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fotografie di Matteo Colusso

Un incontro personale a volte vale molto più di tanta teoria. E soprattutto quando la persona incontrata ha un legame, forte e diretto, con l’oggetto del proprio interesse. E’ il caso di Satu Jalas, musicista che, oltre ad essere una grande solista è anche nipote del grande compositore finlandese Jean Sibelius, di cui quest’anno ricordiamo il 150 ° anniversario della nascita.
Nella settimana appena trascorsa si sono svolti due degli eventi clou del cosiddetto anno Sibeliano: martedì 17 marzo al Musa, il museo degli strumenti musicali dell’Auditorium di Parco della Musica -dove è già in corso una mostra intitolata “Il mondo di Sibelius”- proprio Satu Jalas, forte della sua esperienza didattica al Conservatorio di Parma, è stata ospite d’eccezione ed ha tenuto una lezione sul nonno. “Lezione” poi è un termine riduttivo, forse, perché ha offerto, sì, un’analisi attenta ed accurata di composizioni del nonno (impreziosite, per giunta, dalle sue esecuzioni con il prezioso violino appartenuto proprio a lui) ma è andata ben oltre. Gli aneddoti della vita quotidiana, le frasi, i ricordi: tutti dettagli che aiutano a comprendere ancora più a fondo la personalità del musicista, e con essa la stessa musica.

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Il giorno dopo, nella splendida cornice della Accademia Finlandese a Villa Lante al Gianicolo, è stato il momento del tributo vero e proprio all’opera di Sibelius. Il Kaaås Trio, composto dalle musiciste finlandesi Tiina Karakorpi al pianoforte, Annemarie Åström al violino e Ulla Lampela al violoncello, ha portato in scena le sue musiche, quali l’Abete op.75n.7 per pianoforte solo, la Mazurka op.81 n.1 per violino e pianoforte, Malinconia op.20 per violoncello e pianoforte contornate da due pianotrio dei fratelli Fanny e Felix Mendelssohn.
L’atmosfera quasi arcadica della villa Gianicolense è stata un perfetto contraltare per il vigore con cui le musiciste si sono esibite, dando vita ad uno spettacolo unico ed irripetibile.
Ma a completare il quadro di questa due giorni romana nel segno della grande musica, l’intervista a Satu Jalas, che racconta la sua infanzia con un nonno un po’ speciale, premuroso e capace di inventare favole sull’universo con la stessa freschezza con cui ha dato vita alle melodie più caratteristiche che la storia della Finlandia, e forse l’intera penisola scandinava, avesse mai udito prima.

  • Nel centocinquantesimo anno dalla nascita, l’Italia celebra uno dei più grandi compositori del novecento , Jean Sibelius. Quanto è grande oggi nel mondo la sua fama?Penso che sia molto disuguale, dipende dal paese: in Inghilterra ad esempio è molto diffuso, da noi in Finlandia sono quasi esagerati! In generale è apprezzato in tutti i paesi anglosassoni. Per l’Italia posso dire questo: ho insegnato trent’anni al conservatorio di Parma ed ho avuto dei colleghi che pur conoscendolo di nome non avevano ascoltato la sua musica.
  • Quanto c’è di scandinavo nella musica di suo nonno e quanto invece di continentale?

In effetti è difficile fare una distinzione netta, ma ci sono composizioni che hanno più chiaramente un colore nordico, mentre altre, come ce ne sono, ad esempio la seconda sinfonia, in cui non si distingue un colore tipico, anzi il finale potrebbe in questo senso essere paragonata per esempio al finale della Nona di Beethoven.

  • Ascoltando le composizioni di Sibelius in ordine cronologico si notano dei netti cambiamenti: come si è sviluppata questa evoluzione di stile?

Fino alla terza sinfonia la sua musica è rimasta piuttosto tradizionale, e così anche nel concerto di Violino, praticamente contemporaneo alla patetica di Tchaikowsky che era stata composta appena una decina d’anni prima. La particolarità che è emersa poi, il carattere che ha scelto in seguito di mantenere nelle composizioni è stato il legame alle radici modali del canto finlandese da cui prendeva ispirazione. Quarant’anni prima che lo facesse Bartòk, parlò ad una conferenza all’Università di Helsinki di come molto spesso le canzoni tradizionali vengano mal interpretate seguendo i canoni tipici del rapporto “tonica-dominante”, mentre si basano sui modi ecclesiastici, come la musica ungherese (quella di Bartòk, ndr). Sibelius ha incorporato questa caratteristica, seppur camuffandola di volta in volta dopo la terza, nel suo stile: quando ci si aspetta un approdo “comodo” su una dominante lui va invece da tutt’altra parte, ma in una maniera diversa e meno netta magari rispetto ad un Debussy o ad uno Schönberg. Ed è per questo che gli è stata conferita poi l’etichetta di tardo romantico.

