Elezioni Americane – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Elezioni Americane – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Effetti boomerang dell’EO trumpiano http://www.360giornaleluiss.it/effetti-boomerang-delleo-trumpiano/ Wed, 08 Feb 2017 11:32:49 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8066 E se fosse la « lotta » a far finire la guerra?   Ci abbiamo mai pensato?! Quali potrebbero essere i risvolti di una guerra combattuta con un’altra guerra? Bene che, per intenderci, non essendo leaders né commanders-in-chief di nessun paese, abbiamo la grande fortuna di poter discettare su un tipo di lotta pacifica. Un po’

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E se fosse la « lotta » a far finire la guerra?

 

Ci abbiamo mai pensato?! Quali potrebbero essere i risvolti di una guerra combattuta con un’altra guerra? Bene che, per intenderci, non essendo leaders né commanders-in-chief di nessun paese, abbiamo la grande fortuna di poter discettare su un tipo di lotta pacifica. Un po’ come quella che ha dichiarato il MoMA (Museum of Modern Art di New York) a Donald Trump qualche giorno fa, quando ha proposto di modificare il proprio percorso espositivo facendo spazio all’arte dei maestri provenienti dai sette paesi « bannati », facendoli artisticamente dialogare con gli artisti di Ordolandia, o meglio di quello che Limes, in un eccesso di ottimismo, ha ribattezzato il fu Occidente allargato.

 

Ciò ha reso possibile alle opere d’arte di Ibrahin el-Salahi, Zaha Hadid o Hossein Zenderoudi, di potersi incredibilmente confrontare con les chefs-d’œuvre di Picasso, Van Gogh e Matisse nell’intreccio meraviglioso di quello che era esattamente un richiamo ai valori di libertà e accoglienza e che – a ben vedere – il mondo dell’arte ha molto più chiari e cari di quello della politica. E, come se non bastasse, ci si è messo anche lo sport: nei prossimi 16 e 17 Febbraio a Kermanshah (Iran) si svolgerà il Mondiale di lotta, sport nel quale Usa e Iran sono superpotenze. Questo evento si candida ad avvicinarsi a ciò che nei libri di storia viene raccontato come la « diplomazia del ping-pong » , ovvero lo scambio di visite fra atleti fra Usa e Cina nato all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso. Ma per tornare ad oggi, l’Iran aveva inizialmente negato i visti d’ingresso ai lottatori americani selezionati per il Mondiale, se non fosse stato per un improvviso cambio di rotta che ha fatto seguito alla dichiarazione, contenuta in un provvedimento, di un giudice di Seattle secondo cui il famoso EO (Executive Order), emanato dal neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump, risultava incostituzionale agli occhi dell’opinione pubblica e delle Istituzioni.

Volendo fare un veloce ripasso, il decreto consisteva in un bando d’ingresso indirizzato ai cittadini di sette paesi musulmani (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen) ritenuti dal presidente potenzialmente pericolosi per la sicurezza degli Stati Uniti in quanto maggiormente esposti alla proliferazione di cellule ISIS e a varie altre organizzazioni quediste. In linea teorica, e se vogliamo anche pratica, sicuramente; in linea di realpolitik, un po’ meno. Come infatti ci hanno da sempre insegnato genitori, maestri e professori, ascoltare una sola campana potrebbe rivelarsi controproducente, oltre che limitante ai fini del formarsi di un’opinione quanto più possibile completa sotto i suoi diversi punti di vista. Quello che agli occhi del mondo orientale si è posto nei termini di un veto disumano e crudele, per la Casa Bianca evidentemente non lo era. Risultava anzi come una valida misura di sicurezza per il colosso a stelle e strisce che dall’ultima amministrazione si avvia in maniera piuttosto evidente verso un riduzionismo – che è sì relativo, ma rappresenta pur sempre il declino di una potenza che dalla seconda guerra mondiale in poi ha vantato un’egemonia senza pari sul sistema internazionale – dovuto a una serie di iniziative portate avanti in maniera spesso astrategica, dal punto di vista delle relazioni internazionali. Ma non volendoci addentrare troppo in questa sede in quelli che sono stati i meriti e i demeriti della linea politica obamiana, possiamo limitarci a dire che descrivere il Trump’s EO come un #muslimban – in maniera semplicistica, mediatica e quasi assordante – potrebbe infiammare il sentimentalismo nazionalreligioso tra i muslims americani, generando caos e proteste di cui, men che meno oggi, il mondo ha bisogno.


« La manipolazione dell’informazione sul Trump’s EO è un danno alla sicurezza dei cittadini americani. Occorre fermarsi! Anche Ebrei e Cristiani vi sono coinvolti » 

twittava qualche giorno fa Germano Dottori, Cultore di Studi Strategici alla Luiss e Consigliere redazionale della rivista Limes. E lasciando ad ognuno la libertà di interpretare le parole degli altri come preferisce, non possiamo non concordare sul fatto che l’informazione tossica è un male da cui, soprattutto noi studenti di scienze politiche, economiche e giuridiche, dobbiamo tenerci quanto più possibile lontani.

Ma oggi, è grazie alla mediazione di settanta accademici dell’Università Sharif di Teheran che hanno invitato il governo iraniano a reagire con «l’ospitalità tradizionale di iraniani e musulmani» che lo sport avrà occasione – esattamente fra una settimana – di offrire l’ennesima prova di essere uno strumento di miglioramento del mondo. Tutto ciò grazie alla lotta, uno degli sport più antichi che in Iran affonda le sue radici.

E se è vero che l’arte migliora la vita, ci rende più ottimisti e aperti all’amore, forse oggi è meglio lottare a suon di opere d’arte e di sport piuttosto che ergere muri, siano questi virtuali o reali. D’altronde, « Mettete dei fiori, nei vostri cannoni », cantava qualcuno!

