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Sono ormai quasi due anni che sentiamo parlare di Covid, mascherine ed igienizzante sono diventate la nostra quotidianità, ci siamo abituati a tutte quelle regole che inizialmente ci stavano strette, ci sembravano insostenibili, una gratuita compressione della nostra libertà.

È stato un periodo difficile, triste, ricco di rimpianti di una vita che ci sembra già così lontana, una realtà quasi virtuale, un ricordo sbiadito che forse non tornerà più.

Ma se c’è una ferita che ha faticato a rimarginarsi è quella lasciata da questi quasi due anni di isolamento. Il nostro modo di relazionarci con gli altri è stato completamente stravolto, abbiamo provato diffidenza nei confronti delle persone a noi vicine, abbiamo scansato chiunque non conoscessimo, chiedendoci che cosa avesse fatto poco prima, chi avesse visto, e quali conseguenze avrebbe avuto avvicinarci quel metro in più.

L’uomo è storicamente definito come animale sociale, uomo se e in quanto tra altri uomini, e quante conseguenze negative ha avuto questo distanziamento, quanto ha influenzato il nostro modo di confrontarci, di dialogare, di stare in mezzo agli altri.

È innegabile che le nostre abitudini, soprattutto siano state completamente stravolte, a partire dal primo approccio che abbiamo con una persona quando non la conosciamo.

È più difficile ora fidarsi di chi ci è estraneo, fare conoscenza con coloro i quali seppur condividendo un contesto ci sembrano così distante.

Pensando solo all’ambito universitario, tutto quello che prima era quotidianità, che si trattasse di un pranzo alla mensa con i colleghi, quanto la condivisione dello stesso tavolo in aula studio, è stato di colpo impedito, ed anche ora che le cose sembrano essere tornate al loro posto, quanto è difficile lasciarsi andare, quanto sembra strano ed inusuale riprendere a fare tutto quello che fino a poco tempo fa era “ordinaria amministrazione”.

Ebbene questo improvviso taglio dei rapporti ci ha insegnato quanto è bello stare insieme agli altri e quanto ci fa stare bene. E non è una necessità solo legata ad un piacere conviviale, ma una vera e propria esigenza psicofisica, che influisce pesantemente sul nostro umore e su quello che dobbiamo fare.

Che la maggior parte delle persone quando passano la propria giornata in compagnia siano maggiormente serene ed affrontino la vita e le rispettive problematiche con maggiore forza d’animo non è più un luogo comune.

Io stessa, che ammetto di aver subito in particolar modo quella pigrizia che scienziati e studiosi hanno associato al lungo periodo di stasi casalinga, mi rendo conto che non c’è nulla che mi sollevi più che passare la giornata in mezzo alle persone, a prescindere dal fatto che siano conoscenti o estranei, con i quali sfugga anche un semplice scambio di sguardi o un sorriso.

Per molto tempo in tanti abbiamo sentito quella necessità di rimanere dentro casa, soli con noi stessi in quella fortezza immaginaria che ci siamo costruiti attorno, tutto ci sembrava più sicuro e confortevole, quasi come se l’uscire fuori da casa figurasse un dovere piuttosto che un piacere, abbiamo perso gli stimoli, illudendoci che fosse un vantaggio piuttosto che una recinzione.

Quante volte seppur potendo ho deciso di rimanere dentro casa, “per togliere meno tempo allo studio,“per dormire una mezz’ora in più”, “perché fuori piove e non ho voglia di uscire”.

Tutte quelle scuse che celavano solo tanta sofferenza di essere stati allontanati forzosamente gli uni dagli altri.

Quella nuova routine che si è venuta a creare nel tempo ci ha tutto un tratto assorbiti, le mura della nostra camera sono diventate la nostra quotidianità, il pigiama una corazza, la solitudine l’unica compagna con la quale parlare. Quante volte mi sono svegliata con l’impressione di rivivere lo stesso giorno, non c’era più distinzione tra l’oggi, il domani, la settimana precedente e quella successiva. Non c’era la novità, tutto risultava così monotono e standardizzato.

Ed anche quando si è tornati a respirare, oramai tutte quelle scuse che molti utilizzavano per proteggersi fino a quel momento non volevano più lasciarsi abbandonare, quasi ci fosse l’illusione che quella nuova realtà ci appartenesse, ci potesse rendere persone migliori, più concentrate, più addirittura più determinate.

Abbiamo perso la concezione del tempo, tempo che non esisteva più, era un flusso continuo di vita che non aveva interruzione, se non quel momento in cui si chiudevano gli occhi e si andava a dormire, per poi riaprirli il giorno dopo e rivivere lo stesso giorno, ancora ed ancora.

Ma d’improvviso questa monotonia torna a starci stretta. Io stessa mi sentivo, e tutt’ora mi sento, soffocare da quello che prima era diventata la mia fortezza, il mio posto sicuro, lontano dai pericoli e da un passato che non può più tornare.

Tutto d’un tratto si ricomincia a vivere. Ma siamo pronti a ritornare? Incontrare persone, scambiare idee e opinioni, a condividere quelle abitudini che oramai sembravano essere diventate la messa in scena di un triste e ludo patico solitario piuttosto che di un gioco di squadra. Può sembrare banale, ma ci vuole coraggio a ricominciare.

Probabilmente in tanti non hanno subito tutto questo processo contorto, sono rimasti chiusi, sono poi stati liberati e senza troppe paturnie tutto ha ripreso a scorrere come se nulla fosse accaduto. Ma per quanti altri invece tutta questa storia ha lasciato una profonda cicatrice, che fatica tutt’ora a rimarginarsi.

E per non restare su un discorso morale ma sfruttando il supporto dei dati scientifici e dell’opinione razionale, sono tanti i ragazzi e le ragazze, partendo dai più piccoli fino ad arrivare agli adulti, che raccontano di aver avuto effetti psicologici tragici a seguito di tale periodo, prima tra tutti l’ansia sociale, uno dei sintomi più comuni a seguito della Pandemia, ma anche altri traumi emotivi che hanno comportato incubi e forti disagi, c’è chi si è completamente chiuso in se stesso, chi ha detto addio alla vita di un tempo, non riuscendo a fingere che tutto quello che abbiamo passato non sia mai accaduto.

E non dobbiamo dimenticarci di loro, ma stargli accanto, rassicurarli, restituire alla loro indole quella socialità che è propria dell’indole di qualsiasi essere umano, che per quanto lo possa negare non può essere ed esistere senza chi gli è attorno. È un percorso difficile, ma il tempo e la forza di volontà possono restituire anche a chi è più debole quella felicità e serenità interiore che in tanto hanno perduto.

Solo così riusciremo ad apprezzare davvero quanto è bello poter tornare a confrontarsi, rapportandoci con chi da noi è diverso, riprenderci tutte quelle opportunità che fino a poco tempo fa ci erano state tolte. E noi questo lo avevamo sottovalutato, fin troppo abituati a dare per scontato la bellezza dello stare insieme, la fortuna che abbiamo ad avere tutti i giorni quelle opportunità di confronto che non tutti possono vantare di avere.

Spesso non ce ne rendiamo conto, ma stare in mezzo agli altri è molto meglio di ogni altra medicina che possiamo trovare, e forse questo gli Antichi lo avevano capito prima di noi.

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