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Domenica 4 dicembre si è tenuto l’atteso referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. Il no ha vinto con il 59,1%, contro il 40,9% del . L’affluenza è stata altissima, dato assai raro in un referendum italiano, e si è fermata al 65,47% (dati Ministero dell’Interno). Si è votato di più al nord che al sud. Il no ha stravinto al sud e il ha perso in modo più contenuto al nord. Un dato di rilievo è che il ha prevalso solo in due regioni (Toscana ed Emilia-Romagna), nella provincia autonoma di Bolzano e tra gli italiani all’estero. La Sicilia e la Sardegna sono state le regioni dove il no ha vinto in misura più netta (Palermo e Siracusa con il 73%, Cagliari, Oristano e Catania con il 74%), ma il no ha stravinto anche in Puglia e Basilicata (70%) e nella provincia di Napoli. Anche Roma ha votato in maniera decisa per il no, mentre in Toscana e in Emilia-Romagna ha vinto dappertutto il sì, però non raggiungendo numeri così netti.  Ad ogni modo, il no ha superato i 19 milioni di voti complessivamente.

Data la schiacciante e inequivocabile vittoria del no, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato le proprie dimissioni alle 00:25, quando lo spoglio era ancora in corso: “Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta. Volevo ridurre il numero delle poltrone. La poltrona che salta è la mia”. Personalmente, credo sia solo da lodare la coerenza di un uomo politico che ha fatto esattamente quello che aveva annunciato, all’inizio della campagna elettorale, nel caso in cui il no avesse vinto. Visibilmente emozionato, Renzi ha tenuto un discorso molto pacato e distensivo, chiaro, senza rancore e con il rispetto per il verdetto delle urne. Il segretario del PD rassegnerà le sue dimissioni al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oggi pomeriggio. Martedì, invece, ci sarà la direzione del Partito Democratico, nel corso della quale, probabilmente, si deciderà anche la strada da seguire per il partito che ha la maggioranza in Parlamento.

Ritornando alle dimissioni, il presidente Mattarella potrebbe:

  • Chiedere a Renzi di rimanere in carica e presentarsi alle due Camere per un nuovo voto di fiducia;
  • Accogliere le dimissioni e avviare la prassi delle consultazioni;
  • Sciogliere le Camere, ponendo fine alla legislatura iniziata nel 2013, e andare ad elezioni anticipate.

Obiettivamente, la prima ipotesi sembra assolutamente remota, dato il senso di quanto detto da Renzi nell’annunciare le sue dimissioni. Per non parlare del fatto che nel fronte del no c’è stata anche buona parte della minoranza del PD che, a questo punto, non darebbe sicuramente più la fiducia al premier.

La terza ipotesi è ancora più improbabile. Si andrebbe a votare infatti con l’Italicum alla Camera e il Consultellum (cioè il “Porcellum”, così come modificato dalla Corte Costituzionale) al Senato. Ricordo che l’Italicum è un sistema che garantisce alla lista più votata (al primo turno o dopo l’eventuale ballottaggio) di avere la maggioranza assoluta dei seggi. Il Consultellum, invece, è un proporzionale con le preferenze, senza premio di maggioranza e con soglie di sbarramento del 2 o del 4%. Percorrendo questa strada il Paese si ritroverebbe in una situazione analoga a quella del 2013, se non più confusionaria, con l’obbligo di fare un governo di larghe intese.

Quindi, l’ipotesi più realistica è la seconda: Mattarella accetterà le dimissioni di Renzi e, dopo le consultazioni con i presidenti di Senato e Camera, i senatori a vita e i leader dei gruppi parlamentari, darà un mandato esplorativo ad un esponente politico o tecnico (come Presidente del Consiglio incaricato si fanno i nomi di Franceschini, Delrio, Padoan e Grasso) al fine di verificare se ci siano le condizioni per formare un nuovo governo che, a questo punto, potrebbe essere formato solo per approvare una nuova legge elettorale valida per entrambi i rami del Parlamento. Se le condizioni ci saranno, il soggetto in questione scioglierà la riserva e darà vita al nuovo governo; in caso contrario, il Presidente della Repubblica potrebbe anche sciogliere le Camere.

In ogni caso, è innegabile come la caduta del governo Renzi, nato circa 1000 giorni fa, aprirà una fase di grande incertezza politica ed economica per il nostro Paese. Sicuramente l’ormai prossimo ex Presidente del Consiglio non si aspettava una sconfitta di queste dimensioni. Il 40 % delle ultime europee si è trasformato nel 40% del referendum, con la differenza che, mentre alle europee fu una vittoria che sembrava sancire una duratura luna di miele tra Renzi e il popolo italiano, questa volta quel numero ha rappresentato una pesante sconfitta con venti punti di differenza rispetto a chi ha vinto. A mio personalissimo parere Renzi ha sbagliato, specie nelle prime fasi della campagna elettorale, a personalizzare eccessivamente la campagna referendaria. In seguito ha corretto il tiro, ma ormai il dado era tratto. Molta gente ha interpretato questo voto come un plebiscito “in stile De Gaulle” pro o contro Renzi; per questo sono d’accordo con le sue dimissioni (fosse rimasto sarebbe stato accusato di essere attaccato alla poltrona). Comunque, il Paese si è allontanato presto dallo spirito di quelle europee: è diventato insensibile ad annunci e promesse del governo (alcune delle quali, va detto, sono state realizzate e non sono rimaste aria fritta). È anche vero che è impossibile che oltre 19 milioni di italiani abbiano votato semplicemente contro Renzi; evidentemente questa riforma non è piaciuta, per un motivo o per l’altro, a tanta gente. È certo che molti sostenitori del no hanno studiato in maniera approfondita il contenuto della riforma e, molto semplicemente, non hanno voluto appoggiarla.

Adesso toccherà  al PD, e ancora allo stesso Renzi se ne rimarrà segretario, indicare una strada per uscire dalla situazione di profonda incertezza odierna. Un governo va messo in piedi alla svelta e va approvata una nuova legge elettorale, la più condivisa possibile dalle forze politiche.

Riguardo ai vincitori di questo referendum, cioè il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, la Lega Nord di Salvini, Forza Italia di un redivivo Berlusconi e la minoranza PD di D’Alema, rappresentano una formazione fin troppo variegata e disomogenea per poter essere anche maggioranza di governo. Ulteriore ragione per cui è necessaria una seppur breve unità nazionale per poter ritornare alle urne con una legge che garantisca un vincitore certo se non la sera stessa delle elezioni, quantomeno dopo rapide consultazioni del Presidente della Repubblica.

Di sicuro, di una giornata referendaria in un senso o nell’altro storica, quello che ha colpito è stata la grande partecipazione al voto dei cittadini, che hanno sentito questa chiamata alle urne come vitale per il Paese. Renzi ha fatto una scommesso e ha perso, ciò che importa davvero adesso è che si inizi a parlare finalmente di futuro e non dell’ennesimo salto nel buio.

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Studente di Scienze Politiche