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Qualche tempo fa ho partecipato alla Global March for the Future che si è tenuta a Verona, come in altre centinaia di città in 40 stati in tutto il mondo per protestare contro “gli adulti che con la loro poca considerazione ci stanno rubando la terra e il futuro”. Tornata a casa ho acceso la tv e sono stata fortemente colpita da un servizio de “Le Iene” intitolato Inquinamento: come la plastica sta divorando il pianeta. “Divorando il pianeta” mi sono sembrati termini forti ma che al giorno d’oggi ritengo anche abbastanza tenui per la situazione che viviamo e per quello che ci aspetta in qualche decennio, andando di questo passo. E pensare a quanto ci sembrino innocue tutte le bottigliette che consumiamo giornalmente, o i piatti mono-uso che usiamo quella sera che non ci va di azionare la lavastoviglie. Un po’ egoisti lo siamo, credo. O forse troppo presi dalle mille cose che facciamo ogni giorno per preoccuparci del pianeta che ci ospita per alcuni decenni per poi lasciar spazio ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli, che probabilmente leggeranno di elefanti e rinoceronti solo nei libri di storia, ma questa è un’altra lotta! Per oggi si parla di plastica, che insieme al surriscaldamento globale rappresenta il nemico numero uno per il nostro pianeta.

Qui vi riproporrò qualche “highlight” del servizio, che vi invito fortemente a guardare per intero.

La superficie del nostro bellissimo pianeta per il 71% è ricoperta d’acqua. Ogni anno finiscono milioni di tonnellate di plastica nel mare. Se ancora non vi fa effetto la dimensione del problema, ve lo spiego con una metafora. È come se ogni minuto un enorme camion dell’immondizia (che ci piacerebbe vedere più spesso circolare per le strade di Roma) scaricasse tutto il suo contenuto in mare, per 60 minuti all’ora, per 24 ore al giorno, per 365 giorni l’anno. Nel mare sta finendo cosi tanta plastica che gli scienziati stimano che nel 2050 il peso di tutta la plastica contenuta in mare sarà superiore al peso dei pesci.

Il Great Pacific Garbage Patch è un’isola “artificiale” situata nel mezzo dell’oceano Pacifico. L’isola è interamente formata da rifiuti di plastica ed ha una dimensione superiore a quella dell’Inghilterra. Ma questo è solo uno degli esempi “mediatici” che sono stati sponsorizzati negli ultimi tempi per sensibilizzare le popolazioni a riciclare. Altri esempi sono questo video rilasciato dal WWF ritraente una colonia di pinguini adagiarsi su un isolotto di plastica ghiacciata, o l’immagine di questo cavalluccio marino aggrappato ad un cotton fioc. Lo scopo di queste immagini non è quello di spaventare e rattristare gli spettatori, credendosi non in grado di agire e quindi portando avanti le loro vite, ma di azionare un meccanismo a catena di rivoluzioni delle abitudini degli esseri umani. Infatti, basterebbero pochi accorgimenti per diminuire i livelli di plastica prodotta e buttata via.

https://youtu.be/f79dW25XlqM

Il problema non è la plastica in sé, ma l’uso che ne facciamo. La plastica è un materiale utile, facilmente malleabile e soprattutto resistente. Ed è dalla resistenza principalmente che viene il problema dell’inquinamento, perché di un materiale che è destinato a durare per centinaia di migliaia di anni l’uso principale che ne facciamo è l’usa e getta. La plastica monouso spesso non arriva neanche in discarica, quindi o viene dispersa o finisce in mare. La cultura dell’usa e getta è una cultura in cui siamo cresciuti tutti noi. La plastica non si biodegrada mai, tutta la plastica che è stata mai prodotta esiste ancora.

La percentuale di plastica riciclata è di 15% (OCSE) media fatta da tutti i paesi del mondo, in Europa arriva al 30% mentre negli Stati Uniti, il paese più industrializzato al mondo, arriva solo al 10%. Paesi in via di sviluppo, per mancanza di mezzi, non arrivano neanche all’1% e soprattutto in questi ultimi le discariche vengono create cielo aperto e vicino al mare, dove accade spesso che la plastica venga anche bruciata, e quando ciò accade viene prodotta diossina, una sostanza estremamente cancerogena per l’uomo.

 

Altri problemi sono quelli a lungo termine. Infatti, con il tempo la plastica in mare viene decomposta dai raggi UV e il moto ondoso, frammentandosi in tanti piccoli pezzi, le cosiddette microplastiche (inferiori a 5 mm) che i pesci scambiano per cibo. La plastica uccide animali marini principalmente in due modi. Il primo è il semplice “rimanere incastrati” che non permette all’animale a livello fisico di muoversi, nutrirsi o proteggersi da cacciatori. Il secondo modo è ingerendo microplastiche, che fa si che l’animale smetta di sentire lo stimolo della fame, così smettendo di cercare cibo fino a morire.

Gran parte dei prodotti cosmetici, detergenti e dentifrici contengono microplastiche sotto forma di microsfere pulenti per esempio per quanto riguarda i dentifrici e gel esfolianti. Queste sono particolarmente pericolose perché, essendo troppo piccola, i nostri sistemi di depurazione dell’acqua non riescono a filtrarle.