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“MAKE AMERICA GREAT AGAIN” http://www.360giornaleluiss.it/make-america-great-again/ Wed, 09 Nov 2016 21:36:00 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7502 9.11.2016: la storia è riscritta. Donald John Trump è il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Il front runner repubblicano, nella notte italiana tra martedì e mercoledì, ha battuto la democratica Hillary Clinton e dal 20 gennaio 2017, data del giuramento, siederà ufficialmente nello Studio Ovale. Prima di analizzare le elezioni e il programma del

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9.11.2016: la storia è riscritta. Donald John Trump è il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Il front runner repubblicano, nella notte italiana tra martedì e mercoledì, ha battuto la democratica Hillary Clinton e dal 20 gennaio 2017, data del giuramento, siederà ufficialmente nello Studio Ovale.

Prima di analizzare le elezioni e il programma del candidato repubblicano, vediamo in breve chi è Donald Trump. Nato a New York nel 1946 da una famiglia di origine tedesca, è un famoso imprenditore immobiliare e uno degli uomini più ricchi del mondo. Il suo successo viene sancito nel 1982 con la costruzione della famosa Trump Tower sulla Fifth Avenue su cui spicca il nome dell’imprenditore. Il tycoon newyorchese ha sempre manifestato la volontà di scendere in campo, ma ha dapprima sostenuto i Repubblicani durante la presidenza Reagan e, in seguito, ha stretto rapporti personali con Bill Clinton e si è schierato contro il presidente uscente Barack Obama. Il 16 giugno del 2015, però, ha annunciato formalmente la sua candidatura alle presidenziali del 2016 con lo slogan “Make America great again” e, lo scorso luglio, è divenuto ufficialmente il candidato repubblicano alla Presidenza eliminando dalla scena i suoi sfidanti tra cui Ted Cruz e Jeb Bush.

Ma veniamo alla notte più attesa da tutti. Nonostante ci fossero altre aspettative, considerando anche i sondaggi e i numerosi endorsement alla candidata dem Clinton, con 280 grandi elettori (stando ai dati pubblicati dal NYT) Trump ha conquistato la Presidenza degli USA. E non solo: infatti, con lui i repubblicani hanno conquistato la maggioranza di Camera e Senato, cosa che non accadeva dal 1928. Tra i due front runner c’è stato un lungo testa a testa dato che la Clinton, l’ex Segretario di Stato durante la prima amministrazione Obama, ha avuto quasi 170mila voti assoluti in più, ma ha perso in Stati chiave come la Pennsylvania, dove dal 1988 avevano sempre vinto i democratici. Alcuni americani però non hanno solo scelto il loro Presidente: infatti, il Nebraska ha votato a favore del ripristino della pena di morte nello Stato, mentre California e Massachusetts hanno approvato la legalizzazione della marijuana a fini ricreativi.

Trump Pence

Durante la lunga campagna elettorale, il magnate, e fino al prossimo gennaio Presidente in pectore, ha illustrato il suo programma. Vediamone i maggiori punti:

  • Rivedere “l’Obamacare”, la legge su una minima assicurazione sanitaria obbligatoria che porta il nome presidente uscente;
  • Rinegoziare il Trattato di libero scambio nordamericano (Nafta) con Canada e Messico;
  • Ritirare gli Stati Uniti dai negoziati con l’UE (Ttip);
  • Imposizione tariffa del 45% sui prodotti made in China;
  • Annullamento contributi da parte degli USA alle Nazioni Unite per portare avanti programmi di lotta ai cambiamenti climatici;
  • Espulsione di oltre due milioni di migranti criminali;
  • Costruzione di un muro al confine con il Messico e divieto d’ingresso nel Paese per i musulmani;
  • Carcere di due anni per i clandestini espulsi che rientrano negli USA;
  • Allentare le tensioni con la Russia, l’altra grande potenza mondiale;
  • Creazione di 25mln di posti di lavoro in dieci anni per una crescita del 4% l’anno.

Tutte queste misure rientrano nel c.d. contratto rivoluzionario che il neo-presidente dice di aver stipulato con gli elettori. Si tratta quindi di un ritorno ad una politica mercantilistica.

Come hanno reagito i mercati a tutto ciò? Le borse sono crollate vertiginosamente e il peso messicano ha subito il peggior crollo degli ultimi venti anni poiché la tendenza alla de-globalizzazione danneggerebbe il commercio di materie prime di Paesi emergenti, quali il Messico.

Questo è un programma alquanto dettagliato, ma allo stesso tempo possiamo definirlo anche un’incognita data la vulnerabilità del nuovo commander- in-chief, il quale, nonostante sia contro il melting pot americano, durante il suo discorso ufficiale dopo la vittoria, ha annunciato che la sua presidenza renderà orgogliosi tutti gli Americani. Cosa ne penseranno gli afroamericani e gli ispanici che più volte si sono sentiti offesi dal nuovo Presidente? E cosa dovremo aspettarci tutti noi nei prossimi anni? Will America really be great again?

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Siete mai stati in Tennessee? http://www.360giornaleluiss.it/siete-mai-stati-in-tennessee/ Wed, 09 Nov 2016 10:17:37 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7487 Lì dove le luci del progresso sembrano così distanti, lì si è fatta la storia mondiale di questa notte che ha portato all’elezione di Donald J. Trump a 45esimo Presidente del Paese più influente del mondo. Ma di chi è la vera vittoria? Chi ha giocato a favore? Il nuovo continente sembrava così inattaccabile da

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Lì dove le luci del progresso sembrano così distanti, lì si è fatta la storia mondiale di questa notte che ha portato all’elezione di Donald J. Trump a 45esimo Presidente del Paese più influente del mondo.

