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L’evoluzione del centro-destra dagli anni ’90 ad oggi segna la morte dell’area liberale europeista

La destra italiana nel corso della storia repubblicana ha presentato vari volti, da quelli minoritari di stampo liberale a quelli sociali e conservatori. Quest’area politica non può dirsi protagonista della prima Repubblica: in minoranza all’interno della classe dirigente italiana, la stessa non svolgeva un ruolo centrale nei relativi governi. I liberali erano sì componente perenne dei governi con la DC, ma la debolezza elettorale ne ridimensionava drasticamente il peso politico. Un ruolo di minoranza al contempo veniva ricoperto dalle correnti più conservatrici della Democrazia Cristiana, comunque spinta verso sinistra sulle questioni economiche; in particolar modo sull’intervento pubblico. Partiti conservatori come il Movimento Sociale Italiano o i monarchici, poi, raramente hanno avuto un ruolo rilevante nel governo del paese. Il motivo di questa marginalizzazione è lo stesso che escludeva il Partito Comunista dal governo, ossia che i partiti di stampo più conservatore erano esclusi dal cosiddetto arco costituzionale per via delle posizioni anti-establishment che li caratterizzavano. Se per il PCI il discorso riguardava principalmente le dinamiche della guerra fredda e delle nostre alleanze, per questi partiti erano elementi problematici l’eredità fascista dell’MSI ed il rifiuto della forma repubblicana da parte dei monarchici.

Le condizioni affinché si verificasse un’evoluzione della destra maturarono solo negli anni 90’. L’inchiesta Mani Pulite e la fine della Guerra Fredda segnarono una svolta epocale per la politica italiana. Da un lato, i mutamenti geopolitici evidenziarono come per i partiti italiani (DC e PCI su tutti) fosse venuta meno quella contrapposizione tra Ovest ed Est che reggeva la loro proposta politica. Dall’altro, tangentopoli provocò una sfiducia generalizzata verso l’intera classe dirigente che aveva composto i governi della Prima Repubblica. Sfiducia segnata tra tutte dalla tremenda sconfitta della DC alle elezioni amministrative del 1992.

Gian Mattia D’Alberto – LaPresse 10 04 2012 Bergamo cronaca manifestazione “Orgoglio leghista” alla Fiera di Bergamo

Contemporaneamente, l’elettorato moderato trovava invece come partiti di riferimento la Lega Nord nelle regioni settentrionali e l’MSI di Gianfranco Fini al Sud, rimasti estranei a Mani Pulite e favoriti dal recente sistema elettorale maggioritario. Il successo leghista si spiegava con la crescente insofferenza delle regioni del nord e dei settori più avanzati del Paese verso l’immobilismo della politica italiana. Si auspicava quindi una riforma federalista della Repubblica. In quel momento la leadership missina intuì che la crisi della DC rappresentava un’occasione per la destra di aprire una fase di rinnovamento che potesse portare la stessa ad essere una forza di governo includendo altre culture politiche orfane dei vecchi partiti. Ne conseguì la fondazione di Alleanza Nazionale.

Vari temi dividevano la destra di quegli anni, come pensioni, federalismo – con AN più centralista – e giustizia, con AN e Lega più giustizialiste. In questo senso la figura di Silvio Berlusconi sarà cruciale nell’unificare le differenti anime della destra italiana individuando come nemico comune gli ex comunisti e vincendo le elezioni del ‘94.  Egli, dopo la fondazione di Forza Italia, decise pragmaticamente di formare due coalizioni diverse di centro destra, la prima al nord alleata con la Lega; la seconda al sud alleata con AN. La disattenzione del programma politico provocò nel corso del tempo l’estraniamento degli intellettuali di riferimento di stampo liberale, uno su tutti Gianfranco Miglio, ideologo del federalismo che già dal 1994 iniziò ad entrare in rotta di collisione con la linea della Lega e più tardi anche della coalizione.

Diversamente, il centro destra rimase unito tra il 2001 ed il 2011, periodo nel quale governò complessivamente 8 anni. Le posizioni storiche sul federalismo vennero definitivamente messe da parte in seguito al fallimentare referendum del 2006, per il quale in ogni caso non manifestò particolare interesse neppure la Lega. Il periodo di governo 2001-2006, seppur complessivamente istituzionale, fu anche l’occasione per manifestare la deriva populista della coalizione, segnata da contrasti con l’UE sulla spesa e leggi ad personam.

A distanza di anni, è pacifico affermare che l’ultimo governo ad intera guida di centro-destra ha rappresentato l’esito definitivo di vent’anni di politica berlusconiana. Nel periodo 2008-2011 nasce il PdL – unendo FI ed AN in un unico partito – il Cav finisce al centro dello scandalo Ruby, crolla la borsa di Wall Street provocando un effetto a valanga su tutta l’Europa, ed infine lo stesso PdL si spacca portando alla fondazione da parte di Fini di Futuro e Libertà. Ciò che qui interessa comprendere è la direzione allora intrapresa dalla destra italiana. Fu Fini a tentare il colpo finale nei confronti del capo di governo. La guerra alla magistratura e la crisi economica rappresentarono i principali elementi di scontro, ma Fini tentò addirittura di spostare la destra ex missina su posizioni progressiste. Memorabile è in questo senso la posizione favorevole allo Ius Soli da parte di Fini.

