Era tarda estate, le giornate andavano accorciandosi. La spianata di fronte alla reggia cominciò a riempirsi poco prima del tramonto. Con le tenebre furono accesi i falò. I servi del palazzo accesero il più grande proprio di fronte all’ingresso del palazzo. Da lì avrebbero parlato gli oratori. Il re era morto, e aveva lasciato solo una figlia, Anna. Bisognava scegliere un re nuovo. Il sistema era abbastanza semplice, seppur non molto efficiente. I candidati avrebbero fatto i loro discorsi, uno dopo l’altro, e poi si sarebbe “votato”: chi avrebbe ricevuto, dai presenti, l’assenso più rumoroso, sarebbe stato acclamato re. Parlarono l’illustre Dario, il prode Sacoda, il nobile Agerno. E poi Manioto, Giovo e Ramesse. Nuova legna venne gettata nei fuochi. La notte si era ormai fatta fonda, i candidati avevano parlato, e giunta era l’ora di votare. Ma un uomo anziano, Evemero, il consigliere del re, chiese la parola. Due servi portarono una cassa, perché il consigliere era basso. Lui ci salì sopra goffamente, avvolto in una cappa scura. Si tolse il cappuccio e guardò i candidati. I fuochi scoppiettavano nella notte silenziosa. Poi guardò in alto, e gridò. “Mio re, chi sono questi uomini?” Silenzio. Sacoda rise. “È impazzito!”. Il consigliere lo fulminò con lo sguardo, e lui tacque. “Mio re -riprese- chi sono questi uomini? Chi sono costoro, che ti vogliono rubare il trono?”. “Il re è morto!”, urlò qualcuno tra la folla. “Questo pensate? -tuonò l’uomo sulla cassa- E invece io vi dico: egli non è morto!”. Tutti ammutolirono. “Egli -disse, con voce calma- ha solo lasciato il suo corpo.” Silenzio più totale. Il consigliere riprese: “Il nostro re, tempo fa, è partito per la guerra. Io non volevo, perché le nostre possibilità di vittoria erano minime. Ma lui andò lo stesso.” Fece una pausa. Tutti lo guardavano. “Tutti quelli che sono qui sanno quanto basse fossero le nostre possibilità. Ma lui è andato lo stesso, alla testa del suo esercito. E lo ha portato alla vittoria!”. I guerrieri che erano tra la folla ulularono, scandendo il nome del re. L’uomo con la cappa attese che il coro scemasse, poi riprese:” L’impresa che sul campo di battaglia ha compiuto non ha pari tra gli uomini. Egli lo ha percorso come una furia, avvolto nella sua corazza scintillante; egli ha sfidato e ucciso il re nemico. Egli ha messo in fuga il suo esercito!”. Il coro riprese. Molti dei nobili vi si unirono. “Egli era luminoso come il sole!”, gridò qualcuno. “Avete udito tutti?”, chiese il consigliere. Ci fu un mormorio di assenso. “Egli era come il sole. Questo è stato detto. È vero. Egli era come il sole” disse, scandendo le parole. “Egli ha compiuto qualcosa di impareggiabile! E il sole… Lo ha visto! – gridò- Per questo, lo ha chiamato a sé!”. La folla cominciò a rumoreggiare. “Lo spirito del nostro re ha abbandonato il suo corpo -disse il consigliere gridando, mentre il brusio aumentava- e si è unito al sole.” Il rumore continuava ad aumentare, e lui gridò a pieni polmoni: “Egli vive! Egli vive nel sole!”. L’assemblea divenne una bolgia. Tutti gridavano. “Vivo! Vivo!”. “Vivo! Egli è vivo!”, ripeteva il consigliere, trionfante. Ma alcuni non erano convinti. Manioto, che fino ad allora era rimasto in silenzio, balzò in piedi e si scagliò contro di lui: “Tu menti! Il nostro re era un prode, ma ora è morto! Cosa vuoi ottenere con le tue false parole?”. “Manioto, sei troppo giovane e impulsivo. Mostra rispetto per chi è più anziano di te!”. Ma lui non indietreggiò. “Dimostrami che è ancora vivo.”, sibilò. “Lo farò!”, tuonò il consigliere. “Conoscevi il nostro re?” “Ho servito sotto il suo comando e combattuto al suo fianco” “Allora immagino conoscessi quanto fosse leale con gli amici, e generoso con chi gli era fedele.” La folla mormorò. “Certo”. “Però immagino sapessi anche quanto severo fosse nelle punizioni, e quanto funesta la sua ira?”. “Cosa vuoi dire, insomma?” “Che tu, dandomi del bugiardo, hai offeso il re. Cosa pensi di meritarti?”. Alcuni dei servi di Manioto cominciarono ad urlare e contorcersi orrendamente. Poi crollarono a terra, esanimi. “Cosa gli hai fatto?” urlò Manioto. “Nulla. È il re che ti infligge la giusta punizione!”. La folla ruggì. “Vivo! Vivo!”. “Vivo, egli è vivo! -ripeteva, di nuovo, il consigliere- Egli vive nella luce, nel dì. Egli è qualcosa di nuovo. Egli è di-o. Così lo chiameremo, dio!”. E la folla intonò “Dio! Dio!”, finché Evemero non chiese il silenzio. “Egli vive anche qui! -disse- Egli vive nel sangue di sua figlia. Sarà lei, la figlia del dio, che ci governerà”. La folla ruggì, di nuovo, acclamando Anna regina. I festeggiamenti si protrassero fino all’alba, poi l’assemblea si sciolse. Prima di addormentarsi, la nuova regina chiese al fido consigliere: “È vero che papà vive lassù in cielo?”. “L’importante è che tu ci creda”. E fu così che Evemero, consigliere del re, con l’aiuto di un servo corrotto e un po’ di veleno, creò e fece nascere gli dèi.
“Evemero” – Damiano D’Onofrio
