Un racconto di Cesare Massa
È di questi giorni la tragica notizia che Boko Haram ha sequestrato 300 bambini in un collegio maschile. Lo scenario di questo orrendo delitto è una regione della Nigeria, peraltro considerata fuori dal raggio di azione dell’organizzazione terroristica.
Pubblichiamo quindi in questi giorni questo racconto, che si ispira a un fatto realmente accaduto nel 2016, quando sempre Boko Haram assediò un villaggio del Camerun.
Il racconto è però ambientato, per una tragica ironia, proprio in Nigeria, nella Regione di Borno. Spesso, in letteratura, gli episodi di cronaca sono il pretesto, il punto di partenza per raccontare una storia, in questo caso è l’evento a costituire niente più che un pretesto per tenere viva la fiamma di una tragedia che non possiamo permetterci di dimenticare. E che in questi giorni si è ripetuta.
Quando sentì sbattere qualcosa – o meglio qualcuno – sulla propria pancia, Edward
trasalì.
Tamil Achebe aveva ancora il respiro pesante. Appena veduto il ponte superiore del
grande aereo delle Nazioni Unite stagliarsi lentamente sopra i pochi alberi, aveva
cominciato a correre dall’aeroporto sulla vastissima pianura. La regione di Borno, nel
Nord ovest della Nigeria, era così piatta che la si sarebbe potuta percorrere tutta
correndo, come la piana di Maratona. Probabilmente qualcuno l’aveva fatto
veramente. Più di qualcuno, forse.
L’aeroporto era a sette chilometri dal campo, equidistante rispetto alla città più
vicina, più spostata verso est: Maiduguri.
Lo scontro dei due corpi avrebbe potuto suggerire un impatto fortuito, come se l’uno
avesse costituito un ostacolo alla prosecuzione della corsa dell’altro.
Invece era proprio da Edward che Tamil correva.
Ripreso fiato tra le pieghe della sua camicia di lino, infatti, alzò la testa, sorrise e
cominciò a parlare risucchiando ogni tanto un po’ di saliva, come se avesse un
chewingum nascosto da qualche parte nella bocca:
– L’aeroplano è arrivato.
Si muoveva pianissimo sulla pista di atterraggio. Era su un carretto trainato da due buoi!
Una cosa così veloce nel cielo – a questo punto Tamil emise un verso ad evocare il
suono della velocità (fschhhh) e riprese fiato un’altra volta piegandosi sulle ginocchia
e nello stesso tempo staccandosi da Edward. Poi finì la frase tanto velocemente da
mangiarsi un poco le parole
– trainato su un carretto da due buoi.
– Siete strani voi americani! –
Edward sorrise alla presa in giro del ragazzino, fiero per l’analogia
poetica.
Tamil, infatti, sapeva benissimo che l’aeroplano, una volta che raggiunge la terra,
dismette le ali con le quali solo un attimo prima si librava elegante nel cielo, per
mettere già un paio di goffe ruote.
E lo sapeva per averne parlato a scuola la
settimana prima, quando Edward, funzionario UNCHR prestato alla nobile disciplina
del professore, aveva annunciato alla classe, Tamil compreso, che su un aeroplano
sarebbe presto arrivata l’ambasciatrice ONU degli Stati Uniti.
Questo era il segno irrefutabile che il villaggio avrebbe ricevuto i finanziamenti per la
ricostruzione.
L’avevano paragonato all’Albatros di Baudelaire. Forse per questo l’aeroplano più
elegante di tutti è quello di carta, che non atterra, goffo, sulle zampe palmate, ma vola
o cade, glorioso come un eroe dell’Antica Grecia. Come Filippide a Maratona.
Les Fleurs du mal, per ironia della sorte in una terra meravigliosa – il fiore – martoriata
dal terrorismo – il male -, era uno dei pochi libri in francese a disposizione da quando
la scuola aveva aperto.
Colpa o merito della scarsezza delle risorse economiche iniziali.
I ragazzi avevano colto subito il riferimento alla loro situazione, glielo si leggeva
negli occhi. Sarebbero loro a potere insegnare a me questa lezione, aveva pensato
Edward.
Un libro, comunque, a volte, era quanto bastava. Alessandro vinse battaglie fino ai
confini del mondo conosciuto dormendo con l’Iliade sotto il cuscino.
Una volta un amico di Roma gli aveva raccontato di come durante la seconda guerra
mondiale, in Italia, i bambini di allora studiato per più di un anno su Pinocchio. E non
solo l’italiano, ma anche la matematica.
Le cose, comunque, stavano per mettersi meglio.
