Di notte, certamente qualcosa succede dentro le intercapedini dei muri: parole
trattenute, sguardi imprigionati, pensieri appiccicosi, assorbiti durante il giorno, si
ribellano al cadere della notte, con piccoli schianti e scricchiolii.
Arriva a volte a liberarli un vento dal nord. Scava nelle pareti delle abitazioni
sottili gallerie, sentieri di salvezza. Ci si accorge della loro fuga verso l’alba, quando
la casa ti sveglia, soffiandoti in faccia il suo alito di erba bagnata.
Nelle mattine fortunate, il mio campo d’azione è sgombro da materiali di scarto
lasciati a terra dai giorni precedenti. Riesco allora ad affrontare ciò che mi aspetta,
evitando la spiacevole sensazione di aver già masticato e mal digerito i fatti e gli
eventi che attraverso.
Lo stato d’animo del già vissuto è una sentimento che mi accompagna da un paio
di anni.
I primi dieci anni di vita da single, sono stati piacevoli. La novità di dovermi
occupare solo di me stessa, di non avere vincoli se non quelli dettati dalla stanchezza
del mio corpo, mi ha dato la possibilità di riempire uno dopo l’altro i cassetti del mio
armadio delle occasioni perdute.
Da un po’ i cassetti vuoti sono finiti, avrei voluto riempire anche di abiti e di
giacche nuove l’armadio, ma nulla di quello che ho tentato di appendere in bella vista
è risultato adatto.
Questa storia nasce in uno di uno di quei giorni ne’ troppo buoni ne’ troppo cattivi,
in cui siamo ben disposti a farci accadere qualcosa e nel contempo restiamo vigili,
perché è vero che sull’argine che costeggia il fiume sono spuntate le primule, ma
qualche ciuffo di erba anomala l’abbiamo pur notato in giardino.
Come ripeto, i cassetti erano stati tutti riempiti, era arrivato il momento del vestito
nuovo. Ancora non mi era chiaro però per quale occasione mi apprestavo ad
acquistarlo.
La mattina del giorno in cui cominciò tutto, presi atto che la signora che mi viveva
accanto stava traslocando.
Accolsi favorevolmente quel diversivo, anche se significava rumori molesti per
alcuni giorni ed ascensore sempre occupato.
Era infatti probabile che arrivasse un nuovo inquilino più socievole della signora
Visentini, ad occupare il bilocale rimasto libero.
Rincasando dal lavoro, sbirciai oltre la porta della ex vicina, rimasta semichiusa.
Non si sentivano rumori, ma qualcuno c’era e si stava muovendo davanti ad una
forte luce bassa, posta a filo del pavimento.
Durante la notte mi svegliai di soprassalto. Non so se proveniente da fuori o da
dentro me, avevo sentito un forte rumore, uno schiocco, come di rami spezzati. Non
ebbi difficoltà comunque a riaddormentarmi.
La mattina dopo mi sentii incredibilmente serena e tutta presa dalla neonata
felicità, mi dimenticai della questione trasloco e vissi il mio giorno favolosamente
piatto.
Fossi stata un po’ più vigile, meno presa dalla droga della spensieratezza, avrei
certamente notato una sensazione di sorpresa in tutto il pianerottolo, una tensione che
sicuramente era già presente nell’aria.
La mattina successiva, mi fece visita uno dei giorni misti: ero disponibile a
guardare oltre la punta del mio naso.
Fuori dalla mia porta, mi accorsi allora dello zerbino, mezzo metro quadro di erba
di plastica alta almeno cinque centimetri, che il nuovo inquilino aveva posto davanti
al suo uscio. Esagerato, brutto.
Quell’unico elemento di cattivo gusto aveva compromesso l’equilibrio estetico del
vano scale, fino ad allora forte di marmi e portoni in legni pregiati
La visione dello zerbino verde mi aveva spento emotivamente.
A partire da questo particolare, non così insulso come sembrerebbe, mi rassegnai
all’alta probabilità di avere accanto una persona neutra, con la quale scambiare veloci
buongiorno e buonasera, sperando al massimo di non doverci litigare.
Non andò così.
Quella sera stessa, ritrovando la porta del novello condomino socchiusa, senza
esitazione alcuna, calpestai l’orrendo zerbino entrando nello spazio privato di un
perfetto sconosciuto, del quale non sapevo nulla, eccetto che non brillava in fatto di
gusto per i complementi d’arredo.
In realtà non ricordo con esattezza il mio percorso una volta uscita dall’ascensore,
ma visto che ora sono qui, tra queste mura, è ovvio che le cose siano andate così.
Vivo da due anni nell’ex appartamento della signora Visentini. E ci vivo con Lei, la
nuova inquilina. Nuova, non per me.
Non l’ho riconosciuta subito, ci ho messo alcuni minuti a capire che proprio Lei,
la mia grande nemica, mi stava accogliendo nella sua nuova dimora.
Come potevo immaginarlo? Nemmeno nella fantasia più sfrenata avrei pensato di
ritrovarmela di fronte, dopo tanti anni. Se avessi avuto un briciolo di saggezza in più
di quella che madre natura mi ha donato, appena riconosciuta, avrei dovuto girare sui
tacchi ed andarmene, ma la curiosità e la paura sono parenti stretti.
Appena dopo una settimana dal mio arrivo, e per tutto il primo anno, ho progettato
varie fughe da questa abitazione, che di fatto è una prigione, ma ogni volta,
succedeva un piccolo inconveniente, una cosa da nulla, e desistevo.
Poi, improvvisamente, la vita di fuori non mi mancò più. Non so perché.
A volte, immagino per provocarmi, è Lei stessa che mi lascia aperta la porta, mi
sfida.
Ormai non ci faccio più caso.
Guardo quella possibile via di salvezza quasi con fastidio, ci passo e ci ripasso
davanti, con fare annoiato. Di solito richiudo la porta io stessa, con un gesto sbadato
della mano, senza guardare fuori. Pure le finestre, se potessi, oscurerei.
Stamattina , dopo cento giorni di siccità, ho risentito il ticchettio della pioggia sui
davanzali. Il cielo con la sua cantilena mi sta ripetendo quello che Lei mi chiede con
veemenza fin dal primo giorno e che io fino ad ora ho sempre rifiutato, quasi con
orrore. Al canto lacrimoso di oggi, finalmente , mi sono arresa.
Lei di sicuro si stupirà, credo che non ci sperasse nemmeno più. La prima ad
esserne sorpresa comunque sono io stessa.
Con caparbia pazienza, Lei è riuscita a smontare il mio puzzle e ora anche l’ultima
tessera è di nuovo nella scatola.
Al posto della mia immagine, nello spazio lasciato libero, ne sta apparendo una più
grande, più complessa.Tra le pennellate di colore ancora fresco, sullo sfondo, riesco
a vedere distintamente Io e Lei insieme.
E quello che vedo mi piace, mi piace.