Ma di chi è la vera vittoria? Chi ha giocato a favore? Il nuovo continente sembrava così inattaccabile da demagogia, populismo e razzismo per chi l’ha osservato sempre dall’esterno. Il sogno americano era ancora vivido nella maggior parte della popolazione dell’intero globo, un sogno di democrazia e rivincita: quello del self made man che il vincitore rappresenta in toto. Nonostante ciò, chi ha saputo guardare il popolo a stelle e strisce con criticità, aveva già osservato che il fenomeno Trump faceva scalpore, rendeva il popolo sempre più curioso, più interessato ed appassionato al cosiddetto ‘palazzinaro del Queens’ a prescindere dal contenuto di comizi e di dichiarazioni. Dichiarazioni impensabili a Wall Street, come a Tribeca, a Downtown LA e negli stati dell’Ivy League, dove l’ex Segretario di Stato Clinton ha avuto la meglio. Ma perché oggi il divario democratici – repubblicani ci sembra così incolmabile? Le posizioni dei candidati erano opposte, i loro modi di fare politica anche. Una democratica di vecchio stampo e un repubblicano estremista che hanno fatto breccia nella parte di popolo che realmente li rappresenta: lei nelle grandi città e negli Stati più moderni, lui nei posti dell’entroterra in cui la fanno da padrone grandi distese di campi e uomini e donne delusi dal sogno americano. Sono loro i ‘veri’ americani, i più genuini rappresentanti di questo Stato: guardano con rancore gli immigrati senza ricordare di essere stati nella stessa situazione cinquant’anni prima, sono lontani dalle posizioni che concedono l’aborto e hanno il cristianesimo forte e presente nella loro vita. Sono la contraddizione rispetto al nostro concetto di progresso, al nostro ‘preconcetto’ di USA che ci spinge a vedere solo la New York cinematografica e la Los Angeles delle star.

Ma, per quanto duro da ammettere, bisogna riconoscere che stanotte hanno vinto i veri Stati Uniti d’America: lì dove le luci di Times Square sono così lontane.

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Bernie Sanders, la promessa rivoluzionaria del Democratic Party http://www.360giornaleluiss.it/bernie-sanders-la-promessa-rivoluzionaria-del-democratic-party/ Wed, 11 May 2016 13:10:56 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6616 10.05.2016 – “La settimana prossima vinceremo in West Virginia, e poi vinceremo in Kentucky e in Oregon” – così si esprime fiero dopo un’ inaspettata vittoria in Indiana Bernie Sanders, mentre parla a Louisville, in Kentucky. Lo separano dalla Clinton soltanto pochi punti, per un match chiusosi con 53 a 47 per il primo. A dispetto di

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10.05.2016 – “La settimana prossima vinceremo in West Virginia, e poi vinceremo in Kentucky e in Oregon” – così si esprime fiero dopo un’ inaspettata vittoria in Indiana Bernie Sanders, mentre parla a Louisville, in Kentucky. Lo separano dalla Clinton soltanto pochi punti, per un match chiusosi con 53 a 47 per il primo. A dispetto di chi credeva che chiunque fuorché lui potesse arrivare così lontano nella campagna elettorale, il senatore del Vermont ha sottolineato l’importanza di questa vittoria “perché le idee per cui ci stiamo battendo sono le idee del futuro dell’America”. Il sogno di Sanders è infatti poter ridare voce all’America su determinate questioni sulle quali il candidato alle primarie democratiche vorrebbe vederci più chiaro, idee che chiaramente lo collocano in una posizione di netto contrasto con la futura promessa alla presidenza stelle e strisce, la “sempreterna” Hilary Clinton.

Ma chi è, in realtà, Bernie Sanders? Dal forte accento popolare di Brooklyn, fa carriera in Vermont dove corre per la poltrona di sindaco di Burlington, dopo aver studiato Scienze Politiche a Chicago. Ama dichiararsi socialista democratico contro ogni rischio di apparire anacronistico, e forse è proprio questo a far presa sul suo elettorato, composto prevalentemente da giovani. Ma quella che ha tutta l’aria di essere la sua carta vincente, è #TTIPleaks. I documenti sul TTIP resi noti lo scorso 6 maggio da Greenpeace sono stati prodromici per un commento a caldo del senatore: “Le rivelazioni di oggi dimostrano che il cosiddetto accordo commerciale Usa-Ue ha poco a che fare con il “libero commercio” e molto a che fare con l’aumento del potere delle banche di Wall Street, delle aziende farmaceutiche e delle grandi compagnie petrolifere […]” e così conclude, mettendo ben in chiaro la sua posizione: “In qualità di presidente, il senatore Sanders non sarà d’accordo con qualsiasi accordo commerciale che minaccia la sicurezza alimentare […]. Il commercio è una cosa buona, ma deve essere onesto”. Il timore, esplicitato in decine di manifestazioni che hanno attraversato l’Europa (non ultima quella che ha visto i comitati #StopTtip sfilare per Roma sabato scorso), è che il Trattato sia una sorta di cavallo di Troia americano per abbassare gli standard qualitativi europei in fatto di agroalimentare, sicurezza del lavoro e, dulcis in fundo, diritti umani. Tanto più che l’Europa non appare unita in una trattativa che va avanti ormai dal 2013. La questione è delicatissima dalla trama non poco articolata. Si sarà mosso bene “Bern”, come lo chiamano i suoi affezionati, nella scelta del jolly da tirar fuori per la sua corsa alla Casa Bianca? Se sul fronte repubblicano Trump ha già fatto fuori i suoi rivali, le primarie democratiche si chiuderanno a Giugno, per cui l’ attesa di conoscere il verdetto, fino ad allora, non sarà poi troppa.

