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“No time to die” segna lo sgretolarsi definitivo del mondo costruito dalla penna di Ian Fleming. Non c’è più spazio per il consueto superomismo dell’iconico agente segreto con licenza di uccidere. Il nuovo Bond, infatti, è malinconico, nostalgico, dilaniato dai ricordi e dai rimpianti, disposto a sacrificare tutto per i suoi affetti. Travagliato da un passato che non riesce a cancellare (“tu ti guardi sempre indietro…”).

Ne scaturisce un’opera certamente crepuscolare, condita dai soliti effetti speciali e da svariati colpi di scena. 

La trama presenta qualche forzatura di troppo ed anche il nemico di turno (Rami Malek) non risulta particolarmente accattivante. Ma il finale sarà emozionante, ricco di Pathos.

Riferimenti e autocitazioni non finiscono mai: alcuni tratti dagli altri film con Craig (a partire dalla visita alla tomba di Vesper Lynd); altri dai più vecchi capisaldi della saga (spicca “We have all the time in the word” di Armstrong); e naturalmente gli immancabili evergreen (“agitato, non mescolato”; “mi chiamo Bond, James Bond”).

Ed allora l’ultimo 007 di Daniel Craig – interprete che non dimenticheremo mai – si dimostrerà più umano che mai, mettendo addirittura l’amore davanti alla ragion di Stato, mostrando tutte le sue debolezze di fronte alla bella e travagliata Madelaine Swann (il cui nome risulta un palese riferimento a “Dalla parte di Swann”, di Proust), interpretata da Léa Seydoux.

Ed anche se “non è tempo di morire”, sembra giunto quantomeno il momento di un cambiamento radicale

E dopo 25 lungometraggi di questa gloriosa serie cinematografica, qualcosa – di certo – è cambiato per sempre.

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Caporedattore Cult Web per l’A.A. 2017/18 Vicedirettore responsabile Web 2019/20 Direttore per l’A.A. 2020/21