“Strappare lungo i bordi” l’ho visto tutto in un pomeriggio dopo le lezioni in cui non mi andava di pensare, perché ero un po’ giù. Quando l’ho finito, però, mi sono ritrovato con molto da pensare, elaborare, comprendere. Già questo credo basti per dirvi una cosa: è una grande serie (guardatela!). Perché è una serie che vi accompagnerà a lungo: occuperà un piccolo spazio del cuore e del cervello, e non se ne schioderà più. Rimarrà con voi per sempre. E riaffiorerà, su una panchina, su un treno, o guidando per le strade di Roma alle due di notte.
Quel pomeriggio non mi andava di pensare, dicevo, volevo evadere un po’. Ho acceso il computer, messo le cuffie, e guardato la serie. E poi mi sono ritrovato a riflettere su quello che avevo visto tutta la sera. La mattina dopo, quando mi sono svegliato, la storia che Michele Rech, in arte Zerocalcare, racconta in questa serie Netflix è stata la prima cosa a cui ho pensato.
“Strappare lungo i bordi” è un’indicazione che troviamo spesso, su un documento, magari, o una confezione. A volte ci riusciamo facilmente, e finisce lì. Altre volte potremmo scattare una foto a quel blando comando e corredarla della didascalia “Foto scattate prima di un disastro”. Perché la cosa che dobbiamo strappare finisce strappata ovunque, tranne che lungo i bordi.

E’ una storia che parla di questo: di cose e persone strappate ovunque, tranne che lungo i bordi. Ne parla a volte con la leggiadria di una libellula, altre con quella di un elefante (o di un armadillo bello grosso). Parla di quando non riusciamo a strappare bene, e finiamo fuori strada, in territori inesplorati, senza linee tratteggiate che ci guidino. Loro son dietro, beffarde, da qualche parte, che ci irridono e ci ricordano che forse la colpa è nostra, perché siamo noi quelli che non sono riusciti a strappare lungo i bordi.
Cose e persone strappate, dunque. Strappato è il narratore, Zerocalcare, diviso tra se stesso e la sua coscienza, cinica, diretta e disillusa, che ha la strana forma di un armadillo grande quanto un armadio, magistralmente doppiato e interpretato da Valerio Mastandrea. Strappati sono i personaggi, all’inizio doppiati tutti da Rech, poi c’è un altro strappo, e la cosa cambia…
Strappata è la narrazione. Qualcuno ha già strappato: il narratore l’ha fatta a pezzi. Guardare la serie vuol dire raccattare qua e là i frammenti di una storia lacerata, e vederli ricucirsi insieme, tornare ineluttabilmente a comporre il racconto di cosa è successo. Cosa è successo a Zero, a Sarah, a Secco, ma soprattutto ad Alice, che alla lunga si rivela essere un foglio un po’ più strappato degli altri.
Strappata è la frase sul muro all’inizio del primo episodio: “è inutile che vivi fuori se muori dentro”. Una frase che parla di uno strappo, una lacerazione tremenda e dolorosissima, tutta dentro ad una persona. Hai sbagliato, o qualcuno ti ha fatto sbagliare, non importa: lo strappo è andato troppo oltre, la figura è persa. A volte succede. E non sempre gli strappi si possono riparare.
“Strappare lungo i bordi” è disponibile su Netflix.