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Hillary ad un passo dalla Casa Bianca http://www.360giornaleluiss.it/hillary-ad-un-passo-dalla-casa-bianca/ Wed, 11 May 2016 08:43:37 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6611 Secondo i sondaggi dell’emittente televisiva statunitense CNN Hillary Clinton sarebbe la favorita per la corsa alla Casa Bianca. Se si votasse oggi vincerebbe con il 54% dei voti, con ben 13 punti di vantaggio su Donald Trump che si attesterebbe invece al 41%. Anche la BBC da la Clinton in vantaggio con il 46,7% delle

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Secondo i sondaggi dell’emittente televisiva statunitense CNN Hillary Clinton sarebbe la favorita per la corsa alla Casa Bianca. Se si votasse oggi vincerebbe con il 54% dei voti, con ben 13 punti di vantaggio su Donald Trump che si attesterebbe invece al 41%.

Anche la BBC da la Clinton in vantaggio con il 46,7% delle preferenze contro il 40,5% di Trump, uno scarto minore di quello pronosticato dalla CNN, ma comunque sufficiente a determinare una vittoria sicura per l’ex first lady.

Non solo Hillary Clinton avrebbe un solido vantaggio ma sarebbe anche giudicata dall’elettorato americano come la candidata più qualificata su molte questioni delicate, come per esempio il terrorismo.

Mentre per quanto riguarda l’economia del paese gli americani si fiderebbero maggiormente di Trump.

 

Dunque la strada per lo studio ovale sembrerebbe tutta in discesa per Hillary. O quasi.

Infatti sul fronte democratico c’è ancora Bernie Sanders, reduce dalla vittoria in Indiana, da battere.

Il dilemma che si trova davanti la Clinton è insidioso: spostare la sua campagna elettorale a sinistra per recuperare voti democratici dal bacino elettorale di Sanders o spostarla al centro per guadagnarsi la fiducia dei repubblicani moderati che mal tollerano Trump.

La strategia migliore secondo alcuni sarebbe la prima opzione: puntare sulla sinistra e disfarsi dell’avversario democratico. Effettivamente a spingere gli elettori moderati tra le braccia della Clinton ci pensa già lo stesso Trump con le sue provocazioni.

Altri ostacoli da non sottovalutare sarebbero lo scandalo delle email e il passato ingombrante del marito.

Trump non perde occasione per far pesare questa spada di Damocle sulla testa della sua avversaria. Sabato, durante un comizio a Spokane (Stato di Washington) ha infatti affermato: “Bill è l’uomo che ha più abusato delle donne nella storia della politica. Nessuno, nessuno si è comportato come lui. E alcune di queste donne sono state distrutte non da lui, ma da Hillary Clinton che è stata sua complice. Hillary le ha trattate in modo orribile, quando tutto è finito”. Ovviamente il riferimento è allo scandalo Lewinsky che investì Bill Clinton durante i suoi anni da presidente degli Stati Uniti. Ma l’attacco risulta infondato, la stessa ex stagista ha infatti supportato la candidatura della moglie di Clinton.

Sebbene secondo i sondaggi la strada per l’ex first lady sembri spianata, le variabili che potrebbero influenzare il voto degli americani, tra cui una possibile scarsa affluenza al voto, sono molte e in definitiva non resta che aspettare l’8 novembre.

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Super PAC e altre storie (di finanziamento) http://www.360giornaleluiss.it/super-pac-e-altre-storie-di-finanziamento/ Tue, 10 May 2016 16:34:52 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6598 Se state leggendo questo articolo e avete ancora qualche dubbio sul funzionamento di questa complicata macchina che sono le elezioni americane, i numeri di delegati che convergono o divergono a ogni tappa e i pronostici più accurati, è forse logico aspettarsi che sia io a chiarirveli. Ebbene, purtroppo non posso, perché sono anche io nella

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Se state leggendo questo articolo e avete ancora qualche dubbio sul funzionamento di questa complicata macchina che sono le elezioni americane, i numeri di delegati che convergono o divergono a ogni tappa e i pronostici più accurati, è forse logico aspettarsi che sia io a chiarirveli. Ebbene, purtroppo non posso, perché sono anche io nella vostra condizione. Ci sarà tra voi chi come me si trova anche a capire poco delle classifiche di calcio; sono sicura così di poter condividere con qualcuno il senso di confusione che talvolta accompagna l’ascolto dei più fanatici, mentre tutti i mondi possibili vengono ipotizzati già dieci giornate prima della fine del campionato mettendo in campo doti statistiche innate. Nel calcio quindi mi limito spesso a leggere tra le righe nei discorsi dei telecronisti quando elaborano le metafore più appassionate per descrivere un semplice assist, lasciando ad altri il giudizio sullo stato della classifica. Allo stesso modo, rispetto al meccanismo delle elezioni in sé e ai pronostici, mi risulta più semplice indagare su cosa risiede nel ‘dietro le quinte’. Perciò, mentre i più esperti avranno capito che non mi diletterò in proiezioni sul futuro delle “giornate di campionato” nei vari Stati americani e avranno già smesso di leggere questo articolo forse dopo poche righe, mi rivolgo a chi, come me, ha indirizzato uno sguardo al passato e si è chiesto: chi ha reso possibile tutto questo?

