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Un viaggio nel cratere quarant’anni dopo

Era l’anno di “Toro scatenato” e di “Star Wars – L’impero colpisce ancora”, quando la terra iniziò a tremare e inghiottì intere città. Rimasero i vivi. A loro il dovere di ricordare i morti, i soli che sanno cos’è davvero il terremoto. E forse soltanto per loro è finito per davvero.
Perché a quarant’anni di distanza – ripercorsi fino ad oggi in questo articolo con puntuali citazioni e corpose argomentazioni -, le sfide poste da quella tragedia sono più vive che mai, come Caterina. Raffaele La Regina ci racconta la sua storia, facendoci capire come Caterina sia una metafora dell’Italia, perché ogni destino e’ destino comune. Sta a noi renderlo luminoso.

Domenica 23 novembre 1980 era un giorno come tanti, scandito dalle solite abitudini di un’Italia che sembrava crescere sotto ogni punto di vista. Una domenica come molte ma non per Caterina.

Rina – come la chiamavano i suoi cari – non usciva spesso ma quella sera non aveva nessuna intenzione di perdersi un film al cinema Ariston di Potenza. Era l’anno di Toro scatenato e di Star Wars – L’Impero colpisce ancora. Doveva essere una serata speciale che aveva programmato da tempo. Non poteva sapere che il mondo sotto i suoi piedi sarebbe crollato, inghiottendosi i suoi 19 anni, i suoi sogni, le sue speranze.

Alle 19:34 di quel 23 novembre un pezzo di Sud Italia venne travolto da una scossa di terremoto che durò 90 interminabili secondi, spazzando via paesi e comunità che, come racconta Giuseppe Lupo in L’ultima sposa di Palmira, finirono per sparire dalla cartina geografica. Agli occhi delle persone sopravvissute rimanevano solo le macerie, il dolore, la catastrofe.

La Basilicata e l’Irpinia si ritrovavano unite in un cratere devastato, in una linea temporale che si era inesorabilmente spezzata, trascinando quel pezzo di Mezzogiorno già fragilissimo verso un abisso di sofferenza e miseria.

I soccorsi tardarono ad arrivare ed il corpo di Rina restò sotto le macerie per molto tempo prima che potesse tornare ai suoi cari. Me lo racconta Leonardo, il mio barbiere. In quel momento lui era fermo con i suoi amici ad una stazione di servizio per fare rifornimento. Avevano 20 anni e sarebbero dovuti andare in un paesino vicino a passare la serata, quando videro due colline della città che si avvicinavano e si allontanavano, mentre tutto intorno a loro tremava in un frastuono tremendo. Non aveva realizzato quanto stava succedendo.

Non si può essere preparati ad una tragedia come questa, non si può immaginare che da un giorno all’altro si finisca per perdere tutto. Gli affetti, la casa, il futuro, la memoria collettiva di intere realtà crollate come castelli di sabbia.

Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, si precipitò in quei luoghi e, con il suo monito ancora attualissimo “Fate presto”, smosse la coscienza di un Paese intero che seppe ritrovarsi unito nel dolore.

Giunsero sul cratere cittadini da tutta Italia che, a mani nude, provarono a fare il possibile immergendosi nella polvere e nel fango, provando a restituire dignità ai morti ed a sostenere quanti erano rimasti in vita ma volevano essere travolti dalla notte perché andare avanti era ormai impossibile, erano lì per intero ma avevano perso ogni cosa. Proprio come chiese Pertini:

“il miglior modo di onorare i defunti, è quello di aiutare i vivi.”

Sandro Pertini

La solidarietà nazionale fu qualcosa di commovente.

A Muro Lucano arrivarono 500 flaconi di plasma da Reggio Emilia ed un carro pieno di giocattoli per i bambini, oltre a uomini e donne pronti a fare la propria parte.

A Bella arrivarono da Modena, a Sant’Angelo dei Lombardi dalla Lombardia. Se ci si mette a studiare l’odonomastica di queste comunità, si scoprono una marea di vie e piazze dedicate alle città del Nord. Un esempio commovente di cosa significhi sentirsi italiani.

Bisognerebbe, come spesso ripete Franco Arminio, andare a visitare questi luoghi come fossero vecchi zii malati, provare a ridisegnare quella geografia commossa dell’Italia interna. Perché tutti, in ogni parte d’Italia, dobbiamo sentirci legati a questa sciagura. Anche se non eravamo nemmeno nati, anche se pensiamo di non aver nessun vinciglio.

Quel terremoto fu avvertito in Italia dal Veneto alla Sicilia, sia nei luoghi che negli animi. L’Appennino non lasciò scampo a nessuno, nel suo tremore che scrollò il presente di tutti e, per smaltirlo – quel presente – non sarebbe stato facile. Non sembravano vedersi futuri possibili.

Ricostruire non fu semplice anche perché quasi ovunque, come fece notare Sciascia, bisognava costruire e basta uscendo dalla retorica dei paesi presepi. Una «economia della catastrofe» che non lasciava spazio agli sprechi che, nonostante tutto, ci furono ed andarono a danneggiare una intera generazione, quella del post terremoto.

Oltre agli sprechi, dovuti anche una mancanza di governace con la Cassa del Mezzogiorno in liquidazione, non tardarono le incursioni camorristiche che, in realtà, non erano mai andate via, pronte a lucrare sulla sofferenza dei “poveri cristi”.

Le lancette dell’orologio non riuscirono a spostarsi da quel “tremamento”, come scrisse Vinicio Capossela in Il paese di coppoloni, ci si trovava prigionieri di “una terra ferita dal contributo”.

L’industria arrivò tardi e male in quelle aree aride ed agre, finendo per fallire tranne poche eccezioni come la Fiat e la Ferrero. A Potenza, in una delle zone della città maggiormente colpita, venne edificata l’Università degli Studi della Basilicata che avrebbe dovuto porre fine all’emigrazione giovanile.

Nel 1991, nell’ateneo lucano, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga disse:

“Io a voi, ragazzi della Basilicata vorrei rivolgere un invito: il mio invito è ad avere il coraggio di rimanere in questo sfortunato Mezzogiorno, e in questa povera vostra terra di Calanchi”. 

Francesco Cossiga

Non ci siamo riusciti.

Oggi viviamo una condizione di emergenza, quella pandemica, diversa nella fattispecie ma simile negli effetti. Sarebbe opportuno ritrovare lo stesso sentimento di unità nazionale che ha caratterizzato gli anni Ottanta e non lasciarsi coinvolgere in dissidi territoriali che non fanno il bene di nessuno.

Chiara Valerio nel suo saggio “La matematica è politica” scrive:

«l’esistenza delle soluzioni dipende dall’insieme nel quale ci si muove. E dunque, essendo cambiato l’insieme nel quale ci muoviamo, non possiamo avere le stesse soluzioni agli stessi problemi.»

Chiara Valerio

Toccherà alla nostra generazione prendere le redini del futuro in uno scenario profondamente mutato. Il mondo è cambiato e noi con lui, approfittiamone.

Raffaele La Regina (Segretario Particolare del Ministro del Sud e membro dell’assemblea nazionale del PD), scrive a titolo personale e non impegna in alcun modo l’istituzione di appartenenza.

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