– Hai ragione, Tamil. Siamo strani noi americani –
disse Edward pensando ai fiori ed al male.
Pensò che spesso in Occidente si dice in maniera piuttosto vaga che “corriamo
troppo”. Non era un’immagine appropriata, precisa, circostanziata. Filippide correva,
Tamil corre. Io lo so bene perché per poco questo marmocchio non mi buttava a terra
venendomi addosso, facendomi cadere disteso sulla terra con i palmi verso terra
come a cercare comicamente di trarne un’antica forza.
No, Il fatto è non è semplicemente che corriamo. Corriamo come se fossimo in
prossimità del nostro cortile e vedessimo un incendio divampare. Magari si è fermato
proprio sul nostro viale, ma noi ci lanciamo verso casa a sincerarci che la casa sia
intera, che tutti stiano bene. Avere sempre questo maledetto smartphone nella tasca,
d’altra parte, significa avere ogni momento la possibilità che ci arrivi una notizia
cattiva, almeno per come in fondo la vediamo noi.
Il problema non è che corriamo troppo,
ma che corriamo con il viso contorto nella smorfia terribile del presagio di una sventura.
Mentre pensava così, tolse istintivamente il telefono dalla tasca, forse per lanciarlo
nel canale che costeggiava il campo profughi. Che il fiume fosse prosciugato faceva
sì che quello non fosse più un fiume? Tutt’altro, quello era più di un fiume.
Così pensava Edward che poi concluse ad alta voce, premettendo il suo ragionamento
interiore
– Non è vero?
– Si –
Tamil rispose senza nemmeno sapere a cosa stesse alludendo. Ma Edward pensò
che non per questo voleva dire che non fosse sinceramente d’accordo con lui.
Il telefono iniziò a vibrare.
Una buona notizia.
– Dottor McCallan?
– Si…
– L’ambasciatrice è atterrata
– Lo so
disse il maestro/funzionario. Mise giù. Il messaggero con le ali ai piedi era arrivato prima.
Intanto erano già presso la casa di Tamil; una delle pochissime rimaste in piedi dopo
l’incursione dello squadrone di Boko haram di qualche mese prima. E sì che
l’”incendio” sembrava veramente essersi fermato sulla soglia del cortile della casa di Tamil.
Tutta la sua famiglia era scampata all’attacco. Quella notte, come sempre,
Tamil era andato a dormire pensando ai leoni che si aggiravano nei pressi del
villaggio, al tempo stesso spaventato e desideroso che venissero a visitarlo. Anche la
madre Latifah, che dormiva nella medesima stanza, nel letto del padre, pensava ai
leoni quella notte. Pensava che è piacevole dormire con un piede fuori dal letto,
contare i leoni, pensare che potrebbero venire a leccare il piede nudo; o sentirli
ruggire in piena notte da chilometri di distanza.
– Mamma?
– Si tesoro…
– Cos’è un simbolo? – una cosa importante – Il leone è simbolo dell’Africa?
– No tesoro, il leone è simbolo del Mondo.
Quella notte però, sul farsi del giorno, vennero le iene. Anche se la loro furia si era
fermata sulla soglia della casa della famiglia Achebe. Che il pericolo fosse scampato,
tuttavia, non lo credeva del tutto il nonno materno di Tamil. Per questo da mesi, da
quando il fatidico evento era accaduto, stava sulla soglia della porta, senza entrare in
casa, in attesa che le fiamme sopraggiungessero.
Edward consegnò il bambino alla madre. Appena il tempo di consegnarlo, che lui
subito era corso di nuovo via verso chissà dove.
Oggi dal cielo era arrivata quella che secondo alcuni era un’Aquila, un Avvoltoio
secondo altri, come il padre di Tamil ed il padre di sua madre. Secondo altri ancora,
sappiamo già chi, un Albatros.
“Speriamo bene” pensò Latifah, con la consueta espressione sul volto, come la statua
di una donna baciata dall’amante sull’angolo delle labbra, immobile, non di
indifferenza, ma di passione e voluttà. O come se tenesse le labbra serrate per non
fare cadere un fiore dall’angolo della bocca.
Quando Edward arrivò in automobile all’aeroporto, appena il tempo di percorrere
quei sette chilometri con l’unica auto della missione, si trovò impantanato nel traffico
degli altri convogli venuti dalla vicina città ad accogliere l’ambasciatrice: le auto del governatore della
regione, quella del Cardinale, le auto nere mandate per gli spostamenti della stessa
ambasciatrice nella regione.
