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Benjamin Fondane, all’anagrafe Benjamin Wechsler, nasce a Iasi in una famiglia ebrea. Secondo lo storico Stanton è “sicuramente l’intellettuale più sottovalutato degli anni 30”.

È un filosofo, un esistenzialista, un poeta. I suoi lavori sono influenzati da Kierkegaard, Dostoevskij, Kafka e Camuse, tenendo sempre presente le poesie di Baudelaire a cui dedicherà il saggio sulla noia. Il suo pensiero è anti-sistemico, antihegeliano, antipositivista. Non crede nel sacrificio individuale in vista dell’assoluto storico, che in quel momento veniva brutalmente rappresentato dai totalitarismi nazisti, fascisti e sovietici, così come non crede nei confini prestabiliti e nelle limitazioni imposte dall’esterno. Pur conoscendo bene il peso dell’isolamento, critica il monismo di Leibniz e l’idea che lo spirito individuale sia chiuso in sé stesso. Per Fondane non esistono la Storia, lo Spirito, la Ragione Universale, la Legge. Esiste l’individuo, la singolarità, l’eccezione, la molteplicità.

“La storia è stata fatta per l’uomo, non l’uomo per la storia”

La sua vita è sempre in movimento, fatta di tappe che non rappresentano solo nuove destinazioni ma anche stili di scrittura, persone, interessi, campi d’indagini intellettuale e mezzi espressivi diversi.

La prima tappa di questo viaggio è Bucarest, dove inizia la sua carriera di scrittore. Scrive articoli, poesie e opere teatrali da lui dirette e rimane affascinato dai movimenti di avanguardia. Questo da un lato lo rende mal visto dalla borghesia, scioccata dall’innovazione, dall’altro uno dei membri di rilievo dell’avanguardia letteraria rumena.

Spinto dalla passione e dalla voglia di vivere sulla sua pelle la letteratura francese decise di trasferirsi a Parigi nel 1923, dove adotta il suo pseudonimo definitivo: Fondane. Attratto dal surrealismo e dal marxismo, si guadagna da vivere come corrispondente per l’Integral e altri giornali di avanguardia rumeni e scrive un libro di poesie intitolato Privelisti (Paesaggio).

Nel 1929 iniziano i suoi primi lavori filosofici, influenzati dal pensiero esistenzialista del suo amico Lev Shestov. La sua fama di filosofo inizia a crescere con il suo primo lavoro “Rimbaud le voyou”, superando presto quella di poeta. Dopo un breve soggiorno in Argentina, torna in Francia dove inizia il suo nuovo lavoro per la Paramount, adattando film hollywoodiani in francese.

Nel 1944, durante l’occupazione nazista in Francia, Fondane si ritrova minacciato, senza soldi, costretto a lasciare il suo appartamento. È in questo momento che scrive il suo ultimo saggio: “Existential Monday and the Sunday of History”.

Molti treni sono passati nella vita di Fondane. L’ultimo è buio, sovraffollato e senza finestre. Non vi è divisione tra prima e seconda classe ma tra prigionieri e liberi. È in questo ultimo viaggio che supera il suo ultimo confine, quello che divide l’umanità dalla barbaria. Destinazione: Auschwitz.

“Si potrebbe essere costretti a morire, senza dubbio, ma niente al mondo può costringerti ad accettare questa morte.”

Fondane tenta di non arrendersi al sistema nemmeno durante il suo soggiorno nel campo di concentramento, cercando di non perdere sé stesso e continuando, per quanto possibile, a mantenere i suoi interessi e a dialogare con gli altri di poesia e filosofia.

“Lo spirito hegeliano non ha trionfato, perché quello che desiderava non era la morte, il sacrificio dell’individuo. Voleva il consenso dell’individuo al sacrificio.”

In queste due citazioni possiamo trovare una sintesi del suo pensiero, che sottolinea lo strappo violento tra individuo e società e come quest’ultima voglia eliminare il divario esistente sopprimendo la singola esistenza.

Per Fondane ogni confine è una tortura e uno sperone e questo perché il singolo non è fatto per essere ingabbiato in rigidi schemi, così come la filosofia non è mera misura quantitativa del razionale. L’esistenza individuale non può essere ridotta e chiusa all’interno del sistema, ma è la sua stessa eccezione. In “Man before history” analizza l’immagine della Legge che non può far altro che danzare ignorando il resto, anche se quel “resto” è fatto di vite che soggiacciono schiacciate da quel peso universale.  Forte è in questo saggio la separazione tra storia intesa come assoluto hegeliano e l’individuo che può solo perire in relazione a essa.

Alla forza distruttrice della storia, contrappone l’immagine dell’umiltà. Alla protesta dell’uomo che segue la storia e vuole distruggere i suoi nemici perché immorali, contrappone l’onestà di Shakespeare che ammette di essere stato sconfitto dal suono e dalla furia e l’urlo di Dostoevskij che non riesce neppure a rispettare sé stesso.

Nel suo ultimo scritto, lasciato incompiuto e pubblicato postumo, analizza lo stato d’animo della noia come condanna di un’intera civiltà e non del singolo individuo. Per parlare di un momento storico non parte dall’idea della ragione e del progresso, ma da un sentimento di vuoto e noia che affligge interi momenti storici e degenera in barbarie come la tortura durante il medioevo o i fatti della Seconda guerra mondiale. Non c’è quindi nulla di razionale nella Storia, solo azioni mosse da apatia o desiderio. È qui che l’individuo entra come eccezione, come squarcio, come pensiero che non si adegua mentre la Noia si impossessa della Storia, che diviene “apocalisse”.

Nei suoi scritti troviamo un moto di ricerca costante, un andare in esilio anche da sé stessi, l’essere in un limbo che si incrina. Troviamo un’indagine profonda della propria individualità che non ha nulla da invidiare agli esistenzialisti più famosi.

“Ricordatevi solo questo: ero innocente

E, proprio come tutti voi, mortali in quel giorno,

avevo avuto anche io un volto segnato

dalla rabbia, dalla pietà e dalla gioia.”

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