A quarantasei anni da quella buia notte di novembre all’idroscalo di Ostia, la critica su Pier Paolo Pasolini è nettamente divisa. Stiamo parlando di un semplice poeta, romanziere e scrittore, oppure di un “intellettuale scomodo” per il suo tempo? Sopra la sua figura aleggia uno dei misteri più fitti della storia del dopoguerra italiano.
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo del 1922 e durante la guerra, nel 1942, si trasferisce a Casarsa, paese della madre. E’ qui che nascono le sua prime composizioni poetiche che lo porteranno alla pubblicazione di Poesie a Casarsa ( dove spicca “le ceneri di Gramsci”), scritte in italiano e friulano. Nel 1948 viene espulso dal partito comunista di Pordenone per indennità morale o, in altri termini, per la sua omosessualità. Si trasferisce a Roma nel ’50: si sviluppano qui le prime bozze dei primi romanzi noti ancora oggi, come Ragazzi di vita e Una vita violenta.

Comincia dal basso la sua ricerca della verità, dai ragazzini che giocavano a pallone per le strade dei quartieri popolari, dalle sue riflessioni lungo la via Appia e i suoi primi film in collaborazione con Fellini e Bolognesi. Comincia un periodo che lo porterà sempre più in alto, fino ad arrivare a scrivere per il Corriere della sera. Pasolini è quell’artista, quel poeta, quell’intellettuale che non sa fare a meno di dire la verità. Lui frequentava le borgate fuori Roma, imparava dai ragazzini dai quali era visto come un maestro.
A differenza di Fellini e della sua “Bella vita”, Pierpaolo preferisce i posti reali, forse meno conosciuti, ma comunque quei posti dove si respira romanità. E’ il caso del film “Accattone”. Gli piaceva stare vicino alla gente, ma non a quella gente, espressione borghese della città, che lo derideva per la sua omosessualità. Pasolini è quell’intellettuale che vede nello sfrenato sviluppo capitalistico, la perdita di alcuni valori cristiani e la nuova tendenza a politiche e campagne sempre più laiche. Con le prime lotte studentesche del ’68, scriverà in merito alla manifestazione di Valle Giulia a Roma:
“Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri.”
Ora più che mai, un lungimirante Pasolini comincia a vedere più in là, più lontano del suo tempo. Comincia a capire che il suo mondo è finito, morto, spazzato via dai borghesi (e dai loro figli) che piano piano cominciavano a vincere. Non passerà tanto tempo fino a quando comincerà a scrivere per il Corriere della sera, giornale dei borghesi di Milano. Sulla colonnina di sinistra, come se iniziasse a dare fastidio, come un bambino che comincia a chiamarti toccandoti da dietro, inizia a uscire fuori la scritta “Scritti Corsari”, la rubrica che utilizza per denunciare tutto quello che non va nel suo paese. E’ il 7 gennaio del 1973, giorno del primo articolo. L’aggettivo “corsaro” gli piace. Gli da quel senso di persona che da lontano s’ informa, per poi essere di troppo, fastidioso. Con il suo navigare fra le notizie d’attualità, arriverà al 14 novembre 1974, con il celebre articolo “Cos’è questo golpe?”, altrimenti noto come “Romanzo delle stragi”. E’ il momento più alto della sua vita di scrittore:
“Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe”. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.[…] Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede.”
Uno scrittore così, specie per il corriere della sera, non può che dare fastidio. E’ di troppo. Un uomo che indaga su tutto ciò che i giornali non dovrebbero scrivere, è scomodo.
Forse è per questo che l’hanno ucciso. Forse, è per le troppe minacce, accuse, intimidazioni. Forse per la sua omosessualità. Forse era diventato di troppo, in una società che non lo voleva più. Dà vita al suo ultimo romanzo, edito postumo, “Petrolio”. Se pensavate di leggere un articolo di un “comunista”, vi sbagliavate. Se pensavate di leggere un articolo di uno dei migliori e noti scrittori del novecento, allo stesso modo vi sbagliavate. Pasolini è un martire del suo tempo, un martire del suo coraggio, un martire del suo orientamento sessuale. Pasolini è l’uomo che ora è più attuale che mai. L’uomo che con la sua lungimiranza, ha previsto il declino della società italiana ad appannaggio di quella borghese. Egli è quell’uomo incompleto che ha e avrebbe molto ancora da dire, da raccontare. Uomini e artisti come lui che denunciano la loro società senza freni e senza paura, sono rari. Concludo citando gli scritti corsari, in quella che è la frase che lo descrive maggiormente:
« Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con il lettore. »
Pier Paolo Pasolini