usa – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Thu, 22 Feb 2018 10:08:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png usa – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Io non ho vissuto in America http://www.360giornaleluiss.it/non-vissuto-america/ Sun, 04 Jun 2017 13:40:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8670 Durante il mio quarto anno di liceo ho avuto il privilegio di partire per “l’anno all’estero”, e oggi vorrei parlare di quell’esperienza di cui non ho ancora mai avuto il coraggio di scrivere per paura di portare alla luce ricordi che forse non ero pronta ad affrontare. Sono stata presa in California da una bellissima

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Durante il mio quarto anno di liceo ho avuto il privilegio di partire per “l’anno all’estero”, e oggi vorrei parlare di quell’esperienza di cui non ho ancora mai avuto il coraggio di scrivere per paura di portare alla luce ricordi che forse non ero pronta ad affrontare. Sono stata presa in California da una bellissima famiglia che mi ha amata come una figlia e che, sin dal primo giorno, ho sentito come mia. La California mi ha dato tanto: mi ha fatto scoprire i miei limiti, che erano molto più estesi di quanto non pensassi, mi ha insegnato che nella vita vera, se vuoi qualcosa “you have to make it happen”, e che a volte bisogna solo guardare i problemi da un altro punto di vista. Parlo di California e non di America non per una questione di velleità, ma perché IO NON HO VISSUTO IN “AMERICA”.

La mia sorellina Amalina, di soli dodici anni al tempo, ma con la lungimiranza di un adulto, mi correggeva sempre dicendomi che io “non stavo vivendo in America, ma bensì in California”.

Non credo di aver mai capito queste parole per davvero. Fino ad oggi.

Oggi, per la prima volta, ho riflettuto sulle sue parole che prima suonavano solo come una frase fatta, un modo di dire, e ho capito che Amalina non voleva intendere che la California fosse migliore del resto, ma solo che non era uguale al resto.

In California ho imparato “l’amore per il diverso”, ho conosciuto persone che in Italia avrei etichettato come “sfigate”, e che in realtà nascondevano un universo dietro la loro stravaganza, ho imparato a rispettare le scelte altrui, anche se diverse dalle mie, e ho imparato che una persona con il colore della pelle, l’aspetto fisico o l’orientamento sessuale diverso dal nostro, è esattamente uguale a noi. Ho imparato a rispettare l’ambiente, e ad amare i nuovi orizzonti, ma soprattutto ho imparato a non giudicare.

La mia “esperienza americana” si è limitata a questo tanto. Ho vissuto per dieci mesi in una bolla magica che nella mia mente ho innalzato a stereotipo dell’intero Paese. Per me l’America era quello: era gioia, era voglia di fare, rispetto e dialogo. Io ho vissuto il mio “American Dream” e per questo mi sono sempre sentita riconoscente verso quel Paese che mi aveva accolta e fatta sua. Ma mi sbagliavo.

In questi mesi mi sono chiesta in che America ho vissuto e oggi, guardando il telegiornale, ho trovato la risposta: io non ho vissuto in America ma in California, che è diverso.

Amalina aveva ragione a correggermi, perché se gli americani hanno scelto Trump come loro presidente, significa che egli ne rappresenta la maggior parte in ogni sua scelta, e ogni sua scelta va nella direzione opposta rispetto all’educazione che la mia mamma americana mia ha dato.

Sono mesi che Trump porta il suo Paese sempre più lontano da quella che era la mia America, ma oggi il passo è stato decisivo. Oggi egli ha confermato quello che tutti temevamo e, con la sua innata faccia di bronzo, ha annunciato che ha intenzione di ritirarsi dai Trattati di Parigi, portando il secondo Paese più grande del mondo a poter contribuire, senza regole né limiti, al riscaldamento globale. Quello stesso fenomeno che, d’altronde, Trump ha definito “un’invenzione dei cinesi per ostacolare le industrie americane concorrenti” e che quindi risulta, agli occhi di un’America ignorante e inibita, una grande bugia alla quale tutto il resto del mondo ha creduto.

Non sono bastate le proteste, non gli slogan, e neanche Macron che rivisita la grande massima Trumpiana: “Let’s make America great again” riportando su tutti i canali nazionali “Let’s make the world great again”. Ogni sforzo è stato vano, perché Trump, di fatto, può, e può perché quella stessa popolazione che a breve soccomberà sotto una politica ultra-protezionista ed individualista, lo ha eletto.

Dove ho vissuto io i musulmani, gli hindi, i cristiani e i mormoni erano la stessa cosa, e quando uno studente faceva “outing” gli si stava vicino, ma poi neanche troppo, perché è una scelta come un’altra e nessuno sentiva il bisogno di farne un dilemma. Dove vivevo io i ricchi si vestivano come i meno ricchi, frequentavano gli stessi posti e uscivano con le stesse persone, tutti facevano la raccolta differenziata e ogni membro della comunità provvedeva al sostentamento della stessa, indipendentemente da orientamento sessuale o religioso, dal sesso o dalla classe sociale di provenienza.

Dove vivevo io, il giorno in cui è stato approvato il matrimonio per le coppie gay, la città si è fermata e la gente si è riversata in strada tra baci abbracci e urla di gioia.

Dunque se questa è l’America, io non ho vissuto in America e, di questo, rimarrò per sempre delusa.

