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Ogni opera che focalizza la sua attenzione su una minoranza (qualunque essa sia), corre inevitabilmente il rischio di rimanere intrappolata nei cliché e nella sterile retorica. Critica, questa, che non può essere mossa nei confronti di “Quella notte a Miami…” (disponibile su Prime video), opera prima di Regina King, talentosa attrice afroamericana.

Il film rappresenta consapevolmente l’orgoglio nero in un momento storico chiave, quando iniziava ad affacciarsi sulla scena internazionale grazie ai ganci di Cassius Clay e ai comizi di Malcolm X (poco dopo il discorso “I have a dream” di Martin Luther King Jr. e pochi anni prima dei pugni chiusi a Città del Messico).

Dopo uno storico incontro per il titolo mondiale dei pesi massimi di pugilato, Malcolm X – celeberrimo attivista e leader nella lotta degli afroamericani – riunisce in una stanza d’albergo tre personaggi, che risultano fra i più noti afrodiscendenti di quel periodo: il pugile Cassius Clay, il giocatore di football americano Jim Brown e il cantante Sam Cooke. Ma la ragione non è quella di festeggiare il neo campione del mondo di boxe (come qualcuno si aspetta).

E da questo incontro, scaturiscono una serie di dialoghi e situazioni che aiuteranno a tratteggiare precisamente i quattro distinti caratteri: il moralismo estremo e “arrabbiato” di Malcolm X, l’irriverenza pacata di Brown, l’esuberanza incontrollata di Cooke e l’arroganza “infantile” di Clay. E l’opera riesce progressivamente a far emergere tutte le fragilità e i dissidi interiori dei protagonisti, senza ridursi unicamente a raccontare l’orgoglio di razza (come spesso ha fatto il cinema di Spike Lee), ma ampliando il discorso anche ad altre delicate tematiche: la fede, l’amicizia, la stima reciproca, gli ideali. Mentre il fatto che il film sia girato quasi totalmente in interni (in particolare in una stanza d’albergo), contribuisce a conferirgli anche una spiccata dimensione teatrale.

La regia, dal canto suo, risulta ordinata, e consegna l’intero film in mano agli attori, grazie anche al contributo della elegante sceneggiatura di Kemp Powers.
E nonostante in alcuni momenti si riscontri una certa verbosità nei monologhi di Malcolm X (d’altronde il personaggio era quello che era), nel complesso la regista riesce efficacemente a mandare un massaggio che non risulta mai banale né scontato: che la vera bellezza della diversità risiede nella possibilità di poter sempre cambiare il nostro punto di vista. Perché se davvero vogliamo che le cose cambino, dobbiamo riuscire ad accettare i nostri errori e a rivedere le nostre priorità (come fanno i protagonisti del film). Ed essere quindi noi stessi – come diceva Gandhi – il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

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Caporedattore Cult Web per l’A.A. 2017/18 Vicedirettore responsabile Web 2019/20 Direttore per l’A.A. 2020/21