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Il programma del G20 verte su 3 punti: la copertura vaccinale globale, l’economia ed il clima.
Saranno presenti il 70% dei responsabili del cambiamento climatico mondiale. Il cosiddetto greenwashing è uno dei maggiori problemi della questione climatica, ed anche il più ignorato,
coerentemente con la sua funzione intrinseca.

Avere norme stringenti in ambito ambientale in
Europa per poi ritrovarsi con aziende che spostano la propria produzione in Paesi dove non vi sono
tali leggi non è esattamente ideale. Deve essere chiaro che i dati sulle emissioni prodotte dai paesi
come la Cina, che sono i “big polluters”, non ci indicano le responsabilità legate a tali emissioni,
infatti esse sono strumentali, per grande parte, ai prodotti poi venduti in Occidente.

Ogni prodotto
che utilizziamo con la scritta “made in China” ci dovrebbe rendere consapevoli della nostra
responsabilità nella questione climatica, ricordiamoci poi che in molti dei nostri prodotti non è
scritto esplicitamente, come i componenti dei nostri pc, telefoni, auto, bici, monopattini elettrici, eccetera.
Il G20 sarà un preludio del COP26 di Glasgow, il più importante convegno dagli accordi di
Parigi del 2015.

Il programma prevede, tra le altre cose, che i capi
di Stato presentino le loro proposte per limitare le emissioni e per tenere l’obbiettivo del limite di
1,5 gradi di surriscaldamento globale come ottenibile.

Si tratteranno poi una serie di questioni fondamentali, tra cui gli aspetti
economico-finanziari delle policies sul clima: la
transazione verso l’energia pulita ed efficiente: il ruolo dei giovani nelle
questioni climatiche, all’interno dell’evento “youth and public empowerment”; l’uso sostenibile del suolo e il “green recovery“; la partecipazione delle donne nell’azione climatica”; la transizione verso il trasporto a zero emissione. Queste 11 giornate di negoziazioni probabilmente non basteranno, da sole, a cambiare le cose.

Il problema non è che non ci siano soluzioni globali per il clima, il problema è che si attribuisce maggiore
importanza all’economia e allo sviluppo sull’agenda politica globale piuttosto che all’ambiente e alla
salute.
Le soluzioni sono molteplici, semplici, coraggiose e scomode. Semplici in teoria, difficili in pratica. Si tratta di cambiamenti nello stile di vita globale, pessime policies per chi
vuole consenso rampante, potere e denaro.

Fin quando non troveremo la ricetta per le
auto a combustione pulita e le mucche che non producono CO2 e che non bevono centinaia di litri
d’acqua, ci vuole il coraggio di fare cose scomode. L’emergenza climatica altro non è che un’ulteriore emergenza per il
nostro diritto alla salute, nello specifico diritto ad un ambiente salubre. Emergenza che viene
sbandierata da tutti i report possibili, da tutti i protestatari possibili ma che la politica tratta da anni
come se fosse un mero rischio futuro.

Servirà una reale scelta di sanzionare a livello globale le nazioni che ledono il clima, dazi doganali
ad esempio, e scegliere di scoperchiare le ipocrisie per un’azione concreta e reale. Di nuovo
servono scelte radicali e scomode. Come per il Covid.
Perché sia chiaro, a pagare il prezzo dell’inazione politica è sempre l’elettore, il lavoratore,
il povero.

Per fortuna il Covid e la crisi climatica sono abbastanza democratici e stiamo male qui in
occidente come in Africa, anche se meno, altrimenti aspetteremmo tranquillamente che il mondo
vada a fuoco sotto i nostri piedi.

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