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Cinque anni fa decisi di imbattermi sotto il sole cubano nella lettura del libro dell’oncologo Enzo Soresi, il cervello anarchico. Gli infiniti percorsi del cervello ci immergono in una dimensione di apparente trascendenza. Siamo eternamente incompiuti perché il ragionamento e la consapevolezza ci caratterizzano come specie, ma non ci esimono dalla costrizione in due elementi, tempo e spazio. Ricordo un passaggio in cui Soresi parla di una guarigione miracolistica, ebbene una signora anziana e malandata gli viene presentata in condizioni cliniche compromesse e l’epilogo sembrerebbe imminente, quindi il professore suggerisce una cura non convenzionale: darle degli obiettivi! Così ottiene l’effetto placebo, capace di guarigioni sensazionali. Pertanto se Zarathustra teme il non più creare perché lo identifica come la grande stanchezza ci fornisce una prova per supportare la tesi del cervello anarchico. Si può dire che, seguendo questo filone empirico, la biologia sia influenzata direttamente dalla salubrità del pensiero, dalla disponibilità di obiettivi e dalla voglia di raggiungerli. Il pensiero quindi al servizio del corpo e viceversa, in un sistema che si alimenta di tangibile e di sogni.

Il cervello come motore della speculazione artisica. Sì, è in questa veste straordinariamente onirica che dà il meglio di sè. È per l’appunto nella ricerca narcisistica del bello che si galvanizza e trova l’appagamento dei sensi. Le arti, specialmente se figurative, rappresentano il ponte tra la creatività e la regola; il compromesso che si ottiene tra manierismo e genio grezzo è la più interessante delle manifestazioni dell’intelletto. 

È il pensiero che domina la scena nella Vienna a cavallo tra il secolo lungo e quello breve; all’ombra del Belvedere si consuma un fermento culturale irripetibile. Una Finis Austrae che è leggendaria fine di un’era, come fine di un Impero quello sacro e romano ormai troppo diviso e decadente. È in questa caduta nobilissima che si rompono gli schemi di una città austera, a tratti bigotta e dalla bellezza tutta da svelare che nel melting-pot culturale ha fatto germogliare un fermento innovatore di idee, un palcoscenico del sapere. Non è un caso che nell’arco di vent’anni si siano susseguiti tra i ring personalità come Freud, Klimt e Schnitzler; tre nomi, tre mondi, tre modi di intendere la creatività. La Secessione viennese si pone come manifesto di cultura antagonista che non accetta il compiersi degli eventi e disegna un finale alternativo. È un sapore agrodolce, a tinte fosche, che nell’immaginifico confeziona i petali di un fiore indolente e tremendamente languido. L’effetto sulla timorata comunità di Vienna è quello della lama di Fontana sulla tela, un colpo secco, energico e brutale che, livido di desiderio, sprigiona tutta sua carica erotica. L’immaginario è nello sguardo sospeso della Giuditta di Klimt – una sineddoche a colori! –  che, nella incostante smorfia del viso, trasmette una pulsione di piacere come nessuna prima di allora. La Secession è un movimento olistico, completo, interdisciplinare. Un segno di quanto il pensiero possa ottenere dalla speculazione artistica realizzando l’immaginario.

Il Romanticismo ancor prima dell’ArtNoveau mostra tutta la condizione di sofferenza dell’uomo nei riguardi di una natura alle volte matrigna – come la subisce Leopardi – ma certamente indomabile come i mari di Turner. Il Sublime esalta la vena creativa e l’immaginario si manifesta nelle nuvole che avvolgono il viandante di Friedrich o nei volti esanimi dei superstiti nella zattera di Géricault. I romantici così focosi di un’operosità scomposta finiscono per compiacersi della loro stessa condizione di impotenza. Il titanismo è la loro sfida, una continua rincorsa verso la sconfitta che sa tanto di eroismo. Il pennello per De La Croix e soci è la spada con la quale affrontare la natura, in un duello asimmetrico il cui epilogo è già noto. I romantici tentano di imbrigliare la natura con l’immaginario, perché riproducendola ne esaltano i caratteri che preferiscono, azzardando così un ruolo da comprimari. I romantici ci offrono grati spunti per concludere che, prendendo in prestito il titolo, la capacità di realizzare l’immaginario è unica vera arma dell’Uomo.

L’uomo in definitiva ha nell’immaginario la sua chance per evadere e concedersi quel secret escape da un mondo tanto brusco, alle volte inelegante e spesso severo. Siamo spinti nell’immaginario per tratteggiare voli di fantasia, per liberarci oltre la cortina delle frasi di circostanza, per soddisfare tutta la vorace fame di libertà che coltiviamo gelosamente nel nostro giardino segreto.

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