Jeff Koterba Color Cartoon Fo rFeb 26 2012 "Super Pacs"

Mai sentito parlare di “Super PAC”? Il nome può suonare alle orecchie di molti come un diminutivo carino di qualcosa molto complicato da comprendere. L’acronimo PAC sta per “Political Action Committee”, e, come suggerisce l’espressione, un PAC consiste in un’organizzazione che raccoglie donazioni tra i suoi membri in favore di campagne politiche. Di per sé, i PAC suonano come uno strumento semplice da gestire, poiché in origine, per tale finanziamento, era prevista una soglia massima. Nel 2010, per mezzo di due sentenze, questa soglia venne rimossa, e fu allora che i PAC divennero veramente Super. La caratteristica dei Super PAC è, come detto, l’assenza di una soglia di finanziamento, che è quindi potenzialmente illimitato, e può adesso provenire da numerosi canali: privati, aziende, organizzazioni. Il tutto deve avvenire a patto che l’azione del Super PAC si concretizzi senza coordinamento con la campagna del candidato: in pratica, se io sono un candidato, chiunque può finanziare spot pubblicitari e contenuti mediatici che mi riguardano e, soprattutto, indagini sulla vita privata dei miei avversari, a patto che non glielo dica ufficialmente io.

Nell’attuale corsa alla Casa Bianca, risulta che tutti i candidati siano sostenuti dai Super PAC, ad eccezione di Bernie Sanders, le cui forme di finanziamento non sono riconducibili a questa modalità.

È facile immaginare come l’impiego dei Super PAC dia origine a una serie di controversie. Esse possono essere ben riassunte da una dichiarazione del senatore John McCain del 2012: “I guarantee there will be a scandal, there is too much money washing around politics, and it’s making the campaigns irrelevant”. Tradotto, è il rischio che essi siano un canale privilegiato per la corruzione diffusa ai vertici politici. La seconda grande domanda che accompagna il discorso sui Super PAC riguarda il contributo frequente delle organizzazioni non-profit: qual è la fonte di tali risorse, considerato che chi le dona definisce la propria attività non finalizzata allo scopo di lucro?

La cosa più interessante sui PAC, comunque, è che la loro creazione venne prevista dalla riforma statunitense dei finanziamenti elettorali varata nel 2002, che aveva preso piede a partire dal 1974, l’anno in cui lo “scandalo Watergate” aveva riportato al centro del dibattito pubblico il sistema con cui le campagne elettorali venivano finanziate.

Sorge quindi spontanea una domanda: il riferimento di McCain a uno “scandal” e il flusso smisurato di risorse private che converge nelle campagne politiche dall’introduzione dei Super PAC, stanno ponendo le basi per una ricaduta della fiducia degli elettori Statunitensi nei confronti della trasparenza politica?

A voi le opinioni, un po’ come quando si discute se “quel fuorigioco c’era o no”.

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“Hillary complice”: la versione di Trump del sexgate http://www.360giornaleluiss.it/hillary-complice-la-versione-trump-del-sexgate/ Tue, 10 May 2016 06:52:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6594 Hillary “complice” del marito! Alza i toni Donald Trump tornando a rispolverare quello che è passato alla storia con il giornalistico nomignolo di sexgate. L’accusa rivolta all’avversaria democratica nella corsa alla Casa Bianca sarebbe quella di essere stata complice, appunto, delle infedeltà coniugali del marito, Bill Clinton, definito dal magnate di New York come “un

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Hillary “complice” del marito! Alza i toni Donald Trump tornando a rispolverare quello che è passato alla storia con il giornalistico nomignolo di sexgate. L’accusa rivolta all’avversaria democratica nella corsa alla Casa Bianca sarebbe quella di essere stata complice, appunto, delle infedeltà coniugali del marito, Bill Clinton, definito dal magnate di New York come “un uomo che è stato il peggior predatore di donne nella storia della politica”. Niente di nuovo sotto al sole, le scappatelle dell’ex presidente sono ben note al pubblico, ma Trump ha deciso di sfruttare ogni appiglio pur di togliere consenso e voti alla rivale, senza curarsi minimamente del rischio di finire nel politically incorrect. “E Hillary è stata complice e ha trattato quelle donne in maniera spaventosa”. Ha continuato poi affermando che alcune di queste sono rimaste devastate non tanto da lui quanto dal modo in cui le ha trattate lei.

Ma cosa c’è effettivamente dietro gli attacchi, sotto certi aspetti maldestri, rivolti contro la candidata democratica? Sicuramente un tentativo di recuperare consensi e simpatie nel bacino elettorale femminile verso il quale in passato si è lasciato andare a più di un commento non proprio utile a farsi amare dall’elettrice media. Il candidato repubblicano deve essersi reso conto di aver calcato eccessivamente la mano e cerca di recuperare il terreno dopo i numerosi scivoloni avuti durante l’intera campagna elettorale per le primarie tra i quali i più noti sono senz’altro la battuta su un’ex Coniglietta di Playboy durante una puntata di Celebrity Apprentice, la proposta di punire le donne che abortiscono, la descrizione del suo modello ideale di collega femminile, giovane sexy e aperta al business, senza dimenticare i numerosi attacchi alla giornalista Megyn Kelly.

Difficile che un intervento di così basso spessore possa rimetterlo in buona luce agli occhi dell’elettorato femminile ma è un chiaro e deciso segnale di un tentativo di cambio di rotta in vista del confronto finale dopo aver letteralmente travolto gli avversari interni al proprio schieramento.

La corsa alla Casa Bianca inizia a farsi serrata e il testa a testa si profila lungo e pieno di insidie per entrambi i candidati. Hillary non sarà da sola però in questo scontro: al su fianco infatti si schiererà persino Iron Man! Infatti secondo quanto dichiarato dall’attore Robert Downey Jr, il Tony Stark da lui interpretato si schiererebbe senz’altro al fianco dell’ex first lady:”Credo che Tony, essendo un femminista convinto, direbbe che è giunto il momento di avere un po’ di energia femminile alla Casa Bianca. Tony supporta Hillary Clinton”. Trump è avvisato, un supereroe supporta la Clinton.

