuoi fare da grande? Spiegando:”quando qualcuno vi chiede cosa volete fare, non potete dare venti risposte diverse, anche se adulti benintenzionati, sogghigneranno e diranno: “Oh, che carino, ma non puoi essere liutaio e psicologo. Devi scegliere. È l’idea di destino o dell’unica vera vocazione (…)Ma se non siete fatti in questo modo? Se siete curiosi di tanti argomenti diversi, e volete fare cose diverse? (…)Potreste avere la sensazione di non avere uno scopo, o che ci sia qualcosa di sbagliato in voi. Non c’è niente di sbagliato in voi. Siete un multipotenziale”

In una società che pretende profili lavorativi altamente specializzati in un unico settore, essere un multipotenziale costituisce apparentemente un handicap. Da dono diventa così condanna, da punto di forza diventa debolezza, soprattutto perché spesso il multi-potenziale non sa di possedere tale dote che se sfruttata al meglio, invece, risulta preziosa. Secondo la Wapnick infatti il multipotenziale possiede tre qualità cruciali: capacità di sintesi, adattabilità e rapidità di apprendimento. Di conseguenza è in grado di passare da un ruolo all’altro senza difficolta in base all’esigenza del momento, di mettere a disposizione una serie di competenze trasversali al servizio della società, è flessibile, eclettico, versatile. E in un mondo del lavoro così competitivo e dinamico, questo non può che rappresentare un vantaggio.

 

Il problema sorge perché siamo abituati a pensare per compartimenti stagni, a separare le cose con una netta linea di demarcazione; ci costringiamo a percorrere una sola strada alla volta escludendo a priori le altre perché nessuno ci ha mai insegnato che possiamo percorrerne più di una. E finiamo per sabotarci con le nostre stesse mani.

La chiave di volta è il coraggio di pensare fuori dagli schemi: chi dice che non si può essere un avvocato e al contempo un fotografo di successo e anche un bravo web designer? Sono strade diverse ma alla fine portano tutte alla stessa meta: la piena realizzazione di se stessi. Allora perché limitarsi a seguirne solo una?

“Abbiamo molti problemi, complessi e multi-dimensionali, nel mondo, e abbiamo bisogno di pensatori creativi, fuori dagli schemi per affrontarli (…)a voi dico: abbracciate tutte le vostre passioni. Seguite la vostra curiosità in quelle tane di coniglio, esplorate le vostre intersezioni. Abbracciate i vostri fili interiori per una vita più felice e autentica. E forse, ancora più importante, multipotenziali, il mondo ha bisogno di noi.”

 

 

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INTELLIGENZA EMOTIVA: PERCHE’ NE ABBIAMO BISOGNO http://www.360giornaleluiss.it/9535-2/ Wed, 02 Jan 2019 09:30:48 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9535 L’intelligenza emotiva è una delle cosiddette “skills cognitive” e consiste nel riconoscere e comunicare in modo efficace le proprie emozioni, e comprendere appieno quelle altrui. È una disciplina studiata dai leader politici e dai comunicatori in generale. Essa fornisce delle “chiavi di lettura emotive” fondamentali per le interazioni quotidiane, dalla discussione con un partner un

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L’intelligenza emotiva è una delle cosiddette “skills cognitive” e consiste nel riconoscere e comunicare in modo efficace le proprie emozioni, e comprendere appieno quelle altrui. È una disciplina studiata dai leader politici e dai comunicatori in generale.

Essa fornisce delle “chiavi di lettura emotive” fondamentali per le interazioni quotidiane, dalla discussione con un partner un po’ troppo testardo al flame sotto a un video di YouTube o sotto a un post di Facebook. Le discussioni in cui ci sentiamo incompresi o non ascoltati ci lasciano turbati e possono scoraggiarci dall’esporci nuovamente in futuro. Per questo tutti dovrebbero lavorare sulle proprie competenze emotive. Il che non significa andare d’accordo con tutti, ma piuttosto venirsi incontro senza sacrificare le nostre opinioni e i nostri desideri.

La prima regola è: non esiste uno standard imposto da altri su come dovremmo sentirci o reagire in una determinata situazione. Permettere a noi stessi di essere umani spiana la via agli altri per trattarci come tali.