All’interno dell’aeroplano, Susan Powels dormiva. Pur dormendo, sul viso aveva
quell’espressione di chi porta sulle proprie spalle il peso del mondo che forse in
teoria sarebbe giustificata in ogni uomo. Solo che nel suo caso era anche giustificata
in concreto, almeno oggi, almeno in quel luogo in cui veniva a portare una speranza
di rinascita, se non di vera e propria salvezza.
Scesa dalla scaletta, il primo a venirle incontro fu il cardinale.
– Buongiorno Ambasciatrice, la manda certamente Dio –
– Non esageriamo, Eminenza. Obama è importante, ma non così tanto –
Risero insieme, il Cardinale anzi un attimo prima.
Probabilmente si immaginava già quella risposta. Aveva voluto fornirle un assist per
una facile battuta. Questa cortesia sarebbe certamente bastato per far dire in qualche
salotto romano che quell’uomo era un vero e proprio Santo.
Una donna e un Santo, sotto la scaletta di un aeroplano a parlare di Dio. Sembravano
Dante e Beatrice che contemplano il paradiso nella famosa illustrazione di Gustavo
Dorè. Quest’ultimo era Edward.
Nel frattempo, la folla si stava radunando sulla strada principale del campo profughi.
Il convoglio entrò nelle rispettive macchine. Anche Edward risalì in macchina e si
mise in fila in quella processione di carri neri.
Dopo alcuni chilometri, il convoglio si fermò di botto. Una cosa molto inusuale.
Susan si agitò, era possibile che i terroristi di Boko Haram avessero attaccato il
convoglio? I servizi segreti e i militari avevano dapprima circondato l’auto
dell’ambasciatrice, con eccezionale rapidità. Con altrettanta rapidità, dopo avere
parlato agli auricolari, si erano allontanati di nuovo ed erano tornati ai loro posti.
Posso sapere cosa diavolo è successo? Disse Susan, che aveva capito che come la
sua incolumità non fosse in pericolo.
Tuttavia, sapeva a benissimo che questo non voleva necessariamente dire che non
fosse successo qualcosa di terribile.
– Niente, eccellenza. Un inconveniente. Ma tra pochi minuti potremo proseguire.
La capofila ha urtato qualcosa ed ha dovuto fermarsi per controllare.
Uno dei soliti animali non abituati al passaggio di carovane su quattro ruote, non in
quel tratto di strada tra l’aeroporto ed il campo, dove il massimo che poteva capitare
di vedere era un bambino che corre, pensò Susan.
E tornò a guardare fuori dal finestrino, quando un pensiero terribile le balenò nella mente.
Cominciò ad agitarsi
sul sedile di pelle color tortora, guardava lo spettacolo degli stormi di uccelli nel cielo
novembrino che formavano come spirali di dna. Come facevano a non urtarsi, negli
stormi stracolmi?
Uscì aprendo violentemente lo sportello
– Posso sapere cosa cazzo è successo?
– Abbiamo investito un bambino.
La risposta, dal momento che erano venuti per salvare quella gente,
risuonò nell’aria fuori posto come un leone che entra in una
capanna di notte per leccare i piedi di una donna.
– Santo cielo. Ditemi che sta bene!
– E’ morto.
Qualche centinaio di metri più avanti, un bambino era stato colpito da una gigantesca
jeep che avrebbe dovuto resistere ai colpi di un razzo, sbalzato in aria come un
aeroplanino di carta, una chewing-gum bianca sulla terra gialla vicino a lui. Stava a
terra, col collo rotto ma ancora bello, intatto.
Un bambino morto è forse qualcosa di meno di un bambino dal momento che è morto?
Una Mano avrebbe potuto prenderlo
da terra, raddrizzare il collo come fosse la punta di carta, lanciarlo nel vento per farlo
volare di nuovo. Una Mano lo avrebbe fatto certamente.
Intanto le mani di due uomini lo stavano spostando da terra, per riporlo in un manto
bianco, sarebbe tornato dall’aeroporto al villaggio con loro. Solo che per lui era la
seconda volta quel giorno.
La notizia si sparse attraverso la fila di auto fino ad Edward. Quest’ultimo sentì un
colpo allo stomaco, guardò in basso e non vide niente.
Quando arrivò al villaggio, la processione era quella che sta dietro a un carro funebre,
nonostante fosse venuta veramente per salvare tutte quelle persone radunate ai bordi
della strada, nonostante rappresentasse il fiore, non il male.
A Latifah cadde il fiore della bocca. Ma per alcuni i petali della rosa fanno più male
delle spine. Costoro sono poeti.
Nonno Jamal rientrò finalmente in casa sua. L’”incendio” alla fine non aveva
risparmiato nemmeno la loro famiglia.