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Mattia Tarelli, nello staff della Clinton alle presidenziali http://www.360giornaleluiss.it/mattia-tarelli-nello-staff-della-clinton-alle-presidenziali/ Mon, 09 May 2016 10:07:58 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6583 Quando il mio telefono comincia a squillare a Roma sono appena trascorse le sette di sera. Dall’altra parte dello schermo una voce solare e spontanea mi risponde da New York, e a voler essere precisi dalla sede delle Nazioni Unite, dove Mattia (che ha appena cominciato la sua pausa pranzo, sapete, il fuso) lavora da

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Quando il mio telefono comincia a squillare a Roma sono appena trascorse le sette di sera. Dall’altra parte dello schermo una voce solare e spontanea mi risponde da New York, e a voler essere precisi dalla sede delle Nazioni Unite, dove Mattia (che ha appena cominciato la sua pausa pranzo, sapete, il fuso) lavora da alcune settimane presso la delegazione UE. Ma la sua esperienza negli Stati Uniti è cominciata già tempo fa, lo scorso gennaio, quando è entrato a far parte del comitato per l’elezione della candidata democratica Hillary Clinton, prima come Fellow in Iowa e poi direttamente al quartier generale di NYC a Brooklyn Heights.

Sì, perché Mattia Tarelli, classe ’90, laureatosi lo scorso anno all’Università degli Studi di Milano, oggi studente della New York University, ha fatto parte – e da fine agosto, per il rush finale, vi farà ritorno – dello staff elettorale dell’ex-first lady Hillary Clinton, che oggi punta a ridiventare (questa volta però correndo con le proprie gambe) inquilina della Casa Bianca. Un ambiente, quello di “Hillary For America”, nel quale la percentuale di non americani si conta sulle dita di una mano e Mattia è l’unico a essere italiano.

  • Cosa ti ha trascinato in questa esperienza negli Stati Uniti?
    «È nato tutto quando ho deciso di fare l’application per la New York University. All’inizio mi hanno chiamato per un colloquio al telefono al quale non mi hanno preso. Poi, a inizio dicembre, ho notato un post sulla pagina dei Democrats della NYU che parlava di una posizione disponibile come Fellow per l’Iowa in gennaio fino alla caucus night. Sono stato preso e tornato da lì, i primi di febbraio, sono stato scelto dall’ufficio Risorse Umane del Quartier Generale.»
  • Com’è stata la tua avventura come Fellow in Iowa?
    «In Iowa lavoravamo tantissimo, dalle dodici alle quindici ore al giorno, sette giorni su sette! Anche se l’Iowa in realtà conta poco in termini di delegati, puramente matematici, conta però molto in termini morali e a livello emotivo. All’inizio facevamo tantissimo porta a porta con delle liste di persone “targetizzate”. In tanti casi hai dei dati sulla persona con cui stai parlando, sai chi ha o chi non ha votato alle passate elezioni, o se non ha votato affatto.»
  • E com’è stato invece passare al Quartier Generale di Brooklyn Heights, a New York City?
    «Lì ho iniziato ai primi di marzo; il quartier generale è molto affascinante, un ufficio gigantesco con un open-space enorme con centinaia di persone al lavoro, decorato proprio come se fossi in un film! Mentre in Iowa facevo qualsiasi cosa (eravamo solo in sei) al Quartier Generale invece il lavoro è tutto diviso tra i vari uffici. Io ero nel Volunteer Management e mi occupavo del coinvolgimento di nuovi e vecchi volontari, della loro gestione.»
  • Come mai Hillary Clinton? La seguivi già da tempo?
    «Mi piace molto Hillary perché i progetti che ha elaborato – anche nei dibatti contro Bernie – sono molto importanti, molto progressive, riformisti ma allo stesso tempo molto chiari. E soprattutto sono fattibili. Solo per farti un esempio: Sanders vorrebbe rendere gratuiti tutti i college, ma considerando la presenza di un Congresso a maggioranza repubblicana e che un terzo del carico dell’istruzione grava sugli Stati, è quasi impossibile realizzare ciò. Quello che per Hillary possiamo promettere, invece, è non far pagare le famiglie con un reddito più basso, ridurre i costi per le famiglie della middle-class e fare pressione su banche e istituti di credito per far sì che vengano abbassati i tassi di interesse sui prestiti per gli studenti.»
  • Quali messaggi, secondo te, verranno utilizzati da Trump e dalla Clinton a novembre?
    «Lo scontro tra i due sarà durissimo: da un lato Trump parla solo alla pancia delle persone con un populismo spaventoso, utilizzando razzismo e xenofobia. E mentre anche Sanders ha un messaggio molto populista, ma non poi così ben declinato, Hillary è invece la razionalità più pura. Sì, cerca comunque il coinvolgimento emotivo, ma ha dei piani concreti. Parla da sempre con i sindacati, le minoranze nere, i latinos e lavora da anni sull’immigrazione, l’inclusione sociale e l’incremento dei posti di lavoro.»
  • Una buona fetta dell’elettorato statunitense è formata da cittadini americani di origini italiane o comunque da soggetti appartenenti a minoranze. Come vi relazionate con loro?
    «
    So che ci sono dei dipartimenti della campagna che si chiamano latinos outreach che si occupano di raggiungere la minoranza latina elaborando varie strategie. Vengono creati tanti tweet e post sui social network in spagnolo, ad esempio. Proprio due o tre settimane fa mi è successo questo: dei volontari in ufficio stavano chiamando in Connecticut una signora siciliana di settantacinque anni che viveva da quaranta negli Stati Uniti ma non sapeva dire una parola in inglese! Io ho preso la telefonata e mi sono reso conto di come parlare qualcuno del comitato – in quel caso me – che sia in grado di comunicare nella tua stessa lingua sia molto, molto determinante. Dopotutto, nella natura del “candidato Hillary” e quindi della sua campagna non c’è nulla di straordinario in ciò: ha già dedicato davvero tutta la sua vita alle minoranze.»
     