 

INTELLIGENZA EMOTIVA E FEMMINISMO

A ben pensarci, l’intelligenza emotiva e il femminismo sono strettamente legati. Il femminismo è uno dei movimenti più importanti, ma anche più incompresi e male interpretati del nostro tempo, perché una certa fetta della popolazione fatica ad empatizzare con esso. Le discriminazioni passano prima di tutto per la comunicazione, tramite frasi che entrano nel linguaggio comune e suggeriscono determinati messaggi. Ne è un esempio l’episodio in cui una giornalista, intervistando Serena Williams, ha affermato: “Passerà alla storia come una delle più grandi atlete DONNE di sempre, dopo la settima vittoria a Wimbledon”. L’atleta precisò subito: “Preferirei le parole: una delle atlete migliori di sempre”.

Altro punto chiave dell’intelligenza emotiva è il rispetto delle emozioni altrui. Citando Amber Tamblyn: “È una cultura che ti guarda dall’alto in basso. È una persona, un capo, un fidanzato che ti vuol più razionale e meno “sensibile o vulnerabile”, trasformando l’intelligenza emotiva in un qualcosa di dannoso, da sopprimere”.

Una società chiusa nei propri pregiudizi provoca anche insicurezze in ambito professionale. “Spesso, soprattutto se donna, devi essere brava il doppio. Fino a quando le ragazze avranno questa sensazione, ci sarà da lottare. Questo è il punto: non sentire la pressione di essere straordinaria.” – Kerry Washington

Se poi la società non è empatica verso chi ha subito abusi, si rischia l’auto-colpevolizzazione della vittima. “Dobbiamo e possiamo cambiare la cultura affinché nessuna donna o uomo vittima di violenza debbano mai chiedersi: cosa ho fatto per meritarlo?” – Joe Biden

 

PERCHE’ I PROBLEMI DELLE MINORANZE SONO PROBLEMI DI TUTTI

Metaforicamente, empatia significa uscire dalla “bolla” dei propri problemi e necessità più immediate, e dare un’occhiata a quelle altrui. Prendendo il caso, molto attuale, delle lotte per i diritti LGTB: i membri di questa comunità sono, in primis, persone. Non ha senso dire “lo fanno loro, perché a loro conviene, combattano loro le loro battaglie”. Sono battaglie che renderanno migliore la società, perciò conviene a tutti farsene carico. Non è solo giusto, è utile.

L’empatia oggi si costruisce anche sui social: il movimento #MeToo ne è un esempio. Un semplice hashtag è stato il catalizzatore della “sorellanza” e della rottura del silenzio e dell’isolamento per le vittime di abusi.

Questi e tanti altri sono passi piccoli ma significativi. Cosa ci si guadagna? La salute mentale per l’individuo e una società meno violenta, che presti orecchio a tutti.

IRENE FACHERIS E IL PROGETTO BOSSY

Un ottimo riferimento per approfondire l’approccio “psicologico” ai problemi sociali è Irene Facheris. Laureata in Influenza sociale e psicologia delle disuguaglianze, la sua ricerca si concentra su un’ottica “salutogenica”, basata sul benessere dell’individuo nella società.

Gestisce dal 2011 un canale YouTube da oltre 60.000 iscritti, a nome “cimdrp”.

È anche presidente dell’associazione Bossy, nata nel 2014 con lo slogan: sempre oltre gli stereotipi. L’associazione si occupa di inclusività nella sua accezione più ampia e di discussione, soprattutto su stereotipi di genere, sessismo, lotta agli abusi e diritti LGBTQ.

 

Sempre sul tema, è da poco uscito “Creiamo cultura insieme”, libro d’esordio di Irene. Somiglia a un piccolo “manuale di sopravvivenza” con un semplice obiettivo: evitare discussioni infinite, spesso inutili, e talvolta estenuanti. Le persone spesso arrivano allo scontro perché, anche inconsciamente, non prestano sufficiente attenzione al “mondo” dell’altra persona, non si immedesimano veramente. Questo libro cerca di insegnare, tra le altre cose, come dare un feedback senza litigare, e come prevenire o curare un pregiudizio. Un decalogo per vivere meglio, praticamente.

L’autrice ci tiene però a specificare che questi metodi sono validi sempre, “salvo nelle giornate davvero “no” o se l’interesse a riparare i rapporti con l’interlocutore sia pressoché inesistente: in tal caso il classico “vai a quel paese” resta sempre un’opzione”.

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