Orange Fiber: quando buccia d’arancia non significa scarto ma possibilità.

Quando parliamo di EXPO ci vengono in mente infiniti padiglioni e tanto tanto cibo. Eppure, chi, come me, ha deciso di andare a farci un giro, ha potuto vedere che non è solo questo. Infatti, EXPO significa anche idee e cambiamento.
Per esempio, voi, dopo esservi fatti una bella spremuta di arancia, cosa ne fareste delle bucce? Enrica Arena e Adriana Santanocito, due giovani ragazze Siciliane, amanti della loro Terra e di una delle sue più importanti risorse, la produzione di arance appunto, hanno ideato una soluzione per evitare che le bucce siano dei semplici scarti.
L’idea si chiama “Orange Fiber” ed è una startup che sviluppa filati innovativi e vitaminici degli agrumi, con l’obiettivo di creare un tessuto sostenibile e cosmetico, che risponda alle esigenze di innovazione dei brand di moda. Per fare ciò, dovrebbero essere utilizzate le 700.000 tonnellate di sottoprodotto che l’industria di trasformazione agrumicola italiana produce annualmente, ovvero il 40% del peso complessivo degli agrumi utilizzati.
Al livello tecnico, ciò significa che dal pestaio viene estratta una cellulosa adatta alla filatura, che, grazie alle nanotecnologie, viene microincapsulata nel tessuto dell’olio essenziale degli agrumi, dando così al filato un effetto benefico per la pelle di chi indossa il capo. E’ come se la persona che lo indossa, si spalmasse una vera e propria crema cosmetica. Inoltre, grazie a questa innovazione tecnologia, vengono ridotti i costi e la quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera, oltre a creare nuovi sbocchi sul mercato sia per il settore agrumicolo che tessile.
Il brevetto è stato sviluppato con il Politecnico di Milano, depositato in Italia ed esteso al PCT internazionale. Nel febbraio del 2014 è stata costituita l’azienda Orange Fiber, con sede a Catania e nel Trentino, finanziata da due Business Angel, un avvocato e TrentinoSviluppo.
Il percorso è ancora lungo e da Settembre 2014 solo due prototipi sono stati realizzati: uno in raso ed uno in pizzo acetato di agrumi e seta. Tuttavia, come le due ideatrici sostengono, anche se la strada è ancora in salita, non ci sono limiti alla fantasia, alla creatività e alla voglia di migliorare se stessi e, in questo caso, l’ambiente.

Articolo apparso su “360° – Il giornale con l’Università intorno”, n.01, settembre 2015, anno XIV.