12 dicembre 1969. Ore 16:34.
Un edificio di costruzione fascista in piazza Fontana, straordinariamente, prolunga il suo orario. Doveva chiudere alle 16:30. La sede della Banca nazionale dell’Agricoltura di Milano.

16:35. In città c’è aria di festa come non mai. A metà fra sant’Ambrogio e il Natale, la città è decorata e illuminata. Fuori fa freddo ed è buio.
16:36. Il crepuscolo è già sceso, scende una leggera pioggia fastidiosa. Dentro alla Banca, intorno a un tavolo ottagonale, agricoltori e allevatori ultimano le loro contrattazioni.
16:37. E’ questo il momento esatto in cui esplode un ordigno, all’interno di una borsa di pelle, contenente 7 kg di tritolo. Muoiono subito 13 persone. Altre 3 nei giorni successivi. I feriti sono 90. Una strage. La madre di una serie di stragi che proseguirà nei successivi anni, definiti “gli anni di piombo”.
Sono trascorsi più di cinquant’anni dalla strage di piazza Fontana a Milano e un colpevole esatto ancora non c’è, come sempre è accaduto nell’Italia del dopoguerra. A fare da protagonista, c’è il mistero.
Ma quest’attentato non fu solo: in repentina successione, nell’arco di un’ora furono trovati altri quattro ordigni fra Milano e Roma. A Milano, alla Banca Commerciale Italiana, poco prima dell’altro attentato, dove una bomba venne fatta brillare dagli artificieri. A Roma uno scoppio a via di San Basilio, vicino Via Veneto, con 13 feriti e nessun morto. Gli altri due ordigni, furono trovati, ormai esplosi, alla base dell’Altare della patria, sfregiando il monumento.

Una serie combinata di esplosioni fra le 16:37 e le 17:22, diedero inizio a un periodo dominato dalla paura, dal terrorismo, dall’eversione. Dire se i colpevoli furono gli anarchici o gli estremisti di destra e sinistra, è difficile.
Questi attentati non hanno nome, se non la pazzia e la scelleratezza umana. Gli anni di piombo iniziarono così. L’attentato di Piazza Fontana fu il punto di svolta per eccellenza del dopoguerra italiano: ventitré anni dopo il primo suffragio universale, l’inizio effettivo della repubblica, il passaggio verso una nuova vita e una nuova speranza per l’Italia; ventitré anni prima del 1992, di tangentopoli, di mani pulite, dello scandalo che ha demolito il partito che aveva dominato la scena italiana per anni e che, allo stesso tempo, ha chiuso quella che venne definita “Prima Repubblica”.
Scriveva così Montanelli:
“Per tanti aspetti si può parlare d’un prima di piazza Fontana e d’un dopo piazza Fontana. La strage della Banca dell’Agricoltura non fu la più atroce tra quelle che hanno insanguinato l’Italia, ma fu una sorta di freccia avvelenata che colpì la società italiana, perché diede avvio al periodo stragista con simili gesti di cieca ferocia.”
All’indomani dell’accaduto, l’edificio aveva del macabro, del tenebroso. Un buco al centro del pavimento. Cenere, blocchi di marmo spezzati, fogli e giornali per terra, sedie rotte. Più che una banca, sembrava la sceneggiatura di un film dell’orrore. I filmati in bianco e nero rendono ancora di più l’idea.

A piazza del Duomo, due giorni dopo, si tennero i riti funebri delle 16 vittime. La magistratura iniziò a rastrellare anarchici da tutte le sedi di Milano. Fra tutti spiccò Giuseppe Pinelli, ferroviere e anarchico convinto. Secondo alcune fonti verrà ucciso, gettato da una finestra del quarto piano della questura, durante l’interrogatorio con Luigi Calabresi. Non si esclude, però, il suicidio.
Sull’argomento, ancora oggi, non è stata fatta chiarezza. Abbandonata la pista anarchica, la Magistratura seguì quella legata ad esponenti di estrema destra: vennero fermati Franco Freda, Giovanni Ventura ed altri esponenti considerati neofascisti. Dopo sette sentenze della Corte di Cassazione (fra il 1972 e il 1985), passando da Milano, Catanzaro e Bari, si giunse a questo verdetto: tutti gli accusati vennero assolti, per mancanza di prove, dall’accusa più grave; Freda e Ventura, condannati a 15 anni per associazione sovversiva.
In un clima che sta ormai degenerando, il prefetto di Milano Libero Mazza, aumentò le misure di sicurezza, per paura, a un anno dall’attentato, andando contro la volontà del sindaco Aldo Aniasi. Eugenio Scalfari commentò cosi il suo comportamento:
“Il prefetto o è uno sciocco, che non capisce quanto accade, o un fazioso che non vuole capire”.
In quell’ “autunno caldo”, come detto, iniziarono simbolicamente gli anni di piombo, una serie di assassini, attentati e uccisioni che culminarono con il più eclatante, quello di Capaci, 1992, dove perse la vita Giovanni Falcone. Dove veramente si arrivò al culmine.

Ventitré anni di paura, di sgomento, di terrore. Un sentimento diffuso in ogni angolo di ogni città. Il presentimento che qualcosa sarebbe potuto accadere da un momento all’altro. In mezzo, ci sono circa 400 vittime, un numero imprecisato di feriti. L’attentato della Piazza della Loggia, quello della Stazione di Bologna, del treno Italicus, Aldo Moro. Al centro di questi anni ci sono le manifestazioni di piazza, i cortei con la polizia e le lotte studentesche.
Tutto cominciò con quell’esplosione delle 16:37, a Piazza Fontana, a circa cento metri dal Duomo.
A cinquant’anni da quella data, non bisogna mai scordarsi di quanto la pazzia dell’uomo possa rompere la quotidianità in così pochi secondi, di quanto la politica abbia segnato la nostra storia a partire da quegli anni.
Di quanto, spesso, la Magistratura non si impegni concretamente nella ricerca di un colpevole, mancando spesso le prove. Di quanto, la verità processuale, non coincida quasi mai con la verità storica dei fatti. Citando ancora una volta Montanelli:
“Piazza Fontana resta, giudiziariamente, un enigma. Quasi trent’anni non sono bastati per arrivare al fondo di quel pozzo tenebroso: ed è inutile sperare di arrivarci mai”.