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Verso la seconda guerra coreana? http://www.360giornaleluiss.it/verso-la-seconda-guerra-coreana/ Sat, 15 Apr 2017 16:25:19 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8522 La penisola coreana sembra essere sull’orlo di una nuova guerra, che potrebbe scoppiare nelle prossime 24 ore. Nel giorno del centocinquesimo anniversario della nascita di Kim Il-Sung, la Corea del Nord ha mobilitato più di centomila persone per onorare il “padre della patria”, nonché nonno del leader Kim Jong-Un. Oggi la televisione di Stato nordcoreana

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La penisola coreana sembra essere sull’orlo di una nuova guerra, che potrebbe scoppiare nelle prossime 24 ore. Nel giorno del centocinquesimo anniversario della nascita di Kim Il-Sung, la Corea del Nord ha mobilitato più di centomila persone per onorare il “padre della patria”, nonché nonno del leader Kim Jong-Un. Oggi la televisione di Stato nordcoreana ha mostrato le immagini di una gigantesca parata militare tenuta nella capitale Pyongyang, dove hanno sfilato migliaia di soldati e numerosi carri armati e camion con a bordo nuovi missili balistici intercontinentali. Si è trattato chiaramente di una prova di forza da parte del dittatore coreano nei confronti sia dell’amministrazione Trump che della Corea del Sud e del Giappone. Secondo l’ambasciatore russo a Pyongyang, un nuovo test missilistico coreano potrebbe essere prossimo: probabilmente il 25 aprile, anniversario della creazione dell’esercito nordcoreano. La Corea del Nord, per bocca di Choe Ryong-He, il più potente ufficiale del regime comunista, “risponderà a una guerra totale con una guerra totale” e ha assicurato che il Paese è pronto ad affrontare qualsiasi minaccia proveniente dagli Usa. Dal canto suo, Washington ha recentemente inviato in prossimità delle coste coreane una portaerei nucleare, la Vinson, in risposta ad eventuali lanci di missili, mentre il Segretario di Stato americano, Rex Tillerson, ha ventilato l’ipotesi di un attacco preventivo per fermare l’avanzata del regime in campo nucleare. Persino il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha affermato che la guerra tra Usa e Nord Corea potrebbe scoppiare da un momento all’altro, tanto è vero che la compagnia area cinese Air China sospenderà i voli verso la capitale nord coreana a partire dal prossimo 17 aprile.

Secondo l’emittente televisiva americana Nbc, gli Usa sarebbero pronti a un raid con armi convenzionali (come la recente Moab, bomba usata nei giorni scorsi in Afghanistan contro l’Isis) contro il regime di Kim Jong-Un, nel caso effettui ulteriori test nucleari. Lo Stato maggiore nordcoreano, in risposta, attaccherebbe le basi militari americane in Giappone e Corea del Sud. Comunque, l’ipotesi di un raid non dovrebbe essere la prima scelta americana. Resta, infatti, in piedi l’ipotesi di ulteriori sanzioni contro la Corea del Nord, magari con l’appoggio della Cina, unico alleato del dittatore coreano.

La Corea del Nord è molto pericolosa in quanto fa del mistero attorno ai suoi progressi scientifici in campo nucleare il suo punto di forza. Sicuramente il Paese asiatico non è in grado di colpire il territorio statunitense, però i Paesi vicini alleati degli Usa, ossia Corea del Sud e Giappone, potrebbero essere presi di mira con testate chimiche, quali il gas nervino denominato Sarin. Per non parlare delle bombe, convenzionali o meno, che provocherebbero la distruzione di Seul, la capitale della Corea del Sud, nel giro di pochi minuti.

Oltre all’attacco preventivo per evitare ulteriori test nucleari e ai raid aerei per distruggere le basi missilistiche coreane, un’ulteriore opzione potrebbe essere un colpo di Stato ad opera della Cina, tesa a scongiurare le opzioni militari statunitensi. Soluzione accreditata dalla cattiva reputazione che ha Kim Jong-Un presso il regime cinese. La Cina vuole evitare un cambio di regime coreano, magari filoamericano, con capitale a Seul, in conseguenza dell’eventuale riunificazione della penisola. Per questo, sarebbe preferibile sostituire il folle dittatore della dinastia Kim con un soggetto fedelissimo al regime di Xi Jinping. In ogni caso, sembra che il Giappone stia studiando, in previsione di una guerra, un piano per evacuare i circa sessantamila giapponesi che si trovano al momento in Corea del Sud.

Oltre all’alone di segretezza che aleggia intorno al regime dinastico comunista, c’è l’elemento della totale imprevedibilità in politica estera del presidente Usa, Donald Trump. Questi ha fermamente deciso di voler cambiare l’approccio nei confronti della Corea del Nord. Le precedenti amministrazioni si sono limitate a sanzioni o a dichiarazioni pubbliche, oltre a mantenere un importante contingente militare in Corea del Sud, presente dal 1953, anno della conclusione della guerra di Corea, che funge da deterrente a ulteriori conflitti nella penisola. In passato salda era l’alleanza tra il regime coreano e la Cina e gli Usa perseguivano la cosiddetta “strategia della pazienza”: aspettare e se possibile anticipare il collasso di un Paese sottoposto ad un duro regime repressivo e basato su un sistema economico obsoleto.  La situazione sembra che stia cambiando grazie alle timide prese di distanza della Cina, dovute ai numerosi test missilistici compiuti da Pyongyang.

I più recenti episodi – quali il bombardamento americano di una base del regime siriano di Assad e l’utilizzo della Moab (Mother of all bombs) contro una base dell’Isis in Afghanistan – sono stati visti da diversi esperti come dimostrazioni di forza contro la Corea del Nord, al fine di dissuaderla dallo scontro con gli Usa. Il primo episodio è relativo al fatto che gli statunitensi non tollerano alcun utilizzo non autorizzato di armi (pochi giorni fa il regime siriano avrebbe usato armi chimiche contro i ribelli causando numerose vittime civili). Il secondo sta a dimostrare che gli Usa non soltanto dispongono di armi non atomiche particolarmente efficaci, ma sono anche pronti ad usarle.

Il problema principale rimane che né gli Usa né i suoi alleati conoscono con precisione di quante testate nucleari e di quante basi missilistiche disponga il governo nord coreano. In altri termini, un attacco americano preventivo non sarebbe in grado di eliminare la minaccia asiatica, ma metterebbe a serio rischio sia le truppe americane sia i civili giapponesi e sud coreani. Insomma, nessuno avrebbe la certezza di poter evitare attacchi atomici provenienti da Pyongyang.