L’FLI di Fini realizzò infine una scelta di campo schierandosi con il centro-sinistra e togliendo la fiducia al governo. Quest’ultimo resse, ma con una risicata maggioranza per cui, in seguito alla spaccatura tra il governo Berlusconi IV e l’UE sul debito pubblico, sarebbe stato lo stesso Cav a dimettersi. La nascita del governo Monti, il quale risultò estremamente impopolare, portò le varie anime della destra italiana alla resa dei conti. Nel 2013 Scelta Civica di Mario Monti, alleata con FLI, prese solo l’8% dei voti, per poi andare sostanzialmente a scomparire nel corso della legislatura. L’alleato intanto non raggiunse neanche l’1% dei voti alla Camera. Va detto che anch’egli fu coinvolto in alcuni scandali giudiziari, ma è da escludere che questi siano stati autosufficienti a determinarne un tale collasso.

Risulta invece chiaro che la scelta di campo di stampo europeista in quel momento fu sgradita ad un elettorato che ritrovò invece fiducia nella campagna elettorale berlusconiana del 2013 all’insegna di promesse di condoni fiscali, un certo euroscetticismo e proposte populiste quali la restituzione dell’IMU agli italiani. Contemporaneamente, la Lega crollava nello scandalo Bossi-Belsito sui finanziamenti illeciti al partito e nasceva Fratelli d’Italia, guidata dall’ex Ministro della Gioventù Giorgia Meloni. FdI si discostò completamente dalle posizioni centriste, pro-austerity e vicine al progressismo di Fini, optando invece per un antieuropeismo esasperato, accompagnato dall’ostilità all’immigrazione clandestina. I temi della giustizia, su cui Fini aveva concentrato diverse critiche a Berlusconi, vennero ignorati. Al più, furono sostituiti dalla guerra al cosiddetto business delle cooperative coinvolte nell’accoglienza dei migranti.

La Lega Nord adottò sostanzialmente le medesime posizioni politiche attraverso Matteo Salvini. Si può dire che egli è stato l’unico leader del centro-destra a scavalcare Silvio Berlusconi in una tornata elettorale (alle elezioni legislative 2018). In un certo senso, è riuscito dove Fini aveva fallito miseramente. Salvini non ha però puntato sulla spaccatura del centro-destra, contendendosi invece la guida della coalizione appunto nel 2018 e superando FI. È bene allora chiedersi come si è arrivati a tale risultato.

Ebbene, possiamo osservare che mentre Salvini e Meloni hanno dedicato l’intera legislatura 2013-2018 ad un’opposizione senza tregua ai governi a guida PD, FI ha sempre preferito la linea del dialogo. Ne è prova il Patto del Nazareno del 2014 siglato con Renzi con l’obiettivo di realizzare delle importanti riforme, tra cui quella costituzionale. Diversamente, il PD, e Renzi in particolare, divennero la rappresentazione vivente del nemico dal punto di vista dei partner di centro-destra. Si aggiunga che le posizioni liberali degli anni ’90 venivano ormai sostituite con condoni fiscali e Flat Tax unite ad interventismo pubblico, soprattutto sui temi pensioni e nazionalizzazioni, con una radicale guerra alla globalizzazione.

In conclusione, le valutazioni storiche vanno in ogni caso realizzate solo a distanza di anni da un evento, o un fenomeno come nel caso in questione. Ne consegue che le valutazioni in merito al ruolo della destra nell’attuale legislatura risulterebbero ancora troppo scarne di fatti ed obiettività. Si può solo evidenziare come le posizioni più reazionarie, toccate dal governo Conte I con Salvini allora Ministro dell’Interno, sembrano quantomeno essersi affievolite al momento. La guerra in Ucraina, ad esempio, ha costretto il leader del Carroccio ad abbandonare le posizioni filo Putin con un certo imbarazzo. Per il resto, non è ancora chiaro in che modo la destra italiana si adatterà alle conseguenze politiche della Pandemia. In particolare, lo spostamento dell’asse PD-M5S verso posizioni legate alla sinistra storica potrebbe provocare una riscoperta del tema del federalismo. Quanto al fronte liberale, se c’è una certezza è che i prossimi anni saranno caratterizzati da una radicale spesa pubblica nell’ambito del Recovery Fund (il quale giustifica anche la sospensione dell’antieuropeismo). La Rivoluzione Liberale che costituiva la bandiera di Berlusconi nel 1994, di conseguenza, non sembra avere prospettive future.

Francesco Guiso e Matteo Bucciarelli

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