  • La musica Sibeliana è spesso stata ritenuta povera delle novità dell’armonizzazione, tanto che il Guardian la definì “pura acqua gelida” al confronto dei cocktails preparati dai suoi contemporanei. Si trova d’accordo con questo giudizio?

Si vede che ha comunque lasciato un mistero nella sua musica, ciascuno può vedere ciò che preferisce.

  • Molti critici hanno voluto associare le scelte compositive audaci che Sibelius intraprese, specie nella quarta sinfonia, ad un suo particolare stato emotivo. Non è forse una visione un po’ riduttiva della sua ricerca espressiva?

Si può sempre dire una cosa del genere, ma Sibelius voleva che la musica fosse considerata come astratta, non legata ad un qualcosa di particolare. Mi capitava quando eravamo insieme ad ascoltare delle esecuzioni di altri musicisti del suo concerto per violino: sentendo l’interpretazione di Ida Haendel del terzo movimento in maniera molto lenta, rimase incredulo, ma apprezzò moltissimo. “Mai avrei pensato che si potesse sonare così lentamente! Però mi piace tantissimo.” Non aveva un’idea fissa della sua musica, lasciava che ciascuno ci vedesse ciò che voleva.

  • Quanto ha influenzato la sua carriera la formazione di violinista? Ha mai rimpianto di non aver potuto fare il violinista di professione?

L’ha rimpianto moltissimo. Mio nonno iniziò lo studio del violino a quindici anni con una passione inesauribile! Lo portava ovunque con sé, nelle sue lunghe passeggiate nei boschi: pareva quasi volesse che i suoni che lo circondavano entrassero in esso. Allo stesso tempo era estremamente sensibile, una persona con i nervi a fior di pelle: quando fece un’audizione con l’orchestra filarmonica di Vienna, si innervosì a causa di un’interruzione e capì di non avere il carattere adatto al mestiere. E probabilmente è stato meglio così per noi, in modo da lasciargli completamente campo libero per la composizione. Si esibì comunque in pubblico, portando anche il concerto di Mendelssohn al conservatorio di Helsinki. Però tutta la sua persona rimase fortemente segnata dal violino. Addirittura nella vecchiaia, anche quando non componeva più ma aveva comunque la mente costantemente rivolta alla musica, continuava a scorrere le sue dita sul braccio come se fosse il manico dello strumento. Quello stesso che poi diede a me quando avevo dodici anni, un privilegio unico. Ogni volta che mi trovo ad esplorare la sua musica con lo stesso violino sul quale sono cstate create le sue composizioni, anche solo l’idea di avere tra le sue mani il suo strumento mi dà sensazioni incredibili.

  • Ci può raccontare qualche episodio della vita quotidiana con Sibelius? Era davvero così austero come la sua musica lo fa spesso apparire?

Sibelius era molto affettuoso. Io l’ho conosciuto per quattordici anni e gli sono stata vicina molto tempo, come ad ogni nonno il nipote. Quando ci incontravamo, mi guardava fisso negli occhi e mi abbracciava. Spesso poi quando rimanevamo per vari giorni ad Ainola, la mattina ci aspettava sempre per il buongiorno e ci chiedeva sempre i racconti di tutti i nostri sogni, e pretendeva molti molti dettagli! Ma era sempre così buono con noi.

  • Secondo lei è possibile che arrivi un nuovo Sibelius in futuro, in Finlandia o magari in Europa? Ed è possibile rendere un linguaggio come il suo di nuovo attuale e fresco?

Credo che adesso la gente riesca a riflettere meglio sulla sua musica, anche dopo che il nostro orecchio è passato oltre rispetto alla dodecafonia. Lui inizialmente si trovava in una terra di mezzo, non era compreso. La sua musica, un po’ come quella di Wagner, va ascoltata nel profondo per essere compresa. Ma è difficile seguire le sue orme, perché spesso, specie qui in Italia, non riesce a fare breccia: non è una musica che si può lasciare come un gradevole sottofondo. Ma chi lo apprezza di solito lo fa con grande entusiasmo.

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