L’imprevedibile virtù del primo posto

Scrivere un editoriale, nel mio caso il primo, non è cosa semplice. Penso di essere un perfezionista, sicuramente pessimista, mai contento e con gusti difficili, anche quando devo scegliere di cosa parlare. Ho una naturale inclinazione verso l’indecisione, mista a quella strana voglia di far tutto, che poi inspiegabilmente si concretizza nel far niente.

Poi ho pensato alle nuove leve conosciute alla giornata della matricola, la domanda più frequente che mi veniva fatta era ovviamente “ma tu di cosa scrivi per il giornale?”e la risposta era sempre una, semplice, “Sport”. Era la miglior risposta in quel momento per perdere qualsiasi credibilità avessi ottenuto e deludere ogni loro aspettativa. Capisco che dopo essermi presentato come il Vice Direttore del giornale, aver raccontato delle esperienze fatte alla LUISS e fuori, tra Senato e Festival del Giornalismo, mi sarei potuto inventare qualcosa di più emozionante. La maggior parte, sconsolata da questa avvilente notizia, mi rispondeva con un il classico “Ah, interessante”, mentre  i più gentili sorridevano pure.

Forse avevano ragione loro. Passo una settimana a pensare attentamente a quello che sarebbe stato il tema di questo editoriale. Avrei potuto parlare delle elezioni americane e di Joe Biden (per me non si candida, quindi lo farà) del perché Rubio e Kasich saranno le soprese tra i Repubblicani, del ruolo economico e politico di Infront o su perché tutti dovrebbero vedere i film di Nanni Moretti. Da tempo sogno di fare un articolo su David Axelrod, lo stratega di Obama, e avevo pure pensato di parlare del Niente, ma lì neanche Flaubert ci è riuscito. Quindi dopo giorni a pensare a qualcosa di serio di cui parlare, ho deciso che in realtà non sono mai stato una persona seria, e alla fine non vedevo motivo di iniziare proprio ora. Non avevano ragione loro. E poi come facevo a non parlarne proprio adesso, adesso che l’illusione di un anno bellissimo è più forte che mai. Proprio non potevo. L’argomento doveva essere quello: La Fiorentina di Paulo Sousa.

La Fiorentina in tutta la sua storia ha vinto due scudetti, uno nel ’55/’56 e l’altro nel ’68/’69. Nel 1999 potevamo vincere il terzo ed abbiamo  dominato il campionato fino a gennaio, poi è successo un po’ di tutto e addio tricolore. Era la Fiorentina di Trapattoni, Batistuta, Toldo e Rui Costa. Io a 5 anni di calcio mi interessavo ben poco e quindi per me questa è la prima volta che vedo la Viola in testa al campionato di serie A.

Il 14 ottobre 1529 l’esercito di Carlo V, saccheggiata Roma e costretto alla resa Papa Clemente VII, decide di dirigersi verso Firenze iniziando un assedio che durerà 10 mesi. Il 17 Febbraio 1530, giorno di carnevale, i fiorentini decidono di farsi beffe degli assedianti giocando una partita di calcio in Piazza Santa Croce, luogo ideale per poter farsi vedere dai soldati dell’imperatore. Inoltre se mai vi capitasse di passare da Borgo Ognissanti, al civico 12, notereste uno strano balcone, con gli elementi architettonici tutti al contrario. La leggenda narra che tutto sia dovuto a una discussione tra Baldovinetti, padrone di casa, e Alessandro de’ Medici, signore di Firenze. Le vie di Firenze erano e sono piuttosto strette ed Alessandro aveva vietato costruzioni troppo appariscenti ed ingombranti. Esasperato dalle continue richieste di Baldovinetti, Alessandro gli concesse di costruire il balcone ma a patto che fosse costruito al contrario, pensando così di aver trovato uno stratagemma vincente. Ma orgoglio e sarcasmo sono qualità fin troppo fiorentine e Baldovinetti non perse l’occasione per costruire il suo balcone.

Vi dico queste cose perché ho sempre pensato che per comprendere la Fiorentina, la sua natura, il suo gioco, la sua posizione all’interno del calcio italiano, sia necessario prima comprendere Firenze. Mentre sto scrivendo il direttore sportivo Daniele Pradè parla ai microfoni di Sky Sport “Le contestazioni in estate fanno parte della mentalità di questa piazza, ma quando ti svegli e hai Firenze davanti tutto passa in secondo piano”. Penso che l’amore che i fiorentini hanno per la propria squadra sia secondo solo a quello che hanno per la propria città, ma se è vero che le discussioni più forti si hanno proprio con chi si ama, allo stesso modo la piazza di Firenze è destinata a vivere imprigionata dentro se stessa, dentro contestazioni e polemiche, incapace di muoversi, incapace di godersi i propri momenti migliori. Non mi fraintendete, penso che la forza più grande della Viola risieda proprio nel Franchi e in tutti i tifosi che ogni domenica occupano Fiesole, Ferrovia e Maratona. Allo stesso tempo ho però la sensazione e la paura che Firenze sia la nemesi stessa della Fiorentina. Nemesi nel suo significato di nemico che non può essere sconfitto , l’impossibilità di far andare le cose nel verso che vogliamo. A volte penso davvero che la gente pensi troppo, quando basterebbe fermarsi un attimo e godersi il momento senza pensare agli errori del passato o aspettarsi meraviglie o catastrofi dal futuro, non dico sempre, soltanto un poco in più, quel poco che farebbe tutta la differenza del mondo.

Adesso parliamo del campionato. Sette partite giocate, 18 punti, più dieci sulla Juve e soli in testa alla classifica. Dall’ultima volta in cui era successo è cambiato praticamente tutto, non c’è più Batistuta e dalla maglietta hipster con lo sponsor NINTENDO di quella stagione siamo passati alle elegantissime divise di Le Coq Sportif. Faccio una premessa, non sono un visionario, non penso che a maggio alzerò gli occhi così in alto per trovare la posizione della Fiorentina, ma sinceramente non mi interessa per niente. Sembra che quasi vi sia il bisogno di doversi giustificare per gioire di questo momento, come se non fosse permesso, come se vi fosse un’inspiegabile paura a frenare la nostra felicità. La Fiorentina è prima e probabilmente non lo sarà più tra qualche mese, ma sicuramente lo è adesso, ed io non trovo una valida ragione per non dover credere che possa lottare per lo scudetto. Per non dover pensare, almeno per una volta, di poter sognare fino alla fine. Il mio modo di vedere lo sport è questo, fatto più di illusioni e speranze che di statistiche; l’altra visione è quella di Lotito, per cui realtà come il Carpi neanche dovrebbero essere presenti in Serie A. Ultimissima cosa, nel ’68/’69 la Viola di De Sisti vinse contro il Milan di Rivera, il Cagliari che era già quello di Riva e l’Inter di Facchetti e Mazzola. E poi ha ragione Algernon Moncrieff  (se non sapete chi è dovete leggere di più Oscar Wilde) quando dice che l’essenza di ogni storia d’amore è l’incertezza.

Tornando alla mia indecisione sulla scelta dell’argomento ho letto qualche giorno fa sul blog di Luca Sofri una parte di un’intervista di Teresa Ciabatti a Claudio Giunta che alla domanda se esiste un rapporto tra Radio Deejay e Matteo Renzi risponde così: “Non c’è bisogno di far tornare tutto, dimostrando che ogni singola pagina che si scrive è un frammento di qualche colossale Intero. Non c’è nessun Intero, nessun principio ispiratore o organizzatore, almeno nel mio caso. Semplicemente , mi interessano molte cose molto diverse tra loro. Come a tutti