  • Cosa pensi del bipartitismo americano Repubblicani – Democratici? Soprattutto i giovani statunitensi, nostri coetanei, non preferirebbero poter fare delle scelte più varie, che possano scardinare questo sistema?
    «Di questo ne ho parlato molto spesso con i miei amici americani. Va detto che all’interno dei due partiti ci sono tante divisioni: alle elezioni puoi scegliere se votare un democratico centrista o un democratico tradizionale (come Hillary, ad esempio) o ancora un democratico più a sinistra. In sostanza ognuno dei due partiti è suddiviso al suo interno in tre categorie. A molti miei colleghi statunitensi però piacerebbe che ci fossero più partiti; alcuni di loro hanno anche votato in passato dei candidati che han preso neanche l’1%, ma se ne sono chiaramente pentiti. Col maggioritario statunitense è molto improbabile che un partito diverso da quei due possa anche solo pensare di poter vincere; a meno che una figura nota (come Sanders, per esempio), già resasi importante dentro uno dei partiti principali, non decidesse di candidarsi in un terzo.»

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Quattro cose che ci hanno insegnato le primarie del Partito Repubblicano http://www.360giornaleluiss.it/quattro-cose-che-ci-hanno-insegnato-le-primarie-del-partito-repubblicano/ Sun, 08 May 2016 13:57:05 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6573 « Ci sono più probabilità che Trump faccia un altro cameo in “Mamma ho perso l’aereo” o giochi le finali NBA, piuttosto che vincere le primarie del partito Repubblicano » affermava Harry Enten nel giugno dello scorso anno. Enten è un giornalista politico e analista per FiveThirtyEight, il giornale online fondato dallo statistico Nate Silver.

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« Ci sono più probabilità che Trump faccia un altro cameo in “Mamma ho perso l’aereo” o giochi le finali NBA, piuttosto che vincere le primarie del partito Repubblicano » affermava Harry Enten nel giugno dello scorso anno. Enten è un giornalista politico e analista per FiveThirtyEight, il giornale online fondato dallo statistico Nate Silver. Le primarie sono andate molto diversamente da come Enten si aspettava, e per questo motivo ha messo in fila quattro cose che si possono imparare dalla vittoria di Donald Trump alle primarie del Partito Repubblicano.

 

Non si può dire “non è mai successo nella storia” quando c’è “poca” storia.

Nessuno dei due partiti aveva, storicamente, mai nominato uno come Trump: hanno sempre scelto qualcuno che fosse “affidabile”, ma soprattutto “eleggibile”. Trump sembrava (sembra?) non rientrasse in nessuna di queste due categorie.

 

La Commissione McGovern-Fraser era stata creata a seguito delle convulse primarie del Partito democratico del 1968: stabilì delle linee guida per le primarie, rendendole più simili a come si svolgono oggi. Il Partito Repubblicano si adeguò qualche anno dopo e le prime primarie a svolgersi con queste regole furono quelle del 1972. Dal 1972, i partiti non hanno mai scelto un candidato che non fosse né un politico né un veterano di guerra.

 

La nomina di Trump sembra quindi qualcosa di assurdo e inaspettato, perché “non è mai successo nella storia”. Il punto è che le elezioni negli Stati Uniti sono troppe poche per poterle considerare un dataset statisticamente rilevante. Il 22esimo emendamento, introdotto nel 1947, impone un limite di due mandati al Presidente: è successo solo 14 volte che ci fosse un Presidente non ricandidabile, come quest’anno.

 

Bisogna fare attenzione alle sfumature dei sondaggi.

I dati mostravano chiaramente che Trump non aveva il sostegno del Partito Repubblicano. Eppure era avanti nella maggior parte dei sondaggi.

 

I primi sondaggi, anche quelli fatti un mese prima di un’elezione primaria, non sono mai stati particolarmente predittivi: molti elettori non sanno chi votare fino al giorno delle elezioni. In quei casi, inoltre, assume un peso rilevante quanto il nome del candidato è conosciuto, e questo aiutava Trump.

 

Per questi motivi, quei sondaggi non sono stati presi in considerazione. Ma Trump si è sempre mantenuto in vantaggio, addirittura aumentando la propria percentuale all’inizio del 2016, sia a livello nazionale che locale.

 

Enten ritiene che sia stato un errore a quel punto non comprendere quello che stava succedendo e sottovalutarlo.

 

Non è così difficile migliorare gli indici di gradimento.

Trump ha sempre avuto indici di gradimento molto bassi, ma se inizialmente, nel giugno del 2015, un sondaggio della Monmouth University aveva registrato un indice di gradimento netto pari a -35, già un mese dopo era riuscito a raggiungere un punteggio pari a +17. Il suo punto di forza, a differenza degli altri candidati repubblicani, è un nutrito gruppo di sostenitori che lo vedeva e continua a vederlo “molto favorevolmente”. Questo blocco è rimasto costante nel tempo, anche quando il suo indice di gradimento crollava all’inizio del mese di aprile.

 

Non credere che i partiti sappiano cosa stanno facendo.

Trump non ha mai avuto il sostegno del partito Repubblicano, com’è evidente da questa grafica di FiveThirtyEight che riassume gli endorsement ricevuti finora. È il primo candidato dal 1980 a ottenere la nomination pur avendo meno endorsement di altri candidati. E allora perché il partito non è riuscito a fermarlo?
Il problema è stata la mancanza di coordinamento. Anche quando sembrava ci fosse una convergenza su Rubio, molti funzionari del partito sono rimasti ai margini senza avere il coraggio di prendere posizione. La cosa è poi stata ancora più evidente quando sono rimasti in corsa, oltre Trump, solo Ted Cruz e John Kasich.