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Quel che non ti aspetti-South Carolina http://www.360giornaleluiss.it/quel-che-non-ti-aspetti-south-carolina/ Sat, 04 Feb 2017 11:01:31 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8052   Occhi nevosi, rossore accennato, l’intimità che ti accoglie alla porta quando ancora rivolgi lo sguardo al calcestruzzo, quasi bisbigli al tuo cuore che basta sorridere, che brancoliamo in un buio precario. Non ci son gatti per strada, sarà stata la tirannia dei “roditori alberati” ad averli costretti alla fuga, o l’abbondanza di ghiande e

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Occhi nevosi, rossore accennato, l’intimità che ti accoglie alla porta quando ancora rivolgi lo sguardo al calcestruzzo, quasi bisbigli al tuo cuore che basta sorridere, che brancoliamo in un buio precario.
Non ci son gatti per strada, sarà stata la tirannia dei “roditori alberati” ad averli costretti alla fuga, o l’abbondanza di ghiande e la loro scarsa predisposizione ad una dieta vegana, chissà…
Ovunque, un vapore bianco fuoriesce dai tombini, ti offusca di indiscrezione, perché? E nella curiosità incalzante mastichi il torpore del mattino, bevi un caffè, più che altro anneghi in acque torbide. Un po’ ti manca il tuo espresso, così conciso, così piacevolmente breve. E poi, baratti quel sorriso per una Bialetti, in realtà è un’allegria vicendevole, ha il sapore di una terra sconosciuta, ti arricchisce della sua storia.16467111_10211955972085468_1541091010_n

Occhi timidi su cui accanirsi sgranocchiando imbarazzo, si brancola nella penombra. Il cantico delle brasseries non può che essere una rivendicazione d’amor di patria. Eppure, qui si bevono sacchetti di carta, non si barcolla sui propri passi, non ci si siede a terra troppo a lungo.

Il libertinismo si agghinda di rosa cipria, mostra le gambe, si pettina i capelli argentati, parla di sé ed ammalia. Poco distante, lo sguardo si spegne nel compiacimento di qualsivoglia virilità, in un frastuono simile non è più lecito chiedere, siamo rondelle all’ingrosso.

Questa è una terra che si consuma alla luce del sole, che si scava sotto i piedi dei viandanti ed indossa frutici. Che non ci sia un’appartenenza radicata è di per sé identità, incava ogni sguardo che sfugge, ne succhia l’essenza e se ne arricchisce. In questi luoghi, ogni respiro è una folata di vita, ed i sogni percorrono da soli un lungo cammino. Più spesso, si perdono nella natura grezza dell’essenza umana.

Questa è una terra che biascica di sé masticando tabacco, mentre si raschia il ventre solerte. Ancora, una donna selvatica con le labbra dipinte, il viso d’ebano… di emancipazione, trascina con sé uno sguardo scompigliato; di paradossale inciviltà, puoi percepire lo scricchiolio di caviglie sottili che si sgretolano sotto il suo peso.

Occhi ingenui, ovunque, persino le foglie parlano la lingua di Takchawee, ma noi gli abbiamo messo le amarene in bocca.
Se solo prestassimo l’orecchio, tuttora bisbigliano.

di Andrea Valeria Ciavatta

 

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“MAKE AMERICA GREAT AGAIN” http://www.360giornaleluiss.it/make-america-great-again/ Wed, 09 Nov 2016 21:36:00 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7502 9.11.2016: la storia è riscritta. Donald John Trump è il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Il front runner repubblicano, nella notte italiana tra martedì e mercoledì, ha battuto la democratica Hillary Clinton e dal 20 gennaio 2017, data del giuramento, siederà ufficialmente nello Studio Ovale. Prima di analizzare le elezioni e il programma del

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9.11.2016: la storia è riscritta. Donald John Trump è il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Il front runner repubblicano, nella notte italiana tra martedì e mercoledì, ha battuto la democratica Hillary Clinton e dal 20 gennaio 2017, data del giuramento, siederà ufficialmente nello Studio Ovale.

Prima di analizzare le elezioni e il programma del candidato repubblicano, vediamo in breve chi è Donald Trump. Nato a New York nel 1946 da una famiglia di origine tedesca, è un famoso imprenditore immobiliare e uno degli uomini più ricchi del mondo. Il suo successo viene sancito nel 1982 con la costruzione della famosa Trump Tower sulla Fifth Avenue su cui spicca il nome dell’imprenditore. Il tycoon newyorchese ha sempre manifestato la volontà di scendere in campo, ma ha dapprima sostenuto i Repubblicani durante la presidenza Reagan e, in seguito, ha stretto rapporti personali con Bill Clinton e si è schierato contro il presidente uscente Barack Obama. Il 16 giugno del 2015, però, ha annunciato formalmente la sua candidatura alle presidenziali del 2016 con lo slogan “Make America great again” e, lo scorso luglio, è divenuto ufficialmente il candidato repubblicano alla Presidenza eliminando dalla scena i suoi sfidanti tra cui Ted Cruz e Jeb Bush.

Ma veniamo alla notte più attesa da tutti. Nonostante ci fossero altre aspettative, considerando anche i sondaggi e i numerosi endorsement alla candidata dem Clinton, con 280 grandi elettori (stando ai dati pubblicati dal NYT) Trump ha conquistato la Presidenza degli USA. E non solo: infatti, con lui i repubblicani hanno conquistato la maggioranza di Camera e Senato, cosa che non accadeva dal 1928. Tra i due front runner c’è stato un lungo testa a testa dato che la Clinton, l’ex Segretario di Stato durante la prima amministrazione Obama, ha avuto quasi 170mila voti assoluti in più, ma ha perso in Stati chiave come la Pennsylvania, dove dal 1988 avevano sempre vinto i democratici. Alcuni americani però non hanno solo scelto il loro Presidente: infatti, il Nebraska ha votato a favore del ripristino della pena di morte nello Stato, mentre California e Massachusetts hanno approvato la legalizzazione della marijuana a fini ricreativi.