Una domanda che forse interesserà ai più utilitaristi tra voi lettori: quei pesci con lo stomaco pieno di microplastiche sono gli stessi che possono finire nei nostri piatti? Lo stomaco dei pesci che mangiamo viene in effetti ripulito dai frantumi di plastica, ma tutte le sostanze caratteristiche di essa, come i ritardatori di combustione come anche tutto ciò che la plastica assorbe vengono assimilati nel tessuto grasso dell’animale, e vanno di conseguenza a finire nei nostri piatti.

Minuscole particelle di plastica sono contenute anche nei capi che indossiamo, sotto forma di microfibre sintetiche. Se ne disperdono in media centinaia di migliaia ad ogni lavaggio in lavatrice. Ed infatti la lotta per impedire alle microplastiche di disperdersi negli oceani ed entrare a far parte della catena alimentare inizia proprio dalle lavatrici. Infatti, queste minuscole particelle non sono intercettate né dai filtri delle lavatrici né dagli impianti di trattamento delle acque reflue finendo così a contaminare i nostri fiumi e mari. Secondo uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista Environmental Science and Technology, più di un grammo di microplastiche viene rilasciato ogni volta che vengono lavati capi sintetici e fino al 40% delle stesse finisce nei corpi idrici.

Sylvia Earle, pluripremiata oceanografa statunitense, afferma che “le decisioni che prenderemo nei prossimi 10 anni condizioneranno la vita nel nostro pianeta per i prossimi 10 mila”.

Cos’è allora a trattenerci dal renderci conto dell’impronta che stiamo lasciando? Molti dicono che vivere nel vortice della vita moderna toglie l’attenzione dalle cose che ci toccano meno individualmente, come il cambiamento climatico e l’inquinamento.

Fortunatamente però, il problema dell’ambiente non me lo pongo solo io, anzi molti accademici e attivisti si sono già messi in moto per proporre soluzioni pratiche alle questioni qui sopra elencate. Per esempio, per i gel scrub e dentifrici che contengono “polyethilene” tra ingredienti, contengono microplastiche e di conseguenza andrebbero evitati. Una mano per quanto riguarda la lotta alle microfibre sintetica potrebbe darla “Guppyfriend”, primo dispositivo progettato e commercializzato specificatamente per prevenire l’inquinamento da microfibre. Ciò di cui stiamo parlando non è altro che un banale sacchetto per la lavatrice: basta inserirvi i capi, metterlo nel cestello e pulirlo a mano a fine lavaggio. Facendo quest’ultima azione si noterà che agli estremi del sacchetto sono rimaste intrappolate le microplastiche, che la sottilissima trama è in grado di trattenere a sé, consentendo comunque il passaggio dell’acqua saponata.

Oltre ai cittadini, anche vari governi da qualche anno si sono messi all’opera per combattere il problema plastica. Il Regno Unito ha creato un piano di 25 anni per eliminare tutti i prodotti contenenti plastica. Il Canada ha detto basta ai prodotti con microsfere di plastica. La Francia è il primo paese al mondo ad annunciare un divieto totale per bicchieri, piatti e posate in plastica (obiettivo da raggiungere entro il 2020). In Kenya vengono totalmente bannate le buste di plastica con multe salatissime e per i trasgressori. E finalmente anche l’Unione Europea ha deciso di attivarsi in campo con un piano che vada oltre i confini nazionali.

Infatti, a fine marzo è stato confermato il divieto d’uso della plastica usa e getta entro il 2021. La votazione, avvenuta in Plenaria, ha riscosso una ampissima maggioranza. Nei prossimi anni ci vedremo a dire addio a piatti di plastica, posate monouso, cotton fioc, cannucce e mescolatori, bastoncini di plastica per palloncini, plastiche ossi-degradabili, contenitori per alimenti e tazze in polistirolo. Next goal? Arrivare a riciclare fino al 90% delle bottigliette di plastica entro il 2029.

Come spiega Daniele Viotti, politico e attivista italiano, parlamentare europeo del Partito Democratico, nel suo blog, “L’accordo rafforza l’applicazione del principio “chi inquina paga”, introducendo una responsabilità estesa per i produttori. Questo nuovo regime si applicherà, ad esempio, ai filtri di sigaretta dispersi nell’ambiente e agli attrezzi da pesca persi in mare, per garantire che i produttori sostengano i costi della raccolta. Le nuove norme stabiliscono che l’etichettatura informativa sull’impatto ambientale di disperdere per strada le sigarette con filtri di plastica sarà obbligatoria. Ciò dovrà valere anche per altri prodotti come bicchieri di plastica, salviette umidificate e tovaglioli sanitari.”

L’Unione Europea ha tutte le carte in regole per fermare l’inondazione della plastica in tempo, al patto che i cittadini sviluppino un comportamento sostenibile e volto alla prevenzione delle generazioni future. Come disse Baden Powell, padre dello scoutismo, “Cercate di lasciare questo mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”.

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contributor

Caporedattrice Walk 19/20 e 20/21 Caporedattrice International 21/22