L’inverno nel New Jersey può essere rigidissimo. Può arrivare fino a svariati gradi sottozero, con la gelida brezza dell’Atlantico che da Est copre tutta la vasta distesa della Pine Barrens. È il vento del Noreaster, che soffiando sulle cime innevate della catena montuosa delle Pockenos, crea immagini suggestive.
Tuttavia per chi vive in quelle zone, il clima non è la più grande delle preoccupazioni. Infatti a Mahwah, NJ ha chiuso un’altra fabbrica e così come in tante altre towns dell’entroterra americano. Molte famiglie si ritrovano sull’orlo del lastrico, senza poter garantire ai propri cari una vita dignitosa, una giusta educazione o più semplicemente il pane a tavola.
Johnny si ritrova quindi a girare ramingo per tutta la città, in cerca di lavoro, senza però riuscire a trovare un impiego, uno qualunque. Sa bene che in un mondo come quello, in queste condizioni non potrebbe durare molto. Colto dallo sfinimento e dalla disperazione, il giovane finirà per delinquere, commettendo involontariamente un omicidio per poi essere condannato a 99 anni di prigione.

È la storia di Johnny 99, hit contenuta nell’album Nebraska di Bruce Springsteen, uscito in piena epoca reaganiana. Una parabola di un cittadino qualunque che descrive la rovinosa caduta di chi ha lavorato per tutta la vita e che improvvisamente si ritrova senza niente, costretto per sfamare la propria famiglia a scendere a compromessi con la parte più oscura di sé, in una società che fa della competizione sfrenata il perno della realizzazione dell’individuo.
Ma la realtà di Johnny è la realtà di migliaia e migliaia di famiglie dell’America rurale, nati ultimi che moriranno ultimi, che palesa le contraddizioni dell’american way of life, del modo di vivere e del sistema giudiziario a stelle e strisce. Ma è anche il racconto dei cantori della tradizione folk-popolare americana, che fanno della lotta alle ingiustizie e ai privilegi di pochi un principio cardine della loro narrazione. Una tradizione che affonda le sue radici nei canti collettivi dei farmers americani nell’epoca della Grande Depressione, ripresa da Woody Guthrie con This Land is Your Land sfociando nell’armonica a bocca di Bob Dylan negli anni della contestazione civile.
Un tema ricorrente, quello dell’ingiustizia sociale, che troverà ampio spazio anche nella letteratura americana. Nel suo bestseller Furore, John Steinbeck ritrae con lucidità la storia travagliata della famiglia Joad, che dopo aver perso tutto il raccolto e il bestiame, è costretta a intraprendere un lungo e fortunoso viaggio verso la California.
È il dramma della Dust Bowl, una serie di tempeste di sabbia che nel corso degli anni Trenta imperversarono su tutto il territorio nord-americano, costringendo milioni di persone a lasciare le distese praterie del Midwest per raggiungere le floride terre dell’Ovest.

La lirica di Steinbeck coniuga sapientemente la drammaticità di una vita di stenti con il desiderio di un futuro migliore di una famiglia di contadini, che di fronte alla miseria, lotta strenuamente per andare avanti nonostante le dure sfide impartite da un destino malevolo.
Il filo che sembra congiungere tutte queste storie è l’azione degli individui che rende il fato ancora più avverso: il sopruso dei più forti e lo sfruttamento nei confronti di chi è disposto a fare qualsiasi cosa per sopravvivere, sono topos dello storytelling americano. Inoltre il movimento quasi circolare degli individui simboleggia un peregrinaggio continuo e invano di chi non ha una casa, di chi lotta giorno per giorno. Non fa differenza se il lavoro sia sottopagato o sfruttato: la povertà è una pena da scontare e non importa se il “reato” sia stato commesso volontariamente.

Così venivano chiamati in modo dispregiativo gli abitanti dell’Oklahoma
Ma nel capolavoro di Steinbeck, vi è un barlume di speranza che sublima la disperazione in un valore più alto. È l’orgoglio che viene vinto dalla dignità, il sentimento più alto che unisce in comunione le famiglie di sfollati, permettendo loro di resistere a tutto e di darsi una mano a vicenda, a chi come I Joad soffre le pene e le privazioni della povertà estrema.
Comincia a maturare una nuova coscienza negli “ultimi”, che si rifiutano di cedere ai duri ostacoli della vita e al crollo di ogni certezza, per mantenere un’integrità interiore necessaria alla sopravvivenza: fino a quando proveranno un senso di ingiustizia e di rabbia che divampa dentro loro, non saranno mai privati del rispetto di sé stessi e della loro dignità come esseri umani, giungendo finalmente al riscatto.
“Nell’anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia.”