Trump Pence

Durante la lunga campagna elettorale, il magnate, e fino al prossimo gennaio Presidente in pectore, ha illustrato il suo programma. Vediamone i maggiori punti:

  • Rivedere “l’Obamacare”, la legge su una minima assicurazione sanitaria obbligatoria che porta il nome presidente uscente;
  • Rinegoziare il Trattato di libero scambio nordamericano (Nafta) con Canada e Messico;
  • Ritirare gli Stati Uniti dai negoziati con l’UE (Ttip);
  • Imposizione tariffa del 45% sui prodotti made in China;
  • Annullamento contributi da parte degli USA alle Nazioni Unite per portare avanti programmi di lotta ai cambiamenti climatici;
  • Espulsione di oltre due milioni di migranti criminali;
  • Costruzione di un muro al confine con il Messico e divieto d’ingresso nel Paese per i musulmani;
  • Carcere di due anni per i clandestini espulsi che rientrano negli USA;
  • Allentare le tensioni con la Russia, l’altra grande potenza mondiale;
  • Creazione di 25mln di posti di lavoro in dieci anni per una crescita del 4% l’anno.

Tutte queste misure rientrano nel c.d. contratto rivoluzionario che il neo-presidente dice di aver stipulato con gli elettori. Si tratta quindi di un ritorno ad una politica mercantilistica.

Come hanno reagito i mercati a tutto ciò? Le borse sono crollate vertiginosamente e il peso messicano ha subito il peggior crollo degli ultimi venti anni poiché la tendenza alla de-globalizzazione danneggerebbe il commercio di materie prime di Paesi emergenti, quali il Messico.

Questo è un programma alquanto dettagliato, ma allo stesso tempo possiamo definirlo anche un’incognita data la vulnerabilità del nuovo commander- in-chief, il quale, nonostante sia contro il melting pot americano, durante il suo discorso ufficiale dopo la vittoria, ha annunciato che la sua presidenza renderà orgogliosi tutti gli Americani. Cosa ne penseranno gli afroamericani e gli ispanici che più volte si sono sentiti offesi dal nuovo Presidente? E cosa dovremo aspettarci tutti noi nei prossimi anni? Will America really be great again?

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Siete mai stati in Tennessee? http://www.360giornaleluiss.it/siete-mai-stati-in-tennessee/ Wed, 09 Nov 2016 10:17:37 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7487 Lì dove le luci del progresso sembrano così distanti, lì si è fatta la storia mondiale di questa notte che ha portato all’elezione di Donald J. Trump a 45esimo Presidente del Paese più influente del mondo. Ma di chi è la vera vittoria? Chi ha giocato a favore? Il nuovo continente sembrava così inattaccabile da

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Lì dove le luci del progresso sembrano così distanti, lì si è fatta la storia mondiale di questa notte che ha portato all’elezione di Donald J. Trump a 45esimo Presidente del Paese più influente del mondo.

Ma di chi è la vera vittoria? Chi ha giocato a favore? Il nuovo continente sembrava così inattaccabile da demagogia, populismo e razzismo per chi l’ha osservato sempre dall’esterno. Il sogno americano era ancora vivido nella maggior parte della popolazione dell’intero globo, un sogno di democrazia e rivincita: quello del self made man che il vincitore rappresenta in toto. Nonostante ciò, chi ha saputo guardare il popolo a stelle e strisce con criticità, aveva già osservato che il fenomeno Trump faceva scalpore, rendeva il popolo sempre più curioso, più interessato ed appassionato al cosiddetto ‘palazzinaro del Queens’ a prescindere dal contenuto di comizi e di dichiarazioni. Dichiarazioni impensabili a Wall Street, come a Tribeca, a Downtown LA e negli stati dell’Ivy League, dove l’ex Segretario di Stato Clinton ha avuto la meglio. Ma perché oggi il divario democratici – repubblicani ci sembra così incolmabile? Le posizioni dei candidati erano opposte, i loro modi di fare politica anche. Una democratica di vecchio stampo e un repubblicano estremista che hanno fatto breccia nella parte di popolo che realmente li rappresenta: lei nelle grandi città e negli Stati più moderni, lui nei posti dell’entroterra in cui la fanno da padrone grandi distese di campi e uomini e donne delusi dal sogno americano. Sono loro i ‘veri’ americani, i più genuini rappresentanti di questo Stato: guardano con rancore gli immigrati senza ricordare di essere stati nella stessa situazione cinquant’anni prima, sono lontani dalle posizioni che concedono l’aborto e hanno il cristianesimo forte e presente nella loro vita. Sono la contraddizione rispetto al nostro concetto di progresso, al nostro ‘preconcetto’ di USA che ci spinge a vedere solo la New York cinematografica e la Los Angeles delle star.

Ma, per quanto duro da ammettere, bisogna riconoscere che stanotte hanno vinto i veri Stati Uniti d’America: lì dove le luci di Times Square sono così lontane.

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Sei cose da sapere su Halloween http://www.360giornaleluiss.it/sei-cose-sapere-su-halloween/ Mon, 31 Oct 2016 12:45:16 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7373 Don Ruggero è il parroco di La Loggia, un comune italiano di circa 8.880 anime in provincia di Torino. Don Paolo, invece, sta a Grugliasco, sempre in Piemonte, sempre in provincia di Torino, ma lì di abitanti ce ne sono 38.000 circa. Parrocchie vicine, idee lontane. Il primo, infatti, ha affisso fuori dalla sua chiesa manifesti

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Don Ruggero è il parroco di La Loggia, un comune italiano di circa 8.880 anime in provincia di Torino. Don Paolo, invece, sta a Grugliasco, sempre in Piemonte, sempre in provincia di Torino, ma lì di abitanti ce ne sono 38.000 circa. Parrocchie vicine, idee lontane. Il primo, infatti, ha affisso fuori dalla sua chiesa manifesti contro le “zucche vuote” e l’”Halloween Party” che sta per essere organizzato nella piazza principale del paese. Il secondo, al contrario, nella parrocchia di San Giacomo ha organizzato due grandi feste per ragazzi e bambini, scatenando le ire di alcuni fedeli indignati.

