Un mese fa veniva approvata dal nostro Parlamento la legge delega finalizzata a riformare il processo penale. Una maggioranza – quella delle due camere – che rispecchia la volontà di rendere più efficiente il procedimento penale, più celere la definizione delle controversie nonché di introdurre disposizioni in materia di giustizia riparativa. Speditezza, semplificazione e razionalizzazione sono i principi che hanno guidato la delega al Governo, che avrà un anno di tempo per provvedere a una serie di modifiche ritenute necessarie ed opportune.
La riforma ha ad oggetto il codice penale, il codice di procedura e la legislazione speciale.
Se la crisi pandemica ha infatti esaltato il processo telematico in sede civile, per quanto riguarda quello penale la complicazioni non sono mancate, tanto da portare a molte sospensioni e rinvii per difficoltà logistiche e burocratiche. Che il processo penale sia lento, non è una novità per la cronaca giudiziaria italiana. Ora, a seguito del recovery plan e del PNNR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), siamo giunti a un crocevia fondamentale per riformare il processo penale. Le sei missioni previste dal Piano sono infatti la digitalizzazione, l’innovazione, la competitività, cultura e turismo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.

La legge delega di cui sopra, infatti, si va a collocare sistematicamente insieme a tante altre che sono state richieste dall’Unione Europea per l’erogazione dei fondi emergenziali richieste a seguito del lockdown del 2020.
L’Unione ci ha più volte ammonito, con mezzi diversi, per la nostra inerzia ad operare un cambiamento strutturato in tal senso. Infatti, il nostro paese è considerato uno dei peggiori nelle classifiche mondiali inerenti i tempi della giustizia: non a caso il nostro Paese è stato destinatario di 1.202 sentenze di condanna per violazione del fondamentale principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 6 CEDU. Statistica che risulta ancora più drammatica se si pensa che altri paesi ammoniti come Grecia e Turchia hanno ricevuto la metà delle condanne. Un cambiamento è, quindi, opportuno e urgente.
Questione centrale per il nostro sistema, con particolare riferimento all’ambito penale, è quella della prescrizione. In tal senso, le precedenti riforme Orlando (2017) e Bonafede (2019) non sono state efficienti come si sperava. L’ultima, cd. “spazzacorrotti”, aveva previsto l’anticipazione del dies ad quem della prescrizione del reato: questo, al netto della riforma, non risultava più ancorato alla sentenza che definiva irrevocabilmente l’ultimo grado di giudizio, ma veniva sospeso con la sentenza di primo grado o con il decreto di condanna, terminando così di decorrere con l’emissione del provvedimento giurisdizionale di primo grado. In particolare, veniva introdotto al secondo comma dell’art. 159 c.p. la seguente disposizione: “…il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna…”.
Per quanto attiene la deflazione del contenzioso è opportuno andare a vedere anche in queste sede delle statistiche: la durata di un procedimento dinanzi alle Procure è di 330 giorni; per ciò che riguarda il decreto che dispone il giudizio, la durata media di un procedimento penale pendente di fronte al tribunale ordinario di primo grado è di 478 giorni; in grado d’appello, i tempi sono ulteriormente dilatati (una media di 1.038 giorni); 287, infine, è il periodo media che intercorre dalla ricorso alla definizione del giudizio in Cassazione. E’ evidente, dati alla mano, che sia opportuno intervenire per deflazionare un procedimento troppo appesantito e lento.

Va rammentato, inoltre, che con riferimento all’ultimo sondaggio del 20 luglio 2021, il numero di procedimenti penali pendenti in tutto il territorio nazionale, ammonta a 1.613.244. Un numero incredibilmente grande.
Le principali aree di intervento del legislatore sono essenzialmente quattro: norme finalizzare alla deflazione del procedimento; intervento normativo volto alla riduzione della pena carceraria in favore di misure alternative alla carcerazione; giustizia riparativa; transizione digitale.
La legge delega approvata in Parlamento lo scorso 23 settembre indica dei punti fermi, dei principi che devono ispirare il legislatore, quali gradualità, differenziazione, adeguatezza delle strutture periferiche e centrali. Inoltre, indica i precisi interventi di riforma dei codici penali e di procedura penale: norme in materia di elezione di domicilio (art. 161 c.p.p.), il procedimento in assenza dell’imputato, i termini di presentazione in udienza per la costituzione delle parti (art 157 c.p.p.), riorganizzazione delle procure della Repubblica per rendere più efficienti le fasi di indagine e udienza preliminare, diminuzione della durata delle indagini preliminari a seconda dei reati, procedimenti speciali (intesi come soluzione alterativa volta ad alleggerire il carico del processo), il giudizio, appello e Cassazione, le impugnazioni straordinarie.
Assai peculiare è la modifica delle condizioni di procedibilità, istituto centrale, destinato ad entrare in vigore da subito, senza che vi sia la necessità di emanare decreti legislativi di attuazione. L’improcedibilità, difatti, è funzionale al bilanciamento del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, (riforma Bonafede), nonché ad assicurare il rispetto dei termini di durata dei giudizi d’impugnazione. Una novità importante, dunque, che introduce limiti predeterminati di durata per il grado di appello e di Cassazione, rispettivamente di due anni ed un anno: qualora non vengano osservati, il procedimento sarà qualificato come ‘improcedibile’.

Per alcuni delitti di matrice mafiosa possono essere concesse delle proroghe fino ad un massimo di tre anni in appello e un anno e sei mesi in Cassazione.
Altra novità centrale della riforma è quella in materia di misure antiviolenza. Viene ampliato il catalogo di delitti per i quali si dispone l’arresto in flagranza, con l’aggiunta della violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Entrano subito in vigore le previsioni che estendono il regime di protezione delle vittime di violenza domestica (stalking, maltrattamenti in famiglia, atti sessuali con minori ecc.) o, in buona sostanza, delle misure contenute nel c.d. Codice Rosso (l.2019, n. 69), volte a consentire una riduzione della durata delle indagini, agevolando una più rapida comunicazione nei confronti della vittima e intensificando le garanzie di tutela di quest’ultima.
In conclusione, cosa dobbiamo aspettarci da questa riforma? Sicuramente è prematuro dare un giudizio a questa legge delega. I tempi tuttavia sono stretti: come sappiamo le modifiche devono entrare in vigore entro un anno e, inoltre, Bruxelles impone tempistiche urgenti. Non dobbiamo scordare che la riforma è ispirata al principio della gradualità: per questo motivo alcuni istituti entreranno in vigore lentamente per inserirsi in modo sistematico del nostro sistema di giustizia. Fra le righe del testo della riforma si può leggere un sostanziale cambio di rotta rispetto alle numerose problematiche che da tempo affliggono del sistema giudiziario italiano.
Il processo penale deve poter cambiare, deve potersi adattare ai tempi e deve rispondere alle esigenze di tutela della giustizia: qualsiasi Stato che possa dirsi fondato sul diritto deve fondarsi su questi principi e rispondere in modo efficace a tali richieste. Lo status quo non può durare ancora molto, soprattutto dopo i numerosi moniti dell’Unione Europea, che non possono rimanere tale. La ripresa post-pandemica deve obbligatoriamente affrontare lo scoglio dell’amministrazione della giustizia.
Non possiamo che restare fiduciosi.