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Nessun mobile sarà sufficiente a contenermi.
Devo distruggere quell’essere con lo sguardo, perché è la sola cosa che mi sia rimasta da fare.
Come la vita ti si affaccia, io sarò quella che te la rovina.
Così fantasticavo nel mio placido torpore, perché tanto mi era rimasto solo quello.
Ero stata espulsa dal corpo due ore fa e ancora non me ne capacitavo. Innumerevoli braccia mi
avevano tenuta, ma nessuna era capace di tanta comprensione come la sua. Forse sì, forse se avessi
morso prima il capezzolo che mi nutriva a quest’ora avrei avuto soddisfazione. E invece nulla.
Ti odio essere giulivo. Era tutto ciò che riuscivo a pensare. Ti odio, ti odio.
Non varrai mai quanto le cicatrici che mi hai inferto, le illusioni che hai costruito per me. Perché
sedurmi col sospiro d’amore ? Perché plagiarmi con sacrileghi abbracci ? Non ci siamo dati gioia io
e te reciprocamente ? Non ci siamo svegliati tutte le mattine insieme ? Non era come riemergere da
un sogno ? Quante volte hai stretto le mie carni, eppure io non mi lamentavo. Quanti sobbalzi e
incubi, e le tue unghie premevano me, non la stanza intorno. È questo che non riesco a capire. Ti ho
servita, ti ho riverita, non ti ho tradita. Ma nell’angolo di polvere in cui giaccio tutt’ora, spero ancora
che la fine non sia giunta e che tornerai da me. È questo ciò che fa un buon servitore, spera sempre
che il padrone torni prima o poi.
Ma mi dimenticherà, so che lo farà. Quelli della sua specie fanno presto a dimenticare.
Ma i suoi traumi maggiori l’ha confidati a me, quelli non possono tornagli indietro.
Non riavrà ne me ne loro. Non potrei chiedere nulla di meglio. 
Ti odio creatura. Lo dico a voce alta.
Ti odio davvero. Ancora più alta.
Ti ho in pugno per l’eternità.
Ma l’anta dell’armadio è ben chiusa, nessuno mi può sentire. Sono come Jack nella scatola: nessuno
chiede niente a lui, nessuno chiede niente a me. Aspetto e basta.
Aspetto, miro e sorrido.

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