Pietra dello scandalo, ovviamente, Halloween, la festa pagana che divide gli italiani tra credenti bacchettoni e chi, senza nemmeno sapere bene cosa si festeggi, si sta attrezzando con trucchi e abiti demoniaci per andare “a ballare” in discoteca.

In realtà, quasi tutto quello che sappiamo sulla festività celebrata durante il 31 di ottobre, noi italiani più che dal catechismo l’abbiamo appreso dagli Stati Uniti e, in particolare, da Hollywood. Serie TV, film, cartoni animati, hanno portato nello Stivale streghe, vampiri, fantasmi, mostri di ogni genere. Non che in Italia non esistano festività legate ai santi o ai defunti, ma quelle si celebrano nei giorni successivi, e sono legate strettamente alla Chiesa.

L’halloween come lo conosciamo oggi, quello“alla americana maniera”, ha tuttavia radici ben più lontane, e spirituali. Sei punti per capirne il significato e non cadere nel baratro dell'”italiano medio”.

IL NOME La parola “halloween” proviene dalla locuzione inglese “all hallow eve”, ossia “vigilia di tutti i santi”. La parola che conosciamo oggi era inizialmente una variante scozzese, che con gli anni è entrata nel vocabolario comune. Dunque, niente di così differente dal nostro cattolico “ognissanti”, che viene celebrato il primo di novembre, il giorno successivo.

LE ORIGINI Nacque tra i Celti, popolazione dell’Europa precristiana. Per queste genti provenienti dalle isole britanniche, il 31 ottobre si celebrava Samhain, festa pagana anche conosciuta come “capodanno celtico”. Il nome viene dal gaelico Samain, che significando “fine dell’estate” o “novembre”, indicherebbe la conclusione della stagione del raccolto e l’inizio dell’inverno, della stagione più difficile. Durante questa notte, considerata magica, le anime dei morti tornavano sulla terra per frequentare i luoghi che erano stati loro abituali da vivi, e venivano quindi celebrati con feste e cerimonie gioiose.

GLI ANTICHI ROMANI Può sembrare assurdo, ma anche gli Antichi Romani celebravano il proprio, personalissimo “Halloween”. “Deorum Manium Iura Sancta Sunt” era una delle leggi delle XII Tavole, in cui si sanciva la sacralità dei Mani, gli dei della Morte. Il mese dedicato ai defunti, nel culto Romano, però, era febbraio. L’otto di novembre, tuttavia, venivano aperte le porte del Santuario di Cerere, divinità materna della terra e della fertilità, a Roma. Il santuario era caratterizzato da una profonda fossa circolare, il “mundus”, che costituiva un passaggio fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Da lì, in quel giorno, i defunti potevano tornare tra i viventi e aggirarsi indisturbati nella città.

TRICK OR TREAT Durante il Medioevo, una pratica popolare per la giornata di Ognissanti era la preparazione della “soul cake”, un dolce semplice, fatto di pane con decorazioni di ribes e uva sultanina. Nella tradizione chiamata “souling”, i bambini andavano di porta in porta chiedendo una fetta di torta. Per ogni fetta ottenuta, ciascuno doveva recitare una preghiera per un parente o un amico defunto, o per ringraziare coloro che avevano donato il dolce. Le preghiere avevano lo scopo di facilitare l’uscita degli spiriti dal purgatorio e arrivare così più facilmente in paradiso.

JACK O’ LANTERN La tradizione dell’intaglio della zucca –che inizialmente era una rapa-, alimento di stagione, risale alla storia di questo personaggio ormai mitologico. Jack, infatti, era un fabbro irlandese furbo e ubriacone. Una sera, egli incontrò il diavolo al pub. Il diavolo voleva la sua anima, ma Jack lo convinse a trasformarsi in una moneta in cambio di un’ultima bevuta. Passati dieci anni il diavolo tornò, e i due fecero un nuovo patto: libertà per il diavolo e niente dannazione eterna per Jack. Alla sua morte, però, l’uomo non fu accolto né in paradiso né all’inferno, dal quale il diavolo stesso lo scacciò lanciandogli un tizzone ardente che finì in una rapa, da utilizzare come lanterna. Da allora il fabbro gira senza pace alla ricerca di un rifugio.

CONTEA DI MEATH Scherzi a parte, si trova a nord di Dublino, nella provincia di Leinster, conta 134.000 abitanti circa, ed è il luogo dove per la prima volta venne celebrato il Capodanno Celtico. Il Meath viene informalmente chiamata the Royal county, perché al suo interno è situata l’antica Collina Reale di Tara, sede dell’High King of Ireland, e rappresenta forse la contea più impregnata di connotati storici e tradizionali della sua nazione, per la presenza di siti archeologici straordinari come Newgrange e Tara. Ogni 31 ottobre vi si celebra il “vero e proprio” halloween, com’era festeggiato dai celti, con una grande fiaccolata e riti tradizionali!

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L’altra America: il museo di storia afroamericana http://www.360giornaleluiss.it/laltra-america-il-museo-di-storia-afroamericana/ Sun, 02 Oct 2016 16:28:55 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7119 Smithsonian National Museum of African American History & Culture: è questo il nome del museo inaugurato a Washington DC il 24 settembre, dopo tredici anni dall’autorizzazione per la costruzione data dal presidente George W. Bush. Ispirandosi alla poesia I, Too di Langston Hughes, il museo vuole descrivere la storia afroamericana come storia di tutta l’America,

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Smithsonian National Museum of African American History & Culture: è questo il nome del museo inaugurato a Washington DC il 24 settembre, dopo tredici anni dall’autorizzazione per la costruzione data dal presidente George W. Bush.