 

Anche Trump ha dei meriti in tutto questo, sebbene non sia uno stratega e non avesse pianificato tutto. Ma è riuscito a ottenere una grandissima copertura mediatica gratuita (in maniera simile a ciò che Grillo era riuscito a fare alle elezioni politiche italiane del 2013). Ha sfidato l’establishment repubblicano e ha vinto. È presto per sapere se rappresenta un’eccezionalità o il futuro della politica degli Stati Uniti, ma tra non troppo tempo lo scopriremo.

 

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LE GIOVANI DONNE NON AMANO HILLARY http://www.360giornaleluiss.it/le-giovani-donne-non-amano-hillary/ Sat, 07 May 2016 14:15:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6560 Il primo candidato donna alla Casa Bianca con buone possibilità di entrarci deve inseguire il voto delle donne. Sembra strano, ma il problema di Hillary con l’elettorato femminile parte dalla sua storia personale: in molte l’avevano compatita per lo scandalo Lewinsky apprezzando la sua tenacia, altrettante ne avevano criticato il fatto che, pur di restare

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Il primo candidato donna alla Casa Bianca con buone possibilità di entrarci deve inseguire il voto delle donne. Sembra strano, ma il problema di Hillary con l’elettorato femminile parte dalla sua storia personale: in molte l’avevano compatita per lo scandalo Lewinsky apprezzando la sua tenacia, altrettante ne avevano criticato il fatto che, pur di restare attaccata al potere, aveva deciso di non lasciare il marito. Avevano, in poche parole, criticato la sua “mancanza di autenticità”. Certo è che la Clinton è una donna capace di affermarsi così nella vita pubblica e sul lavoro, e questo la fa stimare dalle femministe della sua generazione. Alle più giovani però questo non basta: la vedono falsa, pronta a tutto per vincere una elezione, e non si appassionano a lei, non si sentono rappresentate.

I primi segnali erano emersi già in Iowa, dove l’84% delle elettrici sotto i 30 anni aveva scelto il vecchio senatore 74enne del Vermont, invece di quella che poteva essere la loro madre e madrina. Nel New Hampshire le percentuali tra le giovani erano rimaste grosso modo invariate, ma stavolta Sanders aveva vinto l’intero elettorato femminile.

Allora l’ex segretaria di Stato Madeleine Albright, aveva minacciato: “C’è un posto speciale all’inferno per le donne che non votano Hillary”.  La Clinton ha difeso l’intervento della Albright, affermando che “quello che stava cercando di fare era di ricordare alle giovani donne che la battaglia femminista non è ancora finita”.

Altra gaffe quella di Gloria Steinem, icona del femminismo americano, che è riuscita ad essere ancora più offensiva. In un’intervista TV ha spiegato la ragione per cui, secondo lei, molte ragazze vanno ai comizi di Sanders: “Quando sei giovane pensi: dove stanno i ragazzi? E i ragazzi stanno da Bernie”. In altre parole: le elettrici votano per il senatore perché ai suoi comizi si rimorchia. Dunque le giovani sono stupide e appoggiano Sanders proprio per i problemi che il femminismo vorrebbe risolvere; le anziane invece sono arrabbiate, e quindi stanno con Hillary.

La risposta più forte arriva con un tweet dalla modella Emily Ratajkowski, di certo l’ultima ad aver bisogno di cercarsi un fidanzato ai comizi: “io non sto con Sanders per i ragazzi. Io voglio che la mia prima presidente donna sia qualcosa in più di un simbolo”. Come a dire che la Clinton vale nulla sul piano politico, e il genere non è una ragione sufficiente per votarla.

La reazione a questo genere di affermazioni è stata immediata e prevedibile: si è accentuata la spaccatura generazionale fra le femministe di ieri e quelle di oggi. Di certo l’ultima cosa di cui aveva bisogno la prima candidata donna con una chance di arrivare alla Casa Bianca. Hillary infatti vorrebbe unire tutto l’elettorato femminile non solo per il suo evidente valore simbolico, ma perché la sua elezione consentirebbe di promuovere politiche utili alle donne.

L’establishment femminista è comunque rimasto legato alla Clinton, perché dà garanzie su temi come l’aborto o la parità retributiva con gli uomini, ma il suo consenso è garantito solo sopra i quarant’anni. Sotto quella soglia nulla è poi così sicuro. Consapevole della sfida, il suo staff ha cercato di mostrare la candidata come un alfiere dei diritti delle donne, modificando i suoi discorsi per mettere in evidenza proprio questo aspetto. Hillary quindi continua a spingere sui temi delle donne come il diritto di abortire, la parità retributiva, l’aspettativa pagata quando nasce un figlio, nella speranza di riconquistare il gruppo elettorale che rappresenta il 53% del paese e farsi portare fino alla Casa Bianca.

Come prevedibile, il fatto di essere donna si è rivelata un’arma a doppio taglio per Hillary Clinton, ma non per la ragione che sarebbe stato ovvio aspettarsi, non per colpa dei maschi maschilisti. Per molte attiviste, infatti, l’elezione della Clinton non sarebbe altro che il logico passo successivo nella loro decennale battaglia; molte ragazze, invece, hanno respinto l’idea di doversi in qualche modo sentire obbligate a votare per Clinton semplicemente perché è una donna. Sanders ne ha ovviamente “approfittato” e, tentando di erodere sempre più il consenso della ex first lady, si è distinto per la sua battaglia contro la disuguaglianza salariale, mostrandosi comunque come un valido candidato femminista.

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