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Il testo della Proposta

Partendo dalla lettura delle definizioni all’art. 1 del Ddl Zan, è opportuno procedere ad un’analisi dettagliata e puntuale della scelta terminologica operata dal deputato Zan; un primo rilievo critico che si ritiene doveroso fare riguarda l’abbondante utilizzo delle congiunzioni disgiuntive (“o”) che renderebbe possibile, all’interprete, inserirsi nelle maglie della disposizione e svolgere un’operazione ermeneutica di ampio respiro -se non addirittura fantasiosa.

Nello specifico, il sesso biologico ‘e’ anagrafico di un individuo potrebbe non coincidere qualora sia stato compiuto un percorso di transizione non segnalato poi alle istituzioni competenti a modificare i dati identificativi del soggetto. Cosa dovrà ritenersi prevalente in caso di contrasto? Il dato biologico o anagrafico?

Dalla nozione di ‘sesso’, si passa a quella più discussa di genere e di identità di genere. Attenendoci ad un’interpretazione strettamente letterale, il genere identifica una manifestazione esteriore del proprio sesso in relazione alle aspettative sociali ad esso connesse. Il riferimento ad un concetto indeterminato quale “l’aspettativa sociale” rende questa definizione non solo di difficile comprensione ma contraddittoria: nel tentativo di superare gli stereotipi di genere si arriva ad affermare che, a seconda del sesso di appartenenza, l’individuo debba convenzionalmente adottare comportamenti tipici o contrastanti dell’uno o dell’altro genere, maschile o femminile.

La disgiunzione “o”, che lega due aggettivi diametralmente contrapposti e riferiti ad un concetto astratto quale “l’aspettativa sociale”, genera, inevitabilmente, confusione nel lettore.

L’identità di genere è, a differenza del genere, non solo un attributo esteriore ma caratterizzante l’interiorità e la percezione di sé del singolo: il dualismo uomo-donna, questa volta, viene eliminato e si valorizza l’autopercezione individuale. Il legislatore ha voluto distinguere il concetto di identità di genere da quello di genere ma sembra evidente che l’uno sia funzionale a spiegare l’altro: sarebbe opportuno riferirsi alle definizioni fornite dalla comunità scientifica e ricavare da queste una nozione chiara e complessa di cosa si intenda per genere.

L’art. 4 del DDL, per come formulato, lascia aperti numerosi interrogativi, soprattutto al cittadino che non conosce di diritto e che si interroga sulla possibile sanzionabilità della propria condotta.  “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte” si ascrivono nel diritto di manifestare o di comunicare il proprio pensiero? Quale che sia la soluzione ermeneutica prescelta, quali sarebbero le conseguenze sul piano sanzionatorio se taluno dovesse poi, manifestando o comunicando il proprio pensiero, determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti?

È doveroso, infine, porre in luce quanto un simile intervento sia utile a garantire la piena realizzazione del principio di uguaglianza, di cui all’art 3 della Costituzione, offrendo una più ampia tutela contro ogni forma di discriminazione fondata sul sesso, genere e orientamento sessuale, quali espressioni di diritti inviolabili di ciascun individuo, nonché contro ogni forma di discriminazione legata alla disabilità. Nobili sono gli obiettivi che il legislatore intende perseguire ed efficaci sembrano anche i mezzi che si intendono utilizzare, pur restando presente “il problema terminologico”, che, come detto, non è di rilievo marginale e rappresenta il vero punctum dolens della proposta.

L’insufficienza della normativa esistente e margini di miglioramento

Il DDL Zan è una proposta di legge necessaria all’Italia, che è chiamata, anche dall’unione Europea, a garantire e tutelare le minoranze da possibili atti discriminatori ed abusivi. Parte dell’opposizione ha sostenuto che gli strumenti di legge esistenti siano sufficienti a perseguire il presente obiettivo, ma, secondo chi scrive, i sostenitori di questa corrente di pensiero non sono pienamente consapevoli dell’importanza di introdurre una normativa ad hoc nell’ordinamento italiano. Nella cd. mappa Europe Rainbow (che valuta le politiche di inclusione poste in atto dai vari paesi) l’Italia è 35esima su 49, e, secondo un altro rapporto pubblicato dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali (FRA), l’Italia è fra i primi Paesi con indice di discriminazione più alto.

Entrambi i report segnalano l’assenza di una legge contro l’odio e la discriminazione in Italia – presente, fra l’altro, in tutti quasi tutti i paesi Ue, nei quali ci sono leggi simili al Ddl Zan, che puniscono l’istigazione all’odio, e non la propaganda di idee. Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e tanti altri Stati Membri dell’Unione hanno adottato leggi nelle quali, come nel disegno di legge Zan, non viene punita l’espressione di idee critiche nei confronti delle persone LGBTQ, ma solo gli atti violenti o le affermazioni che spingono a commettere atti violenti o ledono la dignità delle persone.

Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ribadito che “le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana. È compito dello stato garantire la promozione dell’individuo non solo come singolo, ma anche nelle relazioni interpersonali e affettive”.

Si deve pertanto concludere che una legge quale quella proposta dal deputato Zan sia indispensabile per attuare una modernizzazione del paese sul piano dei diritti civili e personali. Il “modus operandi” adottato dal legislatore per perseguire questo obiettivo è, come più volte detto sopra, efficace e coerente con il modello europeo. La direttiva sulla parità di genere (2006/54 CE) che  tutela le persone transgender contro le discriminazioni nella vita professionale derivanti da un cambiamento di sesso, nonché la  direttiva sui diritti delle vittime, riconoscono una serie di diritti alle vittime e obblighi precisi e vincolanti per i paesi dell’UE al fine di garantirne l’applicazione.

Oltre a quanto previsto dalle direttive, (che, si ricorda, devono essere recepite dagli Stati Membri per perseguire uno specifico risultato ma lasciando all’ordinamento nazionale la libertà di scegliere i mezzi concreti) a monte del sistema delle fonti sovranazionali troviamo l’art. 21 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue, che vieta «qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale». Il riferimento all’orientamento sessuale circa la lotta alle discriminazioni pone in evidenza quanto il legislatore europeo abbia inteso garantire una tutela sostanziale e concreta (già dal 2000, anno di approvazione della Carta di Nizza) a tutte le minoranze.

Va menzionato infine il fatto che, ogni anno, la Commissione europea pubblica una relazione per monitorare i progressi compiuti in merito all’elenco delle azioni volte a promuovere la parità per le persone LGBTQ nell’UE e potrebbe, se necessario, prendere provvedimenti contro un paese che non rispetti le prescrizioni. Per evitare procedimenti di infrazione, che, oltre a rappresentare un danno all’immagine dello Stato italiano quale esempio di democrazia, sono particolarmente onerosi, è indispensabile che l’Italia si adegui alle istanze ormai da tempo sollevate dall’Unione.

Certamente non di esempio sono Stati quali l’Ungheria e la Polonia, che hanno adottato delle leggi considerate “antiLGBTQ” suscitando la profonda indignazione del Consesso degli Stati Membri. Il Parlamento Europeo, in risposta, ha firmato la risoluzione contro la legge, invitando Orban a ritirare la normativa che inserisce elementi di censura, vietando la rappresentazione dell’omosessualità ai minorenni. Il dibattito, particolarmente acceso, è ancora in corso e dimostra quanto l’Unione si stia imponendo per far sì che vengano implementate politiche anti-discriminatorie e che venga garantita un’effettiva tutela ai cittadini di ogni Stato Membro.

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Responsabile web 21/22 Caporedattrice Il Protagonista 19/20, 20/21 e 21/22