Ispirandosi alla poesia I, Too di Langston Hughes, il museo vuole descrivere la storia afroamericana come storia di tutta l’America, e spiegare cosa sia realmente l’identità americana, intrecciata al passato degli afroamericani. Il museo è stato disegnato da David Adjaye con l’aiuto di Philip Freelon. L’allestimento della mostra segue un ordine cronologico piuttosto che tematico. L’edificio, con la sua forma a corona, s’ispira all’arte africana, e il color bronzo è un richiamo al duro lavoro degli schiavi. L’itinerario percorre le tappe più importanti per la storia degli afroamericani: dalle prime barche in cui furono ammassati per essere venduti, alle varie brutalità a cui furono sottoposti, come il Ku Klux Klan e tutte le discriminazioni subite nel corso degli anni. È possibile osservare le tuniche originali dell’organizzazione segreta e gli attrezzi utilizzati per mantenere gli afroamericani in condizioni di schiavitù, come ad esempio fruste, manette di ferro e catene.

All’ultimo piano, il museo illustra il talento delle “black people”, partendo dal campo musicale fino ad arrivare a sport, letteratura, cinema e teatro. Inoltre, all’interno della struttura vengono elencate molte curiosità e paradossi: il presidente Jefferson, per esempio, autore del secondo paragrafo della dichiarazione di indipendenza americana in cui è scritto che “tutti gli uomini sono stati creati uguali”, era famoso per avere all’interno delle sue proprietà circa 600 schiavi. Il museo affronta di petto la storia americana di schiavitù e oppressione. Eppure, oltre a commemorare la sofferenza, vuole far arrivare un messaggio positivo. Guardando tutta la mostra, come i visitatori possono soltanto rabbrividire di fronte al luogo e all’asta in cui gli schiavi venivano venduti e comprati, così possono vedere chiaramente la forza e la resistenza che ha caratterizzato queste persone chiamate a sopravvivere. Il pubblico a cui si rivolge il museo non è solo la comunità afroamericana, ma un pubblico eterogeneo.

Smithsonian National Museum of African American History & Culture: un nome lungo, perché lungo è stato il percorso per l’eguaglianza, percorso ancora non del tutto finito e senza ostacoli; i fatti avvenuti a Charlotte ne potrebbero essere un chiaro esempio. La storia degli afroamericani continua a evolversi con fatica e sforzi, ma il messaggio è chiaro: noi non ci arrendiamo.

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Lo facevamo in macchina, sognando la California http://www.360giornaleluiss.it/lo-facevamo-in-macchina-sognando-la-california/ Wed, 14 Sep 2016 12:19:54 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6996 Ci siamo, anche quest’anno è arrivata la fine dell’estate e, più che di partenze, forse si dovrebbe parlare di arrivi e di ritorno alla routine. Ma settembre è anche fatto per tirare un po’ le somme, fare qualche considerazione sui bei momenti passati e, così facendo, non rispondere al dovere che chiama sempre con la massima puntualità. Dunque, vorrei raccontarvi dell’arduo compito

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Ci siamo, anche quest’anno è arrivata la fine dell’estate e, più che di partenze, forse si dovrebbe parlare di arrivi e di ritorno alla routine. Ma settembre è anche fatto per tirare un po’ le somme, fare qualche considerazione sui bei momenti passati e, così facendo, non rispondere al dovere che chiama sempre con la massima puntualità. Dunque, vorrei raccontarvi dell’arduo compito che mi è stato assegnato quest’estate (o forse, per meglio dire, che mi sono auto-assegnata): preparare la playlist che avrebbe accompagnato me e i miei, fortunati o sfortunati non saprei, amici per più di due settimane di viaggio negli Stati Uniti.

È possibile immaginare una partenza senza aver preparato la colonna sonora che accompagnerà i giorni di vacanza, programmati con mesi di anticipo? Chiaramente per me è impensabile e, proprio per questo motivo, ho iniziato la ricerca di quelle canzoni che avrei voluto ascoltare durante i non brevi viaggi in macchina per spostarci da una città all’altra della California (e non solo). Se è vero poi che la musica è qualcosa di profondamente soggettivo, allora la scelta si complica e l’obiettivo di trovare qualcosa che piaccia davvero a tutti diventa quasi impossibile da raggiungere. Alla fine, dopo giorni e giorni di estenuante ricerca, ho tirato fuori qualcosa. Poiché non mi è bastato, al ritorno ho deciso di stilare un’ulteriore classifica: le dieci canzoni, tra tutte quelle scelte, che per me hanno segnato le tappe del viaggio e che un po’ riescono a raccontarlo.

Sono posizionate in ordine di preferenza, ma attenzione! La scelta si basa su “sentimenti di pancia”, non necessariamente accompagnati da motivazioni serie e razionali, anche se vorrei provare a dare qualche spiegazione. Si parte dall’ultima, per creare un po’ di genuina suspense.

10. Calcutta – Arbre Magique

Domanda lecita: ma cosa c’entra Calcutta in un road trip negli Stati Uniti? Assolutamente nulla e la scusa della macchina citata nel testo della canzone, luogo di incontri non certo professionali per il cantautore di Latina, non è affatto buona. La verità è che buona parte del gruppo non condivide questa mia passione musicale, perciò è stata inserita per dare un po’ “fastidio” e per cantare a squarciagola (prevalentemente da sola).

9.Tame Impala – Feels Like We Only Go Backwards 

Anche questa forse non è la prima canzone che viene in mente, quando si progetta un viaggio in macchina. L’ho ascoltata spesso prima di partire, insieme al resto di

Lonerism, e proprio in quei giorni precedentimi sono immaginata una scena: noi, in auto, assonnati, di fronte ad una delle prove più difficili che la vita ci abbia mai messo davanti: cercare di tenere almeno mezza palpebra di un solo occhio aperta, considerati i non pochi chilometri percorsi per vedere i paesaggi che la 17-Mile Drive aveva da offrirci. Il viso poggiato tra la parte superiore del braccio e il finestrino, lo sguardo rivolto verso l’esterno, una macchina fotografica a portata di mano e lei, bassa, di sottofondo. Forse, alla fine non è andata esattamente così. Su Youtube si trova anche la versione degli Arctic Monkeys: non bella come l’originale, a mio avviso, ma comunque da non perdere.

