La Famiglia o la Vita

Cinque casi che ci fanno riflettere sul dramma della violenza sulle donne

Tra i tanti casi di cronaca oggi voglio parlare di cinque, tutti accaduti nel giro degli ultimi sette giorni, che sono la dimostrazione non solo di come la violenza sulle donne nel mondo arabo sia ormai un luogo comune, ma anche la chiara prova che finalmente qualcuno sta iniziando ad alzare la voce, a voler combattere. Probabilmente si sentiranno come tenui focolari in aperta campagna, le quali luci soffuse vengono viste da pochi, ma la realtà è che qualcuno le ha viste e, grazie a questo, altre hanno avuto il coraggio di accendersi e brillare, riportando alla luce in pochissimi giorni un fenomeno del quale in pochi si preoccupano veramente, ma che con i crescenti flussi di immigrazione dovrebbe rappresentare uno dei punti di maggior interesse di chi si occupa di integrazione.
Sono dunque “le fantastiche cinque” di Aprile a riportare in luce il fenomeno della violenza contro le donne nella cultura musulmana. I giornali non ci forniscono i loro nomi, forse per proteggerle, ma ad identificarle non serve il nome, basta l’atto di coraggio che ognuna di loro ha voluto perpetrare per assicurarsi una vita migliore.
La prima, in ordine cronologico, è la quattordicenne di Bologna, che il 31 Marzo scorso arrivò a scuola in lacrime e senza capelli. Raccontò agli insegnanti – primi a dare l’allarme – che fu la madre stessa a rasarla a zero per punirla per il suo stile di vita e le sue amicizie. Lei, come anche le sue sorelle, sono state affidate ai servizi sociali, mentre gli inquirenti cercano di far luce sulla vicenda. La stessa sorte è toccata alla sedicenne di Pavia, che già da Febbraio mandava segnali di richiesta di aiuto per aver ricevuto ripetute percosse dai familiari. Anche in questo caso, la ragazza conduceva uno stile di vita “troppo occidentale e promiscuo” secondo i familiari e, per questo, si sarebbe meritata le violenze fisiche ricevute per mano non solo del padre supportato dalla madre, ma anche dal fratello maggiore. Dopo mesi di attesa, è stata finalmente affidata ai servizi sociali mentre la polizia, ancora una volta, tenta di far luce su questi avvenimenti riguardo ai quali i genitori si dichiarano innocenti: essi infatti riportano di aver messo in punizione la figlia per via delle sue attitudini, ma di non averle inflitto alcuna violenza fisica.
Gli ultimi due casi, cronologicamente parlando, accadono lo stesso giorno – il 9 Aprile – rispettivamente in provincia di Vicenza e Napoli. Nel vicentino, a diventare carnefice è il padre di una ragazzina di 15 anni, che si è presentata a scuola piena di lividi e tumefazioni. Ad intervenire sono stati gli insegnanti che hanno poi chiamato i servizi sociali per assicurare un intervento immediato. Anche lei, come altre, si rifiutava di mettere il velo per andare a scuola e per questo è stata punita. Il caso nel napoletano vede invece coinvolta una ventottenne sposata e con figli, che però minacciava il marito di divorzio e che non voleva più indossare il velo. La ragazza è stata picchiata e chiusa nel bagno di casa così che non potesse chiedere aiuto; solo dopo esser riuscita a fuggire ha potuto attirare l’attenzione di alcuni vicini che hanno chiamato la polizia.
E giungo ora a quello che è per me il più raccapricciante tra tutti questi casi: quello del tentato suicidio di una quindicenne a Torino, che avrebbe preferito la morte piuttosto che darsi in sposa ad uno sconosciuto molto più vecchio di lei. La ragazzina ha infatti tentato di togliersi la vita e, solo cosi facendo, è riuscita a richiamare su di sé le attenzioni delle autorità che sono riuscite a risalire ai motivi di un gesto così avventato. Anche lei ora vive in una comunità protetta, e come tutte le altre è stata tolta alla sua famiglia perché possa vivere in pace.
In meno di sette giorni, sono cinque i casi di violenza fisica e mentale perpetrate da uomini autoritari su ragazzine o donne e riportati dai giornali, cinque di una lunga serie; ma queste vicende, se osservate dal giusto punto di vista, ci dovrebbero donare prima di tutto speranza. Sì perché questi casi esistono da anni, che se ne parli o no, ogni giorno migliaia di donne vengono picchiate da mariti, fratelli o padri perché vogliono vivere una vita diversa da quella che viene loro imposta, ma la novità è che finalmente qualcuno ha trovato il coraggio di parlare e, ancora più significativa, è la tempestiva risposta delle forze dell’ordine, che sicuramente darà coraggio ad altre voci di poter riportare gli abusi subiti sentendosi finalmente protette da uno Stato e da una società che vogliono sentire come “loro”.
Ognuna di questo donne ha dovuto scegliere tra “La Famiglia” e “La Vita”, e ognuna di loro ha scelto di vivere, ma non sempre va a finire così, non sempre si ha il coraggio di lanciare un urlo, anche sommesso, per provare a salvarsi, ma soprattutto non sempre si trova qualcuno disposto ad ascoltarci. Credo che le storie di queste donne possano fungere da torcia che illumina il sentiero per molte altre, ed è nostro compito come cittadini, come donne, come uomini, e come esseri umani, ascoltare le loro grida e illuminare loro il sentiero.