“Produrre dal nulla, fornire dell’esistenza”.
E’ così che l’archetipo junghiano dell’Uomo-Creatore estrinseca la sua essenza più intima, con sguardo di sfida, quasi a volersi sostituire al ruolo degli dèi o della Natura. Non solo: ciò che più colpisce, l’aspetto che maggiormente dovrebbe destare stupore agli occhi di chi legge, risiede nella figura etimologica cui tale archetipo dà vita: l’uomo come creatura che crea.
E’ infatti strabiliante osservare come ogni essere umano sia “creatura” per definizione (si badi, non soltanto nelle Sacre scritture, ma anche ad opera di innumerevoli filosofi e scrittori), ed al contempo, a sua volta ed egli stesso, munito del potere della creazione. Il pensiero che si forma spontaneo nella mente del lettore porrà sin da subito l’accento sulle conseguenze costruttive e benefiche che da questo talento scaturiscono: è nell’immediatezza che si potrà cogliere come l’arte, la musica e la letteratura incidano sensibilmente e in maniera giovevole sulla vita dell’uomo. Ancor più tangibile sarà l’impatto benefico cui l’attitudine creativa dell’uomo può dar luogo in ambito architettonico, teorico, ingegneristico, meccanico, elettronico, e se non in tutti, quasi in tutti gli altri aspetti che quotidianamente, inesorabilmente si intersecano con le abitudini di vita dell’uomo.
A parere (presuntuoso) di chi scrive, tuttavia, il lettore pecca in questo modo di un’imperdonabile inosservanza: egli si sofferma sì su quello che è il risultato inestimabile che l’opera creatrice dell’uomo porta con sé; non con altrettanta frequenza tuttavia, egli si interroga su quale sia la ratio, quale la radice prima che spinge l’uomo, come già detto in precedenza, a produrre dal nulla, a fornire dell’esistenza. In altre parole: un giorno (approssimativamente intorno al V secolo a.C.), un tale (sumero, si pensa) progettò la ruota; tutti ne furono grati, ma nessuno si chiese il perché.
Quando nel 1837 Samuel Morse inventò il telegrafo, tutti presero a comunicare con una velocità mai vista prima. Eppure nessuno si chiese il motivo di quella straordinaria innovazione. Che qualcuno mai si sia interrogato sul perché Mark Zuckerberg quella mattina non si fosse dedicato al jogging piuttosto che ideare quello che può essere definito come il più grande social network di tutti i tempi? Cos’è che dalla notte dei tempi muove l’uomo nel concretizzare la sua attitudine creatrice? Dove nasce la spinta alla creazione? Alcuni studiosi delle neuroscienze imputeranno l’attività creativa al cervello umano e, segnatamente, all’emisfero destro, il quale presiede alla creatività e alle abilità artistiche. Tuttavia, è nell’intenzione di chi scrive fornire una riflessione che si colloca al di là del piano meramente scientifico e biochimico, per raggiungere più propriamente quello psicologico o addirittura ontologico, se non intrinsecamente esistenziale.
L’attitudine creativa dell’uomo altro non è se non la traduzione in termini fattuali di uno stato psichico di profonda frustrazione, di non accettazione dello status quo: è rinuncia alla rassegnazione, smania di rivisitazione, brontolio di stomaco, fischio all’orecchio dell’uomo creatore, che, sin dall’età della pietra, lo costringe ad un dinamismo tanto incessante quanto insostenibile. Se in epoche passate questo slancio trovava giustificazione nell’esigenza di soddisfacimento di bisogni primari o secondari della specie umana, fossero questi più o meno significativi, esso oggi trova adito nella maniacale ricerca del perfetto, nell’ossessione al miglioramento, nell’esasperato tentativo di raggiungimento del non plus ultra.
L’uomo creatore del passato agiva in maniera strumentale, finalizzata: come rispondere all’esigenza di orientarsi? Presto inventata la bussola. E per quanto riguarda la necessità di arginare le epidemie? Sia lodata l’invenzione dei vaccini. Avevamo bisogno di produrre più velocemente ed ecco ideata la catena di montaggio. Comunicazioni troppo a rilento: benvenuta invenzione del telefono. Ma l’uomo creatore moderno ha già a disposizione sofisticatissimi apparecchi con cui soddisfare le sue prime necessità (se vogliamo anche seconde, terze,…quindicesime!): è soltanto più impaziente.
Il creatore moderno ha conservato quell’istinto proprio dei suoi antenati (proteso essenzialmente a garantire la conservazione della specie umana), traducendolo tuttavia in una tensione all’impossibile, in una convulsiva aspirazione all’irraggiungibile, nonché in un’insaziabile ingordigia di innovazione: insomma, il creatore moderno non sa proprio starsene con le mani in mano. Se questo consentirà ai nostri figli di vivere più a lungo, di popolare altri pianeti della galassia, persino di camminare sull’acqua forse, un giorno (pur non essendo figli di dio, s’intende), la sfida dell’uomo creatore non avrà mai fine, dando luogo a quel fenomeno di inesorabile, irraggiungibile, inarrestabile progressus in infinitum.