8. Phantom Planet – California

Sul fatto che sia in tema, non ci dovrebbero essere dubbi. In verità, ha ottenuto un posto in classifica perché ci ha accompagnati sul Golden Gate Bridge, con i finestrini abbassati del nostro più che sobrio CHRYSLER GRAND VOYAGER nero per farefoto,video e goderci il passaggio.

7. Red Hot Chili Peppers – Californication

Poiché “it’s understood that Hollywood sells Californication”, arrivati a Los Angeles, la musica dei RHCP non poteva davvero mancare, specialmente durante il tragitto che ci avrebbe condotti sino alla Hollywood Sign. Trovare la strada non è stato così semplice: il navigatore, come spesso accade, non è stato d’aiuto. Al tramontar del sole, mentre la maggior parte dell’equipaggio cercava compulsivamente Pokémon in ogni angolo della città, ormai la strada era persa definitivamente. Abbiamo ritentato il giorno seguente, questa volta con successo e sempre sulle note della band proveniente dalla”city of angels“.

6. Elvis Presley – Viva Las Vegas

Ci è capitato spesso di sentirla, ma non solo in macchina. Notare che i lampioni della Strip erano muniti di casse e amplificatori per trasmettere musica a qualsiasi ora del giorno o della notte, ha contribuito a consolidare la non percezione di Las Vegas come città. E come poteva mancare Viva Las Vegas? Non credo di poter riuscire a realizzare di averla davvero sentita mentre passeggiavamo tra l’esplosione di colori di una città che posso descrivere usando un solo aggettivo: surreale.

5. Canned Heat – On the Road Again

E quando pensi che sia finita, è proprio allora che, zaini in spalla, ci si rimette “on the road again”.

4. Scott McKenzie – San Francisco (Be Sure to Wear Flowers in Your Hair)

È stata una tra le prime canzoni che ho voluto inserire nella playlist, per ovvi motivi. Pensare a San Francisco per me non può che voler dire pensare a questo brano, composto da John Phillips, leader dei The Mamas & The Papas, e diventata famosa in tutto il mondo grazie alla voce di Scott McKenzie, nome d’arte di Philip Wallach Blondheim, scomparso appena qualche anno fa. Sicuramente, è stata una tra le canzoni simbolo degli anni ’60 e della cultura hippie. Se è vero che la “gentle people with flowers in their hair”,citata nel testo, oggi non rispecchia esattamente la stravaganza e lo stile di vita di molti abitanti della città più fredda e nebbiosa in cui abbiamo soggiornato, l’atmosfera che si respira lì è magica e suggestiva. Quindi, “If you’re going to San Francisco, be sure to wear some flowers in your hair!”.

3. Aerosmith – Walk This Way

Si sale sul podio. Energica e perfetta per iniziare una giornata, specialmente se non riesci a bere un caffè minimamente accettabile da più di dieci giorni. Questa canzone degli Aerosmith, contenuta in Toys in the Atticdel 1975, è adrenalina pura. Ma la ragione per cui si trova in questa classifica è una sola: era la prima della lista musicale ed è diventata il vero tormentone del viaggio, fino a quando non ci siamo resi conto di poter impostare la modalità “random”.

2. The Mamas & The Papas – California Dreamin’

Solo per il fatto di averla ascoltata centinaia e centinaia di volte si meritava un posto in questa classifica. È stata più volte canticchiata, a bassa voce, con gli occhi socchiusi e lo schiocco di dita ripetuto a tempo, nelle immense highways a quattro o forse cinque corsie, mentre sognavamo di essere “safe and warm in L.A.”.

1. America – A Horse with No Name

È stata una tra le canzoni più ascoltate durante tutto il viaggio, ma soprattutto non è potuta mancare durante il tragitto di circa cinque ore da Los Angeles a Las Vegas. La situazione in macchina era più o meno sempre la stessa: i passeggeri che dormivano nelle posizioni più impensabili, collaudate dopo giorni di prove e un guidatore sempre più solo, che ricordava tanto Bryan Cranston nelle vesti di Walter White nella seconda puntata della terza stagione di Breaking Bad, qualche secondo prima di essere fermato da una volante della polizia. Una colonna sonora che si è perfettamente abbinata ad un paesaggio che si andava trasformando chilometro dopo chilometro, sempre più arido, roccioso e caratterizzato da un calore che si poteva percepire anche solo sfiorando il finestrino dell’auto con una guancia.

The time is gone

The song is over

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COPA AMERICA 2016: UN CENTENARIO FESTEGGIATO NEGLI STATES http://www.360giornaleluiss.it/copa-america-2016-un-centenario-festeggiato-negli-states/ Mon, 09 May 2016 09:39:23 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6571 Dire Copa America ad un amante del gioco più bello del mondo, significa far suscitare emozioni particolari, creare un immaginario costellato dei grandi squadroni Sudamericani, farciti di campioni che hanno segnato la storia di questo sport nel mondo. Non giriamoci intorno, Copa America significa Sud America, o meglio, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, perché le regine

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Dire Copa America ad un amante del gioco più bello del mondo, significa far suscitare emozioni particolari, creare un immaginario costellato dei grandi squadroni Sudamericani, farciti di campioni che hanno segnato la storia di questo sport nel mondo.

Non giriamoci intorno, Copa America significa Sud America, o meglio, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, perché le regine del calcio, a quelle latitudini, sono loro e non ce ne vogliano i Centro e Nord Americani. Però il continente è grande e racchiude moltissime federazioni, non solo quelle latine dove il calcio ha il valore del sacro, una passione ai limiti dell’eros, ma si è aperto a molte altre nazioni. E se il Centro America una tradizione calcistica,se pur non a grandi livelli, la mantiene (pensate ai risultati del Messico più che positivi negli ultimi anni), l’attenzione si può indirizzare verso il paese ospitante: gli USA.


Terra di football (quello strano con la palla ovale), di baseball, basket e hockey. Quegli Americani storicamente sempre più inclini agli altri sport che al “Soccer”. Ma da qualche anno a questa parte si sono cominciati ad aprire grandi spiragli di interesse: in fin dei conti è una terra ricca. Gli investimenti nel pallone possono esserci anche lì, e un ringraziamento speciale per la crescita di interesse non può che andare agli “Hispanicos”. Tutti gli immigrati di origine latina che negli States, oltre un bagaglio carico di speranze, si sono portati la loro pasion, el futebol.
E allora vuoi che l’interesse sta aumentando, che gli occhi degli Americani guardano con maggior fascino i campioni nelle leghe Europee. Vuoi pure che il calcio è lo sport del popolo per antonomasia, gli Stati Uniti si ritrovano ad ospitare un’edizione del Torneo Sudamericano così importante: la Copa Centenario, che festeggia i 100 anni di esistenza della CONMEBOL, il corrispettivo sudamericano della UEFA.

Già i significati aumentano, perché il trofeo consegnato sarà nuovo, diverso a quello delle precedenti 44 edizioni, porterà nel paese a stelle strisce tutti i campionissimi sudamericani (pesa l’assenza di Neymar nel Brasile, causa Olimpiadi) e si concentrerà (guarda un po’) nelle 10 città con maggiori comunità latine. Una nazione che quindi darà vita ad un torneo inedito, nuovo il trofeo in palio, diversa la formula (la tradizionale Copa America è a 12 squadre,con solo due centro e nord americane) e inaspettato il pubblico. Hanno fatto capo alla loro proverbiale organizzazione e ritardi non ce ne saranno, ma i prezzi dei biglietti hanno già smosso diverse critiche. Considerati poco popolari, visto che l’indirizzo di pubblico prediletto sarà composto proprio dai cittadini di origine Hispanica, molti provenienti dai ceti più bassi del paese. Ma oltre le polemiche e il caro prezzi, l’attesa è alta e l’attenzione sarà comunque di primo piano. Sapranno regalare gli Stati Uniti uno spettacolo degno del futebol d’oltreoceano? Lo scopriremo solo vivendolo.

Quali saranno i partecipanti e le date? Per la prima volta saranno 16: Argentina,Bolivia,Brasile,Cile,Ecuador,Paraguay,Perù, Uruguay,Venezuela,StatiUniti,Messico,Costarica,Giamaica,Panama,Haiti. Le date invece: 3 Giugno a Santa Clara la partita d’apertura, 26 Giugno Metlife stadium la finalissima.
Pronti alla più grande festa di compleanno dei popoli Americani?

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CUBA: LA DOPPIA CORSIA DI OBAMA http://www.360giornaleluiss.it/cuba-la-doppia-corsia-di-obama/ Thu, 24 Mar 2016 09:57:52 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6191 “Oggi voglio farvi partecipi della mia visione del nostro possibile futuro. Non posso costringervi ad aderirvi, ma è bene che sappiate cosa penso. Credo che tutti gli individui debbano essere uguali di fronte alla legge. Ogni bambino merita la dignità che deriva dall’istruzione, dall’assistenza sanitaria, da un tetto sulla testa. Credo che i cittadini debbano

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“Oggi voglio farvi partecipi della mia visione del nostro possibile futuro. Non posso costringervi ad aderirvi, ma è bene che sappiate cosa penso. Credo che tutti gli individui debbano essere uguali di fronte alla legge. Ogni bambino merita la dignità che deriva dall’istruzione, dall’assistenza sanitaria, da un tetto sulla testa. Credo che i cittadini debbano essere liberi di esprimere la propria opinione senza paura, di criticare il loro governo, di protestare pacificamente, senza essere incarcerati arbitrariamente. Credo che ciascuno debba essere libero di praticare la propria fede in pace e in pubblico. E credo fermamente che i cittadini debbano essere liberi di scegliere chi li governa in elezioni libere”.

Queste le parole di Obama nel suo discorso pubblico al Teatro Nazionale, ma quando inizia a parlare di diritti umani, il presidente cubano si gira a chiacchierare con il suo ministro degli esteri. Un chiaro segno di indifferenza. Ma poco dopo Raul Castro deve incassare un duro colpo: il presidente degli USA incontra 13 dissidenti cubani all’interno dell’ambasciata degli Stati Uniti all’Avana. Tra questi troviamo Berta Soler, leader dell’associazione Damas de Blanco, la più attiva nella denuncia degli abusi di Castro. “Tutti voi avete mostrato un coraggio straordinario, sollevato questioni di democrazia” dice Obama per elogiare i dissidenti. La politica USA perciò non è fatta solo di incontri al vertice con il presidente Castro e di relazioni tra i due governi. Molto dipende anche dalla possibilità di ascoltare la voce del popolo cubano, per garantire che sia ascoltata dal governo e per fare in modo che viva nella libertà e nel benessere.

Obama mantiene perciò due livelli di comunicazione: uno col governo, perché è ovvio che da lì passa la normalizzazione dei rapporti diplomatici dopo 55 anni di guerra fredda; l’altro con la società civile, inclusa quella parte che lotta contro le restrizioni delle libertà e contro il sistema economico dirigista. L’altro messaggio è rivolto alla destra americana che identifica questo riavvicinamento a Cuba come un “cedimento” statunitense, non riconoscendo il fallimento della politica dell’embargo. Obama ha dimostrato che dialogare con il regime non vuol dire accettare le violazioni dei diritti umani e non esclude pesanti critiche al governo.

Il discorso di Obama si chiude con un messaggio di speranza e di vicinanza rivolto sia al suo popolo che a tutti i cubani:  “La storia degli Stati Uniti serba rivoluzione e conflitto; lotta e sacrificio; castigo e riconciliazione. Ormai è tempo di lasciarci il passato alle spalle. È tempo di guardare insieme al futuro: un futuro de esperanza. Ci vorrà tempo e non sarà facile. Possiamo fare questo viaggio da amici, da vicini. Insieme. Sì, se puede.” Si, si può. Si può permettere ai cubani di votare per il proprio leader, si può porre fine al regime, agli arresti politici, 2.555 tra Gennaio e Febbraio. Si può essere liberi.

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